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Autore: samleo11    07/04/2015    2 recensioni
Come sia iniziata, forse non saprei davvero dirlo. Cercando di evitare il destino, sono inciampato nella storia della mia vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Never let me go

Marzo

Formavano effettivamente una coppia ben bilanciata. Lui spavaldo e divertente, lei… per lei, mi è così difficile trovare aggettivi, sono tutti così riduttivi!

Si chiamava Emily. Viveva nel centro, in una di quelle casette abitate da famigliole numerose che ogni domenica si recano come piccole formiche operose in chiesa. Aveva avuto un’infanzia fiabesca ed ora sembrava essere diventata una di quelle splendide principesse di cui leggeva nei racconti. Ma io, sono di parte. Era comunque, oggettivamente, una ragazza molto bella.

Aveva passato la sua adolescenza come molto ragazzine del centro, bramando pezzi d’indipendenza, tingendosi delle ciocche di capelli di viola e truccandosi gli occhi solo per trasgredire alla madre. Ora i suoi capelli era tornati al loro colore naturale e la sua voglia di trasgredire ogni legge era mutata in un lato del suo carattere che io trovai semplicemente favoloso. Emily era indipendente, acculturata, assolutamente incosciente delle conseguenze, entusiasta della vita come poche.

Una volta mi raccontò che da piccola sognava di cambiare il mondo, di diventare una di quelle donne simbolo.
Aveva anche preparato un discorso per il suo futuro premio Nobel alla Pace. La immagino provare con addosso uno di quei vestitini a fiori che ho sbirciato qualche volta nelle vecchie foto sbiadite della sua fanciullezza.  Issarsi su un sedia, schiarirsi la voce e proferire con grande solennità. Ridendo mi confessò anche che voleva ringraziare prima di tutti il suo gatto Soffietto, e poi la sua famiglia.

Ecco lei era così. Rideva quando non era consentito e la intravedevi tra la folla a fare strane boccacce per trattenere la risata. Oppure faceva assurde scommesse con le amiche e poi rideva fino a tarda sera. Tutto questo di Emily non mi è stato raccontato da Arthur. Mai. Con Arthur, lei era diversa.

Emily aveva uno strano dono. Me lo disse una sera, una di quelle sere da troppo poco vino rimasto in tavola. “Io ho un difetto. Mi plasmo. A seconda della persona che ho davanti, muto per farle sentire a loro agio. Una specie di camaleonte. Ma meno figa di un camaleonte, purtroppo non divento trasparente.” Disse, ridendo attraverso il vetro di un bicchiere ricolmo di vino.

Ed era vero. Emily si era plasmata perfettamente ad Arthur. Lui era diventato quello divertente, lei la fidanzata. Non c’erano altri aggettivi da dare ad Emily mentre era con lui. Solo: la fidanzata. Ed era un peccato che si annientasse così.

Emily era l’estate. La prorompente, dinamica, solare estate. Ma con Arthur era stata ridotta a un ricordo di un’antica primavera. Ecco, come Marzo! Ve lo ricordate? Non è primavera, non è inverno. È un mondo a parte, chiuso nel suo infinito giro di malinconia. Ogni tanto esce il sole, ma la malinconia rimane tema portante. Emily quella malinconia non la meritava. Ma lei non se ne è mai accorta. Si era plasmata e le piaceva. Le piaceva rimanere con lui. Le piaceva ridacchiare alle sue battute. Qualcosa, quella sera di Marzo, l’ha convinta che non poteva meritare di meglio. E Marzo sembrava averle aderito alle ossa.

Ora era una malinconica “Marzo”. 

Oh ma che maleducato! Ho presentato tutti tranne me! Beh tanto vale dire qualcosa.

Mi chiamo James. Ho vissuto una vita piena, non mi è mancato nulla perché avevo tutto in una persona sola. Ho vissuto la mia adolescenza cercando di capire il mio posto nel mondo, non facendo attenzione alle persone che cadevano intorno a me. Alla fine ho capito che non devi cercare un posto, ma qualcuno. E dovunque quel qualcuno sarà, il tuo posto nel mondo sarà esattamente quello. La mia infanzia è stata serena.

Ho avuto alcune perdite, più o meno normali, ma non ho mai perso la spensieratezza caratteristica dei bambini. A 20 anni dopo un anno di vagabondaggio tra un bar e l’altro, mi hanno offerto uno stage a Boston e sono partito. Su due piedi. Di cose repentine ne ho fatte nella mia vita, ma quella fu una delle più pazze. Partii con due giorni di preavviso, con quasi nulla nella piccola valigia concessa dalla compagnia aerea e un mucchio di sogni stipati bene nella mia mente.

