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Autore: WillowG    22/12/2008    1 recensioni
Quattro ragazze ricevono l'eredità della nonna,morta assassinata anni prima.Un libro ed una chiave per aprirlo.Così il loro destino si lega a quello di quattro viaggiatori.
Genere: Azione, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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cap17 Sinceramente, non avevo idea di che titolo dare a questo capitolo. Ma, dato raccoglie alcuni simpatici momenti che approfondiscono i rapporti tra i personaggi, l’ho chiamato “momenti”. so che è banale, ma non sono per nulla brava coi titoli … chiedo scusa, e vi auguro buona lettura!

Capitolo 17
-Momenti.-

Era passata ormai una settimana. Caleb era quasi del tutto guarito, ed il gruppo di Sanzo e Co. avevano allentato la sorveglianza. Raramente andavano a controllarlo in due, e lo lasciavano anche per lunghi periodi da solo.
Da parte sua, Caleb era molto tranquillo. Neppure una volta aveva mostrato segno di aggressività, e non era raro che si lasciasse coinvolgere in qualche conversazione.
-Chi l’avrebbe mai detto?- Rise Gojyo, fuori dalla stanza con Hakkai, mentre Martha e Nika chiacchieravano allegre, durante il solito cambio delle bende. Caleb seguiva il discorso in silenzio, gli occhi dorati tranquilli e genuinamente interessati. -Non sembra davvero la belva che ci voleva far fuori qualche tempo fa …- Hakkai fece un’alzata di spalle, sorridendo come al solito.
-Probabilmente non è di natura cattiva. Forse è come quei cani che vengono costretti a combattere, ma che se messi in mano a delle brave persone possono essere recuperati …-
-Guarda che stiamo parlando di una persona …- Cercò di fargli ricordare il mezzo demone, ottenendo solo un’alzata di spalle dal moro.
-Il discorso non cambia molto. Se ad una persona, come ad un cane, insegni solo violenza, quella imparerà solo a comportarsi in maniera violenta. Ma se gli farai assaggiare il sapore degli affetti e della gentilezza, molto probabilmente ne sarà attratta. Chiunque, cane o persona, capisce che è più piacevole essere accarezzato, invece che picchiato.- Il rosso alzò le braccia in segno di resa.
-Stai facendo discorsi troppo complicati per il sottoscritto. Sarà meglio che me ne vada a fare un giro … sono a corto di sigarette.- Ed a dimostrazione delle sue parole, sventolò il pacchetto vuoto.
-Uffa! E dire che volevo chiedertene una!- Sbuffò Nika, mentre usciva dalla stanza, seguita da Martha. Gojyo sfoderò il suo sorriso più affascinante.
-I negozi sono pur sempre aperti, no?-
-Giusto! Allora valle a comprare!- Fece la rossa, causando l’affiorare di una venuzza sulla tempia del kappa.
-Non era esattamente questa la conclusione a cui volevo arrivare …-
-Poche storie! Fila! Il mio sistema circolatorio funziona a nicotina, esattamente come il tuo!- Gojyo aprì la bocca per ribattere, ma Nika gli posò un dito sulle labbra, e con voce bassa e sensuale, tanto da far rabbrividire il mezzodemone, mormorò: -Per favore!- Gli occhi venati di pagliuzze verdi, profondi e languidi della ragazza a pochi centimetri da quelli carmini di lui. Rimasto assolutamente senza parole, con la gola improvvisamente secca, e quindi impedito a ribattere, il kappa si defilò a capo chino verso l’uscita, borbottando di tanto in tanto qualcosa d’incomprensibile, in perfetto stile Sanzo.
Appena fu uscito, Nika, Martha e Hakkai scoppiarono in una risata.
-Vedo che i tuoi trucchi funzionano sempre, eh, sorellina?- Fece Martha, senza nascondere una nota di giocoso rimprovero. Nika fece un’alzata di spalle.
-Che vuoi: a volte, con gli uomini, basta un po’ di tattica e spudoratezza.-
-Spero proprio di non dover mai finire vittima delle sue tattiche …- Fece Hakkai, interiormente preoccupato. La rossa rise.
