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Autore: Miss One Direction    07/04/2015    5 recensioni
- No, ragazze, no! Non lo voglio conoscere! - urlai in preda alla disperazione.
- Tu lo conoscerai e basta! - risposero in coro.
- E se poi è un secchione, asociale, con gli occhialoni, i brufoli, i peli e passa le giornate a mangiare schifezze e leggere libri di fantascienza che si capiscono solo loro? - chiesi terrorizzata, rabbrividendo al solo pensiero.
- Tu non stai bene ma non fa niente. Lo conoscerai, vi metterete insieme e vivrete felici e contenti - esclamò Daniela, con aria sognante.
E poi ero io quella che non stava bene...
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- No, ragazzi, no! Non la voglio conoscere! - urlai, preso dalla disperazione.
- Non fa niente, la conoscerai e basta! - urlarono loro a tono.
- E se poi è una racchia con i brufoli, gli occhialoni, asociale oppure una snob con un carattere orribile? - chiesi terrorizzato, schifandomi al solo pensiero.
- No! È bellissima, dolcissima... forse un po' strana, ma perfetta per te quindi, caro il mio Harold Edward Styles, dimostra di avere le palle e conoscila! - alzò la voce Louis, afferrandomi per le spalle.
E poi ero io quello strano...
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TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=RVqNKUOLIAQ
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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HARRY'S POV.


Avete presente gli angeli? Quelli di cui si sente parlare ogni giorno - per un motivo o per un altro - e ai quali non crede quasi nessuno? Lo ammetto: non ci avevo mai creduto nemmeno io, fino al momento in cui avevo iniziato a guardare Manuela con occhi diversi.
E in quel preciso istante, mentre scese le scale davanti a me, sentii le ginocchia completamente molli: sembrava si fossero trasformate improvvisamente in gelatina. Le labbra mi si schiusero involontariamente, in un gesto del tutto non programmato, e il mondo intorno a me sembrò scomparire.
Un altro, al posto mio, sarebbe scoppiato a ridere alla vista delle sue inseparabili Converse sotto quel vestito così elegante ma, dal mio punto di vista, erano proprio quelle scarpe a completare il tutto: rappresentavano quell'elemento che non l'avrebbe mai, nemmeno lontanamente, potuta paragonare a qualche altra ragazza. La rendevano unica.
Avanzava a piccoli passi, con lo sguardo leggermente basso e quei meravigliosi capelli mossi leggermente svolazzanti: cavolo, non l'avevo mai vista con i capelli mossi... E direi un'enorme cavolata se dicessi che non li adorai all'istante. Un sorriso enorme - da perfetto ebete - mi comparì sul volto non appena si fermò a poca distanza da me e non smisi, neppure per un istante, di guardarla: avevo sempre saputo che sarebbe stava meravigliosa ma non avrei mai immaginato che si sarebbe impegnata così tanto pur di farmi contento.
Mi rivolse un timido sorriso imbarazzato, forse per via delle espressioni commosse delle ragazze accanto a noi, e mi ci volle un po' prima di poter fare o dire qualcosa di sensato: - Io... Cioè...Wow -.
Lo ammetto: nella mia testa quel "Wow" era risultato molto più eclatante e, alla vista della sua risatina, volli sprofondare sotto terra. Ero un completo e patetico idiota.

- Harry - mi richiamò Mara, facendomi girare verso di lei - Avete entrambi 19 anni,  siete un po' cresciuti per il coprifuoco... -
- Ma cercate di non farci diventare zie, non siamo ancora pronte per pannolini e omogeneizzati - aggiunse Daniela, facendo scoppiare a ridere sia sé stessa che le due ragazze accanto lei.

Se la figuraccia di poco prima era riuscita a farmi quasi sotterrare, a quella presa in giro volli direttamente sparire. Stavo iniziando a capire il motivo per cui fossero fidanzate con i miei migliori amici: erano fatti le une per gli altri. 
Rivolsi loro un finto sorriso, cercando comunque di controllare l'emozione, e notai Manuela intenta a infilarsi un perfetto cappottino all'inglese nero: non avrei potuto prestarle la giacca - come in un perfetto film romantico - ma non avrei comunque rinunciato a qualche smanceria.
Rivolse un'occhiata non proprio amorevole alle sue amiche e, dopo essersi stretta nel cappotto, mi strascinò letteralmente all'esterno: riuscivo a capire quanto quella situazione stesse imbarazzando anche lei, motivo per cui fui più che felice di essercene andati.
Dopo aver chiuso la porta alle nostre spalle - e dopo un generale "Divertitevi!" da parte delle ragazze -, potei finalmente tornare a respirare regolarmente.
Mi girai verso Manuela, ammirandola per l'ennesima volta in quel magnifico vestitino azzurro, e mi avvicinai lentamente per poi sussurrarle: - Vedo che mi hai preso in parola quando ti ho chiesto di scoprire la gambe -. Le accarezzai una guancia, non riuscendo a smettere di sorridere come un idiota, ma, nello stesso istante in cui volli far combaciare le nostre labbra, mi interruppe: - Scommetto quello che vuoi che, ora, quelle tre pazze sono attaccate alla finestra per spiarci e prenderci per culo. Continua a camminare, ne parliamo dopo -.
Rimasi un po' confuso alla sua affermazione ma, dopo essermi girato per un secondo, dovetti darle ragione: Mara, Margaret e Daniela erano letteralmente appiccicate al vetro della finestra e continuavano a indicare una scatola di... preservativi? Oh mio Dio.
Preferii continuare a camminare verso la macchina, cercando di non pensare a nient'altro di imbarazzante o stupido, e non persi un attimo nell'aprire la portiera alla mia dama: se dovevo fare una cosa, dovevo farla in modo impeccabile.
Mi sorrise leggermente prima di entrare e io, con il suo stesso sorriso, mi precipitai verso il lato del guidatore.
Una volta all'interno della mia auto, ricevetti il mio saluto (persino meglio di come lo avevo immaginato in precedenza): mi tirò, letteralmente, il colletto della camicia e le caddi quasi addosso, facendo scontrare le nostre labbra in modo molto brusco. Nonostante l'azione fosse durata solo pochi attimi, non potei fare a meno di sorridere per la sua spontaneità: non era una brava ragazza, ma nemmeno così ribelle come voleva far sembrare. Manuela era l'esatta via di mezzo in ogni cosa e, nonostante in passato avrei scelto di sicuro un estremo invece che l'altro, in quegli istanti capii perfettamente quanto amassi quella via di mezzo.

