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Autore: BlueParadise    08/04/2015    4 recensioni
"We can beat them, for ever and ever
Oh we can be Heroes,
just for one day"
Genere: Guerra, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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CAPITOLO 3



Camminavo tranquillamente, senza fretta, diretto a Babbanologia. Prongs e Peter erano rimasti in sala comune, mentre Moony aveva preferito portarsi avanti con lo studio.
Ovviamente ero stato l’unico a dover fare la fatica di andare a lezione, però Babbanologia mi piaceva e non mi era di nessun peso. Avevo scelto questa materia al terzo anno, pensando potesse essere una chiara e fiera provocazione nei confronti dei Black e del loro odio per i babbani e poi, ovviamente, il mondo babbano era una figata.
Avevo imparato tutto ciò che si poteva sapere su telefoni, televisioni, automobili, metropolitane e tutto il resto. Trovavo strano come i babbani si fossero adattati ad una vita priva di magia, ma al tempo stesso ne ero affascinato.
Svoltai l’angolo e quello che vidi mi riempì di una rabbia immensa. Tre Serpeverde deridevano un bambinetto dall’aria spaventata che doveva appartenere alla casa di Tassorosso.
«Allora! Sei ancora contento di essere uno schifoso mezzosangue!»
Mio fratello. O meglio, quello che una volta era stato mio fratello, ma che ora sembrava soltanto un codardo senza rimorsi ne colpe. Purtroppo condividevamo la stesso sangue, ma ad unirci c’era più solamente quello; eravamo distanti l’uno un abisso dall’altro.
«E tu sei ancora contento di essere l’idiota che sei sempre stato?» domandai retorico, avvicinandomi al singolare gruppetto.
I tre Serpeverde si girarono al suono della mia voce e potei gustare l’espressione sorpresa di Regulus. Con lui c’erano anche Nott e McNair, degni compari di mio fratello.
«Ma guarda un po’ chi abbiamo trovato! Lo sporco traditore del suo sangue!» mi derise Nott.
«Beh, sempre meglio che essere dei bastardi come voi, no?» risi privo di allegria.
«Sei proprio insolente, non ti smentisci mai. Non hai ancora capito che ora comandiamo noi?» le parole di mio fratello mi trafissero gelidamente.
«Già, vedo come comandate voi. Ve la prendete con un ragazzino di dodici anni, molto maturo. È perché non siete in grado di battervi con persone della vostra stessa taglia? Codardia o incapacità?» li canzonai io.
«Vuoi che ce la prendiamo con te, Black? Di solito l’agnello non sfida i lupi.»
«E l’agnello chi è? Io o voi?» risi di nuovo.
McNair mi puntò la bacchetta dritta davanti al petto, ma non mi spaventai più di tanto, restava pur sempre un codardo.
«Dovreste fare attenzione, voi stupidi ribelli. Ma non mi va di perdere tempo con te, Black. Abbiamo cose molto più importanti.»
Lasciarono la presa sul bambino e se ne andarono con passo arrogante. Guardai deluso la schiena di mio fratello allontanarsi e sparire dalla mia vista. Avrei tanto voluto pareggiare i conti, ma sarebbe stato del tutto inutile, mio fratello non sarebbe cambiato, aveva deciso quale fosse la sua strada e io mi ero scelto la mia.
«Tutto bene?» chiesi al bambino.
«Sì ... sono in ritardo, devo andare a lezione …» rispose ancora spaventato, arretrando di qualche passo.
«Aspetta!» gridai, ma se l’era già data a gambe.
Avrei potuto inseguirlo, l’avrei trovato facilmente, ma in realtà sapevo bene cosa si provasse in quei momenti. L’avevo provato molte volte da bambino, quando Orion e Walburga Black avevano reso la mia infanzia un inferno.
Sentii la campanella suonare in lontananza e imprecai. Incominciai a correre, lo zaino che penzolava da una spalla e la camicia che usciva a tratti dai pantaloni neri della divisa.
Quando finalmente arrivai all’aula di Babbanologia, la misera classe mi guardò stupita.
«Scusi per il ritardo, Professoressa Burbage» mi scusai sedendomi al mio solito banco accanto alla finestra.
«Stavo giusto spiegando ai suoi compagni quanto il programma di quest’anno sarà difficile e impegnativo» pronunciò con la sua voce squillante ed esaltata.
Mi lasciai scivolare sulla sedia, aprendo un quaderno e scribacchiando di trulattori … o erano frullatori?
La Professoressa Burbage era una donna sulla quarantina con lunghi capelli biondi. Era un po’ bizzarra, ma mi piaceva il fatto che non si lasciasse intimorire dai tempi bui. Non era sicuramente un vantaggio insegnare che i Babbani erano esattamente come noi, quando là fuori c’erano persone che uccidevano per il contrario e per molto meno.
Eppure, lei non si era mai tirata indietro. Continuava a ripetere, e anche molto fieramente, che sotto la protezione di Silente nessuno le avrebbe torto un capello. Forse era un po’ azzardato, ma in fin dei conti Silente era Silente.
La lezione passò velocemente e mi affrettai a raggiungere gli altri a Trasfigurazione, c’era un gran fermento, ma per fortuna James mi aveva tenuto il posto.
«Ehi» lo salutai.
Mi sorrise e la McGranitt intimò il silenzio. Ci spiegò che avremmo incominciato con la teoria per poi passare alla vera e propria pratica. Il libro del settimo anno era un mattone dall’aria tosta e dalle pagine finissime, decisamente un cattivo segno.
