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Autore: fanny_rimes    10/04/2015    7 recensioni
Damon Salvatore, affascinante seduttore, fa strage di cuori — e di vittime — sullo sfondo di una Chicago proibizionista. Ma stavolta ha giocato con i sentimenti della donna sbagliata: una strega che lo condannerà a 100 anni di prigionia insieme ad un'Originale compagnia, a meno che il suo gelido cuore non impari ad amare.
Chicago, giorni nostri:
Per sfuggire ad un temporale estivo e ad un autostoppista molesto, Elena si ritrova davanti a quella che, dall'esterno, appare come una vecchia dimora abbandonata e distrutta dal tempo...
L'amore vero può davvero sciogliere un cuore di ghiaccio?
Dal testo:
Elena emise un gemito sommesso. «Vi prego, lasciatemi andare.»
Damon la guardò per un istante, allungando una mano per sfiorarle il viso in una leggera carezza da cui lei si ritrasse con un brivido. «Mi spiace, Elena, ma credo proprio che per un po' resterai con noi.»
Ispirato ai film "Beauty and the Beast" e "Beastly" e un tantino al classico Disney.
|AU| AR|
[Scritta per il contest a Turni "Qui comandano i Pacchetti", di DonnieTZ]
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon, Salvatore, Elena, Gilbert, Elijah, Klaus, Mikael, Rebekah, Mikaelson | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Pacchetto scelto: Urano
- Azione: arrabbiarsi
- Oggetto: terra
- Immagine:https://encrypted-tbn2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcStfCgIdZK3uJZVF1sayWa8noeiBF0jO-CkWtuxGF9VOJexoR_uCA
- Citazione: È molto più sicuro essere temuti che amati.



 
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Promessa


 

«Mi annoio.» Rebekah sbuffò sonoramente, gettando da una parte la lima per le unghie e stirandosi la schiena.
Elijah sollevò appena lo sguardo dalla scacchiera, tutto preso dall'ennesima partita contro il fratello.
«Ho detto che mi annoio» ripeté l'altra stizzita.
«Oh, ti prego, sta' zitta» replicò Klaus in tono seccato.
Damon, in piedi accanto alla finestra, non riuscì a trattenere una risatina.
«La cosa ti diverte?» Rebekah incrociò le braccia al petto, poi si lasciò cadere contro la spalliera del divano. «E pensare che io un'idea per passare il tempo ce l'avrei...» aggiunse, indirizzandogli un'occhiata maliziosa quando lui si voltò a guardarla.
«Buongiorno, Elena. Dormito bene?»
La ragazza si era appena affacciata in cima alle scale e trasalì nel sentir pronunciare il proprio nome, anche se era stato Elijah a parlare.
«Sì, grazie» mormorò. «Io...» Si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, abbassando lo sguardo quando gli occhi di Damon si sollevarono su di lei. «Avrei un po' fame.»
Scese gli scalini, mentre Elijah si alzava dalla sua seduta imbottita, ma Damon fu più veloce.
«La colazione è sul tavolo» la informò.
Elena fece per mormorare un grazie, ma poi ci ripensò. Anche se erano gentili con lei, restavano pur sempre i suoi rapitori.
Si diresse verso la sala da pranzo, la stessa dove lei e Damon avevano cenato — o almeno ci avevano provato — la sera precedente.
Sulla superficie era distesa una lunga tovaglia di lino, su cui capeggiavano piatti e teiere.
«Chi è che ha preparato tutto questo?» chiese, aggrottando la fronte.
Dalla caffettiera si levava un sottile sbuffo di vapore e il bacon e le uova ancora sfrigolavano nel loro vassoio d'argento.
Allungò un dito per sfiorare un croissant: soffice e caldo.
Damon si voltò verso Elijah, come a voler chiedere il suoi aiuto e lui gli rivolse un cenno d'assenso in risposta.
«Credi nella magia, Elena?» le chiese, mentre lei scostava una sedia per accomodarsi al tavolo.
La ragazza restò un attimo in silenzio. «Credo in quello che vedo» rispose poi. «E in questa casa ho visto strane cose.»
L'altro incrociò le braccia al petto, poggiando una spalla contro lo stipite dell'ampio arco che collegava il salone alla sala da pranzo. «Che tipo di strane cose?» chiese con una smorfia.
«Ho visto il volto di Rebekah trasformarsi, la prima sera che sono entrata qui. E sono certa che Klaus abbia mandato in frantumi proprio questo tavolo... senza contare che ho visto la mia migliore amica praticare qualche incantesimo» confessò.
Carezzò piano la stoffa soffice della tovaglia. «E ho visto voi, intrappolati in questa casa. A meno che non siate degli psicopatici, sono coinvolta io stessa in una magia, o sbaglio?»
Damon piegò l'angolo delle labbra in un sorriso. «Touché» commento. «Quindi non sarà difficile per te immaginare che questo cibo abbia iniziato a comparire da quando hai messo piede qui dentro.»
Elena scosse la testa. «Sono comparsi dei vestiti anche nel mio armadio» lo informò. «E altri oggetti sulla toeletta.»
Afferrò un croissant, ma ne portò alla bocca solo un pezzettino. Parlare di Bonnie le aveva chiuso di nuovo lo stomaco. Aveva paura che non l'avrebbe mai più vista, che non avrebbe avuto più il tempo di riabbracciare suo fratello Jeremy o di ridere per le uscite assurde della sua amica Caroline.
Sollevò lo sguardo sull'enorme finestra a bovindo che si affacciava sul giardino. «Ha iniziato a piovere» commentò ad alta voce, osservando le piccole goccioline battere sul vetro.
Damon si scostò con un balzo dalla parete, Elijah e Klaus scattarono in piedi facendo stridere le loro sedie contro il pavimento e Rebekah si materializzò a qualche centimetro dal suo viso.
«Cosa c'è?» le chiese Elena, paralizzandosi sulla sua seduta.
«Tu vedi oltre le finestre?»
L'altra annuì, mentre la bionda si voltava verso gli uomini presenti con un sorriso trionfante. «Ho appena trovato un altro modo per passare la mattinata.»

