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Autore: germangirl    07/04/2015    4 recensioni
Harm, Mac, un bimbo in arrivo e una telefonata da Washington.
Ovvero: la vita e le sue imprevedibili conseguenze.
Seguito di “Tutta colpa del lago dorato”
Questa storia fa parte della serie 'Il lago dorato'
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Matilda 'Mattie' Johnson, Sarah 'Mac' MacKenzie, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6. Momenti concitati

 

Nooooooo, il mio bambino nooooooooooooo.

Pensa, Mac, pensa, non ti far prendere dal panico.

Oh Dio mio, non voglio perderlo, Harm aiutami!

Harm non è qui con te ma ce la puoi fare lo stesso.

Noooooooooo, non può nascere ora, è troppo presto!

Forza Mac, concentrati, Harm non c’è ma non sei da sola.

Nella mente di Sarah, sconvolta dal dolore e dalla paura, si alternavano momenti di lucidità e altri di terrore nello spazio di pochi secondi. Le fitte lancinanti che le trafiggevano le viscere le impedivano di pensare in modo coerente. Il senso di colpa non le dava pace: nelle ultime settimane non si era certo risparmiata e adesso temeva che tutto questo stesse succedendo a causa sua. Aveva messo a repentaglio la vita di suo figlio spostando mobili e scatoloni.

Come aveva potuto essere tanto stupida?

Se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.

Il suo addestramento militare, che l’avrebbe dovuta mantenere razionale e concentrata, era completamente svanito di fronte alla paura di perdere il suo amato bambino, il loro miracolo di Natale. Improvvisamente, si ricordò le parole di Trish: “se ce lo permetterete, saremo ben lieti di darvi una mano”. Era il momento di approfittarne. Dopo aver sentito la prima sciabolata di dolore era scivolata sul pavimento, così si trascinò a fatica fino al tavolinetto accanto al divano e afferrò il cellulare. Digitò il numero della suocera.

Irraggiungibile.

Di nuovo un’ondata di panico si impossessò di lei. La sensazione di essere stata ancora una volta abbandonata si diffuse nel suo cuore sconvolto dal dolore. Era un sentimento che l’aveva accompagnata per buona parte della sua esistenza e che si era assopito solo a partire da quell’incontro sul lago dorato.

Poi si rammentò che Trish le aveva detto che sarebbe andata al cinema con un’amica, quindi probabilmente aveva spento il telefonino.

Allora contattò Frank.

Al secondo squillo, l’uomo rispose.

Sarah riuscì solo a dire “Frank, aiutami, sto male… il bambino…”

Lui le disse semplicemente: “Chiamo l’ambulanza e arrivo”

Nel giro di pochi minuti, dapprima il suocero e poi i paramedici giunsero alla villetta a Carmel Valley. Le prestarono le cure immediate e, quando Frank disse loro che Mac era un colonnello dei marine, contattarono immediatamente il Naval Medical Center. La mente di Sarah, annebbiata dal dolore e dall’angoscia, riuscì a percepire soltanto emorragia antepartum, probabile distacco di placenta. E si sentì morire. Sapeva che quest’ultimo costituiva una delle cause principali di morte perinatale.

Nel cervello di Mac si formò un unico devastante pensiero: Nooooooo, non posso perdere il nostro bambino!

I barellieri la fecero distendere sulla lettiga e poi la issarono sull’ambulanza. Mentre l’angoscia e il senso di abbandono si facevano sempre più spazio nel suo cuore, sentì una mano stringere la sua: non si era accorta che Frank era salito sul mezzo e si era seduto accanto a lei. Le accarezzò paternamente i capelli e disse: “tranquilla, Sarah, adesso ti portiamo in ospedale. Vedrai che andrà tutto bene”.

Giunsero al centro medico militare a sirene spiegate e durante il viaggio la mano di Frank non lasciò mai quella di Sarah. L’uomo seguì la barella fino alla porta del blocco operatorio, poi dovette arrendersi alle insistenze dei paramedici che lo invitarono ad accomodarsi nella sala d’attesa e a permettere loro di fare il proprio lavoro, senza stargli fra i piedi.

Si lasciò scivolare in una delle poltroncine e si passò le mani fra i capelli. Aveva il battito cardiaco accelerato e il respiro affannato. Pregò il cielo di non sentirsi male: ora non sarebbe proprio stato il momento per farsi venire un infarto. Si impose di inspirare ed espirare lentamente, ad occhi chiusi, per calmare l’angoscia che gli saliva dalle viscere. Mise una mano in tasca e tirò fuori un portapillole, dal quale estrasse le sue medicine per il cuore. Ne ingoiò una al volo, senza nemmeno pensare a cercare dell’acqua. Poggiò la testa al muro dietro di lui e prese un respiro profondo. All’inizio il rapporto con Harm non era stato facile: si era dovuto scontrare con l’assenza ingombrante di un padre eroe, scomparso in Vietnam. Con gli anni era riuscito a farsi accettare e poi a farsi voler bene da quel ragazzo, divenuto uomo e adesso in procinto di diventare genitore a sua volta. Non avrebbe potuto essere più fiero di lui nemmeno se fosse stato suo figlio biologico. Mac era arrivata nella loro vita da poco tempo, eppure aveva subito conquistato il suo affetto e quello di Trish ed entrambi l’avevano accolta a braccia aperte nella loro famiglia, visto che era palese quanto rendesse felice Harm. E adesso lei rischiava la propria vita e quella del loro nipotino, mentre suo marito era all’altro capo del paese a prendersi cura di Mattie, che presto li avrebbe raggiunti in California. Anche quella ragazzina si meritava un po’ di pace e serenità.

