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Autore: SunlitDays    08/04/2015    1 recensioni
Raccolta di fic AU scritte per l'iniziativa 100AU indetta dal campmezzonsangue, Percabeth per la maggior parte, ma non escludo che potranno esserci altre coppie.
Prompt #23: Facciamo per caso cosplay di una ship popolare!AU (PLOT TWIST: è la nostra NOTP) [Percabeth]
Prompt #43: Sono un attivista e sto cercando di convertirti alla causa!AU [Perachel]
Prompt #13 Faccio di tutto per scoprire l'identità di questo supereroe e tu cerchi di depistarmi perché in realtà sei tu!AU [Percabeth]
La loro “relazione”, se così la si poteva chiamare, era nata poco più di un anno prima, quando Percy stava cominciando a realizzare che il rischio di essere scoperto era molto più grande di quanto avesse immaginato all’inizio della sua “carriera da supereroe”.
Genere: Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Rachel Elizabeth Dare
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Di Cortei e Penne in Ostaggio
Ship: Percy/Rachel
Rating: verde
Warning: AU
Wordcount: 1075 (fdp)
NdA: scritta per la challenge 100AU con il prompt #43 Sono un attivista e sto cercando di convertirti alla causa!AU e in risposta a tutto l’odio che Rachel e la Perachel ancora ricevono.

 

Dedicata a tutte le Rachel/Perachel haters

 

Percy era convinto che le Parche avessero creato un complotto cosmico perché ogni mattina facesse tardi a lavoro.

Le immaginava sedute su vecchie e flosce poltrone, le loro mani raggrinzite e nodose che filavano e attorcigliavano il filo della sua vita. Poteva quasi sentire le loro voci rauche gracchiare: «Allora, Cloto, come roviniamo stamattina la vita di Percy Jackson?», «Be’, Lachesi, pensavo a una bella ruota bucata. L’altra volta è stato uno spasso. Che ne dici, Atropo?», «Mah, di nuovo? E poi oggi c’è il sole. Metà del divertimento sta nel vederlo arrancare con il cric sotto un torrente di pioggia. Pensavo piuttosto… a un corteo.»

«Già, ridete pure, brutte vecchie decrepite!» Dette un pugno di frustrazione allo sterzo e per sbaglio suonò il clacson. I manifestanti che circondavano la sua auto si girarono a guardarlo, i loro sguardi sembravano dire: suona pure quanto vuoi, idiota, tanto da qui noi non ci muoviamo.

Percy abbassò la testa; ci mancava solo che un gruppo di attivisti decidesse di strangolarlo con i loro striscioni.

Mise la marcia in folle e tirò il freno a mano, la sua mente già piena di possibili scuse da dare al suo capo. Dei, questo era il terzo ritardo quella settimana, ed era solo mercoledì. Non aveva nemmeno la radio con cui distrarsi perché il mese scorso ci aveva accidentalmente versato del caffè ed ora non funzionava più (per la cronaca: ho perso tempo a cercare invano di asciugare tutto il caffè trapelato nella radio non è una buona scusa da dare al capo).

Pensò di mandare un messaggio ad Annabeth per distrarsi, ma sapeva già come gli avrebbe risposto la sua migliore amica (se solo guardassi il telegiornale ogni tanto, avresti saputo che oggi c’era un corteo!) e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era di un’altra ramanzina, oltre a quella che avrebbe ricevuto appena entrato in ufficio.

I manifestanti intonarono un coro di protesta contro la disoccupazione giovanile, o forse la nuova riforma scolastica, o magari sul maltrattamento che ricevono i gattini quando i padroni fanno loro foto buffe da mettere su internet; chi poteva mai saperlo. Percy sapeva solo che entro quel pomeriggio si sarebbe trovato anche lui con uno striscione in mano a chiedere un lavoro.

Le sue dita cominciarono a tamburellare sullo sterzo a ritmo dei cori, ma era più un tic nervoso che un modo per sentirsi vicino alla causa.

Stava calcolando quanti morti avrebbe fatto se avesse ingranato la prima e premuto sull’acceleratore, quando lo sportello del passeggero si aprì e una ragazza si sedette in macchina.