-Oh, non preoccuparti, Cho: tu sei il genere d’uomo su cui non mi sprecherei a tentarli. Non sei tipo da cascarci …- Un ghignetto le si disegnò sulle labbra. -Gojyo, invece …- Ridendo allegramente, il terzetto si avviò per le sue faccende, ignaro che dalla sua stanza, Caleb non si era perso una sola parola.
Coricato sotto le lenzuola pulite, il demone dal capelli argentei pensava. Pensava a come aveva passato gli ultimi giorni. Accantonando la rabbia, concentrandosi sul comprendere quelle persone che gli stavano attorno. Che nonostante ciò che era, lo stavano curando, con le stesse cure che avrebbero usato per uno di loro. Li aveva studiati, dapprima nel tentativo di scovare, nei loro volti e nei loro gesti, un qualche segno di odio e ribrezzo nei suoi confronti. Ma mai, neanche una volta, ne aveva vista traccia. Dapprima se ne era stupito. Aveva prestato maggiore attenzione, ai volti, alle parole, ai gesti.
Nulla. Nessuna reazione di tipo negativo verso di lui. Solo la ragazzina più giovane, Gaia, quella che aveva tentato di uccidere la prima volta, sembrava titubante. Spaventata, intimidita. Ma mai astiosa. Neanche una volta, in quegli occhi color mare, aveva visto una scintilla d’odio. Eppure era da lei che lui se ne aspettava di più. E non ne aveva visto traccia.
E lui, certo di essersi sbagliato, aveva messo ancora più attenzione della sua muta osservazione, cominciando ad interagire, partecipando alle conversazioni, cercando quasi di scuoterli.
Ma nulla. Nessuno dei suoi … come poteva definirli? Carcerieri? No. Nemici? Come poteva chiamare nemico chi si prendeva cura di lui in quel modo, come neanche i suoi compagni avevano mai fatto? Presunti Nemici? Sì. Forse questa era la definizione giusta, per quanto ridicola suonasse. Sì, nessuno dei suoi Presunti Nemici diede il minimo segno di aggressività nei suoi confronti. E più lui li osservava, li studiava, e più imparava a conoscerli. E ad apprezzarli. La cosa lo spaventava. Ma lo incuriosiva anche.
Sorrise tra sé. Rigel probabilmente si sarebbe arrabbiata, se lo avesse saputo. Aveva lasciato che il suo spirito d’osservazione prendesse il sopravvento sulle sue certezze. Si passò una mano sul ventre, dove le bende pulite, appena cambiate, ricoprivano la ferita. Il motivo scatenante della sua confusione, prima di allora sempre tenuta a bada.
Sapeva di trovarsi davanti ad un bivio: e sapeva che avrebbe dovuto fare una scelta, di lì a poco. Il vero problema era: sarebbe riuscito a capire quale strada avrebbe dovuto percorrere? La nebbia dei dubbi si sarebbe dissolta abbastanza da mostrargli la via? Chiuse gli occhi dorati, e si girò  su un fianco, dando le spalle alla finestra, e ad un cielo oscurato da grandi nubi di pioggia.

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Un fulmine illuminò la stanza. Ma il monaco non si mosse di un solo millimetro. Da quando era iniziato il temporale, si era rinchiuso nella sua stanza, senza permettere a nessuno di entrare. Non era dell’umore adatto per avere gente in giro.
Seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata alla sponda del letto, attendeva solo che il temporale finisse. Che la pioggia, finisse.
Ricordi che con il cielo scoperto sembravano sepolti, con le lacrime delle nuvole riaffioravano, quasi beffardi, per nulla intenzionato a lasciarlo in pace.
La sigaretta mezza consumata che teneva tra le dita, versò un pezzo di cenere sul pavimento. Proprio allora, qualcuno bussò alla porta.
-Hey, Sanzo! Noi andiamo a mangiare! Vieni?- L’allegra irruenza di Goku fece solo aumentare il malumore del bonzo.
-Lasciami in pace.- Sibilò, senza rendersi conto di aver parlato a voce troppo bassa, perché il ragazzino potesse sentirlo, dall’altro lato della porta.
-Eh? Cos’hai detto? Sanzo …-
-HO DETTO DI LASCIARMI IN PACE, CHIARO, MOCCIOSO!?- Urlò il monaco, di scatto, irato. Dall’altra parte della porta ci fu qualche istante di silenzio. Poi Goku parlò di nuovo. Ogni traccia di vitalità sparita dalla voce, sostituita da una fredda rassegnazione.