«Ha smesso di piovere» mormorò Elena qualche ora più tardi, guardando fuori dalla finestra ed osservando le verdi foglie degli alberi.
«E c'è il sole?»
«Appena qualche raggio tra le nuvole.»
Damon chiuse gli occhi, come a voler assaporare la sensazione di calore sulla pelle che però non era in grado di sentire.
Rebekah sonnecchiava serena sul divano, mentre Elijah e Klaus avevano ripreso la loro partita a scacchi.
La ragazza poggiò i polpastrelli contro il vetro freddo, perdendosi tra i suoi pensieri.
«A cosa pensi?» le chiese lui.
Elena si sorprese a riflettere che i suoi occhi avevano lo stesso colore delle pozze d'acqua piovana in cui si riflettevano i tenui raggi del sole. Ma erano vuoti, distanti.
«Alle persone che in questo momento si stanno preoccupando per me» confessò.
Il vampiro distolse lo sguardo. «I tuoi genitori?»
Scosse la testa. «I miei genitori sono morti. Pensavo ai miei amici e a mio fratello.»
«Anche i miei genitori sono morti» rispose. «E ho un fratello anch'io ma... non lo vedo dal 1864.»
Elena sussultò a quelle parole. «1864?»
Sul viso del ragazzo si dipinse un sorriso amaro. «Lo so, sono ancora molto affascinante nonostante i miei anni.»
«Credevo che aveste smesso di invecchiare a causa dell'incantesimo.»
«Abbiamo smesso di invecchiare molto tempo fa, Elena.»
La ragazza aggrottò la fronte. «Pensavo che foste esseri umani colpiti da una maledizione.»
«Be', non lo siamo.»
La ragazza restò in silenzio per qualche istante. «Klaus ha detto che gli esseri umani non possono vedere questa casa. Perché io l'ho vista? Sono come voi?»
Damon si lasciò sfuggire una lieve risata. «No, non lo sei.»
«Allora cosa sono?»
«Non lo so.»
«E voi cosa siete?»
Lui fece per rispondere, ma la voce di Elijah li interruppe: «Una Doppelgänger.»
Entrambi si voltarono a guardarlo.
«Cosa?» chiesero entrambi.
«Ho dato un'occhiata ai vecchi libri di mia madre durante questi anni e credo di poter affermare che tu sia una Doppelgänger.»
«Sono il fantasma di qualcun altro?» Elena si strinse nelle braccia, mentre un brivido freddo le correva lungo la schiena.
Elijah scosse la testa. «Quella è solo una credenza. Sei solo la copia perfetta di qualcuno vissuto in passato. Ed è questa l'unica cosa che ti rende diversa da un normale essere umano.»
«È per questo che somiglio tanto a Katherine? Sono la sua copia?»
Fu Damon ad annuire. «Be', a quanto pare la strega aveva davvero commesso un errore con il suo incantesimo.»
«Non mi avete ancora detto cosa siete voi?» continuò lei.
Ancora una volta Damon provò a parlare, ma Elijah lo zittì con un'occhiata. «Credo che tu non sia ancora pronta per questo.»

