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Autore: ___Ace    20/04/2015    1 recensioni
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie. L'avversione dei sudditi francesi non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno.
C'era, però, qualcuno pronto a combattere: un gruppo di persone che agivano nell'ombra e che lottavano per i loro ideali di giustizia ed uguaglianza. C'erano i Rivoluzionari, desiderosi di cambiare le cose e di liberare la Francia una volta per tutte.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Rivoluzionari, Sabo/Koala, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Liberté, Égalité, Fraternité.

Douze.

 
-Ace! Ace!-
Thatch, imbacuccato di stracci e coperto fin sopra i capelli con scialli dai colori sgargianti e tre borse di stoffa rattoppate per braccio, riempite con carote, patate, e un polletto vivo, seguiva il giovane davanti a lui agghindato alla stessa maniera, completo di sottogonna e parrucca.
-Moccioso, aspettami!- ripeté, alzando un poco la voce e ottenendo l’attenzione dell’amico, il quale si voltò verso di lui con il solo scopo di scoccargli un’occhiataccia. Gli aveva intimato di non urlare e di comportarsi come una vecchietta per non attirare l’attenzione e lui che faceva? Si lamentava e lo rallentava.
-Muoviti, razza di idiota, così li perdiamo!- lo incitò, afferrandolo per un gomito e trascinandosi dietro l’uomo più grande che, a causa della sua stazza, era fonte di curiosità per molti passanti. Non si vedevano tutti i giorni due anziane signore andare così di fretta, tutte indaffarate a agghindate.
E con un pollo in una borsa.
-Non riesco a camminare con tutta questa roba!- si lamentò Thatch, bisbigliando irritato per non farsi sentire da orecchie indiscrete, sollevando stizzito l’orlo della gonna per evitare di pestarlo e mostrando così uno stivaletto che gli stringeva in modo doloroso il piede e la gamba con una peluria abbondante e poco curata.
Ace roteò gli occhi al cielo, schiaffeggiandogli il dorso e obbligandolo a lasciare la stoffa. -Non metterti in mostra, depravato!- lo riprese, guardandosi attorno e non perdendo di vista la coppia di guardie che stavano pedinando in maniera da avere una mappa precisa del giro di ronda per le strade effettuato dagli ufficiali.
Thatch sbuffò, facendosi aria sul viso. Quel giorno il sole spiccava alto nel cielo e scaldava tantissimo, soprattutto se si indossavano abiti come quelli che aveva lui. Quando Ace gli aveva proposto di andare in missione ricognitiva non aveva immaginato che avrebbero dovuto vestirsi da donna. Gliel’avrebbe fatta pagare, poco ma sicuro, perciò tanto valeva iniziare subito nel modo che meglio conosceva.
-Dimmi, moccioso, come mai sei così a tuo agio con questi vestiti?- domandò, continuando a seguire il ragazzo e sorridendo ironico. Di certo avrebbe tenuto l’informazione per sé in modo da usarla negli anni a venire per sfottere quel piccolo bastardo francese.
Il corvino si strinse nelle spalle, camminando a passo svelto e tenendo sollevato il bastone da passeggio senza nemmeno poggiarlo a terra per andare più veloce. -Facciamo sempre così.- spiegò con disinteresse.
-E vestirvi da mendicanti?- insistette l’altro. Che diamine, quello delle vecchiette non poteva essere l’unico travestimento disponibile.
-Di solito le guardie li picchiano.-
Thatch sbatté le palpebre, scioccato.
Oh, ecco perché, pensò dispiaciuto, non per i barboni, ma per non aver trovato abbastanza materiale interessante da poter usare a suo piacimento. Aveva sperato in una confessione del tipo ‘mi vesto spesso così’, o qualcosa di simile, roba scottante, ecco.
Seguirono indisturbati la pattuglia lungo le viuzze di Parigi, evitando accuratamente distinti signori di età avanzata che avevano dato segno di interesse verso di loro, scambiandoli giustamente per signore, e ritornando al punto di partenza da dove era partito il giro, ovvero alla caserma. Lì si diedero il cambio con altri due Rivoluzionari, altrettanto camuffati, completi persino di ombrellini e rossetto davanti ai quali l’inglese scosse il capo, dovendo però ammettere che quei parigini prendevano sul serio i pedinamenti.