-Va bene. Dirò ad Hakkai di metterti da parte qualcosa.- Sanzo non rispose. Ascoltò i passi del giovane demone sparire, per poi prendersi una boccata di fumo. La sigaretta, già moribonda, si sgretolò del tutto. Con un gesto meccanico, prese il portacenere, e vi buttò il mozzicone consumato, dove andò a fare compagnia a molti suoi simili.
La rabbia di pochi istanti prima svanita, come quella sigaretta. Non avrebbe davvero voluto reagire in quel modo. Ma era più forte di lui. I suoi stessi spettri si divertivano a torturarlo, uscendo dal suo subconscio, manovrandolo a loro piacere.
Si voltò a guardare il vetro della finestra, percorso da lacrime di pioggia. Strinse le palpebre, fino a che i suoi occhi non diventarono due sottili lame d’ametista. Lui odiava la pioggia. La odiava con tutto sé stesso. Odiava il modo in cui gli faceva tornare alla mente i ricordi, in cui liberava i demoni più oscuri del suo subconscio.
Lievissimo, quasi inaudibile tra lo scrosciare insistente della pioggia, un canto femminile arrivò all’orecchio del monaco. Impossibile comprenderne le parole, ma la melodia era perfettamente udibile. Fresca, allegra. Decisamente diversa dallo stato d’animo del biondo.
Sanzo si alzò, senza un reale motivo. Le sigarette erano appoggiate sul pavimento accanto a lui, a portata di mano. La sua schiena scricchiolò, a causa della lunga immobilità. Percorse la stanza a grandi passi, osservando il soffitto. Poi tornò a fissare la finestra. Il canto continuava, allegro come prima.
Per un momento aveva creduto di esserselo sognato. Ma adesso che era certo che quella voce non era un parto della sua mente, l’irritazione cominciò a montargli su. Con uno scatto rabbioso, aprì la finestra, e si costrinse a guardare fuori. L’intenzione era di urlarne quattro a quella sciagurata, che osava andarsene a cantare in giro con quel tempo, e, soprattutto, disturbarlo.
Le sue corde vocali erano già pronte a dare il meglio di sé, ma si bloccò prima di emettere un solo sibilo. Indifferente all’acqua che la stava bagnando, Lara guardava la pioggia cadere, pacificamente appoggiata al muro della locanda, canticchiando allegra. Una visto che stupì talmente il monaco, che ogni suo proposito battagliero andò a farsi benedire. Che diavolo ci faceva quella fastidiosa donna sotto la pioggia a cantare? Allibito, il biondo chiuse la finestra, senza avere il fiato di dire nulla.

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La pioggia continuava a scendere, inzuppandole gli abiti e i lunghi capelli biondi. Ma la cosa non le dava fastidio. Affatto. Lara amava la pioggia. Da sempre. Amava sentire l’acqua fresca scorrerle sul viso, come una doccia naturale. Poco importava che le bagnasse i vestiti.
Un sorriso le sbocciò sulle labbra, mentre ricordava le volte che sua nonna ed i suoi genitori le gridavano di prendere almeno un ombrello, oppure si sarebbe presa un malanno. Non gli aveva mai dato ascolto. E neppure una volta si era presa un raffreddore.
Chiuse gli occhi. La pioggia lavava via tutto. Compresa la sua anima. Era una sensazione strana. Ma era così che la pioggia la faceva sentire. Come depurata. Cominciò a canticchiare una vecchia canzone, di cui a malapena ricordava la parole, ma di cui amava la melodia.
Con le palpebre abbassate, poteva già vedere l’erba e le fronde degli alberi scintillare, come fatti di smeraldo, ricoperte da perle luccicanti. Uno spettacolo che sarebbe apparso allo spuntar del sole, regalando agli occhi un verde differente, più vivo di quanto si possa credere possibile.
Persa nei suoi pensieri contemplativi, fece un balzo di sorpresa, quando un asciugamano le cadde in testa. Stupita, ci mise un paio di secondi per capire da dove e chi glielo avesse gettato addosso.
-Asciugati. Non ho intenzione di viaggiare con una malata. C’è già il tipo coi capelli bianchi.- Sanzo stava a pochi passi da lei. Ombrello gigante in mano e sguardo irritato. Subito tutto il buonumore che Lara aveva ricevuto dalla pioggia svanì.