Mi tornò in mente la discussione con Regulus e avvertii il bisogno di dire tutto a James, di trovare una qualche consolazione nelle parole che sicuramente mi avrebbe rivolto. Qualcosa come “tu non sei come loro, mettitelo bene in testa”. Detestavo sapere di averne bisogno, ma era così, avevo bisogno che James, mio fratello, il mio vero fratello, mi promettesse ancora una volta la sua amicizia, perché oggi, esattamente come in quel primo viaggio in treno anni fa, la fiducia che James riponeva in me era il mio piccolo miracolo. Il miracolo che aveva reso sufficientemente sopportabili cinque estati a Grimmauld Place, il miracolo che mi aveva accolto a casa sua quando la mia vita mi era sembrata senza più speranze, il miracolo che mi aveva permesso di conoscere e fare parte di una meravigliosa famiglia come quella dei Potter.
Cercai di seguire la lezione, ma James continuava a distrarmi raccontandomi di quanto fossero splendidi, lucenti, attraenti e delicati i capelli della Evans. Per non parlare di quando cominciava a blaterare degli occhi o delle lentiggini del viso. Uno scassaboccini di prima categoria.
Moony, seduto davanti di noi assieme a Peter, era ingobbito sul banco per prendere appunti in maniera veramente poco Malandrina e ogni tanto si girava a lanciare chiare occhiate di avvertimento a James.
«Potter, Black, volete condividere con il resto della classe?» ci riprese la McGranitt scocciata.
«Ehm … no, professoressa» rispose James sfoderando il viso da agnellino.
«Avete preferito parlare per tutta l’ora, mi vedo costretta a mettervi in punizione. Questa sera alle cinque nel mio ufficio.»
Ridacchiai, ma in quel momento la campanella suonò e quindi chiusi il libro e ritirai tutto nello zaino.
Questa era già la seconda punizione che prendevo in una settimana, grandioso, ero partito con la carica giusta!
Uscimmo dalla classe e ci dirigemmo verso le serre per arrivare in tempo ad Erbologia.
«Vi avevo avvisati di piantarla di parlare» ci riprese Moony seccato.
«No, non l’hai fatto. Eri troppo preso a non perderti una sola parola della lezione, secchione.»
«Ahia!» esclamò James dopo aver ricevuto un pugno sulla spalla da Remus.
«Oh, sta zitto! Urli come una femminuccia!» mi intromisi io.
«Non è vero!»
«Sì, invece.»
«No, io sono molto virile! Diglielo Peter!»
«Ehm … James … tu …» balbettò Wormtail in evidente difficoltà.
«Peter! Neanche tu mi appoggi!»
«Ma io …»
«Ti consideravo mio amico!» lo aggredì Prongs probabilmente punto sull’orgoglio.
«Ma James … è solo che … insomma …»
«È inutile che provi a difenderti! Che razza di amici che ho!»
«Adesso fa l’offeso» lo prese in giro Remus.
«Mi dai un pugno, mi dite che strillo come una ragazza, salta fuori che secondo voi non ho un briciolo di virilità, vengo tradito Peter e poi non devo offendermi! Che ingiustizia!»
Scoppiammo tutti a ridere in seguito alla scenata di James e molte ragazze si girarono a guardarci. Sembravano mangiarci con gli occhi e la cosa non mi dispiaceva, ero abituato ad essere al centro dell’attenzione e sapere di essere l’oggetto dei loro desideri era abbastanza soddisfacente.
Arrivammo alle serre e prendemmo posto in fondo al lungo tavolone già occupato da tutti gli strumenti per la lezione.
Non ero mai stato un tipo da storia seria, non ci avevo neanche mai pensato. A me piaceva divertirmi, non ero fatto per impegnarmi, almeno non ora. Alcune ragazze avevano provato a chiedermi di fare coppia, anche solo per poco tempo, ma proprio non faceva per me. Io non ero James, non potevo stare con una ragazza e provare a fare andare le cose per il verso giusto, nonostante anche lui avesse avuto il suo periodo di allergia ad ogni tipo di relazione stabile, e poi aveva trovato “l’amore della sua vita”, ma per me non sarebbe mai successo. Le ragazze che uscivano con me sapevano a cosa andavano incontro; nessun impegno, nessuna promessa. Non lo facevo con cattiveria e in realtà mi dispiaceva anche non poter dare loro il tipo di rapporto che cercavano. Ero semplicemente fatto così, Moony una volta aveva provato a psicoanalizzarmi. Secondo lui rifiutavo ogni tipo di affetto perché ne avevo paura, avendo trascorso l’infanzia con una famiglia che non conosceva amore, tendevo a rifiutare l’idea di potermelo permettere. Poi era arrivato James, mio fratello. Ero rimasto così sorpreso da quel bambinetto che mi aveva subito dato il suo cuore senza pretendere nulla in cambio, in neanche cinque minuti mi aveva giurato amicizia eterna e, senza nemmeno saperlo, mi aveva donato una cosa che non sapevo che potesse esistere.
Certo, c’era stato Regulus, gli avevo voluto bene, ma prima di Hogwarts c’era comunque stata una sottile ma netta linea a separarci. Eravamo cresciuti diversamente, lui aveva deciso fin da subito di essere il perfetto Black, rispettando e compiacendo le assurdità dei nostri genitori, mentre io non ero riuscito a rientrare nel perfetto e disfunzionale schema di famiglia.