Seduta al tavolo della sala da pranzo, Elena sbocconcellava della carne dal suo piatto, mentre Damon la osservava in silenzio.
«Raccontami di tuo fratello» disse d'improvviso.
Damon aggrottò le sopracciglia. «Stasera sei in vena di fare conversazione?»
«Credevo che per uscire alla svelta di qui io e te dovessimo conoscerci meglio — o fare amicizia, come ha detto Klaus — perciò... ho deciso che sia un bene collaborare.»
«Scelta intelligente» commentò l'altro con un sorrisetto, anche se il suo sguardo parve incupirsi. «Non c'è molto da dire: abbiamo litigato anni fa, non ci siamo più parlati per decenni, io ho incontrato la persona sbagliata, la compulsione non ha funzionato e... il resto lo sai.»
«Cos'è la compulsione?»
Damon ci pensò su un momento. «È il potere di entrare nella mente delle persone... e di fargli fare quello che vogliamo.»
Elena lasciò andare le sue posate, che sbatterono sulla porcellana del piatto con un tonfo sordo. «Tu riesci a fare una cosa del genere?» esclamò a bocca aperta.
Lui annuì.
«Perché non mi avete ancora costretto a fare quello che volete che io faccia?»
«Perché non funziona.»
Elena assunse un'espressione indignata. «Hai provato ad entrare nella mia testa?»
«Mi sembrava l'avessi appena proposto.»
«Ma tu l'hai fatto senza il mio permesso!»
Stavolta Damon non riuscì a trattenere una risata. «Quindi non ti dà fastidio che ti obblighi a fare qualcosa, ma solo che prima non abbia chiesto il tuo parere? Sei davvero una strana ragazza.»
«Be'...» Si accorse che stava arrossendo. La stava deliberatamente prendendo in giro o sbagliava? «Hai provato a usare la compulsione su Katherine? Per questo siete finiti intrappolati qui dentro?»
«In un certo senso.» Versò del vino nel suo bicchiere e si portò il calice alle labbra.
Elena gli rivolse un cenno per esortarlo a proseguire.
«Ho usato la compulsione su di lei per convincerla ad andarsene dopo che avevamo passato la notte insieme» confessò con un sospiro.
«Be', non c'è da stupirsi se ti ha scagliato contro una maledizione.»
Damon posò il bicchiere sulla tavola e piegò la testa di late per indirizzarle un occhiata a metà tra il divertito e il perplesso. «Stai dicendo che me lo sono meritato?»
«È proprio quello che sto dicendo, sì.» Rispose al suo sguardo con uno di sfida, arricciando le labbra con espressione contrita. «Perché non dirle semplicemente la verità?»
«Perché la verità l'avrebbe fatta arrabbiare ancora di più.»
Elena sospirò rassegnata. «È così che facevi di solito? Ti divertivi con loro e poi le costringevi ad andarsene?»
«Non proprio» mormorò l'altro, poi prese un altro sorso di vino.
«Hai intenzione di raccontarmelo o devo dire a Klaus che stai facendo di tutto per sabotare la nostra conversazione?» chiese con un sorrisetto.
Damon rise di nuovo. «Quando ho finito con loro, sono così spaventate da me che mi basta farle dimenticare quello che è successo. Nonostante la compulsione, il ricordo rimane incastrato nelle loro menti e... semplicemente mi stanno alla larga» confessò tutto d'un fiato, evitando di guardarla.
«Ed io che credevo che fossi tipo da crearti un harem di donne adoranti e innamorate» tentò di sdrammatizzare, ma in realtà quelle parole le avevano messo i brividi.
«Non voglio che nessuna donna si innamori di me» rispose l'altro, ed Elena colse di nuovo quel bagliore triste nei suoi occhi.
«Perché? Nessuno vuole starsene da solo...»
Damon la interruppe. «Perché è più facile» sussurrò, più a sé stesso che alla ragazza.
«Più facile?» domandò l'altra.
«È più facile essere temuti che amati.» Gettò sul tavolo il tovagliolo che stringeva tra le mani, poi si voltò a fissare Elena, che lo osservava con espressione confusa. «Io sono un mostro, Elena. Non merito l'amore di nessuno e... non ho amore da dare.»
«Non esistono persone che non meritino amore.»
Lui emise un verso, un sospiro amaro e rassegnato. «Prima di venire qui avresti detto anche che non esistono esseri come noi.»
«Non so neanche cosa siete.»
«E hai già paura. Se tu sapessi in cosa sei coinvolta, probabilmente preferiresti morire piuttosto che startene qui con me a chiacchierare di amore.»
Elena avvertì le lacrime affacciarsi agli angoli degli occhi. «Io so solo che mi tenete prigioniera qui per una ragione. E anche se non so quale sia, so che lo state facendo per salvarvi e che nessuno di voi mi ha mai fatto del male.»
«Ma Klaus te ne farebbe!|» scattò con rabbia. «E anche Rebekah se sapesse che in realtà non puoi aiutarci.» Si passò le mani sul viso, tentando di calmarsi. «E forse anche Elijah con i suoi stupidi sani principi.»
«Ma tu no.» La voce le scivolò dalle labbra in un sussurro. «Tu non mi faresti del male, vero?»
Damon scosse la testa. «Se solo ci fosse un modo per farvi uscire tutti di qui. Quella maledizione era destinata a me... e ha coinvolto tutti voi.»
«Vedi, avevo ragione.» La mano di Elena si mosse a sfiorare quella di lui. Non sapeva perché lo stesse facendo, né perché non si tenesse lontana come lui continuava a ripeterle. La verità era che, nonostante tutto, lei non ne aveva paura. L'unica cosa che provava era soltanto un innaturale e sconsiderato desiderio di arginare la tristezza che leggeva nei suoi occhi.
Quello non era un mostro. Era soltanto una persona sola.
«Riguardo a cosa?» chiese lui, guardando quelle dita che sfioravano le proprie come se potesse assorbirne il calore.
«Ti dispiace per me. E per i tuoi amici. Hai ancora amore da dare, solo che hai dimenticato come si fa.» Gli rivolse un sorriso. «Qualunque cosa vuoi che faccia la farò. Vi aiuterò. Fidati di me.»
Sul volto del vampiro si dipinse una smorfia. «Be', non dovresti» le rivelò, poi si allontanò da lei, dirigendosi verso le scale e lasciandola sola.