-Io non mi ammalo. Mai.- Il monaco fece un’alzata di spalle.
-Buon per te.- Sanzo si avvicinò alla ragazza, perché potesse stare anche lei sotto l’enorme ombrello. Istintivamente Lara avrebbe subito cacciato il bonzo, che le impediva così di godere della sua amata doccia naturale, ma i gesti gentili del biondo erano così rari, che lei non se la sentì di rifiutare. Rimasero in silenzio per qualche lungo minuto. Lara con l’asciugamano sulla testa, e Sanzo con l’ombrello in mano.
Alla fine, il monaco tirò fuori da una manica un pacchetto di sigarette ed un accendino, e cominciò a fumare. Il fumo azzurrognolo si librò nell’aria umida, rilassando visibilmente il monaco.
-Che diavolo ci fai qua fuori con un tempo del genere? Donna, sei molto più idiota di quel che credevo …-
-Parla lo psicopatico che si rinchiude in camera, come un coniglio nella sua buca, appena vengono giù due gocce.- Ribattè pronta Lara, cominciando a frizionarsi i capelli con l’asciugamano. Sanzo accusò il colpo tossendo un po’ di fumo andatogli di traverso. Le iridi violacee si voltarono verso di lei, irritate e vendicative. Lara continuò il suo lavoro di asciugatura, ignorando la vena pericolosamente gonfia sulla tempia del monaco.
-Almeno non sono una rana come te! Che diavolo ci trovi a stare sotto questa pioggia da incubo? Sembra di essere in qualche girone dell‘inferno …-
-Guarda che la pioggia dell’inferno è fatta di fiamme …- Lo corresse la ragazza.
-Sempre pioggia è.- Sbottò il monaco, vicino a perdere la pazienza, e mettere mano alla S&W. -Ma non mi hai risposto. Che diavolo ci fai sotto la pioggia a prenderti una polmonite?- Lara sospirò, lo sguardo perso sulle gocce che cadevano a catinelle.
-Mi piace. Semplicemente.- L’occhiata allibita e dubbiosa del monaco la costrinse a spiegarsi meglio. -È come una doccia. Lava via tutto. Non ti sei mai accorto quanto tutto sia più bello, più vivido, dopo un temporale? E poi … non so, ma mi fa stare bene. Mi sembra di venire lavata anch’io.- Sanzo la fissò un momento, senza trovare parole per controbattere. Da una parte avrebbe preso a bastonate la bionda per le stupidate appena dette. Dall’altra sentiva, in fondo, di apprezzarle. Non aveva mai pensato alla pioggia in certi termini.
Lara si tolse l’asciugamano dalla testa. I capelli color miele le scivolarono sulle spalle, umidi, con ancora alcune gocce imprigionate in mezzo. Un fulmine squarciò il cielo, facendo apparire quelle gocce delle perle, inserite in un’acconciatura complicata ed elegante. Sanzo non si accorse di star fissando quella piccola magia, se non quando Lara si gettò sotto la pioggia, scomparendo improvvisamente alla sua vista.
-Avanti, prete, rientriamo, oppure la polmonite te la prendi tu!-
-IO NON SONO UN PRETE!!!- Ruggì il monaco, partendo all’inseguimento della bionda, abbandonando l’ombrello per impugnare il suo harisen.

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Dalla finestra della stanza di ritrovo, Hakkai sorrise alla scena a cui aveva assistito. Era la prima volta che vedeva Sanzo fare una cosa del genere in un giorno di pioggia. Di solito, niente e nessuno avrebbe convinto il bonzo a lasciare la sua stanza con un tempo simile. Demoni da uccidere a parte, ovviamente.
Di solito. Ma ormai, il demone dagli occhi verdi aveva davvero perso il filo di quello che era da considerarsi “di solito”, per lui ed i suoi compagni di ventura. Ma, per una volta, quello che era caduto loro sulla testa, sotto forma di quattro ragazze, non appariva così negativo.
Lasciò vagare lo sguardo sulla stanza. Goku, Gaia, Nika e Gojyo erano partiti a cercare qualche gioco di società per il dopo cena, lasciando l’ambiente come svuotato delle loro irruente ma allegre presenze. Ad Hakkai parve che la stanza fosse diventata addirittura più grande.