Crescendo, io diventai il ribelle ancora più odiato e lui il pupillo perfetto dei nostri genitori, mentre con James e i Malandrini le cose erano diverse. Loro sapevano che ero un idiota, sapevano che non mi piacevano certe smancerie, ma erano anche a conoscenza del fatto che nel profondo le desiderassi.
«Pad! Ehi!» mi chiamò Prongs.
Oh Merlino! Avevo passato cinque minuti buoni imbambolato, mentre il resto della classe stava già accarezzando delle piante.
«Che mi sono perso?»
«Dobbiamo calmarla, non ho capito il nome della pianta, ma è velenosa. Non so, Frank dice di accarezzarla, di dirle cose dolci e rassicuranti» mi rispose lui titubante.
Nessuno di noi era particolarmente sveglio in Erbologia, l’unico era Frank, ma lui era vicino alle ragazze, per cui niente aiuti.
Guardai la mia pianta con occhio vigile e avvicinai cautamente le mani, ma James mi distrasse dal mio intento.
«Ehi piantina, sei molto carina, lo sai? Hai delle … sì, delle belle foglie lucenti e un fusto molto solido. Sei molto bella, sì, davvero molto bella.»
E poi James si lamentava della sua mancanza di virilità, ero ovvio che così nessuno l’avrebbe mai preso sul serio.
Nel frattempo, la misteriosa pianta senza nome stava già tentando di squartare la mano del povero Peter, mentre Remus intonava quella che sembrava essere una ninna nanna babbana o qualcosa di simile. Guardai Frank e rimasi sorpreso nel vedere che la sua pianta giaceva nel vaso senza lamentarsi e senza uccidere nessuno.
«Oh, andiamo! Non siate timidi ragazzi! Il signor Paciock ha già finito, datevi da fare!» ci incoraggiò la Sprite facendo un giro del tavolo per vedere come stessimo lavorando.
Va bene, forse avrei dovuto mettermi d’impegno se volevo uscire tutto intero da questa situazione.
«Come facciamo?» bisbigliai a James.
«Non lo so. Dai bella piantina, rilassati. Fallo per zio James, per favore.»
Mi scappò una risata che non passò inosservata al resto della classe.
«Zio James?» lo presi in giro.
«Che c’è di male?»
«E me lo stai chiedendo? Prongs, stai implorando una fottuta pianta.»
Lui fece una smorfia e io risi di nuovo.
«Allora pianta, le cose stanno così: se collaboriamo possiamo ottenere tutti e due un vantaggio, se non collaboriamo … beh, posso sempre tagliarti le tue belle foglioline. Cosa scegli?»
La pianta in risposta fece un sibilo minaccioso, e per un attimo temetti veramente il peggio, ma con mia grande sorpresa abbassò di poco i rametti che la ricoprivano.
«Bene, perfetto. Vedo che ci siamo capiti, ora prova a rilassarti. Su, fai la brava» continuai mormorando.
In risposta lei si afflosciò su se stessa fino a rendersi innocua. Mi guardai attorno e notai che molti altri ci erano riusciti, comprese le ragazze e Remus.
Wormtail stava ancora lottando per non rimetterci qualche arto e James sembrava sul punto di esplodere in una crisi isterica di prima categoria.
«Ti prego! Per favore, non farmi questo! Io ho bisogno che tu faccia la brava. Ti prego, ti prego, ti prego!» piagnucolava Prongs con aria afflitta. Era davvero ridicolo.
«Tu!» disse rivolgendosi verso di me, «come ci sei riuscito?»  
«Abbiamo chiacchierato un po’ …»
«Non è possibile! Non è giusto!»
«James, più ti arrabbi e più lei si agita» intervenne Moony, pacato come sempre.
«Semplice per voi» protestò sempre più indispettito.
«Fai un profondo respiro e pensa a … ehm … a Lily. Rivolgiti alla pianta come se ti stessi per rivolgere a lei» bisbigliò Remus in modo che solo noi potessimo sentirlo.
Per tutte le consunte mutande leopardate di Morgana! Uno sproloquio interminabile su Lily Evans non era esattamente ciò che avrei voluto ascoltare.
«Secondo voi funzionerà?» domandò Prongs d’un tratto più timido.
«Male di certo non fa» tentò Wormtail battendogli pacche d’incoraggiamento sulla spalla. Sbuffai, ma nessuno mi prestò attenzione.
«Allora, so che non andiamo tanto d’accordo, ma potremmo farlo, se volessimo. Vorrei solo che tu capissi che non voglio farti del male, non lo farei mai. Puoi fidarti di me, io non sono pericoloso. Credimi, l’ultima cosa che voglio fare è ferirti. Ti sembrerà strano, ma ho un certo rispetto per le creature come te. Sei tenace, forte» sussurrò pacato. «Mi ricordi una persona che conosco, ma ho bisogno soltanto una cosa da te. Puoi aiutarmi? Per favore, potresti provare a calmarti per me?»
La cosa più sorprendente, oltre ad aver ottenuto la totale obbedienza della pianta, fu il tono con cui James pronunciò queste parole. Era tenero, amichevole, quasi impacciato. Aveva davvero pensato alla Evans, anche se ancora non riuscivo a capire perché questa cosa mi sorprendesse in continuazione. Forse speravo che James potesse aprire gli occhi.
Di nuovo mi chiusi in me stesso e mi allontanai mentalmente dalle esultazioni di Prongs, dal panico di Peter e dalla lezione della Sprite.
Non potevo accettare che una persona così speciale come James si fosse impuntata su una tanto banale come la Evans.
