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Autore: ___Ace    12/04/2015    1 recensioni
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie. L'avversione dei sudditi francesi non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno.
C'era, però, qualcuno pronto a combattere: un gruppo di persone che agivano nell'ombra e che lottavano per i loro ideali di giustizia ed uguaglianza. C'erano i Rivoluzionari, desiderosi di cambiare le cose e di liberare la Francia una volta per tutte.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Rivoluzionari, Sabo/Koala, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Liberté, Égalité, Fraternité.
Onze.
 
Quella mattina era ancora presto quando Bonney sbatté le palpebre, infastidita dall’insistente e odioso canto del gallo che, puntualmente, deliziava tutto il vicinato con il suo verso ad orari in cui la gente non si sarebbe mai alzata di proposito. A conferma di ciò, il sole doveva ancora sorgere e dalla strada non proveniva alcun rumore di carrozze o scalpiccio di zoccoli, neppure il classico vociare dei cittadini, nulla. Solo silenzio e calma, animali a parte.
Sbuffò stancamente, chiudendo gli occhi e ripromettendosi di fare qualcosa a riguardo con quella bestiaccia. Chissà, magari i clienti sarebbero stati felici di trovare nel menù stufato di pollo, o petto arrosto, o anche brodo di gallina. Si diceva che fosse miracoloso per le sbornie.
Esattamente come quella che sentiva di essersi presa lei.
Si, perché non appena la ragazza mosse di poco la testa, sentì le tempie pulsare dolorosamente come se fossero state sul punto di esplodere. Provò a passarsi una mano sulla fronte, ma aveva le braccia indolenzite e quel piccolo gesto le costò una fatica enorme. Voleva voltarsi, girarsi a pancia in su, ma aveva paura di non riuscirci e di scoprire che era conciata peggio di quello che credeva. Qualcosa le diceva che avrebbe potuto benissimo sentire l’impellente bisogno di vomitare.
Facendosi coraggio, però, poggiò le mani sul materasso e, con calma e lentezza calcolata, si mosse lentamente, voltandosi dalla parte opposta e cercando una parte fresca del cuscino per trovare un po’ di refrigerio, dato che sentiva anche molto caldo. Uno sguardo alla pelle scoperta delle sue spalle le fece intendere che doveva essersi tolta la camicia e la sensazione della stoffa morbida sulle gambe le confermò che anche i pantaloni dovevano essere scomparsi. Niente di grave, durante la stagione calda si ritrovava spesso a dormire senza il pigiama, indossando solo l’intimo striminzito, comoda e geniale invenzione di una delle ragazze che vivevano con Dadan da più tempo.
Prese un respiro profondo e cercò di rilassarsi per riprendere sonno, dato che il gallo si era finalmente zittito. Si accoccolò meglio sotto il lenzuolo che si tirò sulla testa e, prima di cadere addormentata, si azzardò a dare una sbirciata nella stanza per intuire dalla poca illuminazione presente che ore fossero.
Anche se la luce che filtrava dalle finestre scardinate e con le ante precarie era poca, riuscì comunque ad identificare una massa indefinita stesa accanto a lei, la quale si alzava ed abbassava come se respirasse regolarmente. A conti fatti, dopo un attimo di sbigottimento che lasciò Bonney senza fiato, si rese conto che altro non doveva essere che una persona.
Le si serrò la gola, sentì improvvisamente freddo e si irrigidì all’istante, smettendo di respirare. Cosa ci faceva un estraneo nel suo letto? Perché non si ricordava niente, nemmeno come era arrivata in camera sua la notte precedente?
Sicuramente, il panico l’avrebbe fatta impazzire, ma una voce tranquilla e lievemente impastata a causa del sonno la riscosse, calmandola in parte e facendola smettere di tremare come una foglia.
-Non ti preoccupare, la tua virtù è intatta.-
Senza nemmeno rendersene conto, Bonney buttò fuori l’aria che aveva trattenuto come se fosse stata con la testa sott’acqua fino ad allora. Quella consapevolezza era stata un toccasana per la sua salute mentale e il terrore di aver combinato qualcosa di irreparabile lasciò spazio ad una forte curiosità mista a sospetto. Se quel tizio, perché di un uomo si trattava, aveva detto la verità, allora come mai si trovava nel suo letto e a pochi centimetri da lei?
Un sospiro le giunse alle orecchie, prima di vedere la sagoma coperta dalle coltri leggere scostarsi per scoprire le braccia nude che si mossero per aiutare il corpo a girarsi dalla sua parte. Inutile dire che la ragazza si ritrovò a dover trattenere di nuovo il respiro alla vista del viso rilassato e privo di maschere dell’ufficiale al quale aveva offerto da bere la notte precedente.
Lo guardò appoggiare la testa coperta di ciuffi rossi e ribelli sul cuscino, mentre con una mano si stropicciava gli occhi assonnati che poi si posarono su di lei, intenti a studiare la sua reazione. A giudicare dal sorrisetto che spuntò sulle labbra dell’uomo, l’imbarazzo di Bonney lo aveva divertito parecchio.
Infatti, la giovane donna era arrossita visibilmente e non aveva idea di come comportarsi, restando immobile con il viso sollevato dal materasso, i capelli scompigliati che le ricadevano in generose ciocche sul collo e sulle spalle nude e le labbra dischiuse per la sorpresa. In che razza di situazione si era cacciata?
Cercando di mantenere la calma e di non dare di matto a causa degli scheletri del suo passato che aveva nell’armadio e che ancora la tormentavano, deglutì rumorosamente, pensando a qualcosa da dire o fare per non apparire impacciata davanti a Drake. Perché se lo ricordava il suo nome, lo aveva sentito pronunciare da lui stesso la prima sera che aveva messo piede nel locale, attirando la sua attenzione dalla cucina e rimanendole impresso per tutto quel tempo, nonostante i suoi sforzi di dimenticarselo, maledicendolo per il suo ruolo di ufficiale.