Le uniche presenze riscontrabili al momento, oltre ad egli stesso, erano Hakuryu e Suzuki, placidamente acciambellati sul divano, e Martha, intenta a rammendare una camicia. La ragazza aveva sciolto i lunghi capelli scuri, che ora le ricadevano ondulati sulle spalle. Gli occhiali abbandonati sul tavolino, ai piedi della poltrona su cui era seduta. Hakkai rimase ad ammirarla, lasciando che un sorriso gli nascesse sulle labbra. Quell’immagine, così semplice e casalinga, lo faceva stare bene. La sua fantasia non faceva fatica a contornare la figura della ragazza di bambini di ogni età. Una parte di lui avrebbe voluto ridere al pensiero: probabilmente la mora gli avrebbe tirato dietro la poltrona, se avesse saputo dei suoi pensieri. Molte ragazze non amavano certe cose, ritenendole maschilismo allo stato puro. Ma per lui, che una vera famiglia non l’aveva mai avuta, quelle erano alcune tra le più belle e dolci immagini che la sua mente potesse creare.
Per un momento, uno solo, sulla figura di Martha si sovrappose quella di un’altra donna. Hakkai fu svelto a cancellarla. Spesso anche Kanan rammendava le sue camicie. Barlumi di una felicità che a volte il ragazzo considerava un sogno.
-Finito!- Cinguettò Martha, esponendo il suo lavoro: la camicia era tornata ai suoi antichi splendori, senza più alcun segno di scucitura. Suzuki emise un educato pigolio d’approvazione, mentre Hakuryu fissò l’indumento con fare dubbioso. Quanto sarebbe resistito un abito integro con quella combriccola? Hakkai battè educatamente le mani.
-Un lavoro meraviglioso. Ma non era necessario che vi deste tanta pena …-
-Ma si figuri! Io amo cucire. E … per favore, signor Hakkai, può smetterla di darmi del Lei? Sono la più grande, tra mia sorella e le mie cugine, ma non sono vecchia!- Hakkai rise.
-Mi pare più che giusto. In fondo, ormai è già un po’ che le nostre strade si sono incrociate. E, se vogliamo essere parte dello stesso gruppo, certe formalità possono considerarsi inutili.-
-Io lo avrei detto in modo meno arzigogolato, ma credo che il punto sia quello.- Fece Martha, cominciando a ripiegare ordinatamente la camicia. Hakkai continuò ad osservarla, finché un luccichio alla mano sinistra non attirò la sua attenzione.
-Siete fidanzata, vero?- Martha alzò il capo per fissare interrogativamente l’uomo, per poi ricordarsi dell’elegante anello con diamante che indossava. Lo fissò per qualche istante, mentre le memorie cominciavano a cadere come la pioggia fuori dalla finestra.
-No … non proprio.- Mormorò. Hakkai la fissò confuso. Martha si morse il labbro inferiore, mentre il volto sorridente di Andrew si faceva strada davanti ai suoi occhi. Come il rumore delle lamiere. Delle ruote che frenano inutilmente. Degli occhi di Andrew, di solito così pieni di luce e vita, che si spegnevano davanti ai suoi.
Semplicemente guardare l’anello che portava al dito le aveva già appesantito in maniera insopportabile il cuore. E lei sapeva bene a cos’avrebbe portato ciò. La gola iniziò a bruciare, come gli occhi. Presto sarebbe scoppiata in una della sue crisi di pianto. E né Nika, né Lara, né Gaia erano nei paraggi per aiutarla come al solito. Come quando si era risvegliata all’ospedale, ed aveva scoperto che l’incidente in auto non era solo un incubo, ma la dura e fredda realtà, e che non avrebbe mai più rivisto Andrew. Mai più.
Lo sguardo interrogativo e preoccupato di Hakkai la costrinse a parlare.
-Io … è una storia vecchia e …- Non le riuscì di continuare. Le lacrime le stavano appannando la vista. -Scusa.- Mormorò, togliendosi gli occhiali, e cercando di asciugarsi gli occhi. Hakkai le porse un fazzoletto. Martha fissò quel sorriso gentile e rassicurante, senza avere il coraggio di accettarlo.
