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Autore: Christa Mason    11/04/2015    1 recensioni
Julian Casablancas è uno studente del Le Rosey e fa tremendamente freddo quando incontra Gil.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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  Di Julian Casablancas non me ne importa assolutamente niente, ma sono all’istituto Le Rosey e mi muovo per il labirintico cortile tra gli studenti. Le lezioni sono sospese per le vacanze ma sono comunque tutti lì, a fumare spavaldamente contro i muri. Hanno alcuni libri in mano quasi a dire Hey, siamo qui a studiare sodo, e ridono energicamente per qualsiasi cosa, con le loro sciarpe blu e le loro giacche bianche. Si direbbe siano le comparse di un film ambientato in college inglese. Cerco Casablancas perchè negli ultimi due giorni non ho fatto che pensare a quanto sono stata stronza con lui, che con ogni probabilità non desiderava altro che rimediare alla pessima figura e al fatto che l’ho aiutato a salire tre piani a piedi, completamente ubriaco con alito di zolfo e paprika. 
  Non ho idea di come io possa trovare Julian, né cosa possa dirgli una volta trovato. Forse potrei proporgli di guardare un film insieme, un silenzio davanti a un film può risolvere qualsiasi cosa. Mi guardo intorno non riconoscendo nessuno, neanche uno dei ragazzi del bar. Potrei passare per una studentessa forse, se non fosse per la mia aria smarrita e non oso neanche entrare all’interno dell’edificio. Ricordo di aver sognato Julian la scorsa notte, mi baciava e poi mi spingeva nel lago ghiacciato, poi mi salvava come aveva salvato Gary Simmons, mi baciava nuovamente e mi ributtava nel lago ghiacciato. Non ricordo com’era il bacio, ma essere gettata nel lago ghiacciato era terribile. 
  Vedo Gary Simmons, sembra essersi ripreso del tutto. Il suo volto non è per niente bluastro e rigido come l’avevo conosciuto e ricordato. Voglio andare da lui, chiedergli di Julian, per un attimo dimentico che non ha idea di chi io sia. 
  “Ciao.” gli dico. Lui mi guarda stranito. 
  “Ciao.” risponde imbarazzato, e sparisce tra le giacche bianche di un gruppo di altri studenti. 
  Fantastico. Mi sto per rassegnare quando sento qualcosa, qualcosa di familiare. Una melodia appenna accennata, una chitarra acustica che si eleva sopra il blaterare dei ricchi e viziati studenti de La Rosey. Noto Julian seduto di spalle su un muretto che dà su un roseto dalla bellezza spenta dal freddo. Somewhere along the way my hopefulness turned to sadness. Somewhere along the way my sadness turned to bitterness. Somewhere along the way my bitterness turned to anger. Allungo una mano, vorrei che si voltasse, che mi guardasse e mi sorridesse come se l’ultima cosa che mi avesse detto non fosse un Ciao di rabbia e delusione, come se non fossi stata solo una ragazzina delle case popolari che non sa cosa sia l’educazione, che è aggressiva e irascibile esattamente come ci si aspetterebbe. Gli tocco la spalla. Lui si volta, mi sorride. 
  “Guarda guarda chi si è infiltrata al Le Rosey.”
  “Ciao, Julian.”
  “Ciao, Gil.”
  “É tua la canzone che stavi suonando?” dico la prima cosa che mi viene in mente.
  “Spero di sì.” sorride e mi ricordo improvvisamente com’era il bacio del sogno della notte appena passata: sapeva di sigarette scadenti ed era come Julian, trasandato e un po’ triste, un’esperienza d’euforia turbolenta. Mi chiedo come ho fatto a dimenticare una cosa del genere. 
  “Mi piaceva la canzone che stavi suonando.”
  “Beh, non so suonare in realtà…” dice alzandosi, porta la chitarra con sè. 
  “Volevo scusarmi per l’altra sera, non volevo essere così… ostile” 
   “Non devi scusarti.” mi rassicura.
  “Vorrei avessimo avuto una normale serata al bar.”
  “Oh per me lo è stata, credimi.” 
  Oh per me non lo è stata, credimi. Le sue parole mi risuonano in testa e lo immagino svenuto ogni sera in un bar diverso della piccola Svizzera. Prima straparlante e euforico, poi disteso su un pavimento sporco, ignorato da tutti. Julian legge i miei pensieri sul mio viso. 
  “Scherzavo.” mi dice. 
  “Ho visto Gary, era qui.” cambio discorso. 
  “Sì, non mi parla più. Sembra convinto che sia stato io a buttarlo nel lago. Fortuna che tu e Alex avete visto come sono andate le cose.”
  Tutti sembravano convinti che Julian potesse buttare qualcuno nel lago.
  “Alex, come sta?”
  “Se ne è tornato in Scozia. Vuoi fare un giro in macchina con me?”
  Fece quella proposta improvvisa, la cosa più naturale da dire quando si comunica che un tuo amico se ne è appena tornato in Scozia. Realizzo in questo momento che Alex è scozzese: il suo accenno di barba incolta rossastra e il suo accento che si liberava nella sua voce quando s’agitava. 
  Mi ritrovo nell’auto di Julian Casablancas, verde bottiglia, una vecchia e apparentemente ridicola MG che guidava sicuro lungo l’autostrada. Mi chiede se c’è un posto che desidero raggiungere, ma lo prego solo di premere l’acceleratore e di partire, la nebbia e la neve rendono indistinguibile qualsiasi paesaggio, mi basta sentire la velocità sotto i miei piedi. I brividi che di certo non può dare un autobus che fa il giro del lago ogni sera. Rimaniamo qualche attimo in silenzio, il vento s’infiltra nella vettura, i nostri sguardi si incrociano complici nello specchietto. Ci tradiamo in un sorriso. 
  “Mi sarebbe dispiaciuto se le cose fossero finite così.” dice Julian.
  “Anche a me, tanto.”
  “Allora perchè siamo stati così stronzi?”
  Ride libero, e quasi non mi accorgo che mi poggia una mano sul ginocchio. Sento il palmo largo e le sue dita stringere appena attraverso i jeans. Mi guarda per un pericoloso lungo attimo, brama un mio consenso. Quell’auto mi fa sentire in un film degli anni Cinquanta. Possiamo essere due amanti in un’auto d’epoca, certo che possiamo, Julian. 
  Mi piacciono le sue mani, il sorriso che continuamente non riesce a trattenere, i capelli che sembrano testimoniare una dura battaglia notturna con il cuscino, da cui Julian ne esce perdente tutte le mattine. Mi piace il fatto che Julian sia ricco, non so ancora per quale strana causa regalata dalla sorte, ma che si vesta come se fosse appena sfuggito da un pub della periferia di Londra, mi piace il suo accento alla Bogart, autentico. Improvvisamente mi piace tutto di Julian, così come il fatto che dedichi uno sguardo alla strada sempre dritta per qualche chilometro e uno a me, mi bacia con la sicurezza di un ragazzo americano. Ci sporgiamo appena, uno verso l’altro. Non esita a cercare la mia lingua. Vorrei che fermasse l’auto e mi prendesse il viso con entrambe le mani per continuare a baciarmi. La sua mano sale lungo la coscia. 
Interrompe il bacio, la macchina continua a sfrecciare nella nebbia. 
  “Ti faccio vedere casa mia, ti va?” chiede.
  
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