- Aggressiva... - sussurrai a pochi centimetri dalle sue labbra, adornando le mie con un perfetto ghigno. - Mmh... mi piace -.

Scoppiò a ridere non appena finii di parlare e, alzando un sopracciglio come gesto finale, si sistemò per bene sul sedile per poi chiedermi: - Abbiamo un appuntamento, Mr. Styles, lo ha forse dimenticato? -.
- Ma certo che no, milady - risposi, alzando le sopracciglia, per poi mettere finalmente in moto la macchina.

Avevo preparato le cose in grande per quella sera: avevo prenotato un tavolo in uno dei ristoranti francesi più alla moda di Londra, raccomandato a un violinista professionista di suonare qualcosa per noi e di far sistemare delle candele, fatto selezionare il tavolo più appartato dell'intero ristorante, ordinato una dozzina di rose rosse, preparato camera mia nel migliore dei modi e minacciato i ragazzi di trovarsi qualcosa da fare, ovviamente, fuori casa nostra.
Mi formicolarono le mani sul volante al solo pensiero della sua possibile reazione mentre, nella mia testa, ogni ipotesi si faceva avanti per farmi andare ancora di più nel panico: le sarebbe piaciuto? Mi avrebbe preso a parolacce? Mi avrebbe concesso un secondo appuntamento del genere? Ne sarebbe rimasta disgustata o, la peggiore di tutte... mi avrebbe potuto lasciare se qualcosa fosse andato storto?
Non appena quest'ultima domanda si intrufolò tra i miei pensieri, iniziai addirittura a sudare. Dovevo rimanere calmo o sarei potuto andare in escandescenza da un momento all'altro.
Una volta in mezzo alle strade trafficate di Londra, mi girai un attimo verso di lei per controllare che andasse tutto bene: come diavolo riusciva a rimanere così calma? Non stava provando nessun tipo di emozione o altro?
Metà parte del mio cervello continuò ad andare nel panico, cercando di convincermi del fatto che non le importava davvero di quel primo appuntamento romantico; l'altra parte, invece, stava cercando di "riavvolgere il nastro". Manuela, in fondo, si era sempre dimostrata una ragazza abbastanza introversa, capace di nascondere tutto dietro un sorriso o un po' di euforia in più: e se stesse cercando di trattenersi, esattamente come me? E se, in realtà, si stesse solo nascondendo dietro una maschera di tranquillità per non dare di matto all'improvviso?
Ad un tratto, tutta quella preoccupazione che mi aveva martoriato il cervello fino ad allora, si allontanò leggermente fino a farmi scrollare le spalle: sarebbe andato tutto perfettamente, dovevo solo avere fiducia in me stesso.
Sentendosi osservata, si girò verso di lei e aggrottò le sopracciglia con un sorriso. - Perché mi guardi? -.
Scrollai di nuovo le spalle, arrossendo, cercando in tutti i modi di non fare la figura dell'idiota: - Così... -. Dovetti combattere contro me stesso per non spiegarle in mille modi quanto fosse bella e quanto l'amassi.
Ridacchiò divertita alla mia risposta e, forse per la stanchezza di quel silenzio così imbarazzante, accese la radio in tutta tranquillità; partì una canzone già, purtroppo, iniziata che mi parve di riconoscere. Ma non ebbi nemmeno il tempo di chiedere alla mia ragazza se la conoscesse, visto che fui interrotto in partenza dalla sua voce leggermente acuta: - Let’s chase the sun into it's grave: our phoenix hearts are rising in flames. Let’s race the stars across the sky and burn our names into the night. Let’s light up the night - per poi proseguire con dei "Woah" prolungati che mi fecero alzare le sopracciglia per lo stupore. Quando voleva, riusciva a raggiungere tonalità di voce assolutamente incredibili.

- Ascolti i We The Kings? - le chiesi curioso, girando a destra.
- Scherzi? Sono dei geni! La loro musica è pura poesia! - esclamò sorridendo, continuando a cantare come se niente fosse.

Ridacchiai di gusto, godendomi a pieno quei momenti, e, cercando anche di seguire le parole per cantare con lei, la ringraziai col pensiero: grazie a quell'animo da eterna bambina, tutti i timori che mi avevano tormentato fino ad allora si stavano trasformando in puro e semplice divertimento, come giusto che fosse. Ma non trovai il coraggio per dirglielo ad alta voce.
Continuammo a sbraitare come due idioti per il resto della canzone, facendomi battere le dita sul volante a ritmo per tutto il tempo, e Manuela fece persino finta di tenere un microfono in mano (sostituito dal cellulare), un'azione che mi fece scoppiare a ridere apertamente in più di un'occasione: avevo la ragazza più stramba dell'intero universo, l'unica che potesse comportarsi in quel modo durante un appuntamento, ma ne andai più che fiero.
Non appena Phoenix Hearts finì, scoppiammo entrambi a ridere nello stesso momento ma, quando sentii una leggera pressione sulla spalla, iniziai ad avere il fiato corto: aveva appoggiato la testa su di me, continuando a ridere fino alle lacrime, e fui inondato da una folata del suo profumo che mi finì direttamente nei polmoni. Chiusi gli occhi per un attimo, cercando di contenermi, ma non potei fare a meno di sorridere: era così buono...

