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Autore: Mary143    11/04/2015    1 recensioni
Caspar Lee ha avuto una giornata infernale, che non migliore quando scopre l'ennesimo scherzo di Joe Sugg.
Genere: Demenziale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Caspar Lee, Joe Sugg
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jaspar
                Era stata una giornata terribile. La ragazza l'aveva lasciato, aveva litigato con un paio di amici e sua madre gli aveva ripetuto, per l'ennesima volta, il fatto che il suo lavoro, con il quale lui si procurava i viveri, non fosse un vero lavoro, ma un hobby. Un hobby retributivo, certo, ma anche vendere collanine e braccialettini era retributivo, ma era pur sempre un maledetto hobby da checce. Ed eccolo, finalmente era tornato a casa, finalmente poteva buttarsi a letto e soffocare un urlo nel cuscino, e magari qualche lacrima. Cercava di prendere la giornata alla leggera. Magari il giorno dopo la sua ragazza gli avrebbe chiesto di tornare insieme, avrebbe fatto pace coi suoi amici e sua madre avrebbe smesso di rinfacciargli di essersi messo a fare lo youtuber. Sì, come no, magari quest'ultima cosa non sarebbe mai accaduta. Ed era così dannatamente stanco, che semplicemente non vedeva l'ora di tuffarsi sul materasso, di coprirsi con quattro strati di coperte e dormire. Girò la chiave nella toppa, e davanti a lui vi era il buio più totale. Non pensò a nulla, non riusciva a pensare ad altro che alla giornata di merda. Automaticamente appoggiò la mano sul muro accanto a lui, tentennando alla ricerca dell'interruttore. Schiacciò ed in un batter d'occhio la stanza s'illuminò del tutto. La cucina, il piccolo salottino all'entrata: tutto era in perfetto ordine. Nemmeno ciò gli procurò un pensiero, un qualche dubbio che potesse essere accaduto qualcosa. All'improvviso però, vide un'ombra sfrecciare dal bancone della cucina fin sotto le scale. Cosa diavolo era stato? L'ansia iniziò a salirgli su per la colonna vertebrale. Sentiva ogni muscolo, già doloranti dallo stress, irrigidirsi uno ad uno, e la pelle elettrizzarsi dalla paura. Tremante, scese giù per le scale, gradino per gradino, con la paura addirittura di afferrarsi al corrimano, per il timore di qualcosa che avrebbe potuto toccarlo. Si tenne perciò quasi appoggiato al muro, mentre scivolava lentamente fino all'ultimo gradino.
    «Joe...» mormorò, «spero che questo non sia uno dei tuoi stupidissimi...» non terminò la frase, perché l'ombra gli sfreccio nuovamente davanti andando proprio a finire sulla porta di camera sua. Respirò profondamente ed avvicinò la mano alla maniglia. Sospinse la porta verso l'interno e saltò all'indietro, urlando. Un mostro dalla faccia tremenda gli era appena saltato addosso, ruggendo ancor più forte di lui, e scuotendo la testa, muovendosi in una cadenza animalesca, bestiale.
    «PORCA PUTTANA, JOE!» esclamò, dandogli uno spintone contro il muro. Il suo coinquilino si sorprese un attimo per il gesto, ma nonostante ciò non riusciva a smettere di ridere. Si tolse la maschera e la gettò a terra. Caspar era tremendamente infuriato, voleva solo picchiarlo, farlo soffrire. «Dove cazzo hai messo la videocamera, eh?! Dove cazzo è?» si guardò intorno e la trovò, sopra un comodino, che lo stava filmando. L'afferrò con entrambe le mani ed istintivamente fece per buttarla sul pavimento con tutte le sue forze, ma si trattenne. Sapeva quanto un oggetto del genere valesse in denaro. La diede in mano al coinquilino, con un gesto rapido e incazzato. Joe l'afferrò, un po' incredulo. Sicuramente non si aspettava una reazione del genere.
    «Ascoltami bene, Joe» gli disse allora Caspar, pungolandolo con un dito, mentre il suo petto saliva su e giù, a respiri brevi e spezzettati dalla rabbia, «Sei un coinquilino di merda, una testa di cazzo. I tuoi scherzi non fanno ridere un cazzo di nessuno, ed io soprattutto mi sono rotto i cazzo di coglioni a stare qui con te, a sopportare i tuoi momenti di noia, che sfoghi su, indovina chi?, me. Adesso, caro Joe, te ne torni nella tua stanza e non mi rompi più le palle fino a quando io non decido di riprendere a parlarti. Niente mi trattiene dal tirarti un pugno in faccia e mandarti a fare in culo per il resto delle nostre vite» lo avvertì, sospingendolo ancora di più verso il muro.
    «Ma, Caspar...» tentò lui.
    «Non rivolgermi la parola. È l'ultima volta che ti avverto» entrò in camera sua e si richiuse la porta alle spalle, con un tonfo. Se prima pensava che quella giornata non sarebbe potuta andare peggio, be', si dovette ricredere.