La guardai, forse desiderando trovarvi quei particolari che tanto enfatizzava James, ma non mi sembrava nulla di così sorprendente. Più la guardavo e più mi venivano in mente tutte le volte che aveva ridotto Prongs uno straccio, tutte le volte che eravamo finiti in punizione per colpa sua, tutte le volte che aveva dimostrato il suo odio verso di noi. Non riuscivo a capire come Remus o Alice e Mary potessero esserle amici. Non la odiavo, no, però non sopportavo quel suo modo altezzoso di fare. In realtà con le altre persone sembrava anche piuttosto gentile, addirittura altruista, ma evidentemente era solo con me e James che sfogava tutta la sua rabbia. E che rabbia poteva avere la Evans? Quali dannate ingiustizie poteva aver subito?
Nessuna, mi sembrava piuttosto ovvio. Era una strega brillante, questo bisognava concederglielo, probabilmente aveva una bella famiglia che l’amava, una vita felice. Certo, c’era stato Mocciosus, ma mi pareva che lei l’avesse presa bene dopo la fine di quella disgustosa amicizia. Era una NataBabbana, ma non era in pericolo e con ogni probabilità non lo sarebbe mai stata. Cosa potevano volere i Mangiamorte da lei? Era una come tanti, nessuno l’avrebbe mai notata. Lei non aveva un fratello bastardo o una famiglia che non l’aveva mai accettata, no, la Evans era una persona senza nessun tipo di difficoltà.
E allora cosa ci trovava James in lei? Cosa ci vedevano di tanto interessante le altre  persone?
Sapevo che molti ragazzi la consideravano bella, li avevo sentiti o visto molti di loro chiederle di uscire. Anche adesso, mentre le sue labbra erano distese in un sorriso divertito, la trovavo perfettamente detestabile. In effetti era bella ragazza, questo era vero, ma bastava che aprisse la bocca e l’effetto era rovinato. Una sputa sentenze so tutto io, ecco cos’era.
«Sirius? Sir! L’hai fatto di nuovo!» mi riprese James.
«… e per la prossima volta voglio cinquanta centimetri di pergamena sugli effetti che abbiamo appena visto. Signor Gallin, sicuro di stare bene?»
Riemersi nel mondo reale e il viso di James mi guardò preoccupato.
«Ho fatto cosa?»
«Chiuderti in te stesso» mi rispose Moony con lo stesso sguardo di Prongs.
«Ero soltanto sovrappensiero! Per Godric, quanta apprensione!» mi lamentai uscendo meccanicamente insieme agli altri.
«Ringrazia che ogni tanto qualcuno si preoccupi, idiota.»
Accelerammo il passo quando Wormtail iniziò a decantare ogni genere di pietanza servita ad Hogwarts, aveva fame e il suo stomaco brontolava impaziente.
Quando arrivammo in Sala Grande i vassoi erano già stracolmi di prelibatezze che avrebbero di sicuro colmato la voracità di Pete. Le ragazze si sistemarono accanto a noi e iniziammo a parlare del più e del meno. Mary raccontò della caduta epocale di un secondino che questa mattina aveva tentato invano di salire nei dormitori femminili. Pivello …
Mentre Mary stava descrivendo il modo in cui era rotolato malamente giù dalle scale del dormitorio femminile, James, troppo preso dal racconto, decise di far levitare la brocca di succo di zucca per non perdersi neanche una parola, peccato che quando si arrivò alla parte in cui al bambino si strappò la parte posteriore dei pantaloni, finendo con il sedere all’aria, James perse di poco la concentrazione e buona parte del succo si rovesciò, ironia della sorte, sul grembo della Evans.
«Potter! Cosa diavolo pensavi di fare! Si può sapere cos’hai in quella stupida testa bacata?» gridò furiosa. Merda.
«Oddio, mi dispiace molto!» tentò di scusarsi Prongs.
La Evans si alzò con un balzo dal tavolo e un po’di teste si girarono verso la nostra parte. Merda, merda, merda.
«Sei così, così, così … Irritante! Possibile che devi sempre combinare un casino!»
«Lily, tesoro, calmati.»
«Non dirmi di calmarmi, Alice! Come se fosse la prima volta che mi rovescia qualcosa addosso!» strillò. Ripetere nuovamente la parola merda sarebbe stato troppo poco.
«Posso asciugartela con un incantesimo. Mi dispiace veramente molto, non l’ho fatto di proposito.»
«No! Lascia perdere, faccio da sola!»
La Evans si risedette al suo posto e con un veloce movimento di bacchetta tutto il succo venne asciugato, ma le rimase stampato in volto a caratteri cubitali lo sguardo maniacale tipico della sua psicopatia.
Se la Evans era arrabbiata, James se ne stava seduto mogio e dispiaciuto con un’espressione da cucciolo bastonato. Faceva tenerezza pure a me quando faceva così, possibile che la Evans non capisse che Prongs era veramente dispiaciuto?
Ecco, era in questi momenti che la detestavo. Ora mi sarebbe toccato sorbire un James depresso per il resto della giornata, tutta colpa di quella stupida. Non le sarebbe costato nulla accettare le scuse di Prongs ed evitare una scenata, ma no, lei doveva per forza arrabbiarsi e strillare come la ragazzina sciocca ed egoista che era.
«Lily …»
«Evans!» sbraitò con un diavolo per capello.
«Okay, okay» James alzò le mani in segno di resa e poi continuò, «Evans, mi dispiace veramente molto, mi sono distratto. Puoi perdonarmi?»