- Allora... - riprese a parlare, sistemandosi di nuovo sul sedile. - Dove mi stai portando di bello? -.
- Sorpresa - risposi, dedicandole una piccola linguaccia.

Incrociò le braccia sotto il seno, sottolineando le sue sopracciglia accigliate, fino a farmi notare: - L'ultima volta che non mi hai detto dove mi stavi portando, siamo finiti al mare all'inizio dell'inverno e ci siamo inzuppati sotto la pioggia. Per non parlare della palpatina che ti sei lasciato scappare in macchina... situazione leggermente imbarazzate -.
Diventai bordeaux nell'esatto momento in cui mi ricordò l'accaduto ma, cercando in tutti i modi di concentrarmi sulla strada, risposi quasi subito: - Vero... Ma, se ti dicessi dove stiamo andando, non ci sarebbe più gusto -.

- Touché - si arrese, sorridendomi di nuovo.

La conversazione finì lì e il tragitto verso il ristorante si dimostrò, stranamente, tranquillo: l'adrenalina iniziò a scorrermi nelle vene, di nuovo,  non appena parcheggiai.
“Andrà tutto bene, Harry. Calmati”.
 









 
MANUELA'S POV.


Ero sudata, stavo lottando contro me stessa per non arrossire di colpo, ero in preda all'agitazione e, come ciliegina, la parte superiore di quelle maledette calze velate mi stava schiacciando.
Se non fosse stato per i We The Kings e la nostra “performance”, la serata sarebbe iniziata con un perfetto disastro.
In tutta onestà, avevo iniziato a cantare senza rendermene nemmeno conto: amavo così tanto quella canzone che ero andata nella più completa euforia e mi ero lasciata andare. Se da un lato ero soddisfatta per aver rotto il ghiaccio, un'altra parte di me non faceva che tartassarmi, ripetendomi quanto fossi potuta sembrare patetica ai suoi occhi. Mi importava della sua opinione, non solo perché era il mio ragazzo: in qualunque luogo mi avrebbe portata, il perenne pensiero di risultare perfetta ai suoi occhi stava dominando su ogni cosa.
Non mi era mai importato dell'opinione degli altri, eppure... da quando stavo con Harry, non facevo altro che sentire il bisogno di essere (o, quanto meno, risultare) perfetta: per lui, per renderlo finalmente felice.
Scossi leggermente la testa per non pensarci ma, non appena mi aprì la portiera per poi avviarci verso l'entrata di un ristorante, il sangue mi si gelò nelle vene: un ristorante francese?

Non vedo l'ora di gustarmi l'espressione di Harry non appena gli dirai che odi qualsiasi cosa che riconduca alla Francia.

Tra tutti i posti possibili e immaginabili in città, possibile che mi avesse portata nell'unico luogo che proprio non riuscivo a sopportare? Avevo sempre detestato la Francia, i francesi e qualsiasi cosa che si ricollegasse con il paese dalla r moscia: tra italiani e francesi c'era sempre stato astio e io, nonostante fossi scappata dal mio paese di origine, avrei sempre avuto un pezzo di cuore verde, bianco e rosso. Per non parlare della loro credenza di “superiorità” in ogni cosa, roba da far frantumare le ovaie.
Sapevo che, una volta entrati, avrei avuto gli occhi addosso da parte di tutti e maledissi me stessa per non aver perso un minuto a spiegare ogni cosa al mio ragazzo: se avessi specificato da subito il mio bisogno di semplicità, in quel momento non mi sarei trovata lì, pronta ad entrare, e costretta a passare ore in un ristorante dove non c'entravo assolutamente nulla. Nemmeno con l'arredamento.
Non appena varcammo la soglia, ci trovammo davanti a una sorta di reception tutta bianca, con dietro un uomo in smocking e l'aria vagamente francese.

Iniziamo bene...

Approfittai del fatto che Harry stesse parlando della prenotazione di un tavolo, per poter dare un'occhiata in giro: il colore dominante era il blu, con qualche spruzzata d'argento qua e là, e, poco lontano dalla reception, una grande porta a vetri conduceva verso la sala principale. Riuscivo a sentire note leggermente classiche dall'altra stanza e sperai, con tutta me stessa, di non finire in mezzo a tutta quella gente: avrei fatto la figura dell'idiota davanti a ogni singolo presente in quel fottuto ristorante.
Dopo aver rivolto un cordiale sorriso a Harry (e una furtiva occhiata a me), il signore tutto in ghingheri affermò un formale: - Oh, ecco qua: tavolo appartato per due a nome di Mr. Styles. Prego, da questa parte - prima di farci strada verso la porta di vetro. Dall'occhiata che quel tizio mi aveva lanciato, capii all'istante di non stargli molto a genio: bene, visto che nemmeno lui si era meritato il titolo di “Best Friend” alla prima botta, dal mio punto di vista.
Camminare in mezzo a una sala quasi interamente lussuosa, con persone in abiti fin troppo eleganti (puzza sotto al naso a non finire), e sguardi puntati addosso... si rivelò imbarazzante come il momento dei “Tanti auguri a te” mentre si devono spegnere le candeline ma non si sa dove guardare.
Il fatto che una ragazza di quasi 20 anni avanzasse in quel ristorante con un paio di sneackers ai piedi, doveva essere risultato come una specie di affronto nei confronti di tutti: doveva essere quello il motivo per il quale tutti mi stavano fissando.
Una piccola a parte del mio cervello cercò di convincermi del fatto che, in realtà, ci stessero guardando solo per il nostro diverso (e fin troppo evidente) “rango”; la parte ragionevole, stava cercando di convincermi del contrario.
L'uomo in ghingheri ci fece accomodare ad un tavolo più appartato rispetto agli altri, ma comunque visibile all'intera sala, e non riuscii a sentirmi a mio agio nemmeno quando mi sedetti: non c'entravo un accidente lì, me ne stavo rendendo conto ogni secondo di più.
Harry sembrava leggermente più rilassato, rispetto a quando eravamo in macchina, e cercai di focalizzarmi solo su di lui: in fondo, eravamo lì per stare un po' da soli, no?