    Joe era muto, di fronte alla porta dell'amico. Sì, perché nonostante Caspar l'avesse chiamato solo "coinquilino", lui lo considerava ancora uno dei suoi migliori amici, se non proprio il migliore. Teneva la videocamera in mano, e guardava verso il basso, con gli occhi sbarrati, come se stesse cercando qualcosa. Deglutì. Si sentiva un nodo alla gola e, anche se capiva di cosa si trattasse, si rifiutava, internamente, di star per piangere. Il suo era stato uno scherzo innocente, dannazione! Per continuare la loro Prank War, non per altro. Voleva solo dargli altro pane per i suoi denti, alimentare il desiderio di guerra e di vendetta. Ed invece l'aveva fatto incazzare. Stava tremando. Strofinò il dorso del braccio sul viso, asciugando qualche lacrima che era sfuggita dal suo volere. «Porca puttana...» imprecò a bassa voce. Si sentiva umiliato e colpevole. Non era ciò che voleva, farlo incazzare non era il suo obiettivo. Infine si decise di recarsi nella propria camera da letto, amareggiato più che mai da se stesso.

    «Joe» una voce quasi sussurrata gli arrivò alle orecchie. Presto percepì anche il tocco di una mano sul suo braccio. «Joe?». Aprì gli occhi, strofinandoseli. Ci mise qualche secondo a capire che la figura di fronte a lui fosse quella di Caspar, leggermente chinato verso la sua persona, in piedi, davanti al suo letto.
    «Che ore sono?» mormorò, lentamente.
    «Le quattro e qualcosa...» rispose, «Senti, volevo parlarti». Al sentire quella frase, Joe si fece un po' più indietro, lasciandogli lo spazio sul materasso.
    «Siediti». Caspar prima si sedette, e poi si sdraiò di lato, con il volto verso di lui. Erano faccia a faccia. Joe era sotto un paio di coperte, mentre Caspar si era sdraiato sopra di esse. D'inverno a Londra a volte c'era un freddo pungente. Il biondino cominciò a tremare.
    «Gelo» sorrise.
    «Non come quando abbiamo giocato a Brain Freeze» Joe fece un sorriso malizioso.
    «No! Perché mi fai venire in mente queste cose proprio in questo momento?»
    «Perché così il congelamento non è solo fisico, ma anche psicologico» replicò l'altro.
    «Mi stai facendo pentire dell'essere venuto qui a parlarti...».
    «Mettiti sotto le coperte, se questa chiacchierata dev'essere davvero così lunga». Detto fatto, Caspar si sistemò velocemente sotto le coperte, continuando a tremare mentre si godeva il calore. Per sbaglio gli sfiorò il piede: quello di Joe era tiepido, mentre il suo era freddo. Nessuno dei due si mosse.
    «Allora, dimmi» lo esortò Sugg.
    «Bene.. Senti, io non pensavo ciò che ho detto. Ho avuto una brutta giornata ieri, sono stato mollato, ho litigato con Oli, e mia madre mi ha rimproverato più duramente del solito. Non ce l'avevo con te, ero incazzato con la situazione. Lo scherzo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.» si strinse nelle spalle e, facendolo, si toccarono le mani. Nemmeno questa volta nessuno fece niente.
    «Mi spiace, Caspar... Non lo sapevo, non l'ho fatto in cattiva fede...» il suo tono di voce era più dolce del solito. Gli accarezzò il braccio, amichevolmente, in modo quasi tenero. Caspar sorrise.
    «Sei strano». E Joe lo disse:
    «Mi piaci». Fu così naturale, che nemmeno ci pensò due volte. Caspar, di rimando, non ebbe alcuna reazione in particolare. Il sorriso si affievolì, non perché era deluso, ma in modo quasi dolce.
    «Lo so» scrollò le spalle.
    Rimasero in silenzio, e questa volta non fu forzato. Non si sentivano strani, si sentivano a proprio agio con se stessi. Il biondino gli accarezzava il viso, ripercorrendo la mascella, il mento e le labbra, mentre Joe continuava a sfiorargli il braccio, salendo sulle spalle, e poi sul collo, sulla nuca, e riscendeva. I loro respiri rapidi smascheravano l'apparente tranquillità e, facendo particolare attenzione, si potevano sentire i loro battiti correre all'impazzata. Si avvicinarono, spontaneamente, l'uno verso l'altro, e le loro labbra si scontrarono, all'inizio timidamente, e poi con decisione. Proprio in quel momento, Joe ebbe un dubbio. Lo respinse ed allontanò il viso.
    «E se rovinassimo la nostra amicizia?» domandò.
    «Possiamo rovinare la nostra amicizia con un bacio?» replicò Caspar.
    «Non lo possiamo sapere».
    «È solo un bacio. Che male fa?» lo attirò a sé, e lo strinse, inspirando il suo profumo, quel tipo di odore che si sente solo di notte, quando ci si sveglia dopo aver dormito. Odore di caldo, di morbido terpore. Joe non lo respinse più. D'altronde era stato lui a dichiararsi.
    «Ehi Joe» sussurrò, con le labbra a baciare le sue spalle asciutte.
    «Sì?»
    «Come hai fatto l'effetto dell'ombra?»
    «Di che ombra parli?»
    All'improvviso, una luce luminosissima irruppe nella stanza, accecando i due ragazzi all'interno. Infine, tornò il buio. «Ma cosa cazzo...»
    «Basta con la Prank War»
  
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