Alla fine ci era finita a letto, che ironia.
Drake, notando la sua indecisione, giustamente dovuta, visto il modo in cui si trovavano facilmente fraintendibile, si schiarì la voce, andando in suo aiuto.
-Va tutto bene.- la rassicurò prima, assicurandosi di mantenere parecchi centimetri di distanza da quel corpo sottile e candido che intravvedeva da sotto le lenzuola. Non doveva distrarsi e lasciarsi andare all’istinto, altrimenti non si sarebbe fatto nessuno scrupolo con quella ragazza. Ancora si chiedeva perché non la stesse inchiodando al materasso in quell’esatto istante, correndo a baciarle quelle labbra rosee che lei continuava a mordersi. Ci avrebbe volentieri pensato lui a intrattenerle se solo la sua coscienza avesse smesso di urlargli che non doveva azzardarsi ad alzare un dito su quella donna che tanto gentilmente gli aveva offerto mezza scorta di liquori del locale.
-Ti ho portata in camera dopo la quarta bottiglia di vino.- le spiegò, -Non ti reggevi in piedi e ti ho presa in braccio.- aggiunse poi, sorridendo pure, come se ciò non gli avesse dato fastidio, anzi, era come se fosse un ricordo piacevole da portare alla mente.
Bonney era rimasta nella stessa posizione senza battere ciglio, impegnata a frenare il suo cuore impazzito. Aveva seguito più o meno tutte le frasi che Drake aveva pronunciato, ma alla fine aveva lasciato perdere, preferendo notare come fosse bello il suo viso, con la barba fatta da poco, la mascella squadrata e regolare, il naso dritto e gli occhi risaltati dal colore dei capelli sparsi sulla federa. Anche la cicatrice che aveva sul mento le piaceva, gli dava un tocco affascinante, secondo il suo modesto parere. Per non parlare delle spalle larghe e del petto ampio che riusciva a scorgere da quella posizione scomoda.
Aveva compreso che doveva essersi ubriacata, e di brutto. Il suo gesto di accompagnarla e di trasportarla pure fino al secondo piano era stato molto gentile e cavalleresco, ma non le tornava una cosa: perché diavolo non se ne era andato? E, soprattutto, per quale ragione i loro vestiti giacevano disordinati sul pavimento?
Fece per aprire bocca e dare voce ai suoi pensieri, quando Drake la anticipò, rispondendole prima ancora che ponesse le sue domande dirette.
-Sono rimasto perché lamentavi un forte malessere.- si spiegò, corrucciando la fronte, come se si fosse ricordato qualcosa di importante solo allora. -A proposito, come ti senti ora?-
Bonney lo fissò imbambolata come aveva fatto fino a quel punto. -B-bene.- balbettò, sfarfallando le ciglia e rilassandosi un poco, appoggiando il mento al palmo della mano e sostenendo lo sguardo che le stava rivolgendo in quel momento l’uomo accanto a lei.
Chi l’avrebbe mai detto che se lo sarebbe ritrovato nella sua stanza prima ancora di ricevere un invito formale come facevano quelle per bene. A parte che lei non c’entrava nulla con la normalità e con le tradizioni, anzi, le riteneva una perdita di tempo, vedendo come con quanta facilità le sue colleghe si accalappiassero gli uomini nel giro di pochi minuti. Solo, conoscendosi, aveva pensato che le ci sarebbe voluto tempo prima di sbloccarsi e superare le sue paure.
Doveva ricordarsi di promuovere l’alcool come toccasana e non come peccato mortale.
-Non so nemmeno il tuo nome.- mormorò Drake, cambiando argomento e continuando ad osservarla rilassato e tranquillo, dimentico dei suoi doveri, del lavoro, della giornata di fuoco che stava per cominciare e che lo avrebbe lasciato stremato e senza forze. Incredibilmente, però, si era svegliato riposato e fresco come una rosa come non gli capitava da tempo, fatto assurdo se calcolava di essersi ubriacato la sera precedente. Forse era stato il sonno profondo, oppure il letto comodo, o forse, semplicemente, la dolce compagnia che aveva inconsciamente stretto tra le braccia durante quelle ore di riposo.
-Bonney.- gli svelò lei, ormai a suo agio, senza nemmeno preoccuparsi di coprirsi un pochino di più perché, forse, quella confidenza non era consona, ma non le importava. Finalmente aveva un momento diverso, speciale per lei, e non aveva intenzione di rovinarlo. Anche se poi non sarebbe più successo le sarebbe bastato.
Lui sorrise, accomodandosi meglio, avvicinandosi un pochino di più in quel modo senza che entrambi ci facessero caso. -Tu non mi chiedi il mio?-
Era davvero strano, ma sentiva il bisogno di chiacchierare, cosa rara per uno come lui, il classico gendarme da una notte e via a causa degli impegni di lavoro. Voleva che quella ragazza si ricordasse di lui se mai avesse rimesso piede da quelle parti dato che, se aveva capito qualcosa delle regole che vigevano, la titolare, non avrebbe preso bene la notizia di lui a letto con una donna che non fosse una prostituta. Se solo gli fosse stata concessa la grazia, comunque, sarebbe tornato a fare un giro volentieri se ciò significava poter passare un’altra serata spensierata come quella che aveva vissuto in sua compagnia.
La vide sorridere con fare furbetto prima che la sua voce allegra gli giungesse alle orecchie. -Oh, ma io lo so già.-
-Davvero?- fece stupito. Non ricordava di averglielo detto, ma un po’ se lo era aspettato, dopotutto aveva riconosciuto subito il ruolo che copriva nell’esercito.