-Su. Si asciughi gli occhi. Non ha bisogno di spiegarmi nulla. Non avrei dovuto essere così invadente …-
-No no no!- Martha scosse la testa. -Non è colpa tua! Sono io che … che …- Di nuovo non le riuscì di terminare la frase. Le labbra di Hakkai erano dolcemente appoggiate alle sue, calde e morbide. Le ci volle qualche istante, prima che il cervello registrasse ciò che stava accadendo. Era tanto tempo che un ragazzo non la baciava …
Si separarono solo pochi istanti dopo, senza fiato per l’emozione, turbati come adolescenti al primo bacio, insicuri della reazione l’uno dell’altra. Hakkai, in particolare, era atterrito. Cosa diavolo gli era preso? Lui, sempre così tranquillo e riflessivo, forse unico del gruppo di Sanzo a riflettere prima di agire, aveva fatto una delle mosse più azzardate ed immature della sua vita. Almeno come Cho Hakkai … Cho Gono era un’altra storia …
Martha teneva lo sguardo basso, ed un riflesso sugli impediva al ragazzo di vederne l’espressione degli occhi.
-Io … non so che mi è preso … io … volgiate scusarmi se … sono stato così …- Mormorò il moro, incapace di formulare una frase di senso compiuto. Il cervello in totale subbuglio emozionale. Le labbra di Martha tremarono leggermente, mentre rispondeva.
-Non … non …- Il sangue si gelò nelle vene di Hakkai. -Non eravamo d’accordo che avresti smesso di darmi del voi?- Martha alzò il viso, rivendo le guance rosse e gli occhi lucidi, regalandogli un dolcissimo sorriso. Hakkai non poté fare a meno di sorridere a sua volta, annuendo col capo, troppo emozionato per dire qualcosa. Asciugò gentilmente una lacrima dalla guancia cremisi della ragazza, senza smettere un momento di sorridere. Forse si sarebbero baciati di nuovo, o forse no, quando la porta si spalancò di colpo, facendo entrare Gaia e Goku, ignari di aver appena rovinato, con la loro irruenza, una romantica scena da film.
-TORNEO DI MONOPOLI!!!- Cinguettò la morettina, sventolando una vecchia scatola di cartone. Goku, non meno agitato, saltellava come un grillo su e giù.
-MANCATE SOLO VOI!!!- Troppo stupiti per essere infastiditi da quell’interruzione, Martha e Hakkai si lasciarono trascinare al piano di sotto dai due ragazzini.
Quando la porte fu chiusa alle spalle dei quattro umani, Suzuki e Hakuryu si fissarono con occhi sbarrati: che diavolo stava succedendo ai loro compagni umani? Cos’era questa esplosione ormonale?! Rimasero allibiti a guardarsi per un po’ di tempo. Poi, scuotendo le piccole teste, pigolarono depressi. C’erano domande che era meglio non farsi.

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-Bonzo, tu come hai fatto a farti beccare?- Chiese Gojyo, seduto attorno al tavolo della sala comune, accanto a Nika. Sanzo e Lara erano seduti lì vicino, Lara ancora coi capelli umidi. Sanzo sbuffò.
-Sono passato dalla porta principale e mi hanno beccato subito …- Gaia e Goku si erano messi in testa di giocare una partita a monopoli tutti assieme. E, come due perfette vedette, avevano intercettato e costretto ad accettare ogni singolo membro del gruppo. Ultimi arrivati Martha e Hakkai, che si sedettero davanti a Nika e Gojyo.
- Allora, a che si gioca?- Chiese il moro, sorridendo come al solito.
-Monopoli! Monopoli!- Saltellò Goku, gioioso come un bambino.
-Va bene, MA STAI FERMO!!!- Ruggì Sanzo, frenando il giovane demone con un colpo ben piazzato di harisen. Le ragazze, ormai avezze ai modi di fare del monaco, cominciarono a preparare le schede ed il piano di gioco, chiacchierando allegramente. Sanzo non si lasciò sfuggire le occhiate che si lanciavano di tanto in tanto Hakkai e Martha. Come non si era fatto scappare il sorriso che vestiva il demone dagli occhi verdi da quando era entrato nella stanza: caldo, sereno. Davvero felice. Un sorriso che non ricordava di aver mai visto prima sulle labbra dell’amico.