- Ti piace? - mi chiese dolcemente, guardandosi intorno per qualche minuto.

No, fa cagare. Voglio un Mc Chicken, non lumache.

- Sì, è molto... - risposi decisa, cercando un aggettivo per sembrare convincente. - ... intimo -.

Non avrei rovinato i piani a Harry, non così bruscamente.

- Speravo ti piacesse. È il nostro primo appuntamento e... volevo fosse speciale - affermò, sorridendomi, fino a far accentuare una delle due fossette.

Lo aveva fatto per noi, non avrebbe potuto sapere del mio astio verso i francesi: aveva voluto rendere felici entrambi. Bastò quella certezza a farmi arrossire, facendomi sentire fin troppo fortunata nell'averlo accanto a me.

- Sei assolutamente perfetta... - sussurrò all'improvviso, schiudendo le labbra.

Le mie guance avvamparono ancora di più, continuando a farmi sudare, mentre cercavo di mettere insieme qualche parola di senso compiuto: - La perfezione non esiste, Harry -. Non sapevo se crederci o no, soprattutto in quel momento: non davanti a quell'angelo che mi stava ancora guardando fin troppo intensamente.

- Allora... si vede che, chiunque abbia inventato questa frase, non ha mai visto te - esclamò, sollevando le sopracciglia, per poi stringermi la mano attraverso il tavolo.

A quelle parole, e a quel tocco, sentii la pelle d'oca lungo tutto il corpo: perché era così perfetto? Perché riusciva a farmi morire così facilmente?
Avrei voluto baciarlo, più di qualunque altra cosa, ma fummo interrotti: niente di meno che da Mr. Pregiudizio.

- Avete dato un'occhiata ai Menù, signori? - ci chiese, con tanto di guanti bianchi.

E riecco il senso di disagio che, per quei pochi attimi, mi aveva dato una leggera tregua. Harry annuì quasi subito, anche se in realtà non era vero, e ordinò subito due  patè di foie gras e una bottiglia di vino. Avendo studiato ben 4 lingue al liceo, non appena sentii l'ordine, rimasi di sasso: patè di fegato d'oca? Inghiottii non poca saliva non appena il cameriere se ne fu andato e iniziai a torturarmi il vestito con le mani subito dopo: non potevo dirgli come la pensavo realmente, ci sarebbe rimasto troppo male.
Non ebbi nemmeno il tempo di poter aprire un argomento, che subito un altro cameriere perfettamente lucidato mi porse un intero mazzo di rose rosse fuoco: oddio, anche le rose...
Avevo sempre amato la natura (non a caso, ero una mezza hippie) e apprezzai di più, di gran lunga, le rose che l'intero ristorante e tutto il resto: aveva voluto fare il romantico e, non appena inspirai l'inebriante profumo proveniente da quei fiori meravigliosi, Harry sorrise come un bambino.

- Ti sei dato da fare, vedo... - affermai, poggiando il mazzetto sul tavolo.
- Bhe... volevo fare qualcosa di speciale - rispose arrossendo, continuando ad accarezzarmi la mano con il pollice. - E credo di esserci riuscito, considerando il fatto che ti ho chiesto di uscire solo poche ore fa e ho avuto pochissimo tempo
per organizzarmi -.

Ridacchiai divertita alla sua affermazione leggermente sarcastica e un buon quarto d'ora passò così: tra le nostre risate, i nostri baci delicati che ci scappavano di tanto in tanto e tutto il nostro amore.
Dopo aver riso alla sua ennesima battuta (imparata, di sicuro, da Louis), rialzai lo sguardo verso di lui e, non appena incontrai quegli smeraldi che gli erano stati donati al posto degli occhi, ogni cosa perse importanza: mi sentii invasa da un calore a dir poco meraviglioso e sentii le farfalle nello stomaco per quelli che mi parvero istanti a dir poco infiniti. Non proferimmo più parola, facendo l'amore con gli occhi e avrei dato qualsiasi cosa pur di poterlo stringere più forte possibile a me per poi godermi ogni singolo istante con lui.
Tutto quello che provavo per Harry, tutto quello che mi faceva provare, tutto quello che mi trasmetteva, tutto quello che mi provocava... era semplicemente troppo da poter spiegare a parole o anche solo cercare di poter esprimere. Era un amore nato dall'odio, come un fiore che riprende vita da un inverno molto rigido, e sarebbe rimasto nostro per sempre. Proferire un ‘per sempre’ quando si ama qualcuno, è un'azione a dir poco pericolosa: illudersi in qualcosa di eterno non fa altro che lasciare punti tremendamente scoperti quando tutto potrebbe anche solo sgretolarsi in un solo istante. Eppure, per la prima volta, quel futuro così misterioso e imprevedibile risultò, davanti ai miei occhi, un'opera d'arte creata dalle mani di Madre Natura.

- Ora sono io a sentirmi a disagio sotto il tuo sguardo - annunciò ridacchiando, abbassando la testa.