Il vecchio James avrebbe fatto saltare ancora di più i nervi della Evans, il nuovo James le aveva chiesto scusa con tono serio e maturo. Che gran sfigato.
«Smettila di assillarmi Potter!» fu la risposta di lei.
Mary le lanciò uno sguardo ammonitore e lei abbassò la testa con uno scatto.
Remus si occupò di James e a me e Peter non rimase che mangiare in silenzio.
Notai che tra il tavolo Grifondoro volavano certi sguardi e molti avevano un sorrisetto divertito, effettivamente quei due riuscivano sempre a dare spettacolo. Anche io mi sarei fatto beffe di loro, se solo non sentissi quello stupido peso all’altezza dello stomaco. James era mio fratello, tutto ciò che lui sentiva, lo sentivo di riflesso anche io. Ed era una gran fregatura.
L’unica persona che avevo veramente a cuore era James. Lui mi aveva accolto quando non avevo più un posto in cui stare, lui mi era sempre stato accanto, nonostante il mio carattere di merda e nonostante tutti i problemi che trascinavo con me.
Nelle lunghissime giornate a Grimmauld Place, quando contavo le ore che mi separavano dal ritorno a scuola o quando scappavo di nascosto per ritornare a essere me stesso anche solo per pochi minuti, era la compagnia di James a non farmi perdere la lucidità. Ci parlavamo attraverso gli specchi gemelli o ci scrivevamo via gufo, anche se molto spesso le nostre lettere venivano intercettate dalla mia famiglia e quindi addio contatti con il mondo esterno. La cara Walburga era veramente un asso in fatture e maledizioni, mentre il buon vecchio Orion preferiva metodi più tradizionali, come reclusione forzata in camera senza cibo ne acqua o le mazzate di Kreacher, quello stupido elfo provava piacere nel vedermi coperto di sangue.
Essere nato Black era stata la mia maledizione, ma essere diventato un Potter era stata la mia salvezza.

****

La luce entrava offuscata dalla piccola finestrella della stanza. Le pareti scure e scrostate creavano strani giochi di ombre e la Testa di Porco non era mai apparsa così trascurata. Aberforth era riuscito a mandare via quei pochi clienti inusuali, liquidandoli con una banale “Sto chiudendo, ho da fare”.
Quel vocione e l’aspetto rozzo e grezzo riuscivano a metter paura a chiunque.
Ah, se solo quei poveretti avessero saputo che in realtà qui si sarebbe riunita un’associazione segreta che combatteva silenziosamente Voldemort se ne sarebbero andati via da soli.
La situazione stava peggiorando, le perone avevano sempre più paura e pochi erano quelli che avevano ancora il coraggio di combattere. L’ordine della Fenice stava scivolando in uno stato di svantaggio permanente, ci servivano nuove persone, nuova speranza.
Li guardai tutti in viso, scrutandoli come ero solito fare. Sui loro volti era segnata l’apprensione e la preoccupazione data dal pensiero di poter perdere un amico, un alleato. Mi sentivo inquieto e tale era la distrazione in me che quasi non riuscivo a restare fermo.
La porta in legno massiccio si aprì, rivelando i visi di Benjamin Fenwick e Dearborn Caradoc e un primo sospiro generale ruppe il silenzio nella stanza.
«Stanno bene, lo scontro non è stato particolarmente violento, i Prewett hanno saputo cavarsela ed Emmeline ha contratto solo qualche graffio. C’erano i due Lestrange e Malfoy» raccontò Dearborn con il fiatone e un secondo sospiro di sollievo invase tutti quanti.
«Meno male» sussurrò Dorea portandosi una mano al cuore e Charlus, accanto a lei, le mise una mano sulla spalla.
«Dovevano essere più cauti, lo dico sempre io! Vigilanza costante!» abbaiò Alastor e Benjamin ridacchiò.
«Allora Albus, come ci organizziamo?» mi domandò Elphias.
Gli occhi di tutti ritornarono sulla mia figura e mi lisciai la barba meditando. A rigor di logica, Voldemort non avrebbe aspettato ancora molto prima di sferrare un nuovo attacco. Il Ministero stava ancora ripulendo la memoria dei babbani sopravvissuti all’esplosione causata dai Mangiamorte a Liverpool, ma se conoscevo Tom, qualcosa mi diceva che avrebbe puntato ad un’altra grande città. Il problema consisteva nel prevedere quale.
«Credo che Voldemort punterà ad un'altra città, non saprei dirvi quale però. Qualcuno ha qualche idea?»
Dovetti reggere gli sguardi sconsolati dei presenti e Aberforth, che di certo non mancava mai di sottolineare la sua impazienza, sbuffò seccato.
«Io dico di attaccarli! Non possiamo continuare a giocare al gatto e al topo, dobbiamo agire!»
«Già siamo in pochi, se li attacchiamo apertamente rischiamo di subire qualche perdita» replicò Charlus.
A questo punto mio fratello batté un rumoroso pugno sul tavolo di legno scuro e il viso gli si oscurò. «Qualche perdita? Perché secondo te così non stiamo già perdendo? Stupidaggini. Qui ci vuole uno scontro con i fiocchi. Quegli schifosi devono capire che c’è qualcuno che ancora gli tiene testa.»
«Aberforth, ragiona. Succederà un pandemonio, e non solo con i Mangiamorte. Pensa al Ministero … quante grane salteranno fuori, ci sono degli infiltrati, lo sai» tentò di convincerlo Elphias.