Ace, invece, ritenendosi soddisfatto, puntò verso il Quartiere Latino con l’intento di andare a fare rapporto e riferire a Shanks l’ennesimo giro di pattuglia con Thatch rigorosamente al suo fianco, impegnato a levarsi di dosso la camicia rosa, ficcandola in malo modo dentro un borsone dopo aver abbandonato il ruspante animale in un cortile li vicino.
-Abbiamo finito per oggi?- gli chiese poi, passandosi una mano tra i capelli folti e respirando a pieni polmoni, ringraziando il Cielo per essersi tolto quegli strati in eccesso di merletti e pizzi.
Ace annuì, calcandosi il cappello sulla testa con fare sapiente. Quell’affare, di un assurdo colore arancione, ricamato con due pezze di cuoio sul frontale e un laccetto con un pendaglio piumato appeso alle estremità, se lo era ritrovato il giovane nella sua camera alla locanda dopo la prima notte che avevano passato assieme a Montmartre, probabilmente un souvenir che aveva portato con sé inconsciamente. Inutile dire che ci si era affezionato molto e che non se lo toglieva mai, a volte nemmeno per dormire, cosa strana, ma che nessuno aveva commentato, pensando che di stranezze, al mondo, ce n’erano di peggiori. Nemmeno Thatch aveva detto nulla, anzi, quel cappello dava ad Ace un tocco di personalità in più, rendendolo ulteriormente particolare.
-Ehi, stamattina Curiel e Blenheim sono andati a caccia e hanno preso due cinghiali.- si ricordò il castano, battendo le mani sulle spalle di Ace e facendogli fare un lungo passo in avanti per non perdere l’equilibrio, -Vieni a cena da noi? Abbiamo pure trovato della birra!-
-Uh? Birra? E cos’è?-
A quella domanda, l’uomo si fece serio e sbatté le palpebre perplesso. Quei buongustai in fatto di vino e donne non sapevano cos’era la birra? Assurdo, doveva assolutamente rimediare.
-Ah, ragazzo mio,- iniziò a dire, passandogli un braccio attorno alla schiena e trascinandoselo addosso tanto da schiacciarlo contro il suo petto ampio, incurante delle lamentele di Ace che non riusciva a respirare. -Stasera vedrai come festeggiamo noi inglesi. Chiama pure il biondino, Sabo, o chi vuoi. Ci divertiremo.-
Ace si divincolò dalla presa, allontanandosi di qualche passo per evitare un altro degli assalti del castano, molto frequenti, dato che aveva a che fare con una persona tanto, forse troppo, espansiva.
-Glielo farò sapere, ma non so se ne avrà voglia. Si sta occupando dell’Assemblea alla Cattedrale di Saint Paul-Saint Louis. Sai, per via della chiusura della sala della pallacorda.- fece sbrigativo e un po’ nervoso. La situazione si stava facendo sempre più complessa e a Palazzo sembrava che il Re non volesse proprio cedere. Lurido zoticone pomposo che non era altro.
-Mhm, capisco. Beh, ma tu non puoi mancare!- sdrammatizzò Thatch, volendo distrarre un pochino Ace dai suoi pensieri. Avevano lavorato in incognito tutti il giorno, dato che da poche settimane Barbabianca aveva messo a disposizione di Shanks alcuni dei suoi uomini, lui compreso, e da allora avevano preso a lavorare assieme. A volte c’era anche Sabo, quando non era impegnato in affari burocratici assieme al Rosso che, dopo una baruffa con i fiocchi della quale Ace gli aveva solo accennato, lo aveva assunto sotto la sua ala e lo faceva partecipare a molte riunioni stressanti e noiose, come ripeteva costantemente il corvino, ma che a suo fratello piacevano, perché molto più intellettuale e portato alle chiacchiere.
Ace sorrise, pregustando già una cena con i fiocchi a base di carne vera e non solo di verdure o stufati. Non che Makino non fosse una brava cuoca, ma le prelibatezze scarseggiavano per tutti, se non si contavano i regalini che Sanji, di tanto in tanto, passava a portargli.