Nella concitazione del momento si rese conto di non aver ancora avvertito Harm. Del resto, a distanza non avrebbe potuto fare molto per aiutare sua moglie. Però aveva il diritto di sapere come stavano le cose. Completamente immerso in questi pensieri, sentì il cellulare vibrare: un messaggio lo informò che il telefonino di sua moglie era nuovamente raggiungibile. Evidentemente Trish era uscita dal cinema. Non fece in tempo a digitare il suo numero che la donna lo richiamò.

“Frank, cosa è successo? Ho visto che Mac mi ha cercato. Ho provato a telefonarle ma il suo numero squilla a vuoto” gli chiese la donna con voce preoccupata.

“Trish, siamo al Naval Medical Center. Sarah ha avuto un’emorragia e adesso è in sala operatoria” le disse, pentendosi subito dopo per essere stato così franco con sua moglie, per non essere riuscito a indorarle la pillola.

“Oh mio Dio, arrivo” rispose lei e riattaccò.

In un’altra stanza, non distante da dove si trovava Frank, Mac era terrorizzata. Non si era mai sentita tanto sola e spaventata come in quel momento, nonostante fosse circondata da diversi infermieri e medici che si prendevano cura di lei.

Aveva freddo.

Un freddo che non aveva mai provato prima.

Un freddo che le partiva dal cuore.

“Colonnello, sono la dottoressa Sullivan” le disse una figura coperta da una mascherina. Mac la riconobbe dalla voce e dagli occhi e si sentì un po’ più al sicuro. La ginecologa conosceva bene il suo quadro clinico. “Purtroppo c’è stato un distacco di placenta e dobbiamo far nascere il suo bambino”

“Mancano ancora quattro settimane…” riuscì a dire Sarah.

“Lo so, colonnello, ma non possiamo aspettare. Il suo battito cardiaco si sta facendo più debole” replicò il medico, con tono calmo ma determinato.

“Vi prego, salvate il mio bambino”

“Siamo qui per questo. Dobbiamo ricorrere a un cesareo d’urgenza, non c’è tempo da perdere. Adesso l’anestesista le farà un’epidurale. Ma ho bisogno della sua collaborazione, colonnello. Si deve rilassare. Si metta seduta con le braccia avanti e la testa piegata sul petto….” Mac ubbidì e la ginecologa riprese: “Ecco, così. Sentirà un po’ di fastidio all’inizio ma vedrà che durerà poco. L’importante è che stia ferma, non si deve muovere. Capito? … OK, colonnello, bene così, brava… Sentirà gradualmente una sensazione di intorpidimento negli arti inferiori” le spiegò la dottoressa Sullivan.

Mac si limitò ad annuire e ad eseguire gli ordini, non riuscendo ad impedire alle lacrime di scorrerle lungo il volto. In quel momento, la mancanza di suo marito le invase completamente il cuore.

In pochi minuti l’anestesia fece effetto e Sarah smise di provare quel dolore lancinante che l’aveva trafitta poco più di un’ora prima, anche se le sembrava fosse passata un’eternità da quando la prima stilettata l’aveva fatta scivolare a terra. Perse la sensibilità alle gambe, ma i suoi sensi erano completamente allertati da ciò che si svolgeva al di là di quel telo grigioazzurro che le impediva la visuale sul suo ventre. Avrebbe voluto accarezzare il suo pancione per prendersi cura di suo figlio, ma aveva le braccia immobilizzate e un infermiere le stava applicando un ago per facilitare l’accesso venoso, qualora ci fosse stato bisogno di una flebo. Udiva il parlottio di medici e infermieri, che si passavano strumenti e istruzioni, ma il suo cuore aspettava con ansia di sentire il primo vagito del suo bambino, pregando affinché tutto andasse bene.

 

Nota dell’autrice

Mai un momento tranquillo, vero? Viste le condizioni di Sarah, l’unico modo per salvare lei e suo figlio è il cesareo, nonostante manchino ancora quattro settimane.

Per la stesura di questo capitolo devo ringraziare davvero di cuore il mio angelo custode, senza il cui aiuto non sarei proprio riuscita a scrivere una storia sensata.

Spero che perdonerete le eventuali imprecisioni mediche: prendetele come una licenza poetica della sottoscritta.

Al prossimo capitolo,

Deb

  
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