«Ah, sai cosa me ne faccio di quei rincitrulliti del Ministero!»
«Aberforth» lo richiamai mettendo fine alla discussione.
Quando tutti si zittirono continuai. «Queste chiacchere inutili non ci portano da nessuna parte, dobbiamo capire come agire, ma dobbiamo farlo con la solita discrezione. Dove possiamo fare la prossima riunione?»
«Da noi può andare bene» rispose Dorea sicura.
«Bene, convocherò tutto l’Ordine. Direi … sabato prossimo? Può andare bene?»
Tutti annuirono gravi e si alzarono, avviandosi verso la porta.
Benjamin, Dearborn e Charlus parlottavano tra loro, mente Alastor ed Elphias tentavano invano di far ragionare Aberforth.
Dorea mi si avvicinò e la sua espressione mi fece capire che qualcosa la turbava.
Era una donna dall’animo forte, ma sapevo che poteva essere particolarmente fragile. La famiglia era il suo punto debole, per cui immaginai che dovesse trattarsi di questo.
«Cosa ti turba, mia cara? Lo leggo nei tuoi occhi.»
«È solo che … oh, non so se dovrei disturbarti per questo, Albus» mi rispose titubante.
«Dorea, dimmi pure.»
«Sono preoccupata. Charlus fa continuamente pattuglie per il Ministero, l’altro giorno ci è mancato veramente poco, ed entrambi siamo sempre fuori per l’Ordine. Tu li vedi i miei ragazzi, stanno bene vero?»
Le sorrisi dolcemente. «Credimi Dorea, James e Sirius stanno benissimo. E se sei preoccupata per Charlus, potete sempre diminuire i turni, nessuno vi obbliga, cara.»
«Ma no! Siamo felici di dare il nostro contributo, ci mancherebbe! È solo che a volte, non so … penso che rischiamo molto ogni giorno e che potrebbe succedere che li lasciamo soli alla fine, i due scapestrati che ho per figli.»
Dorea era una madre, erano comprensibili i suoi timori.
«Non ti angosciare, cara. Tu e Charlus ve la cavate egregiamente e se vuoi … potrei tenerli d’occhio per voi, i due scapestrati» risposi facendole l’occhiolino.
«Lo faresti? Ti ringrazio davvero Albus. Ho visto che quest’estate sono cresciuti molto, in effetti la tua idea di nominare James Caposcuola ci ha un po’ sorpresi, però so che se l’hai fatto un motivo c’è, per cui ti ringrazio. Lo confesso, ero un po’ orgogliosa.»
Ridacchiai e sospirai enigmatico. «Ah, l’amore fa maturare anche i cuori più giocosi. Tranquilla Dorea, i tuoi ragazzi sono al sicuro e farò in modo che lo siate anche tu e Charlus. Ora va’ e non ti rattristare.»
Lei mi sorrise riconoscente e poi andò verso il marito.
Uno dopo l’altro uscirono dalla locanda e si smaterializzarono velocemente.
«Torno ad Hogwarts» dichiarai girandomi verso Aberforth.
Era ritornato dietro al bancone e stava lavando dei boccali vuoti di qualche bevanda.
L’ispida barba si bagnava sulle punte, ma lui non sembrava curarsene e le grosse mani si muovevano attorno ai bicchieri con movimenti grossolani.  
Mio fratello mi squadrò, respirando rumorosamente dal naso. «Certo, certo.»
Mi smaterializzai proprio nel mio ufficio, atterrando davanti alla scrivania e mi sistemai sulla grossa poltrona in velluto.
«Dove sei stato?» mi domandò il ritratto di Phineas Black.
«Fuori, dovevo sistemare alcune faccende» risposi vago.
Mi passai una mano sul viso, stanco e abbattuto.
Non riuscivo a venirne a capo, non sapevo come prevedere le mosse di Tom. Aveva attaccato per lo più grandi città babbane, ma non erano mancati anche piccoli sobborghi o comunità magiche. Questa volta si stava rivelando più astuto di me e non potevo permetterlo.
Mi alzai e andai verso la finestra.
Il cielo era limpido e il sole alto e splendente, doveva essere da poco passata l’ora di pranzo. Sarebbe stato un pomeriggio di meditazione, dovevo assolutamente trovare una strategia vincente, l’Ordine aveva un compito ben definito da svolgere e io avevo il mio.
Sospirai e provai ad immedesimarmi nella mente del mio avversario.
A volte bastava soltanto vestire i panni di un’altra persona per comprenderne le sfumature.
Certo, a volte.

****
 
«Siete due idioti.»
«Non è la prima volta che ce lo dici» risposi io mentre Sirius annuiva.
«Siete due idioti» ripeté Remus.
«Sì, lo sappiamo» constatò Padfoot chiudendo il libro di Erbologia.
«Sono le cinque …»
«La punizione!» urlai rendendomi conto solo in quel momento che eravamo in ritardo.
La McGranitt ci avrebbe scuoiati vivi.
Lasciai i libri lì dov’erano e mi catapultai fuori della sala comune, correndo insieme a Sirius.
«Fottuto, fottutissimo orario!» imprecò Padfoot con il fiatone che rendeva più difficile pronunciare quelle poche parole.
Scendemmo le scale che portavano al primo piano saltando due gradini alla volta e per poco non travolsi un gruppetto di primini. Arrivammo davanti all’ufficio della McGranitt con il fiato corto e qualche goccia di sudore sulla fronte.