Bonney ammiccò, un gesto che non era da lei, ma che fece sorridere Drake. -Certo. Te l’ho detto: non dimentico mai una faccia.-
-Quindi io ti sono rimasto impresso?- la stuzzicò, inarcando un sopracciglio e inclinando un poco il capo, trovando dannatamente attraente il modo in cui cercava di fare finta di nulla, anche se era arrossita. Gli piaceva come mantenesse una faccia da dura, quando invece si vedeva che era ancora una ragazzina giovane.
-Non più di altri.- rispose lei, fingendo indifferenza, riprendendo totalmente padronanza della sua spavalderia e del suo caratterino forte.
Per Drake, invece, fu una sfida bella e buona. -Ah, è così?- domandò. Sollevandosi sui gomiti e sovrastandola senza smettere un attimo di sorridere, mentre lei lo fissava un po’ preoccupata, ma non spaventata, forse leggermente intimidita di ritrovarsi con un uomo come lui che poggiava le braccia ai lati del suo viso quasi come se volesse impedirle si spostarsi. Conoscendosi, non sarebbe andata da nessuna parte neppure se avesse potuto. Dopotutto, lei era abituata ad averla sempre vinta.
-Posso sempre rimediare.- le rese noto, indugiando con gli occhi sulla sua bocca. Era troppo vicina e stava diventando sempre più difficile resisterle e il fatto che lei stessa non si preoccupasse minimamente di spostarsi o coprirsi non lo aiutava per niente. Maledizione a lui e al suo autocontrollo da gentiluomo.
-In che modo?- chiese curiosa. Che sciocco, se solo avesse saputo che difficilmente lo avrebbe dimenticato. Insomma, aveva passato giorni interi a gettare occhiate nel salone con la speranza di rivederlo solo per potersi godere quella sensazione di leggerezza, spensieratezza e ansia che le avevano attanagliato lo stomaco la prima volta. Esattamente ciò che stava provando in quel momento, con il suo viso a pochi centimetri e la mente svuotata di ogni cosa, pensiero o ricordo. Era tutto nuovo, emozionante e bello. Chi l’avrebbe mai detto che si sarebbe sentita così bene e a suo agio con un uomo dopo il trauma che aveva vissuto.
Avrebbe volentieri scoperto cosa aveva in mente Drake per rimanerle impresso, ma, evidentemente, aveva esaurito la sua fortuna la notte prima perché qualcuno iniziò a bussare alla porta, chiamandola per nome e facendola impallidire.
-Bonney?-
La maniglia si abbassò cigolando e la ragazza smise di respirare, affondando inconsciamente le unghie nelle braccia di Drake che fece una smorfia in riflesso a quel movimento. Non poté descrivere il suo sollievo quando si rese conto che non era entrato nessuno, visto e considerato che la porta era stata chiusa a chiave.
-Bonney? Va tutto bene?-
-Rispondile.- le disse Drake a bassa voce, sollevandosi da lei per scendere dal letto e raccogliere così i suoi vestiti. Era arrivato per lui il momento di andarsene.
Osservando il ragazzo che le dava le spalle e deglutendo affascinata da quella schiena scolpita, Bonney si schiarì la voce, pregando di non risultare troppo isterica. –Ehm, si. Si, sto bene. U-un attimo e arrivo, Nami!-
Scese dal materasso avvolgendosi il lenzuolo lungo il corpo, andando dritta verso il piccolo cassettone in legno usurato dove teneva alcuni vestiti, cercando alla rinfusa una camicia a quadri abbastanza grande da coprirla per bene, indossandola al volo e lasciando cadere la coperta sul pavimento senza più curarsene.
Quando si voltò, scostandosi i capelli sciolti dalla faccia, si ritrovò Drake a pochi passi da lei, intento ad infilarsi uno stivale prima di rivolgerle un piccolo sorriso di approvazione. Poi si alzò da terra e la raggiunse, sistemandole in un secondo momento un bottone che, altrimenti, lasciava troppo all’immaginazione e lui doveva proprio andare, perciò non ammetteva distrazioni.
-Grazie per il vino.- disse, superandola e andando ad aprire le ante della finestra con l’intento di scendere calandosi dalla grondaia. Cose che aveva già avuto modo di fare e non perché fosse solito fare visita al gentil sesso.
-Grazie a te per la bella nottata.- rispose Bonney, incrociando le braccia al petto, sogghignando maliziosa e lasciando Drake senza parole, tanto che la fece ridere divertita. Dopotutto, era sempre una ragazza dei bassifondi, ovvio che fosse in grado di badare a se stessa e a tenere testa ai balordi che frequentavano il locale. La lingua biforcuta e la frecciatina sempre pronta erano merito, invece, delle sue amiche.
Drake abbozzò un sorriso. -Devi sempre avere l’ultima battuta?- le chiese, osservandola avvicinarsi e gettando un’occhiata veloce alle gambe nude, giusto per non dimenticarle, con una gamba poggiata al balcone e una sul pavimento in procinto di uscire.
La ragazza si appoggiò con un braccio alla finestra, piegando l’altro su un fianco e stringendosi nelle spalle, sorridendo con ovvietà. -Certo.-
La sua sicurezza vacillò quando Drake le sfiorò il dorso della mano con le dita, afferrandolo poi con gentilezza e portandoselo alle labbra per depositarvi un casto bacio, il tutto senza staccarle gli occhi di dosso.
Si sarebbe ricordata di lui, ne era più che convinto.
-Bonney, ti muovi?-
-Vai, o butterà giù la porta.- le consigliò, spingendosi col busto verso l’esterno senza notare l’espressione di panico che, per un istante, colse il viso della ragazza. Lui se ne stava andando e lei non aveva idea se si sarebbero rivisti o meno. La risposta le era sembrata semplice e chiara fino a poco prima, di certo non si aspettava che dopo quella notte apparentemente tranquilla Drake sarebbe rimasto, o per lo meno che avrebbe avuto l’intenzione di tornare da lei. Sapeva come funzionavano le cose e si era ripetuta che le sarebbe bastata quell’opportunità di conoscerlo e parlarci, ma si stava rivelando tutto più difficile del previsto.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non era una povera illusa e non voleva nemmeno risultare appiccicosa o altro. Era forte e indipendente e avrebbe continuato ad esserlo anche senza di lui.