-Allora, iniziamo? Tiro io per primo!- Fece Goku, prendendo in mano i dadi. Gojyo lo prese per la collottola.
-E chi lo ha deciso, eh, scimmia?!-
-Hey! Lasciami, stupido kappa pervertito! Aspetta il tuo turno!-
-Niente storie! Sono più vecchio di te, quindi ho diritto ad iniziare per primo!- Pochi istanti, ed i due ragazzi si erano tuffati a capofitto in una delle loro solite baruffe. Sanzo cominciò a mettere mano alla S&W. Tra un calcio e un pugno, Goku riuscì ad impossessarsi dei dadi, quando Gaia glieli prese di mano.
-HEY!!!- Ruggirono in contemporanea i due litiganti, offesi che qualcun altro si fosse appropriato dell’oggetto della loro contesa. Gaia li fissò male, bloccando ogni protesta.
-Siete proprio dei maleducati! Non ci siamo ancora tutti, quindi non possiamo ancora giocare!-
-E chi diavolo sarebbe che manca?- Sbuffò Goku, offeso. Gaia indicò le scale.
-Allora, ti decidi a scendere? Manchi solo tu!- Caleb scese lentamente i gradini, titubante. Gli occhi dorati saettavano da uno all’altro dei suoi “sequestratori”, indeciso sul da farsi. Notandone il turbamento, Nika e Lara fecero un po’ di spazio al tavolo, mentre Gaia e Goku recuperavano una sedia. Seppur intimidito, Caleb si avvicinò, e prese posto al tavolo. E dopo pochi istanti di silenzio, Goku e Gaia si erano lanciati nella spiegazione del gioco.

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Rigel osservava Shiba, ben attenta a non mostrarsi. Anche se Artemius lo aveva preso come loro alleato, lei non si fidava. E Shiba lo sapeva bene. Per questo il demone lupo non calava mai la guardia, in presenza della ragazza. Anche adesso che stava seguendo una pista, olfatto e occhi concentrati sul terreno, alla ricerca di tracce. Le sue sensibili orecchie monitoravano ogni rumore, nel tentativo di anticipare un eventuale attacco.
E non faceva male. Rigel aveva già soppresso più volte il desiderio di usare la sua falce sul collo del demone, e non era del tutto sicura che ci sarebbe riuscita ancora per molto.
Era quasi una settimana che la ragazza ed il demone lupo viaggiavano assieme, seguendo le tracce di Caleb. Artemius li aveva mandati a spiare. E Rigel non aveva mai sentito così forte il desiderio di disobbedire.
I suoi occhi dorati scrutarono il demone, la mano tentata a muoversi verso la cintura, dove stava la sua arma.
Sapeva la storia di Shiba. Artemius stesso gliel’aveva raccontata. Un demone lupo cacciato dal proprio branco, per aver ucciso un compagno. Un crimine dei più orrendi, per i demoni lupo. Gente per cui il branco è tutto, e tutto deve essere fatto per il suo bene. Il branco è famiglia, compagni, e sicurezza. Uccidere un membro del branco, era come uccidere un fratello. Un crimine gravissimo, che porta la peggiore delle punizioni, per un demone lupo: lasciare il branco, per sempre.
Un demone lupo da solo, non sopravvive a lungo. La forza di quel genere di demoni era il lavoro di squadra ed il numero. Singolarmente, un demone lupo non vale molto. Lasciare il branco, è come essere condannati a morte.
Ma Shiba non si era arreso, e si era costruito un suo branco, radunando altri reietti della sua specie. Lupi cacciati dal loro branco per questo o quel crimine, carichi di rabbia e voglia di vendetta. Tutti esseri subdoli, dal primo all’ultimo.
Così la vedeva Rigel. E non si fidava. Non ci si poteva fidare di chi colpisce un proprio compagno. Per questo non poteva abbassare al guardia con Shiba.
Una tenaglia sembrò serrarle il cuore. Gli occhi di Caleb, dorati come i suoi, che fissavano stupiti Artemius, mentre il sangue gli colava dalla ferita al ventre.
“Andrà tutto bene. Non ti lascio. Ricordalo.”
Non poteva fidarsi di Shiba. Per lo stesso motivo per cui, ora, non poteva fidarsi neppure di Artemius.

-Fine capitolo 17-
  
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