«Sei proprio sicura che sia qui? La squadra di recupero l'ha cercata in lungo e in largo senza trovare niente e, non per offenderti, ma mi fido di più del fiuto di un cane poliziotto ben addestrato che di... qualunque cosa tu stia facendo.»
«Caroline, per favore, riesci a stare zitta per un minuto» scattò Bonnie, senza riuscire a contenere la propria esasperazione.
Incrociò le gambe e tentò di concentrarsi.
Nel buio del bosco, la bionda mosse un passo per avvicinarsi alle candele che brillavano attorno all'amica, affondando il piede in una pozza di fango. «Potrebbe essere con un ragazzo» disse, guardando con orrore quelle che una volta erano state le sue scarpe preferite,
«Manca da casa da due giorni, la sua auto è stata ritrovata in panne e abbandonata sul ciglio della strada con dentro tutti i suoi effetti personali... come fai a dire una cosa del genere?» Afferrò una manciata di terra e la lasciò cadere sulla cartina spiegazzata aperta davanti a lei. «E poi Elena non sparisce senza avvertire.»
«Be', almeno si può sapere cosa stai facendo?»
«Un incantesimo di localizzazione» confessò.
Caroline piegò la testa da un lato e gettò un'occhiata scioccata all'amica che iniziò a recitare uno strano incantesimo in latino, mentre i granelli di terra prendevano a spostarsi per convergere in un punto vicino al centro della cartina.
«Che succede? Dov'è Elena?» chiese.
Bonnie aggrottò la fronte in un'espressione preoccupata. «Esattamente qui dove siamo noi.»
Istintivamente, la bionda si guardò intorno. «Vuoi dire che è qui vicino?»
«No, voglio dire che è proprio qui, su questa piccola radura» insisté l'altra.
«Be', se è qui perché... Oh, mio Dio.» Si portò le mani alla bocca, spalancando gli occhi azzurri e fissando Bonnie con aria terrorizzata. «Tu credi che... stai dicendo che qualcuno potrebbe averla sotterrata qui...» Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra, mentre spostava lo sguardo sull'ampia distesa di terra sotto i loro piedi.
Bonnie scosse la testa con decisione. «È viva, lo sento. È qui e sta bene. Ed io la troverò, stanne certa.»