-Ehi.- si sentì chiamare e, quando si sporse dalla finestra, si impose di mantenere un’espressione quasi scocciata.
-Non te ne sei ancora andato?- scherzò, guardandolo mentre scendeva dalla grondaia, attento a non scivolare. Scosse il capo esasperata quando saltò a terra, spolverandosi i pantaloni e guardando verso l’alto, verso di lei, con un ghigno appena accennato, calcandosi il cappuccio del mantello in testa e rimettendo la benda negli occhi.
-La prossima volta offro io.- E, detto ciò, si incamminò verso la strada, lasciando Bonney con un sorriso troppo ampio sulle labbra e il battito accelerato.
-Insomma, vuoi aprire o no?-
-Arrivo!-
 
*
 
Era il 20 giugno e l'Assemblea Nazionale cercò di ottenere favori da parte di chi possedeva dei capitali, utili come fonte di credito per le finanze dello stato e per il debito pubblico. Dichiarò illegali tutte le tasse esistenti che gravavano pesantemente sul popolo e istituì un comitato di sussistenza per affrontare la carenza di cibo e dare così aiuto alla gente bisognosa, sperando in quel modo di far riottenere al sistema finanziario un po’ di fiducia da parte degli abitanti.
I nobili, preoccupati dell’avvicinamento del Clero ai cittadini, avevano presentato al Re una proposta con la quale gli avevano evidenziato che il sostenimento all’Assemblea Nazionale avrebbe messo in discussione i diritti e il destino della Monarchia. In quel modo, i borghesi tornavano a sottomettersi ai reali, nonostante fossero stati loro i primi a pretendere la convocazione degli Stati Generali. Il Re, influenzato da consiglieri e ministri, aveva accolto l’idea e aveva deciso di annullare i decreti attuati in quel mese dall'Assemblea Nazionale, cercando di ritornare alla situazione iniziale, quando il Terzo Stato non rappresentava nessuna minaccia.
Le cose mutarono dal mattino al pomeriggio nel giro di poche ore, tanto che i rappresentanti dell’assemblea si videro chiudere la sala dove si erano riuniti su ordine diretto del sovrano. Ciò, ai presenti, non piacque affatto, ma, fortunatamente, quel giorno presenziavano esponenti dei Rivoluzionari abbastanza svegli da non farsi mettere i piedi in testa dopo aver lavorato duramente.
Infatti Sabo, che era riuscito a convincere Shanks e aveva ottenuto il permesso di partecipare alle ultime due riunioni, decise di prendere in mano la situazione, ignorando gli avvertimenti della sera prima che il Rosso gli aveva fatto, ovvero di non esporsi troppo, e incitò i collaboratori a spostare l’incontro in una sala che aveva visto quando erano arrivati e che stava giusto alla fine del corridoio.
Aveva capito fin da subito che la borghesia e i ricchi gli avrebbero messo i bastoni tra le ruote. Certo, il Clero aveva ormai abbracciato le loro idee, ma quei leccapiedi della Corona erano ossi duri, troppo attaccati ai loro beni per accorgersi del degrado che ormai li circondava.
-Ragazzo, hai idea di quello che stai facendo?- gli chiese Benn accanto a lui, presente solo per controllarlo, più che per raccogliere informazioni.
Sabo sbuffò, sedendosi al tavolo e facendo segno ai presenti di fare lo stesso e di chiudere quella maledetta porta a chiave per non subire altre interruzioni dall’esterno. Gli addetti alla manutenzione avevano detto loro che la stanza precedente doveva essere svuotata per lavori di ristrutturazione.
Che stronzate! aveva pensato il giovane, stringendo i denti per la frustrazione ed elaborando immediatamente ad un’alternativa, riuscendo egregiamente nell’impresa e impossessandosi di quella stanza adibita al gioco della pallacorda.
-Non preoccuparti. Da qui non ci muoveremo fino a che non raggiungeremo il nostro obbiettivo.- lo informò, esponendo poi le sue idee e i suoi pareri al resto dei deputati, facendo sentire per la prima volta la sua voce e conquistando tutti con il suo carisma e la sua determinazione, mantenendosi calmo, serio e pronto a rispondere a qualsiasi domanda o quesito. Si era preparato tanto per quel momento e non aveva intenzione di sprecare la sua occasione per cambiare il Paese. I deputati, affascinati dai suoi discorsi e credendo fermamente nei loro ideali, giurarono assieme al ragazzo di non separarsi in nessun caso e di continuare a riunirsi ovunque e in qualsiasi momento fino ad ottenere ciò che volevano.
-Cosa dirò al capo?-
-La verità, Benn.- gli disse Sabo a fine giornata, raccogliendo le sue cose e ficcando i suoi appunti riguardanti una nuova Costituzione dentro una sacca in pelle che si mise a tracolla. –Non pretendo che tu menta per me, ma sappi che non mi pento di niente.-
Benn sospirò, sorridendo ugualmente e dandogli una pacca sulla schiena. –Forza, torniamo a casa.-
Uscendo, alcuni esponenti del gruppo gli si avvicinarono curiosi, interrogandolo su alcuni punti che avevano ritenuto più importanti di altri e stringendogli la mano prima di separarsi sulla via del ritorno.
-I miei complimenti.- gli stava dicendo un tizio, -Non si vedono spesso giovani con il tuo carattere. La tua famiglia deve essere molto fiera.-
Sabo sorrise imbarazzato, deglutendo a fatica. Se solo pensava a quello che lo attendeva una volta rientrato alla locanda, gli veniva la pelle d’oca. Sicuramente non l’avrebbe passata liscia e di tenere nascosto il fatto non se ne parlava, dato che l’indomani non si sarebbe parlato d’altro che del suo intervento magistrale.