Mi risvegliai di soprassalto, sbattendo le palpebre più volte, prima di rispondere: - Scusa, stavo solo pensando -. Non volevo farlo sentire né a disagio né sotto pressione ma, cavolo, come si faceva a non rimanere incantati davanti a lui?
Dopo nemmeno 5 minuti, passati troppo velocemente, il cameriere si ripresentò con due piatti contenenti quello che sarebbe dovuto essere il famoso patè.
Non appena mi ritrovai davanti a quel povero fegato d'oca (versione scatoletta per cani), sentii una strana sensazione nello stomaco: se avessi rimesso proprio in quel momento, mi sarei trasferita in Siberia dalla vergogna. C'era anche da specificare, però, quanto mi stessi sentendo in colpa per quel povero volatile che avevo nel piatto: non lo avrei assaggiato nemmeno sotto tortura, poco ma sicuro.

- Ehm... vado un attimo in bagno - esclamai, più nervosa che mai, alzandomi di colpo dalla sedia.

Ricevetti un turbato “Oh... Okay” ma non me ne importai: stavo cercando di trattenermi, ma sarei potuta scoppiare da un momento all'altro. Le ragazze mi avevano ripetuto per circa 10 volte dell'importanza di non andare al bagno in situazioni simili, per mancanza di finezza e femminilità, ma era un'emergenza: magari, svuotandomi la vescica, sarei riuscita a calmarmi.
Mi girai così velocemente da  non accorgermi nemmeno di Mr. Pregiudizio dietro di me e, in un istante, ci scontrammo letteralmente: inutile dire che, per poco, non gli volò la bottiglia di vino dalla mano, evitando una signora per un pelo.
Mi coprii la bocca con entrambe le mani, mortificata come non mai, e cercai di scusarmi in ogni modo possibile: l'intera sala si era girata verso di noi e, potendo solo immaginare l'espressione di Harry, sperai di poter diventare trasparente all'improvviso.
Il cameriere mi stava lanciando sguardi da un ‘Vaffanculo’ ciascuno e sembrarono inutili tutti i miei ‘Oddio, mi scusi’, ‘Non volevo, è stato un incidente!’ ma non osai girarmi verso il mio ragazzo: sapevo che, purtroppo, avevo appena dato inizio a una reazione a catena infinita.
Cercai di scusarmi nuovamente, ricevendo solo un cenno dal cameriere, prima di rimettermi seduta al posto mio: il bagno poteva aspettare, eccome.
Poggiando entrambi i gomiti sul tavolo, girai subito lo sguardo verso il pavimento, sentendomi ancora gli occhi di tutti addosso: come avrei potuto guardare in faccia Harry, dopo la mia incredibile figuraccia?

- Amore... - mi richiamò, ridendo sotto i baffi. - Tutto bene? -

Ho solo rischiato di beccarmi circa £ 10,000 di lavanderia verso la signora dalla pelliccia bianca, tutto normale.

Annuii convulsivamente, massaggiandomi la fronte con entrambe le mani, e cercai, in tutti i modi, di non strozzarmi con l'acqua che mi ero appena versata e che stavo cercando di bere. Guardai, di nuovo, quel povero fegato d'oca nel mio piatto e, quando riappoggiai il bicchiere sul tavolo, feci rovesciare l'intera caraffa direttamente su quella tovaglia così costosa: un ‘Merda!’, fin troppo rumoroso, mi uscì praticamente spontaneo. 
Avrei voluto morire, nel vero senso della frase.
La serata stava andando in fumo, stavo combinando un pasticcio dopo l'altro e, di sicuro, Harry non mi avrebbe mai più invitata a cena fuori. Cos'altro sarebbe potuto succedere?
La prima cosa di cui mi preoccupai fu subito il mio ragazzo, andando nel panico solo al pensiero di averlo bagnato, ma tirai un mezzo sospiro di sollievo quando lo vidi ridacchiare divertito: davvero non si stava vergognando di me?
Cercai in tutti i modi di asciugare quel lago d'acqua con il mio tovagliolo ma non feci altro che farlo inzuppare, peggiorando solo la situazione: per la seconda volta, in nemmeno 10 minuti, tutti i clienti del ristorante erano rivolti verso il nostro tavolo.
Mi alzai in piedi, di nuovo, pensando a una soluzione finché non sentii una voce profonda alle mie spalle: - Mademoiselle, non si preoccupi. Vi facciamo accomodare ad un altro tavolo -.
Sentii il sangue scorrermi fin troppo velocemente nelle vene, rendendomi completamente rossa, e sentii sempre meno aria nei polmoni: se avessi avuto un attacco di panico proprio in quel momento, non sarei più uscita di casa dalla vergogna.
Che bella cosa soffrire di attacchi di panico.
Afferrai la giacca dallo schienale della sedia più velocemente della luce, posizionandomi una mano sul petto, per poi superare i tavoli a passo veloce: mi stavo rendendo un fenomeno da baraccone e ne stavo avendo davvero abbastanza.
Il fatto di aver fatto dispiacere Harry, facendolo addirittura vergognare di me, passò in secondo piano: volevo solo uscire da quel fottuto ristorante, prendere aria e rimettermi il mio pigiamone comodo. Mi infilai la giacca strada facendo, non girandomi nemmeno per un minuto, finché non raggiunsi l'uscita, precipitandomi fuori come una furia; per poco non feci finire la porta contro il naso di un nuovo cliente ma non persi nemmeno tempo a chiedere scusa, ero fin troppo stanca.
Fui investita dal vento gelido di Londra che mi ero lasciata alle spalle nemmeno mezz'ora prima e, battendo i denti, mi vergognai come non mai di me stessa: avevo rovinato una serata a dir poco perfetta, con il mio ragazzo perfetto, e per quale assurdo motivo? La mia goffaggine infinita e la mia infantilità.
Non mi sarei stupita più di tanto se Harry avesse deciso di rimanere comunque: in fondo, ero stata io la causa di tutto, non lui. Aspettai qualche minuto al freddo, continuando a illudermi che sarebbe corso da me, ma, non appena iniziai a rendermi conto del contrario, alzai lo sguardo verso il cielo per trattenere le lacrime: un estraneo avrebbe potuto tranquillamente andare certo del fatto che io lo facessi apposta a far scappare ogni ragazzo. E, per quanto quella frase fosse vera, sentii comunque un peso enorme all'altezza del petto: il respiro si era regolarizzato, evitando la crisi, ma il cuore mi stava facendo sempre più male.
Sentii la ghiaia scricchiolare sotto le mie Converse e, dopo aver tirato un potente calcio a un sassolino davanti al mio piede, decisi di incamminarmi verso casa (per quanto potessi riconoscere la zona).