Elena si lasciò andare ad un profondo sospiro. Per quanto assurdo, quella serata le era parsa ancora più estenuante della precedente.
Ancora non sapeva in che situazione si fosse cacciata e non capiva per quale motivo Damon la tenesse prigioniera lì se poi rifiutava il suo aiuto. Per non parlare di quel campanello d'allarme che continuava a suonare dentro di lei, alimentato dalla strana tenacia con cui l'altro continuava a volerla terrorizzare.
Sentiva voci maschili provenire dal piano di sopra, ma non riusciva a cogliere che piccole parti del discorso. Pareva stessero litigando.
Scosse la testa esasperata. Bonnie glielo ripeteva sempre che aveva la sindrome della crocerossina. Si mosse verso le scale, quando qualcosa fuori dalla finestra attirò la sua attenzione.
Sembravano luci, fioche e tremolanti, ma evidenti nel buio che regnava fuori dalla casa. Corse verso il fondo della stanza e non riuscì ad evitare di emettere un gemito di felicità.
Lì fuori c'era Bonnie, seduta a gambe incrociate e attorniata da una decina di candele. Accanto a lei, Caroline la fissava immobile.
Senza pensarci, gettò un'occhiata su per le scale. Voleva solo avvertirle che stava bene, poi sarebbe tornata. L'aveva promesso a Damon e avrebbe tenuto fede a quella promessa. Se poteva aiutarli, l'avrebbe fatto.
Scattò verso la porta, provando a chiamare il nome dell'amica mentre la mano si chiudeva sul pomello d'ottone.
Ma non riuscì a parlare, perché qualcosa si abbatté su di lei, mandandola a sbattere sul pavimento e spezzandole il fiato in gola.
La testa cozzò contro il legno del parquet e un senso di nausea le attanagliò lo stomaco. Quando riaprì gli occhi, Rebekah era sopra di lei, il volto dai lineamenti bellissimi deformato in una smorfia orribile.
Stavolta Elena ne fu certa. Di fronte a lei c'era un mostro: un mostro dagli occhi iniettati di sangue e i canini sporgenti e aguzzi come quelli di un predatore pronto ad attaccare.
Improvvisamente ritrovò il respiro e dalla sua gola fuoriuscì un urlo che parve assordante persino alle sue orecchie.
In un attimo la stanza si riempì.
«Che diavolo succede?» Elijah fu il primo a raggiungerli.
«Stava provando a scappare» spiegò Rebekah, senza staccare gli occhi dal corpo di Elena che tremava sotto di lei.
«No, non è vero» mormorò la ragazza terrorizzata. «Volevo solo...»
«Forse se le spezzassi entrambe le gambe sarebbe più sicuro» propose l'altra, mentre dalle sue labbra proveniva quello che a Elena parve un ringhio.
Serrò gli occhi, incapace di parlare. Poi d'improvviso il peso sul proprio corpo si attenuò.
Si costrinse a schiudere chi occhi, mentre la figura di Damon spingeva la bionda contro la parete alle sue spalle.
«Non farai niente del genere» ringhiò contro di lei.
«E cosa proponi di fare? Perdere ancora del tempo con le tue cene inutili?» replicò l'altra senza scomporsi, mentre il vampiro la teneva ferma.
«Credi che costringerla servirebbe a qualcosa?»
«Damon ha ragione» intervenne Elijah. «Portatela in camera. Faremo dei turni per sorvegliarla.»
Non la guardò nemmeno. Sembrava piuttosto occupato a tenere d'occhio suo fratello, che però rimase in silenzio a fissare la scena.
Damon lasciò andare Rebekah e aiutò Elena a rialzarsi.
«Non stavo scappando, te lo giuro.»
Ma il vampiro le rivolse un'occhiata gelida. Nei suoi occhi non c'era più né tristezza né solitudine, ma soltanto rabbia. Una rabbia cieca e pura. La rabbia di chi era stato tradito e deluso da quella che era stata la sua promessa.
Senza aggiungere altro, Elena si lasciò condurre nella sua stanza. Ebbe appena il tempo di gettare un ultimo sguardo alla finestra.
Al di là del vetro poteva ancora intravedere la figura di Bonnie, fioca e indistinta nel buio che la circondava.
Una sagoma solitaria che si aggirava tra gli alberi urlando il suo nome.

 

 

                                                                                                                                                                                                         

Damned Again: Ed ecco il terzo capitolo! Questa storia mi rende sempre più felice per tutti i complimenti che mi avete lasciato, quindi questo capitolo è stata decisamente più facile da scrivere, dato che ero particolramente motivata. 
I ringraziamenti quindi sono d'obbligo: grazie a VALE86STELLA, eli_s,  LilyStel, lils_salvatore, Eulalia_, melissaABATE e skizzino84 per le loro recensioni e a tutti quelli he hanno inserito questa storia tra le seguite e le preferite.
Baci
♥ Fanny
 

 

   
 
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