-Ci puoi scommettere!-
 
*
 
Ace non aveva mai visto le paludi conciate in quel modo.
Certo, a causa delle ronde gli inglesi non potevano permettersi di esagerare con le illuminazioni e con le fiaccole, ma avevano ideato abbastanza bene il modo giusto per far si che nulla fosse completamente avvolto dal buio.
Appese agli alberi c’erano una serie di lanterne per la maggior parte bianche, in modo da rischiarare l’ambiente, mentre sopra di esse erano stati posti strategicamente dei fasci di rami e foglie uniti tra loro, in modo da creare quasi dei tettucci bassi e sospesi, impedendo così alle luci di attirare l’attenzione dalla città. Per quanto riguardava la carne, invece, era stata arrostita nei pressi di uno dei ponti situati sulla Senna giusto all’uscita fuori dalle mura, dove la vegetazione era più fitta e dove l’atmosfera era fresca. Inoltre, essendo vicino al rivolo d’acqua, estinguere il fuoco non era stato un problema, mentre il fumo era finito tutto verso la boscaglia. Il buon profumo che era aleggiato da quelle parti era stato un po’ un problema, ma alla fine nessuna guardia era passata da quelle parti ed era bastato donare una parte di quella carne a qualche curioso per comprare il suo silenzio. Tutto riuscito e non un’anima aveva visto nulla.
-Allora? Cosa te ne pare?- gli stava chiedendo Thatch a bocca piena, ingoiando un boccone intero e rischiando quasi di strozzarsi, costretto poi a bere una generosa sorsata di birra.
Birra! Ace non avrebbe mai detto che esisteva qualcosa di più buono del suo cognac o del poiré, ma si era dovuto ricrede dopo aver assaggiato quella bevanda tanto decantata dai suoi amici che scendeva lungo la gola fino allo stomaco tanto velocemente quanto dava alla testa. Era più pesante del vino e gli dava un senso di sazietà, ma la carne era ancora tanta e lui non aveva intenzione di sprecarla lasciandola sul piatto. Perciò, rispondendo al castano che era tutto una meraviglia, addentò il suo pasto e non proferì più parola per un pezzo, lasciando che fosse Sabo, arrivato da poco più di cinque minuti, a intrattenere una conversazione con gli altri seduti accanto a lui.
Il biondo aveva passato una giornata infernale, ma alla fine, anche se il Re non aveva dato segno di cedimento e la questione non era ancora stata chiusa, i Rivoluzionari avevano guadagnato altri alleati nei loro ranghi e ottenuto parecchi favori da parte del Clero, quindi poteva ritenersi soddisfatto e prendersi una pausa, riempiendosi lo stomaco e bevendo fino a dissetarsi. Anche a lui sembrava piacere la birra.
-E quindi ho sollevato la gonna e gli ho fatto vedere il ben di Dio che nascondevo!- concluse Thatch, scatenando le risate generali e facendo andare di traverso l’alcool a Marco, il quale stava partecipando alla festicciola improvvisata giusto perché quei momenti spensierati con i suoi fratelli gli erano mancati immensamente e pensava che una rimpatriata avrebbe giovato all’umore teso di tutti. Aveva storto il naso quando il fratello gli aveva comunicato che aveva invitato anche qualche francese, ma non aveva fatto storie, vedendo come suo padre, presente a quella scena, avesse sorriso entusiasta, felice di vedere che andavano tutti d’accordo come una famiglia. Non aveva avuto cuore di dargli un dispiacere, perciò aveva sospirato e aveva annuito, garantendo che ci sarebbe stato e che per lui andava bene. Anche se, in verità, non gli piaceva per niente quell’idea. Quelli non c’entravano nulla con la loro vita, ma non poteva lamentarsi perché l’unico ad avere delle riserve nei loro confronti era lui, mentre tutti gli altri parevano non vedere l’ora di passare il tempo con i parigini. Cosa avessero di speciale, lui proprio non lo capiva, ma era abbastanza grande e intelligente per fare finta che non esistessero e provare a godersi la cena con quelli che amava davvero.