- Manuela! -

Mi fermai all'improvviso non appena sentii la sua voce chiamarmi ma non ebbi il coraggio di guardarlo: sarei scoppiata in lacrime davanti a lui e sarebbe stata una scena a dir poco patetica. Forse voleva concludere la serata con una sana litigata, facendomi odiare ancora di più, o forse aveva direttamente intenzione di mollarmi. Gli avrei dato ragione in entrambi i casi.

- Ho rovinato tutto... - sussurrai, più a me stessa che a lui, stringendo i pugni e gli occhi.
- Hey - mi richiamò, afferrandomi un braccio per farmi girare.

Continuai a tenere gli occhi sigillati, così come i miei pugni, anche quando mi prese il viso tra le mani.

- Non hai rovinato niente, sono stato io l'idiota. Avrei dovuto capirlo: non c'entri assolutamente niente in quell'ambiente... - riprese a parlare, accarezzandomi una guancia con il pollice.

Avevo già una mezza idea su quello che avrebbe detto dopo ma, anche se non sapevo da dove provenisse quella forza, alzai lentamente le palpebre per leggergli gli occhi: ormai quello era diventato il nostro unico metodo di comunicazione, senza correre il rischio di mentire. Erano completamente verdi, pieni, quasi lucidi, impegnati in un'espressione desolata e colpevole al tempo stesso. Ero certa del fatto che i miei fossero completamente neri, a causa del sottile strato di lacrime che ero determinata a non far cadere, e sperai con tutta me stessa che riuscisse a decifrare il messaggio in codice che possedevano: non andartene, non tu.
Appoggiò la fronte contro la mia, socchiudendo le labbra, e il suo caldo respiro iniziò a infrangersi contro il mio viso mentre io, con i pugni tremanti lungo i fianchi, aspettavo la conclusione di ciò che mi aveva appena detto.

- ... ma, se prima avrei reagito male in una situazione del genere, ora... ora non posso fare altro che amarti ancora di più -

A quelle parole, la mia espressione divenne all'improvviso esterrefatta: non era arrabbiato con me? Corrugai le sopracciglia, non riuscendo proprio a capire, fin quando non sorrise teneramente e continuò: - Ho sempre creduto alla teoria del ‘Ognuno di noi è diverso da qualcun altro’ ma, diamine, tu ne sei la prova vivente: mi ritengo il ragazzo più fortunato della Terra e sai perché? Perché da quando ci siamo baciati la prima volta, dopo quel primo pomeriggio passato a non litigare, ho continuato a sentirmi come se la mia vita si fosse completata all'improvviso: ho te e, cazzo, non puoi capire quanto mi basti. Continuo ad andare sempre più convinto del fatto che non troverò mai nessun'altra come te ma, soprattutto, non riuscirei mai ad amare qualcuno come amo te: con tutte le tue stranezze, i modi di fare, i pregi e i difetti, il tuo essere te. Ogni singola cosa, ogni singolo particolare -.
Chiudemmo gli occhi nello stesso istante, con i fiati corti, i cuori che rischiavano di uscire dalle nostre gabbie toraciche in ogni momento: la cosa che desiderai di più, in quel momento, fu di possedere il potere di poter fermare il tempo. Volevo solo rimanere lì, con il suo respiro sulla pelle, i suoi occhi, lui, per tutto il resto della mia vita.
Mi aveva appena sussurrato le cose che avrei sempre voluto sentirmi dire ma che nessuno mi aveva mai detto. Mi amava, io amavo lui ma, cosa ancora più importante: era pronto ad accettarmi così com'ero, scegliendomi tra miliardi di altre possibilità.
Quando rialzai le palpebre, e rincontrai i suoi occhi, non potei fare a meno di sorridere come una bambina.

- Non ci stiamo sposando, Harry: o almeno, non mi sembra - affermai ridacchiando, facendo ridere anche lui a ruota.

Avevo portato il discorso sul sarcasmo solo per il semplice, ma efficace, motivo che non avrei saputo come rispondere: nella mia testa stava nascendo un poema più lungo del suo riguardo ai miei sentimenti ma, se avessi dovuto spiegarlo a parole, mi sarebbero solo usciti spezzoni confusi e senza senso come ‘cioè’, ‘ecco’, ‘insomma’, ‘però’, ‘credo’, ‘in teoria’.

- Ecco un esempio di quello che intendevo - rispose ridendo, intrecciando le dita con le mie.

In un gesto quasi istintivo, mi allontanai dal suo viso ma appoggiai la guancia direttamente contro il suo petto, lasciandomi cullare come una neonata: il freddo di gennaio, non mi stava nemmeno sfiorando. Non quando avevo le dita incrociate alle sue, non quando le mie narici continuavano ad essere inondate dal suo buonissimo profumo, non quando quell'angelo aveva poggiato la sua testa sulla mia.

- Sono patetica - esclamai all'improvviso, restando in quella posizione. - Hai organizzato una serata perfetta e io... Ho rovinato tutto -.