«E pensare che dovremmo essere allenati a correre» scherzò Sir lisciando i pantaloni neri della divisa.
«Mai dare per scontato» risposi io pulendomi gli occhiali.
Bussai alla porta e la voce della McGranitt ci esortò ad entrare.
«Come al solito siete in ritardo. Ma mi chiedo io, ci sarà una buona volta in cui vi presenterete alla mia porta in orario e sistemati per bene? Ormai ho perso le speranze» esordì con fare rassegnato.
«Allora, questa sera mi aiuterete a riordinare queste cartelle, il Signor Black aveva già iniziato questo lunedì, quindi direi che potete portare a termine il lavoro. Le voglio schedate in ordine alfabetico, intesi?»
Annuimmo e iniziammo con il primo pacco. A quanto pare erano vecchi schedari di G.U.F.O. e M.A.G.O.
«Ehi James, guarda qui. Amedeus Gribbens … Troll in tutte le materie!»  
«Oh Merlino! Che gran stupido devi essere per riuscire a prendere Troll in Babbanologia!» ridacchiai io.
«Non finirete mai se andate avanti a questo ritmo» ci riprese la McGranitt.
Iniziammo ad impilare i vecchi schedari e tra una risata e l’altra si fecero le sette. Finimmo giusto in tempo per vedere lo sguardo della McGranitt posarsi sul nostro operato.
«Bene, direi che avete finito. Mi verrebbe da dire “che vi serva da lezione”, ma so che tanto non cambierà nulla. Dopo sei anni, anche io imparo le mie lezioni. Forza, andate a cena e guai a voi se combinate qualche guaio nel frattempo» ci congedò.
Uscimmo dalla stanza con il sorriso sulle labbra e ci dirigemmo in sala grande.
«Non ti è sembrata più gentile del solito?»
«Già.»
Il profumo di pollo arrosto e patate ci invase le narici e i nostri stomaci brontolarono sincronizzati.
«Secondo te Wormtail ci avrà lasciato qualcosa?»
«Sono solo le sette, Sir. Saranno appena scesi, è impossibile che Pet abbia già fatto razzia.»
Percorremmo il corridoio deserto e poi sentimmo delle voci.
«Ehi guardate! Sono quei cretini Potter e Black!»
Mulciber, Avery e Piton ci raggiunsero con passo lento. I primi due sembravano presi da una particolare euforia, il terzo se ne stava più indietro e ci guardava annoiato.
Perfetto, ora sì che le cose si facevano interessanti.
«Oh, guarda Sirius! Abbiamo compagnia, che bello!» esclamai fingendomi contento.
La verità era che continuavo a squadrare Mocciosus, quello schifosissimo pezzo di bolide stagionato.
«Bleah, che schifo. Mocciosus, ancora non ti sei lavato i capelli? Andiamo, hai avuto un’intera estate per farlo» ridacchiò Padfoot.
«Secondo me neanche sa come si fa, tu che dici Sir?»
«Smettetela, stupidi imbecilli. Vi credete divertenti? Ti credi furbo, eh Potter?»
«Sicuramente più furbo di te, mio caro Mocciosus» risi compiaciuto.
Avery sputò sul pavimento e Mulciber alzò la bacchetta puntandocela contro, noi lo imitammo e il risultato fu come in quei film babbani che una volta mi aveva fatto vedere Sirius. Beh, quelli con i towboy e le fistole.
«Noi siamo tre e voi siete due» constatò ghignando Mulciber.
«Beh, tecnicamente non è proprio così. Diciamo che se sommiamo i nostri due cervelli vengono fuori tre persone, quindi siamo in parità» ridacchiò Padfoot.
«E poi voi perdete punti per via dei capelli unti di Mocciosus e …aspettate un momento! Io sono un Caposcuola! Per Merlino, me l’ero scordato!» esclamai. «Quindi, tolgo dieci punti alla casa Serpeverde per aver alzato le bacchette contro degli studenti innocenti, altro da aggiungere Sir?»
«No, direi di no James. Hai fatto un ottimo lavoro!»            
Senza che potessimo fare nulla per evitarlo, dalla bacchetta di Avery partì un incantesimo Incarceramus diretto proprio verso il petto di Sirius.
Padfoot si buttò a terra e io lanciai un Expelliarmus che disarcionò Avery, ma mentre vidi la sua bacchetta schizzare via, qualcosa mi colpì alle costole e mi scaraventò a terra. Sentii un forte dolore, ma strinsi i denti e riaprii gli occhi.
Sirius era davanti a me e aveva sbalzato Mulciber qualche metro più in là.
«Exulcero!» urlò Padfoot.
«Stupeficium!» gridò Piton.
I due incantesimi si sfiorarono e quello di Sirius arrivò a segno, mentre lo Stupeficium di Piton colpì di strisciò Padfoot, provocandogli un taglio all’altezza della spalla dalla quale cominciò a sgorgare sangue. Il viso di Piton si riempì di piccole ustioni, simili a punture e io mi alzai con fatica.
«Expelliarmus!» dissi, disarmando anche Piton.
«Forza Piton! Cosa vuoi fare adesso!» gridò Sirius furente.
Gli tremavano le mani e il suo viso era latteo e sudato.
«La pagherete! Cruc …» sibilò Avery minaccioso, ma Mocciosus lo fermò bloccandogli un braccio.
«Ci beccheranno se li finiamo.» Piton prese le bacchette da terra e se la filarono trascinandosi dietro il corpo debole di Mulciber.
«Li lasciamo andare così?» mi guardò Sirius furioso.