Ora, come regola generale, per Percy non era un problema avere una rossa mozzafiato nella sua auto, anzi proprio il contrario: avrebbe voluto che capitasse più spesso. Ma se la summenzionata rossa mozzafiato entrava nella tua auto come se le appartenesse, sbattendo la portiera talmente forte da far tremare i vetri, e indossando dei jeans stracciati e macchiati di pittura e una t-shirt con su scritto I’M A FEMINIST, DEAL WITH IT, senza contare il fatto che non l’avevi mai vista prima, allora la cosa cominciava a farsi preoccupante.

«Ehm...» farfugliò Percy.

«Tieni, firma!» Gli schiaffò un foglio di carta in faccia e prima che Percy potesse aprire la bocca per chiederle cosa fosse (o per gridare aiuto), lei aveva già aperto il vano portaoggetti e ci stava frugando dentro.

«Cosa fai? Quella è la mia roba!» strillò indignato.

«Cerco una penna, no?» Lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Per la barba del profeta, questa macchina è un disastro!» E per sottolineare le sue parole, sventolò una piuma di piccione che aveva trovato sul cruscotto e calpestò alcuni fogli che si trovavano sotto i suoi piedi.

«Be’, scusa tanto. La prossima volta la terrò pulita nel caso una pazza decida di intrufolarsi nella mia macchina e mettere le mani nelle mie cose.»

La ragazza gli fece l’occhiolino. «Ti piacerebbe che mettessi le mani nelle tue cose, vero? Aww! Che tenero! Sei arrossito.» Gli pizzicò la guancia e tornò a frugare nel vano portaoggetti, come se non lo avesse profondamente mortificato.

«Senti… ecco, ce l’ho qui.» Cercò la penna nel taschino interno della giacca, prendendosi un paio di attimi per ridarsi un contegno.

«Non ti facevo un tipo da penna sempre in tasca» commentò lei.

Percy si fece coraggio e la guardò per bene. Aveva le guance screpolate dal sole, tante lentiggini punteggiavano il piccolo naso e si estendevano sulle sue gote, i suoi occhi verdi erano ridenti e maliziosi e i suoi riccioli rossi e spettinati erano tenuti su disordinatamente da una matita. «Sono anni che cerco di liberarmene,» riuscì a rispondere. «Ma in qualche modo riesce sempre a tornarmi in tasca.»

«Vedi? È stato il Fato! Anche lui vuole che tu firmi quel foglio.»

«Cosa dovrei firmare?»

«È un contratto in cui accetti di diventare il mio schiavetto sessuale per tre mesi. Sarai la mia personale Anastasia Steele.»

Percy rimase a bocca aperta.

Lei rise. «Ma no, scemo. È una petizione. Firmando ti dichiari contrario alla costruzione del nuovo centro commerciale.»

Percy batté le palpebre più volte, non sapendo bene da dove cominciare per spiegare quanto fosse assurda quella situazione. «Ma-ma io… io non sono contrario.»

«Certo che lo sei!» esclamò lei alzando gli occhi al cielo. «Per la costruzione di questo centro commerciale dovranno disboscare dieci ettari di terreno. Una strage! Non vuoi mica che centinaia di uccellini perdano il loro nido, vero?» Lo disse con lo stesso tono che una persona normale avrebbe usato per dire: non vorrai mica rubare il gelato a quell’orfanello, vero?

«No, certo che no» si sentì in dovere di rispondere Percy.

«Percy Jackson» sussurrò la ragazza, leggendo dalla sua spalla. Era troppo, tremendamente, vicina. Odorava di mele e di pittura ad odio. La firma gli uscì un po’ obliqua.

«Scrivi anche il tuo numero di cellulare.»

«Dice che è facoltativo.»

«Scrivilo lo stesso.»

Percy ubbidì.

«Perfetto!» esclamò lei, sfilandogli il foglio dalle mani. «È stato un piacere, Percy Jackson. Io sono Rachel Elizabeth Dare e ho la tua penna in ostaggio.» Gli agitò la penna sotto al naso e, così com’era entrata, uscì.

Due secondi dopo, Percy aveva il cellulare in mano.

Percy: Bloccato nel traffico del corteo. Lavoro perso di sicuro. Un ragazza mi è piombata addosso e ha preso in ostaggio la mia penna.

Annabeth: ...

Annabeth: Beh? Le hai chiesto il numero almeno?

Percy: no, ma credo che lei abbia il mio.

   
 
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