Il senso di colpa continuava a tartassarmi nonostante quel momento magico ma, per fortuna, Harry sembrò deciso a chiudere quell'argomento una volta per tutte: - Non devi sentirti in colpa di niente. Ho pagato quel povero paté che avevo ordinato per entrambi, la scelta peggiore che abbia mai potuto prendere, e mi sono scusato con il cameriere e la signora dalla pelliccia bianca. È tutto finito e ti giuro: non andremo mai più in un ristorante francese o da nessun'altra parte che c'entri con la Francia -.
Ridacchiai insieme a lui per l'affermazione finale e, dopo avergli sussurrato un leggerissimo ‘Grazie’, iniziammo a camminare, sempre mano nella mano, verso la sua macchina: in fondo, la serata non era ancora finita e il mio stomaco stava pretendendo, sempre di più, qualcosa da mangiare.
Non appena mi aprì la portiera, facendomi arrossire di nuovo, notai le rose che mi aveva regalato: in effetti, mi sarei sentita ancora più in colpa se le avesse lasciate al ristorante.
Non avevamo una meta precisa, per non dire che non avevamo idea di dove andare, ma non ci importò: il silenzio tra di noi non era di quelli imbarazzanti, era piacevole.
Prima di uscire di casa, mi ero auto-convinta di poter continuare nella mia missione e, dopo tutti quegli avvenimenti disastrosi, avevo completamente abbandonato l'idea... ma, dopo aver notato un posticino a me familiare, non potei fare a meno di ordinare a Harry di fermarsi.
La luce gialla al neon proveniente dal logo illuminava l'intero parcheggio e non smisi di sorridere nemmeno per un attimo: ripensandoci, l'essere corsi via da quel ristorante non era stata poi un'idea così cattiva.

- Che ci facciamo al Mc Donald's? - mi chiese corrucciato Harry, scendendo dalla macchina insieme a me.
- Si da il caso che io non mangi da oggi, sto praticamente morendo di fame, e ti assicuro: un sano Mc Chicken è molto più sostanzioso che un povero fegato d'oca trasformato in cibo per cani -.

Raggiungemmo entrambi l'entrata del fast-food e una vampata di calore improvviso ci accolse non appena varcammo la soglia. Riuscivo a riconoscere l'odore di olio fritto, mischiato a quello del detersivo per i pavimenti, e non potei fare a meno che inspirare a pieno: mi stavo sentendo decisamente molto più a mio agio.
Il locale non era pieno, erano rimaste solo un paio di famiglie sulle poltroncine, e non mi importò minimamente del nostro abbigliamento: indossavamo abiti eleganti, non adatti a un fast-food, ma non ci feci nemmeno caso. Ero lì per passare del tempo con Harry, continuare la mia missione e saziare il mio appetito: non avevo tempo per pensare a come fossi vestita.
Il mio ragazzo, al contrario, si irrigidì sul posto non appena si guardò intorno: era a conoscenza del fatto che qualcuno ci avrebbe guardato in modo strano e sembrava quasi nel panico. Gli strinsi la mano maggiormente, facendolo girare verso di me, e cercai di tranquillizzarlo con un enorme sorriso: volevo che si fidasse, volevo farlo sentire spensierato.
Ingoiò un po' di saliva prima di dirigerci verso il bancone e, dopo aver ricevuto i nostri ordini (corrispondenti a due My Menu con Mc Chicken e Crispy Mc Bacon) ci dirigemmo verso un tavolo un po' più lontano rispetto alle sistemazioni delle poche famigliole.

- Poca fame, eh? - chiesi sarcastica, indicando col mento l'enorme panino che aveva ordinato.
- Non sei l'unica ad avere uno stomaco, piccola - rispose ghignando, rubandomi un bacio prima di affondarsi sul panino.

Passammo la serata così: abbuffandoci, rubando pezzi di panino e patatine dall'altro, ridendo come matti, ignorando tutte le occhiate stranite dei vari clienti e del personale e godendoci a pieno il nostro amore.
Sin da piccola, avevo sempre sognato il mio primo appuntamento in un fast-food, una cosa semplice: niente francesi, niente serietà, niente spiegazioni a qualcuno, niente eleganza o raffinatezza. E in quel momento ero lì: con la pancia piena, un sorriso soddisfatto sul volto, davanti al mio ragazzo, anche lui sazio ma comunque perfetto.
Sembrava aver superato la paura dell'attenzione e mi sentii soddisfatta di me stessa: da un po' di tempo a quella parte, far rinascere il vero Harry stava diventando sempre più semplice. Non sapevo se dipendesse da qualche suo passo verso di me o dalla mia ‘bravura’ in materia. Sapevo solo che più vedevo il mio ragazzo spensierato, più il cuore mi si gonfiava.

- Non mangiavo così tanto da... secoli - affermò all'improvviso, grattandosi la pancia. - Ma continuo a credere che scappare da quel ristorante non sia stata un'idea poi così cattiva -.

Sorrisi non appena notai il nostro pensiero in comune e quella volta fui io a rubargli un bacio, lasciandolo sorpreso ma soddisfatto al tempo stesso.

- Che ne dici se torniamo a casa? Si è fatto parecchio tardi - esclamai, riprendendomi la giacca.

Mi seguì a ruota, aiutandomi con l'indumento, e continuò con la galanteria fino alla fine: solito, romantico, ruffiano Styles.
Avevo intuito dall'inizio che i ragazzi ci avrebbero lasciato casa loro libera e iniziai a chiedermi più volte se la serata sarebbe davvero finita lì: non per qualcosa ma, se ci fosse stato anche un dopo, non mi sarebbe di certo dispiaciuto.
In macchina, ricominciammo a cantare come matti su tutte le canzoni che la stazione radio proponeva e le risate non mancarono di certo: soprattutto quando, a pochi minuti di distacco l'uno dall'altra, ci lasciammo andare a dei rutti a dir poco epici.