Il primo mese fu un inferno. Non ero abituato a vivere da solo, tantomeno nella ristrettezza economica! Ma piano piano, iniziai a farci l’abitudine, divenni sempre più bravo a sopravvivere con poco. Imparai il valore delle cose, il valore di una singola scatola di tonno e mezza busta di spaghetti. Significava avere un intero pranzo ben servito.

Con le donne, mi chiedete? Era Arthur quello affascinante, io ero il solitario amico. E di solito, il solitario amico riceveva sempre in regalo le ragazze che volevano arrivare ad Arthur ma che non potevano. Quindi, ne ho avute un bel po’. Nulla di serio, ovviamente.

A Boston avevo incontrato una tipa. Figlia di un maresciallo della zona. Una sera bussò alla mia porta chiedendo disperatamente un qualche lenitivo per la madre, che aveva una brutta febbre. Naturalmente, la cosa più vicina ad un lenitivo in casa mia erano un paio di mentine rafferme. Per tutta risposta mi precipitai a prendere le chiavi dell’auto e le accompagnai in ospedale. Lei ci teneva molto a me. Siamo rimasti insieme sino a poco prima del mio rientro in patria. Fui io a lasciarla. Le volevo bene, ma l’avevo tradita un paio di volte e volevo andare via con la coscienza apposto.

Il 22 aprile, due anni e un mese esatti dopo la mia partenza, ero pronto a tornare a casa.


                                                                                      ***

Ho terminato la mia valigia. Guardo piano ogni dettaglio di questo angusto monolocale che per due anni è stato la mia casa. Con lo sguardo, accarezzo ogni cosa con quella punta di malinconia che è tipica di qualsiasi addio. Non tornerò mai più in questa casa. Prendo la valigia, tiro la maniglia del trolley e mi incammino verso l’uscita. Appoggio i bagagli sul pianerottolo ed esco dalle tasche le chiavi di casa. Le osservo con calma. Noto i piccoli denti smussati dal tempo e i graffi più o meno profondi. Col pollice passo su un graffio particolarmente profondo e sorrido al ricordo di come glielo procurai, una sera, ubriaco fradicio e senza coscienza di come infilare una chiave nella serratura. Quando questo ricordo sfuma dolcemente, faccio un sonoro sospiro e chiudo. Non si torna più indietro. Prendo le valigie e vado verso la macchina.

Sento dei passi dietro di me. È Kat. Sì, la ragazza dell’ospedale. Abbiamo rotto un paio di settimane fa, ma ci teneva a salutarmi. Dopo un (troppo) caloroso abbraccio, le auguro ogni bene e lei dice che mi scriverà. E lo farà davvero. Ogni mese per un anno. Ma io non le risponderò mai. E dopo un anno, mi scriverà addio.

Entro in macchina e la saluto timidamente dal finestrino. Le regalo uno dei miei sorrisi, tanto per cercare di trattenere la mia coscienza che mi urla dello stronzo.

Il caos in aeroporto è inimmaginabile. Ci sono bambini ovunque. Che corrono soprattutto ovunque. Faccio il check-in con largo anticipo e aspetto con ansia che aprano il gate.

Nell’attesa pregusto le leccornie di mia madre, il suo profumo, il profumo di casa, le mani forti di mio padre che mi danno grandi pacche. Pregusto le serate con Arthur e la mia mente vaga in incognita su Emily. L’ho vista in alcune foto, ma non riuscivo ad immaginarla. O a immaginare il suo carattere. E mentre pensavo a lei, il gate si apre e mi appresto a fare gli ultimi controlli.

Salito a bordo, mi sistemo, conscio delle lunghe ore di viaggio, quando ecco che accanto a me si siede un bambino! Uno dei viaggi più infernali del mondo. Quel bambino teppistello si chiamava Carlos. Ha praticamente imbrattato i miei polsi con i suoi pastelli colorati, mi ha rovesciato addosso ogni tipo di giocattolo e strappato un bottone.

Ma quando finalmente abbiamo toccato terra, al suono degli applausi, sapevo che ero tornato a casa.
 
Note dell’autrice

Eccomi qui. Ringrazio innanzitutto chi ha letto e commentato il primo capitolo. Sono stata molto contenta che vi sia piaciuto e spero di non deludervi. Questo capitolo parte con la scia della premessa che si esaurisce agli asterischi, per poi dare spazio alla vera e propria storia.
Naturalmente vi esorto a recensire in numerosi per farmi presente qualsiasi cosa vada o non vada o per qualsiasi chiarimento.
Grazie mille per la lettura, S.
   
 
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