Capitolo 6.
Momenti
concitati
Nooooooo, il
mio bambino nooooooooooooo.
Pensa, Mac,
pensa, non ti far
prendere dal panico.
Oh Dio mio,
non voglio perderlo, Harm aiutami!
Harm non
è qui con te ma ce la puoi
fare lo stesso.
Noooooooooo,
non può nascere ora, è troppo presto!
Forza Mac,
concentrati, Harm non c’è
ma non sei da sola.
Nella mente
di Sarah, sconvolta dal dolore e dalla paura, si alternavano momenti di
lucidità e altri di terrore nello spazio di pochi secondi.
Le fitte lancinanti
che le trafiggevano le viscere le impedivano di pensare in modo
coerente. Il
senso di colpa non le dava pace: nelle ultime settimane non si era
certo
risparmiata e adesso temeva che tutto questo stesse succedendo a causa
sua.
Aveva messo a repentaglio la vita di suo figlio spostando mobili e
scatoloni.
Come aveva
potuto essere tanto stupida?
Se gli fosse
successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.
Il suo
addestramento militare, che l’avrebbe dovuta mantenere
razionale e concentrata,
era completamente svanito di fronte alla paura di perdere il suo amato
bambino,
il loro miracolo di Natale. Improvvisamente, si ricordò le
parole di Trish: “se
ce lo permetterete, saremo ben lieti di darvi una mano”. Era
il momento di
approfittarne. Dopo aver sentito la prima sciabolata di dolore era
scivolata
sul pavimento, così si trascinò a fatica fino al
tavolinetto accanto al divano
e afferrò il cellulare. Digitò il numero della
suocera.
Irraggiungibile.
Di nuovo
un’ondata di panico si impossessò di lei. La
sensazione di essere stata ancora
una volta abbandonata si diffuse nel suo cuore sconvolto dal dolore.
Era un
sentimento che l’aveva accompagnata per buona parte della sua
esistenza e che
si era assopito solo a partire da quell’incontro sul lago
dorato.
Poi si
rammentò
che Trish le aveva detto che sarebbe andata al cinema con
un’amica, quindi
probabilmente aveva spento il telefonino.
Allora
contattò Frank.
Al secondo
squillo, l’uomo rispose.
Sarah
riuscì
solo a dire “Frank, aiutami, sto male… il
bambino…”
Lui le disse
semplicemente: “Chiamo l’ambulanza e
arrivo”
Nel giro di
pochi minuti, dapprima il suocero e poi i paramedici giunsero alla
villetta a
Carmel Valley. Le prestarono le cure immediate e, quando Frank disse
loro che
Mac era un colonnello dei marine, contattarono immediatamente il Naval
Medical
Center. La mente di Sarah, annebbiata dal dolore e
dall’angoscia, riuscì a
percepire soltanto emorragia antepartum,
probabile
distacco di placenta. E si sentì morire. Sapeva
che quest’ultimo costituiva
una delle cause principali di morte perinatale.
Nel cervello
di Mac si formò un unico devastante pensiero: Nooooooo,
non posso perdere il nostro bambino!
I barellieri
la fecero distendere sulla lettiga e poi la issarono
sull’ambulanza. Mentre
l’angoscia e il senso di abbandono si facevano sempre
più spazio nel suo cuore,
sentì una mano stringere la sua: non si era accorta che
Frank era salito sul
mezzo e si era seduto accanto a lei. Le accarezzò
paternamente i capelli e
disse: “tranquilla, Sarah, adesso ti portiamo in ospedale.
Vedrai che andrà
tutto bene”.
Giunsero al
centro medico militare a sirene spiegate e durante il viaggio la mano
di Frank
non lasciò mai quella di Sarah. L’uomo
seguì la barella fino alla porta del
blocco operatorio, poi dovette arrendersi alle insistenze dei
paramedici che lo
invitarono ad accomodarsi nella sala d’attesa e a permettere
loro di fare il
proprio lavoro, senza stargli fra i piedi.
Si
lasciò
scivolare in una delle poltroncine e si passò le mani fra i
capelli. Aveva il
battito cardiaco accelerato e il respiro affannato. Pregò il
cielo di non
sentirsi male: ora non sarebbe proprio stato il momento per farsi
venire un
infarto. Si impose di inspirare ed espirare lentamente, ad occhi
chiusi, per
calmare l’angoscia che gli saliva dalle viscere. Mise una
mano in tasca e tirò
fuori un portapillole, dal quale estrasse le sue medicine per il cuore.
Ne
ingoiò una al volo, senza nemmeno pensare a cercare
dell’acqua. Poggiò la testa
al muro dietro di lui e prese un respiro profondo. All’inizio
il rapporto con
Harm non era stato facile: si era dovuto scontrare con
l’assenza ingombrante di
un padre eroe, scomparso in Vietnam. Con gli anni era riuscito a farsi
accettare e poi a farsi voler bene da quel ragazzo, divenuto uomo e
adesso in procinto
di diventare genitore a sua volta. Non avrebbe potuto essere
più fiero di lui
nemmeno se fosse stato suo figlio biologico. Mac era arrivata nella
loro vita
da poco tempo, eppure aveva subito conquistato il suo affetto e quello
di Trish
ed entrambi l’avevano accolta a braccia aperte nella loro
famiglia, visto che
era palese quanto rendesse felice Harm. E adesso lei rischiava la
propria vita
e quella del loro nipotino, mentre suo marito era all’altro
capo del paese a
prendersi cura di Mattie, che presto li avrebbe raggiunti in
California. Anche
quella ragazzina si meritava un po’ di pace e
serenità.