Benn, dietro di lui, si schiarì la voce, deliziato dall’idea di assistere ad un altro dei litigi famigliari di Shanks che finivano sempre per farlo morire dalle risate. Poteva vantarsi di non annoiarsi mai in loro compagnia.
-Vorrei solo chiederti che cosa faremo se dovessero chiudere anche la nuova sala.- continuò poi l’uomo con aria preoccupata, stringendosi al petto un grosso volume che parlava di leggi e di politica.
Il biondo Rivoluzionario si strinse nelle spalle, alleggerendo la tensione con un gesto secco della mano. -Non preoccuparti.- lo tranquillizzò, -Ne troveremo subito un’altra e non gliela daremo vinta, poco ma sicuro.-
In effetti, Sabo aveva già calcolato la possibilità di dover cercare un ulteriore luogo dove stabilire l’assemblea perché, se il suo parere sulla testardaggine dei ricchi era giusto, il re non avrebbe permesso che continuassero ad andare controcorrente con le loro idee e i loro obbiettivi. Di certo dovevano aspettarsi qualche sabotaggio o brutto scherzo, poco ma sicuro.
Sospirò, incamminandosi con Benn verso casa, totalmente immerso nei suoi pensieri e deciso a trovare una soluzione, preparando già un piano alternativo. Avrebbe dovuto riflettere anche su cosa dire a Shanks una volta rientrato, ma non ne aveva il tempo. Sperava nella sua buona stella e, in caso di guai, non avrebbe fatto altro che esprimersi sinceramente. Dopotutto, non si pentiva di quello che aveva fatto perché ciò aveva significato aiutare gli altri deputati, oltre che a mandare avanti l’Assemblea Nazionale. Se non fosse intervenuto, probabilmente la situazione sarebbe precipitata nel giro di poche ore e chissà in che caos sarebbe piombata la città. Aveva dato una mano e ne andava fiero, dicessero pure che era troppo giovane o inesperto. D’accordo, era ancora alle prime armi, ma non era uno sprovveduto, ne aveva dato prova a se stesso e a Koala, la quale glielo aveva detto subito che avrebbe potuto farcela, se solo ci avesse provato.
Sorrise, ricordando la prima volta che le aveva parlato delle sue idee e dei suoi progetti riguardanti la situazione critica della Francia. Lei non aveva perso tempo e, quando aveva finito, gli aveva chiesto cosa stesse aspettando per darsi da fare. Lo aveva lasciato senza parole e le era stato così grato per la fiducia che aveva riposto nelle sue capacità che in quel momento sentiva il bisogno di correre all’accampamento solo per ringraziarla. Si ripromise che lo avrebbe fatto non appena si fosse liberato della scocciatura che lo attendeva a casa. Magari avrebbe potuto anche fargli un regalo, qualcosa di carino per farla contenta, giusto per sdebitarsi, anche se nei suoi confronti aveva un debito enorme.
-Beh, figliolo,- esclamò Benn, aspettandolo sulla soglia della locanda per lasciarlo entrare per primo, accendendosi con finto disinteresse un sigaro. –Buona fortuna.-
-Grazie amico.- fece Sabo, prendendo un respiro profondo e aprendo la porta.
Che il cielo mi aiuti.
 
*
 
A Palazzo le cose stavano degenerando sempre più drasticamente e i suoi nervi cominciavano a risentirne parecchio, tanto da indurlo quasi a prendere decisioni avventate, come quella che aveva deciso di assecondare circa un’ora prima quando, nel bel mezzo di un allenamento, più precisamente quando aveva fatto perdere l’equilibrio a Perona ed era finito stramazzato al suolo come un allocco solo perché lei gli si era avvinghiata ad un braccio come una sanguisuga, l’aveva sentita sbuffare sotto il suo petto per poi udire la fatidica richiesta di portarla in città, lontano da quelle quattro mura.
Era seguita un’accesa discussione su come uscire dalla reggia, visto e considerato che lui aveva fatto chiudere l’unico passaggio segreto facile da raggiungere e utilizzare, ma alla fine avevano trovato una soluzione comoda per entrambi.
Con sua sorpresa, la Principessa era stata molto disponibile, fin troppo, e aveva seguito alla lettera le sue indicazione senza ribattere. Un po’ si era insospettito e aveva temuto che stesse tramando qualcosa, ma era arrivato alla conclusione che non vedesse semplicemente l’ora di evadere.
Le aveva procurato qualche straccio dalle stanze della servitù, vestiti maschili soprattutto e, una volta legati i capelli in una crocchia poco ordinata, ficcato un cappello largo in testa e sporcate le mani, dopo lunghi piagnistei, di fuliggine, ecco che avevano imboccato l’uscita di servizio, quella utilizzata dai dipendenti con una scusa qualsiasi alla quale le due guardie indisciplinate poste all’entrata dei cancelli in ferro battuto avevano creduto, non degnando di altra attenzione uno spadaccino nobile e uno sguattero.
Così, col sole del primo pomeriggio sopra le loro teste, in quel momento stavano camminando lungo una delle molteplici vie affollate. Per la precisione, la Principessa correva da un angolo all’altro per non perdersi nulla di tutte quelle meraviglie, mentre Mihawk la seguiva sospirando scocciato senza perderla d’occhio. Gli mancava solo vederla scomparire in mezzo alla gente per farlo finire alla gogna.
Intanto Perona non la smetteva di vagabondare a destra e a sinistra, fermandosi ad ogni passo per guardare qualcosa, per assaggiare quell’altra e per annotare alcune frasi su alcuni fogli che si era portata appresso. Una chiesetta, una casa, una bancarella o addirittura dei mendicanti, qualsiasi cosa era degna di essere ammirata e quando informò Mihawk di non aver mai mangiato una baguette in vita sua, lui non le credette e si allontanò per un'altra strada, seguito a ruota da lei e dalle sue risa mentre gli assicurava che quello che diceva era vero.