-E poi cos’è successo?- si intromise Namiur, alzando un bicchiere verso Thatch, il quale, camminando davanti a loro sopra ad una tavola improvvisata, si scopriva una gamba fino al ginocchio, tirando su i pantaloni.
Afferrò il boccale e bevve una generosa sorsata di schiena, restituendolo poi al fratello e, dopo aver deliziato i presenti con un rutto, finì il suo racconto. -Niente, mi hanno consigliato di depilarmi e mi hanno palpato il culo!-
Marco nascose parte del volto tra le mani, voltando il capo per non guardare oltre quella scena penosa in cui suo fratello si rendeva ridicolo come al solito. Quella storia l’aveva sentita mille volte ma, puntualmente, ad ogni festa doveva saltare fuori in modo da renderla nota anche agli ultimi arrivati.
Sospirando senza speranza, aprì gli occhi, guardandosi attorno con l’intento di estraniarsi per non ascoltare per l’ennesima volta il finale assurdo che quel cretino si divertiva a raccontare, adocchiando una figura intenta a divorare tranquillamente buona parte della sua cena, scroccando di tanto in tanto qualche pietanza dal piatto dei vicini ignari, i quali prestavano tutta la loro attenzione a Thatch senza accorgersi di nulla.
Fissò a lungo come Ace ingurgitava una quantità assurda di cibo senza quasi prendere fiato, alternando carne, verdure, birra, pane, ancora birra e poi di nuovo carne. Sembrava che non mangiasse da giorni e, quando lo vide afferrare una stracciata borsa a tracolla verde e nera e ficcarci dentro parte degli avanzi, non poté fare a meno di sorridere, tornando immediatamente freddo quando si rese conto di quella reazione sciocca e inutile. Era solo un classico comportamento da mocciosi quello che aveva visto, nulla di più. Lo facevano tutti, quindi perché perdere tempo?
Indurendo lo sguardo, riportò gli occhi davanti a lui, scoprendo con sollievo che Thatch aveva finito la sua esibizione e si prodigava in inchini, accogliendo di buon grato le risate e gli applausi che gli venivano fatti.
Come Marco, anche Sabo aveva notato quello che stava facendo Ace e, dopo essersi scambiato un’occhiata eloquente con il fratello, gli passò lui stesso il suo piatto con il cibo che era rimasto in modo che lo mettesse nel sacco per portarlo a casa. Il giorno dopo lo avrebbero dato alle famiglie che soffrivano di più il peso delle tasse sul pane e sugli alimenti.
Sembrava che Ace fosse sempre al centro dell’attenzione di tutti, perché anche Koala stava da un po’ fissando quello che stava combinando, incuriosita e con un sorriso dolce sulle labbra. Era accanto a Sabo e, se si sporgeva un pochino, riusciva a vedere il ragazzo moro che, incurante di quello che gli stava accadendo attorno, ripuliva tutti i piatti senza nemmeno chiedere il permesso. Le scappò una risata sommessa quando lo vide alzarsi per andare a chiedere a Blamenco se avesse intenzione di finire la sua parte o se poteva prenderla lui.
Sabo, sentendola, si voltò verso di lei con un sopracciglio inarcato, domandandole tacitamente cosa ci fosse, oltre a Thatch, di così divertente.
Lei si strinse nelle spalle, inclinando il capo di lato. -Ace.- disse solamente, come se bastasse a spiegare il suo umore. Allora anche Sabo, dopo aver rivolto un’altra occhiata all’apparenza esasperata, ma anche di profondo affetto al fratello, sorrise, poggiando un gomito sul tavolo per appoggiarci il mento, girandosi completamente verso la ragazza per accertarsi di escludere tutti gli altri dalla conversazione.
-Lo fa per non sprecare nulla.- chiarì, prima che iniziasse a pensare che era solo un ladruncolo, ma Koala riuscì a stupirlo con la sua bontà un’altra volta.