Anche dentro di me si stava scatenando una tempesta, ma dovevo impormi di stare calmo. Lo dovevo fare per Sirius, mio fratello.
Non avrebbe retto la situazione ancora a lungo e probabilmente neppure io. Era come lottare contro se stessi, la voglia di ammazzarli con le mie stesse mani era immensa e tentatrice. Loro ci avevano attaccati, ci avevano scagliato contro fatture e incantesimi e Avery … Avery aveva tentato di cruciarci.
«Sì, anche loro la pagheranno. Sirius ti sta sanguinando la spalla, forse è meglio andare da Madama Chips» mi costrinsi a dire, provando disgusto verso me stesso nel rinunciare alla sfida che avremmo potuto ancora vincere.
«E anche tu perdi sangue, ma non possiamo andare da Madama Chips, quando ci chiederà cosa è successo cosa le diremo? Abbiamo avuto uno scontro con i Serpeverde? Non possiamo.»
Sentivo un dolore continuo alle costole e mi doleva la testa per via della caduta, ma guardai Sirius preoccupato. Il suo taglio non smetteva di sanguinare e ormai aveva lasciato una grossa ed evidente macchia sulla camicia. Aveva ragione, non potevo dirlo a nessuno. Sapevo che anche se avessimo provato a parlarne con Silente le conseguenze sarebbero state troppo grandi per poterle evitare. Ci sarebbe stata una guerra anche dentro Hogwarts, oltre che fuori. E non ero ancora pronto a trascinare nel vortice con me tutte le persone a cui tenevo. Sirius, i Malandrini … Lily.
Il suo nome risuonò in me come una campana. No! Non avrei permesso che questo genere di cose di rendessero la vita di Lily un inferno. Lei non se lo meritava, non potevo lasciare che accadesse.
Era ovvio che ormai buona parte dei Serpeverde aveva scelto di passare dalla parte sbagliata e nel profondo del mio cuore sapevo che Piton e il suo gruppo ci erano dentro fino alla testa. Magari non erano ancora Mangiamorte, ma in ogni caso si comportavano come tali e questa sera era stata la prova definitiva.
«Cosa facciamo?» domandai.
«Andiamo in stanza. Ci medicheremo come facciamo sempre quando torniamo dalla luna piena.»
«E gli altri?»
«Remus e Peter noteranno la nostra assenza.»
Il tono di Sirius era troppo diretto, troppo conciso, troppo sbagliato.
Doveva essere scosso, lo eravamo entrambi.
Ci incamminammo con passo malfermo fino alle scale, pregando che nessuno potesse vederci per porre le ovvie domande sbagliate. I quadri erano troppo presi nelle loro conversazioni per notarci e io e Sirius nascondevamo a vicenda la parte ferita ai loro sguardi.
Si sentiva un certo brusio diffondersi dalla sala grande e immaginai, in un disperato tentativo di non pensare a ciò che era successo, Remus e Pet intenti a divorarsi l’intero tavolo dalla fame.
«Questa mattina ho beccato mio fratello e quegli idioti del suo anno mentre spaventavano un bambinetto. Ci siamo sfidati, ma solo verbalmente. Ecco, volevo dirtelo.»
Mi fermai di botto e la costola fece i capricci per il movimento brusco. La ignorai e guardai mio fratello incredulo.
Perché diavolo non me l’aveva detto? Si era scontrato con Regulus e non ne aveva fatto parola per tutto il giorno. Sirius sapeva essere proprio stupido quando voleva.
«Razza di idiota! Sapevi di potermelo dire!»
«Oh, James. Non fare le tue solite scenate» scherzò lui.
Evidentemente non capiva che io non avevo proprio nulla da scherzare.
«Per una delle poche volte nella mia vita, sono assolutamente serio.»
Entrammo in sala comune, pronunciando velocemente la parola d’ordine alla Signora Grassa e salimmo rapidamente le scale della torre fino alla nostra camera.
«Lo so. È solo che ormai non ci faccio più nemmeno caso a Regulus.»
Questa era una grossa bugia. Per quanto provasse a rinnegare quel legame che li univa, purtroppo quello non si slegava mai. I segni indelebili che la sua famiglia gli aveva inflitto se li sarebbe portati con lui per sempre.
«Ciò non toglie che avresti potuto dirmelo» provai a spiegare. Era vitale per me che Sirius capisse che poteva dirmi qualunque cosa volesse, che poteva fidarsi.
«Lo so.»
E per me, o per lo strano e contorto linguaggio di Padfoot, quel “lo so” equivaleva ad uno “scusa”. E mi bastava, perché se conoscevo quel cagnaccio insopportabile, sapevo che giorno dopo giorno si stava sforzando di farci capire che anche lui aveva dei sentimenti.
Lo sapevo già da quando, tempo prima, l’avevo incontrato per la prima volta sul treno per Hogwarts. Lo avevo saputo quando avevamo scoperto il segreto di Remus, quando ci eravamo trasformati in Animagus, quando lui era scappato di casa ed era venuto da me. Me l’ero travato davanti la porta di casa, insanguinato e in pigiama, ma non mi era importato, e per una volta ci eravamo abbracciati come non facevamo mai, ma in realtà come facevamo sempre.
Perché a noi due bastava la sola presenza dell’altro, per me c’era lui e per lui c’ero io. E quando ci stuzzicavamo o facevamo squadra, eravamo insieme. Poco importava in che modo lo dimostravamo, l’importante era esserci, e ormai l’avevo capito.
  
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