Sembrava una bambina nel regno della fantasia, dove non esistevano sofferenze, ma solo motivi per cui sorridere e non essere abbattuti. Tutto era nuovo, tutto le piaceva e cercare di essere discreti e non dare nell’occhio era impossibile anche con addosso abiti poco appariscenti.
-Piantala di correre di qua e di là.- fece esasperato senza guadarla, -Se ti perdi non verrò a cercarti.-
La vide alzare gli occhi al cielo. Cosa credeva, di essere l’unica a sentirsi seccata?
-Non mi perderò, tranquillo. E poi non ho bisogno della balia, sarei in grado di ritrovare la strada e aspettarti a palazzo.- affermò, sicura di quello che diceva.
L’uomo la fulminò con lo sguardo, intimandole di non provare nemmeno a fare una cosa del genere.
Per tutta risposta, Perona si imbronciò, intuendo i pensieri di Mihawk e prendendola sul personale. -Posso benissimo difendermi.- ribatté offesa, -Il fatto che io sia una donna non significa nulla.-
-Ah no?- si lasciò scappare lui, superandola per camminare qualche passo avanti a lei.
-Presuntuoso.- la sentì mormorare.
-Guarda che ti sento.-
Non vide, però, lo sberleffo che la ragazza si lasciò scappare, un gesto infantile da parte sua, ma che si sentiva orgogliosa di aver fatto senza essere stata beccata o rimproverata.
Quella passeggiata le stava piacendo da impazzire e voleva passare al meglio la giornata senza continuare a sentile le lamentele di quel pezzo di ghiaccio, sempre troppo composto e serio. Pensandoci bene, non lo aveva mai nemmeno sentito ridere. Era proprio ora che si sciogliesse un pochino e lei, da principessa viziata quale era, abituata a vivere al meglio, sapeva esattamente come fare. Le serviva solo l’occasione adatta da cogliere al volo.
-Yohohoho!-
Volse il capo alla sua sinistra e scorse una deliziosa piazzetta che costeggiava un tratto della Senna, adibita con alcune panchine poste proprio di fronte al fiume, mentre un paio di bancarelle, una di ortaggi e frutta e l’altra di fiori, animavano il centro, intrattenendo uomini e donne interessati alla vendita. Ciò che attirava di più l’attenzione, però, era uno strano individuo, altissimo e molto magro, quasi scheletrico, e con una buffa chioma voluminosa di capelli neri e ricci che rideva e scherzava con dei bambini di strada, suonando nel frattempo un violino. Attorno a lui, qualche madre guardava la scena, tenendo d’occhio i figlioletti, mentre, in compagnia del musicista, seduto sul ciglio della strada, un ragazzo con un naso davvero notevole batteva a ritmo i palmi su un tamburello, accompagnando la melodia del compagno e partecipando alle risate collettive dei passanti che si fermavano a lasciare loro qualche spicciolo.
Fu più forte di lei e, afferrata saldamente una manica della camicia bordeaux di Mihawk, lo trascinò davanti a quel teatrino, incurante dei suoi tentativi di fermarla e rimetterla in riga. Al diavolo lui e l’apparenza da gentiluomo, che a parere della principessa non era affatto.
Perona iniziò subito a partecipare allo spettacolo, battendo le mani e dondolando un pochino il capo, quando, gettando un’occhiata al suo accompagnatore per coinvolgerlo e vedere se si stava divertendo, rimase immobile, cambiando umore e scoccandogli uno sguardo torvo che lui ricambiò sogghignando. Lui riteneva tutto quel trambusto una grandissima sciocchezza e lei era ancora più infantile visto che ci andava dietro.
-Perché quella faccia?- la punzecchiò, infilando le mani nelle tasche e tornando a guardare il musicista, che aveva l’aria di uno abbastanza folgorato, con fare svogliato.
-Sei sempre così frigido ad ogni appuntamento?-
-Ovviamen… un momento, che cosa?- sbottò, perdendo per la prima volta la sua solita calma e rispondendo alla battuta di Perona con più enfasi di quanto avesse voluto, ma non la trovò accanto a sé, bensì a qualche metro di distanza, intenta a ballare con uno dei mocciosetti che fino a prima stavano correndo verso tutte le direzioni. Non sembravano seguire una coreografia precisa, ma nessuno dei presenti aveva l’aria averlo notato e tutti non facevano altro che applaudire e ridacchiare, intonando anche qualche canzone.
Inutile dire che ben presto la situazione degenerò e più di qualcuno iniziò a seguire l’esempio di Perona e dei bambini, iniziando a danzare sulle note prodotte dallo sgangherato pezzo di legno che l’uomo rachitico stringeva con apparente amore tra le mani, ridendo isterico e sfondando i timpani di Mihawk.
Lui, a differenza della gente, era rimasto al limitare della zona con le braccia conserte e un’espressione schifata e un pochino disorientata. Si sentiva fuori luogo, non abituato a ritrovarsi in situazioni simili nemmeno quando presenziava a delle feste indette da nobili o a cerimonie lussuose. Se proprio si volevano mettere i puntini sulle i, lui non ballava nemmeno se ne aveva l’occasione o se era circondato da belle dame che non aspettavano altro che una sua proposta, sebbene la sua educazione lo avesse portato ad imparare la danza. Non se la cavava male, più o meno era come la scherma, bastava imparare i passi, ma non aveva mai sentito la voglia di invitare qualcuno a ballare.
Non dovette farlo nemmeno in quell’occasione, dato che fu Perona a trascinarlo in mezzo alla folla sempre più numerosa, dopo che lo ebbe adocchiato tutto solo e imbarazzato.