- Una cosa che non riuscirò mai a perdonarmi è il fatto che i tuoi rutti siano più rumorosi dei miei - affermò tra le risate, girando lo sguardo verso di me. - È imbarazzante il fatto che una ragazza riesca a battermi su una cosa del genere! -.
- Anni di esperienza - risposi semplicemente, alzando le spalle.

Ed era vero: riuscivo a ricordare centinaia di volte dove mio padre ruttava apertamente a tavola, per poi lamentarsi con me se me ne scappava anche uno minuscolo. “È orribile vedere una ragazza fare queste cose, non essere maleducata!” non facevano altro che ripetermi entrambi i miei genitori, anche a 19 anni suonati, ed era stato proprio grazie a quella frase che mi ero resa conto di una cosa: il mio essere maschiaccio era nato spontaneo, come ribellione alla mia stessa famiglia, come prova che le buone maniere le sapevo usare ma solo quando lo ritenevo necessario. E non potevo essere più orgogliosa del fatto che quella dolce ragazzina ubbidiente avesse frantumato in mille pezzi quella campana di vetro che si era portata intorno sin dalla nascita.
Arrivammo davanti casa dei ragazzi dopo non molto tempo e Harry, esattamente come avevo intuito, continuò a comportarsi come un perfetto gentiluomo: mi aprì la portiera, mi porse una mano per scendere, mi aprì la porta di casa, mi sfilò la giacca, mi offrì delle mentine per l'alito (cosa che accettai praticamente subito) e si preoccupò perfino di mettere le rose in un vaso con dell'acqua.
Mi comparì un ghigno spontaneo non appena vidi Harry riavvicinarsi a me per poi baciarmi in modo molto più spinto, mordendomi e leccandomi il labbro inferiore per più di una volta.
In quel momento ne ebbi la conferma: la serata non era decisamente ancora finita ma, in tutta sincerità, non mi stava affatto dispiacendo.
Avrei voluto, con tutta me stessa, tornare indietro nel tempo per evitare quel fottuto lucidalabbra: per quanto poco ne fosse rimasto, desideravo con tutta me stessa gustarmi le sue labbra a pieno, senza nessun tipo di barriera.
All'improvviso però, mentre il mio ragazzo aveva iniziato ad esplorare apertamente il mio collo, un gran fastidio si impossessò del mio stomaco: quelle calze mi stavano letteralmente uccidendo, prendendo anche in considerazione il fatto che mi ero da poco abbuffata.
Mi allontanai all'improvviso da lui, facendogli sgranare gli occhi dalla sorpresa, ma non persi nemmeno un attimo nel togliermi le Converse e liberarmi da quegli oggetti infernali: mi sentii a dir poco libera quando toccai il pavimento con i piedi e ripresi a baciarlo anche più ardentemente di prima, facendo cadere sia le scarpe che le calze in qualche punto indefinito del pavimento.

- Ti ho risparmiato tempo e lavoro, ciccio. Dovresti ringraziarmi - esclamai sarcastica sulla sua labbra, dopo aver sentito un risolino divertito da parte sua.

Allacciai le gambe dietro la sua vita, lasciando che mi accarezzasse interamente le cosce prima che mi conducesse direttamente in camera sua per poi concludere la serata in bellezza: nel complesso, mi stavo convincendo sempre di più del fatto che quel primo appuntamento non fosse andato poi così male.

 











 


                                                                                                   You give me enough...








Spazio Autrice: Sono viva! Chi lo avrebbe mai detto, eh? Non ho parole per giustificare il mio ritardo e mi sento una cacchetta di Kevin per avervi fatte attendere così tanto. Mi sento in colpa, davvero. 
Dopo ben 21 pagine di Word e 6490 parole, siamo arrivate al capitolo n° 30! Oddio, non mi sembra ancora vero...

In tutta sincerità non mi sarei mai aspettata un traguardo simile e non so davvero come ringraziarvi <3
Riguardo a tutta la questione di Zayn... Sono stata male per ben due settimane e sento ancora un tremendo vuoto dentro di me (essendo anche una Zayn's Girl) ma non smetterò mai di sostenere Louis, Niall, Harry e Liam: mi sono sentita amata da Tommo quando ci ha difese contro quel mezzo parcheggiatore abusivo (senza offesa per i parcheggiatori abusivi, per carità) e sono molto delusa del fatto che Zayn non abbia reagito. Sono ancora senza parole, sinceramente. Ma non smetterò di seguirlo, nemmeno se mi pagassero. 
Tornando al capitolo: nella mia testa l'intera serata era sembrata perfetta, scritta divinamente... poi mi sono ritrovata davanti alla pagina immacolata di Word e ho iniziato a scrivere quello che mi passava per la testa, senza un vero senso logico. Non ho riletto il capitolo (sono esausta, sorry) e chiedo scusa in anticipo per gli evenutali errori.
Avrei voluto scriverlo meglio, sinceramente, ma credo vada abbastanza bene così. 
Domande del giorno?
1) Quale momento avete preferito dell'intera serata?
2) Cosa avete provato o pensato quando avete letto del ristorante e l'intero casino?
3) Cosa pensate avrebbe dovuto fare Manuela?
4) Quale situazione vi sarebbe piaciuta di più (per voi stesse con Harry)?
Se amate i 5 Seconds Of Summer, non dimenticate di andare a vedere l'ultimo video che ho tradotto sul mio canale YouTube! 
Potete cliccare qui → Face To Face
Ora volo a finire di studiare (mia madremi ha già minacciata di buttarmi il pc dalla finestra .-.) quindi vi saluto e spero davvero che questo capitolo assolutamente chilometrico sia stato di vostro gusto! *-*
Peace and Love
Xx Manuela


 
   
 
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