-Lo avevo immaginato. Anche lui non era riuscito a finire tutto. Inoltre, pure Haruta ed io, di tanto in tanto, lo facciamo.- concluse sussurrando, facendosi più vicina al volto dell’amico e mettendosi una mano al lato della bocca per parlargli vicino all’orecchio. -Ma non dirlo al babbo, lui non lo sa.-
Sul viso di Sabo si aprì un sorriso che sfociò in una risata sonora, tanto che reclinò il capo all’indietro, mentre Koala si mordicchiava il labbro, ridacchiando in maniera più contenuta per non attirare troppo l’attenzione, colpendolo intanto al braccio o sul petto nella speranza di farlo smettere.
Sembravano due bambini che giocavano, avrebbe pensato qualcuno, ma a notarli fu l’acuta vista di Thatch e, ovviamente, la sua immaginazione fervida e maliziosa iniziò subito a mettersi in moto. Poggiò il boccale appena riempito sul legno, schiarendosi la voce per lasciare uscire dalle labbra una battutina sarcastica e decisamente poco elegante, quando accanto a Koala vide materializzarsi la figura minuta di Haruta, dovendo così zittirsi all’istante e perdendo parte del buonumore che aveva acquistato con l’alcool.
La guardò parlare con la compagna, salutando allegramente Sabo, il quale rispose educatamente, domandandole qualcosa che il castano non riuscì a sentire, vedendola poi allontanarsi agitando la mano verso quei due, diretta forse nella sua tenda a dormire.
Il suo stomaco si chiuse e tutto l’interesse per la birra e per la festa che aveva atteso con impazienza dall’ora di pranzo scomparirono a causa della consapevolezza che Haruta, da un mese a quella parte, aveva smesso di passare il tempo in famiglia. La sera, solitamente, si trovavano tutti attorno ad uno dei focolari per chiacchierare, oppure andavano dal babbo, o addirittura passeggiavano per le paludi in compagnia, mentre, da quando gli aveva urlato di volerlo evitare, non la vedeva più. Inizialmente aveva creduto impossibile non riuscire a beccarla in qualche momento della giornata all’accampamento, ma la ragazza si stava rivelando più brava e furba del previsto. Lo ignorava e spariva l’attimo prima che lui arrivasse.
Quella sera non si era nemmeno accorto del momento in cui era spuntata e solo in quell’istante si era reso conto che ciò era stato l’intento di Haruta fin dal principio. Si comportava come se non vivesse all’accampamento, non mangiava più con i fratelli e non si allenava nemmeno più dove era solita farlo. Era praticamente scomparsa dalla sua vita.
E lui non sapeva ancora perché.
Quando Vista gli chiese dove era diretto quando si alzò da tavola con un’espressione dura e senza l’ombra di un sorriso sulla faccia, gli rispose semplicemente che andava a vomitare, in modo da tenersi tutti lontani e avere l’occasione di chiarire una volta per tutte quel problema che Haruta sembrava avere con lui. E se non voleva ascoltarlo allora l’avrebbe obbligata.
-Lei come sta?- stava chiedendo intanto Sabo a Koala, facendo un cenno in direzione della ragazza che era appena passata a dare loro la buonanotte.
-Insomma.- sospirò lei, -E’ davvero tanto triste. Io cerco di starle vicina e anche Marco e gli altri che hanno capito la situazione, ma credo si senta ugualmente tanto sola.- gli confessò, scuotendo il capo, tanto che una ciocca ramata e ribelle le sfuggì dal cerchietto rosso che portava per tenere in ordine i capelli.
Senza riflettere, Sabo la catturò tra le dita, giocherellandoci distratto, ignorando il baccano che avveniva attorno a loro. A quanto pareva, Curiel aveva sostenuto di aver catturato da solo i cinghiali, mentre Blenheim insisteva nel dire che era stato tutto merito suo, scatenando così una salutare rissa tra amici e fratelli alla quale si erano unite più persone del previsto. Si udì pure il timido suono di una chitarra e di un tamburello rallegrare quel momento.
-Potresti portarla in città.- mormorò pensieroso Sabo, fissando i capelli morbidi di Koala che aveva ancora tra le mani. -Le farebbe bene distrarsi.- decretò con sicurezza, rimettendo a posto la ciocca e sorridendo convinto alla ragazza di fronte a lui, il cui sguardo si illuminava per la bella idea che le aveva consigliato.