-Non ho la minima intenzione di muovere un passo.- la informò deciso, sentendosi ignorato quando lei, proprio sotto al suo naso, roteò gli occhi in un moto di stizza, afferrandogli le mani e obbligandolo a muoversi girando a destra e a sinistra, seguendo il resto delle persone che avevano appena dato inizio ad una ballata popolare, fortunatamente una che aveva imparato a Corte.
Era certa che anche lui la conoscesse, nonostante continuasse a fare il prezioso, ma non si scoraggiò e, determinata a smuoverlo con l’intento di passare una giornata indimenticabile, non si fece problemi a circondargli il collo con un braccio e a guidare la sua mano fino al suo fianco per regolare le posizioni, ritrovandosi estremamente vicina a lui, vicinanza facilitata oltretutto dalla mancanza di gonne ampie.
-Allora, vuoi guidare le danze o pensi di lasciare il comando a una donna?- lo provocò, sorridendo sfacciatamente e dandogli l’impressione di voler iniziare a muoversi.
Esattamente come aveva previsto, e sperato, Mihawk, anche se con un cipiglio chiaramente arrabbiato e oltraggiato, la precedette e cominciò a seguire i passi, più per orgoglio ferito che per accontentarla, dimostrando di conoscerli e di essere pure portato per il ballo, sorprendendo parecchio Perona, la quale aveva scambiato tutto quel distacco per incapacità nella materia.
Un paio di piroette dopo, lei stava ridendo come mai le era capitato, saltando, battendo le mani, e passando di coppia in coppia, senza mai però staccare lo sguardo dall’uomo che, come lei, ignorava il resto dei presenti, strappandola quasi dalle braccia di un povero giovanotto quando la musica l’aveva riportata nuovamente da lui. Trovava che fossero in perfetta sintonia e voleva evitare di rovinarsi il momento, preferendo danzare con lei invece che con qualcun altro. E di certo non avrebbe rischiato che Perona trovasse altri ballerini più esperti, ma tale pensiero non lo prese nemmeno in considerazione, arginandolo in un angolo buio della mente prima ancora di formularlo.
E solo quando la danza volse al termine, facendo si che la Principessa, finalmente spensierata e sorridente, gli gettasse le braccia al collo, stringendolo in un gesto troppo confidenziale per due personaggi come loro, si accorse che aveva inconsciamente sorriso per buona parte del tempo. Fu ancora più assurdo perché fu proprio lei stessa a farglielo notare.
-Sapevo che eri capace di sorridere.-
Non le diede una risposta, solamente le concesse un’espressione neutrale e un lungo e intenso sguardo che la lasciò con il fiato sospeso fino a che la folla non si fu dileguata, lasciandoli soli, di fronte alla Senna, intenti a fissarsi nel tentativo di leggersi nell’anima, o semplicemente impegnati a godersi un attimo di pace, lontano da pregiudizi, titoli nobiliari e obblighi.
Sembrava quasi di stare in una scena del libro preferito della ragazza, con l’unica differenza che nella storia i due protagonisti, nonostante le varie avventure rocambolesche e i loro sentimenti e caratteri contrastanti, erano innamorati. Riflettendoci, alla Principessa non sarebbe dispiaciuto che la giornata finisse nel migliori dei modi, per esempio con un, ecco, insomma, con…
-E’ ora di tornare.-
Fu Mihawk a riportare Perona con i piedi per terra, facendola sospirare dispiaciuta, anche se in fondo sapeva che non avrebbero potuto stare fuori per sempre, nonostante avesse pensato più di una volta di scappare.
A parte l’obbligatorio ritorno alla realtà, decise di non sprecare quegli ultimi attimi di libertà e viverli appieno, lasciando qualche moneta d’oro al musicista, il quale si prodigò in mille ringraziamenti non appena si rese conto di essere stato apprezzato tanto. Poi seguì Mihawk attraverso la piazza, dirigendosi con lui verso la reggia e facendo la strada a ritroso, riempiendosi gli occhi di tutte quelle cose che a palazzo avrebbe solo potuto sognarsi, come i bimbi che correvano scalzi; le donne che giravano per le vie senza scarpe troppo scomode o gonne troppo ampie; animali liberi di scorrazzare ovunque, ubriaconi che barcollavano e ridevano sguaiatamente; il sorriso nel volto di ogni persona che incontrava, indipendentemente dal fatto che possedessero solamente le loro vite e qualche spicciolo. Erano felici anche se vivevano con poco, mentre lei, che aveva tutto, si sentiva povera e sola da quando era nata.
Mano a mano che si avvicinavano a casa, Perona si fece sempre più silenziosa, conscia che presto sarebbe ritornata alla sua solita routine. Non si scoraggiava solo perché sapeva che gli allenamenti di scherma sarebbero continuati e lei avrebbe potuto prendersi una pausa di qualche ora dal suo essere una principessa da servire e riverire.
Lo spadaccino se ne era accordo del suo cambio di umore, dopotutto lo aveva stressato per tutto il pomeriggio con chiacchiere, gridolini, ‘comprami questo, comprami quello’ e ‘oh mio Dio, voglio quella cosa!’. Perciò il fatto che si fosse zittita lo fece insospettire, tanto da indurlo a iniziare una conversazione, cosa che non faceva mai visto e considerato che trovava chiunque noioso ed insignificante.
-Cosa c’è?- chiese diretto, senza nemmeno troppa delicatezza. Certo, non poteva mica passare dal non parlare all’essere gentile e garbato tutto in un attimo. Persino per lui quella continua curiosità nei confronti di quella ragazzina viziata era una novità abbastanza sconvolgente e che cercava di tenere a freno, senza successo ovviamente.
La vide stringersi nelle spalle, continuando a fissare la strada battuta in ciottoli. -Nulla. Mi fanno un po’ male i piedi.- confessò, non sentendosi comunque dispiaciuta. Per una volta le dolevano per qualcosa che le era piaciuto fare e non solamente perché le calzature erano un supplizio.