Nella
concitazione del momento si rese conto di non aver ancora avvertito
Harm. Del
resto, a distanza non avrebbe potuto fare molto per aiutare sua moglie.
Però
aveva il diritto di sapere come stavano le cose. Completamente immerso
in
questi pensieri, sentì il cellulare vibrare: un messaggio lo
informò che il
telefonino di sua moglie era nuovamente raggiungibile. Evidentemente
Trish era
uscita dal cinema. Non fece in tempo a digitare il suo numero che la
donna lo
richiamò.
“Frank,
cosa
è successo? Ho visto che Mac mi ha cercato. Ho provato a
telefonarle ma il suo
numero squilla a vuoto” gli chiese la donna con voce
preoccupata.
“Trish,
siamo al Naval Medical Center. Sarah ha avuto un’emorragia e
adesso è in sala
operatoria” le disse, pentendosi subito dopo per essere stato
così franco con
sua moglie, per non essere riuscito a indorarle la pillola.
“Oh
mio Dio,
arrivo” rispose lei e riattaccò.
In
un’altra
stanza, non distante da dove si trovava Frank, Mac era terrorizzata.
Non si era
mai sentita tanto sola e spaventata come in quel momento, nonostante
fosse
circondata da diversi infermieri e medici che si prendevano cura di
lei.
Aveva
freddo.
Un freddo
che non aveva mai provato prima.
Un freddo
che le partiva dal cuore.
“Colonnello,
sono la dottoressa Sullivan” le disse una figura coperta da
una mascherina. Mac
la riconobbe dalla voce e dagli occhi e si sentì un
po’ più al sicuro. La
ginecologa conosceva bene il suo quadro clinico. “Purtroppo
c’è stato un
distacco di placenta e dobbiamo far nascere il suo bambino”
“Mancano
ancora quattro settimane…” riuscì a
dire Sarah.
“Lo
so,
colonnello, ma non possiamo aspettare. Il suo battito cardiaco si sta
facendo
più debole” replicò il medico, con tono
calmo ma determinato.
“Vi
prego,
salvate il mio bambino”
“Siamo
qui
per questo. Dobbiamo ricorrere a un cesareo d’urgenza, non
c’è tempo da
perdere. Adesso l’anestesista le farà
un’epidurale. Ma ho bisogno della sua
collaborazione, colonnello. Si deve rilassare. Si metta seduta con le
braccia
avanti e la testa piegata sul petto….” Mac
ubbidì e la ginecologa riprese: “Ecco,
così. Sentirà un po’ di fastidio
all’inizio ma vedrà che durerà poco.
L’importante è che stia ferma, non si deve
muovere. Capito? … OK, colonnello,
bene così, brava… Sentirà gradualmente
una sensazione di intorpidimento negli
arti inferiori” le spiegò la dottoressa Sullivan.
Mac si
limitò ad annuire e ad eseguire gli ordini, non riuscendo ad
impedire alle
lacrime di scorrerle lungo il volto. In quel momento, la mancanza di
suo marito
le invase completamente il cuore.
In pochi
minuti l’anestesia fece effetto e Sarah smise di provare quel
dolore lancinante
che l’aveva trafitta poco più di un’ora
prima, anche se le sembrava fosse
passata un’eternità da quando la prima stilettata
l’aveva fatta scivolare a
terra. Perse la sensibilità alle gambe, ma i suoi sensi
erano completamente
allertati da ciò che si svolgeva al di là di quel
telo grigioazzurro che le
impediva la visuale sul suo ventre. Avrebbe voluto accarezzare il suo
pancione
per prendersi cura di suo figlio, ma aveva le braccia immobilizzate e
un
infermiere le stava applicando un ago per facilitare
l’accesso venoso, qualora
ci fosse stato bisogno di una flebo. Udiva il parlottio di medici e
infermieri,
che si passavano strumenti e istruzioni, ma il suo cuore aspettava con
ansia di
sentire il primo vagito del suo bambino, pregando affinché
tutto andasse bene.
Nota
dell’autrice
Mai un momento
tranquillo, vero?
Viste le condizioni di Sarah, l’unico modo per salvare lei e
suo figlio è il
cesareo, nonostante manchino ancora quattro settimane.
Per la stesura
di questo capitolo
devo ringraziare davvero di cuore il mio angelo custode, senza il cui
aiuto non
sarei proprio riuscita a scrivere una storia sensata.
Spero che
perdonerete le eventuali
imprecisioni mediche: prendetele come una licenza poetica della
sottoscritta.
Al prossimo
capitolo,
Deb