-Siamo quasi arrivati. Tra poco potrai riposarti.- le rese noto, riprendendo a guardare di fronte a sé, camminando fiero e disinvolto.
Perona, invece, aveva alzato il capo e aveva iniziato ad osservarlo, ammirando quel comportamento sempre sicuro e determinato, come se nulla potesse scalfirlo, conscio di poter fare ciò che più gli aggradava e di essere libero di andare ovunque. Oh, quanto lo invidiava per quello.
-Non sono affatto stanca.- si affrettò a spiegare, -Anzi, non mi sono mai sentita meglio! Magari potessi restare fuori di più.- borbottò abbattuta.
Mihawk si lasciò scappare un mezzo ghigno. -Credo che per oggi tu abbia trasgredito abbastanza alle regole.- la punzecchiò, sicuro che se la sua piccola gita in città fosse giunta alle orecchie di Sua Altezza, ci sarebbe stato un corpo penzolante al cappio il giorno successivo: il suo.
Perona gli rivolse un’occhiata complice. -Potremo sempre rifarlo.-
-Assolutamente no.-
-Ti prego!- lo scongiurò, congiungendo le mani e precedendolo per camminare davanti a lui, indietreggiando mentre lui avanzava.
-Non insistere.-
-Perché altrimenti ti convincerei?-
-Per riuscirci dovresti impegnarti di più.- la informò, fermandosi e incrociando le braccia al petto in un atteggiamento quasi di sfida, cosa che indispettì Perona, decisa ad ottenere ciò che voleva.
Piegare un uomo come Drakul Mihawk? Un obbiettivo alquanto difficile, non ci voleva un genio per capirlo, ma lei non pretendeva chissà che cosa, le bastava solo una piccola parte e tutto si sarebbe sistemato nel migliore dei modi. Corromperlo? Non aveva senso: era ricco, aveva una buona posizione e un’ottima fama, smentirlo non le sarebbe giovato, soprattutto perché avrebbe detto addio alle sue lezioni di scherma; ammaliarlo? Chi voleva prendere in giro, quello pareva immune a qualsiasi bella dama gli passasse di fronte; mirare al suo animo buono? Ne aveva almeno uno?
Perona si mordicchiò un labbro indecisa, cercando freneticamente nella sua testa un modo efficace per raggiungere il suo scopo, peccato però che quel maleducato fosse un osso duro. A conti fatti non aveva nulla per le mani che potesse darle un briciolo di speranza. Forse tutto quello che le rimaneva da fare era ammettere che ce l’aveva vinta lui e basta.
-Scommetto che hai paura.- dichiarò invece, contrariamente a quello che si era prefissata. Doveva ricordarsi di fare attenzione al filtro che collegava il suo cervello alla bocca per assicurarsi di non fare in futuro altre sparate del genere.
Le sopracciglia dell’uomo si sollevarono più di quanto si sarebbe aspettata. Finalmente un cenno di natura umana in quella faccia sempre apatica. -Come, prego?-
Erano ritornate le buone maniere? Doveva approfittarne.
Raddrizzò le spalle e alzò il mento. -Deve essere così, altrimenti non avresti difficoltà a farmi uscire come hai fatto oggi. Deduco quindi che tu tema di metterti in pericolo, ma perché mi stupisco? Dopotutto, il rischio fa questo effetto su molti uomini.- rincarò, fingendo indifferenza ai pugno stretti lungo i fianchi di Mihawk e allo sguardo torvo che le aveva scoccato senza curarsi di mancarle di rispetto.
Avrebbe voluto prenderla e buttarla giù da una delle torri della cattedrale se solo avesse potuto. Dannazione, quella ragazzina era una vera e propria piaga nella sua vita; maledetta quella volta in cui aveva accettato quell’incarico e si era trasferito a Parigi. Al diavolo lei e al diavolo anche se stesso per essersi calato in una simile e sciocca impresa. Lui non aveva paura, affatto!
Con la frustrazione che gli scorreva nelle vene, coprì le distanze che li separavano, stringendo i denti nel notare la poca attenzione che Perona gli stava rivolgendo, quasi come se fosse stata certa del fatto che lui fosse un codardo. Quattro schiaffi sul suo bel visino avrebbe potuto permettersi di darglieli?
-Potrei farti uscire ogni volta che vorrei senza il minimo tentennamento.- disse, vedendola voltarsi verso di lui ed iniziare a sorridere ampiamente.
-Magnifico, quindi che ne dici di domani?- esultò, battendo le mani e facendo una giravolta, tenendosi bel calcato il cappello in testa per evitare che la sua chioma rosa sgusciasse fuori. -Sono certa che ci divertiremo! E potremo anche attraversare il fiume e vedere cosa c’è dall’altra parte e anche fermarci a mangiare in un bistrot. Non vedo l’ora!-
-Aspetta, che cosa stai dicendo?- Mihawk era allibito. E stupito. E parecchio incazzato con se stesso. Si era fatto abbindolare come un allocco, toccato nell’orgoglio e aveva finito per seguire l’istinto, accecato dalla priorità di mantenere alto il suo onore e non essere preso per un uomo di poco valore. Quella ragazzina! Le avrebbe dato una lezione con i fiocchi la prossima volta che avrebbero incrociato le lame.
-Sarà bellissimo! Usciremo ancora, tu ed io!- stava continuando imperterrita ed entusiasta lei, girandogli attorno per poi fermarsi e afferrargli improvvisamente una mano, mostrandogli un sorriso che le illuminò persino gli occhi. -Grazie.- mormorò, prima di lasciar scivolare via il suo palmo e precederlo lungo la via dalla quale si intravvedevano le mura del palazzo.
Mihawk sospirò e si calò il cappello per celare parte del viso e della sua espressione che non avrebbe saputo descrivere, mentre la sua mano pizzicava e bruciava allo stesso tempo.
E non sapeva perché.
  
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