-Non ci avevo pensato, ma hai ragione! Posso proporglielo e sono certa che non dirà di no.-
-Sarà entusiasta, credimi. Parigi sa conquistare chiunque.- scherzò lui, coinvolgendo pure la giovane.
-Come te, insomma.-
Nell’esatto momento in cui quella frase prese vita, Koala si sentì andare a fuoco le guance, mentre, davanti a lei, Sabo si grattava la nuca imbarazzato, sorridendo appena. Accidenti, doveva imparare a smetterla di dire sempre quello che le passava per la mente.
-Cioè… io volevo solo dire che, beh, sei… ehm, bravo c-con le parole. Uh, sai farti ascoltare, come nelle assemblee. Questo intendevo io, ecco.- balbettò insicura, guardando ovunque, tranne che verso di lui e sperando che qualcosa, qualsiasi cosa interrompesse quella tortura, mettendo fine alla figuraccia che stava facendo.
Il miracolo arrivò dall’alto, cadendo rumorosamente sotto al loro naso e battendo sul tavolo, facendolo sussultare. Un qualche idiota aveva bevuto troppo ed era caduto dall’albero sul quale si era arrampicato e, a giudicare dal divertimento generale, non si era fatto gran ché, ma aveva dato l’occasione a Koala per scattare in piedi e battere in ritirata.
-Si è fatto tardi, meglio che vada a dormire pure io.- disse di fretta, indietreggiando impacciata e con lo sguardo di Sabo addosso che, per l’appunto, sembrava avere una paralisi facciale dato che quel sorriso non voleva saperne di sparire.
-Buonanotte!- sbottò infine, affrettandosi a voltarsi per scomparire nella speranza che il ragazzo si ubriacasse e dimenticasse quella sparata colossale che il suo cervello non aveva censurato.
-Sei molto bella, Koala.- si sentì dire e fu come se le venisse tolta tutta l’aria. Si bloccò all’istante, non sapendo cosa fare o come reagire. Qual’era la regola da rispettare in quelle circostanze? C’era un elenco da seguire o qualche frase da pronunciare? Ed era possibile che sentisse le guance in fiamme in quella maniera?
Si abbracciò il petto con le braccia, stringendosi nelle camicetta rosa antico che aveva indossato.
Davvero Sabo pensava che fosse bella? Insomma, lui viveva in città, aveva una casa, dei vestiti puliti ed era sempre così attento e gentile, mentre lei cosa aveva? Aveva si e no tre paia di abiti, giusto il necessario per poterli indossare e lavare allo stesso tempo, viveva in mezzo al nulla e l’unica cosa che sapeva fare era il medico quando serviva e leggere. Di certo, nessuno le aveva mai detto che era bella per quelle poche cose che la riguardavano.
Però sentirselo dire le fece piacere, qualcosa doveva pur valere e detto da Sabo, il quale, lo sapeva, era incapace di mentire, doveva essere per forza vero, quindi un pizzico di bellezza in lei c’era.
Così si voltò, regalandogli un sorriso timido e mimando un grazie con le labbra, salutandolo prima di andarsene e perdendosi il sospiro dall’aria vagamente sognante che il ragazzo si lasciò sfuggire.
 
*
 
-M-marco…- provò a dire un balbettante e nervoso Ace, immobilizzato contro il tronco di un grosso albero senza vie di fuga da poter prendere per fuggire da quella situazione imbarazzante e sorprendente in cui mai avrebbe pensato di ritrovarsi.
Per tutta risposta, il biondo si avvicinò ulteriormente a lui fino a far aderire il suo corpo accaldato a quello impietrito del ragazzo, continuando a lasciare una scia di baci sul collo del più piccolo che sapevano di vino e birra, ma anche di dolce e meringhe, giusto quelle che Sabo aveva portato dalla città per festeggiare, mordicchiandolo di tanto in tanto.
-Marco.- riprovò allora Ace, con un po’ più di fermezza nella voce con la speranza di riuscire a farsi valere e a cavarsi da quell’impiccio, trattenendo però il respiro quando i denti dell’uomo gli sfiorarono la gola.
Era tutto così assurdo, lui non avrebbe dovuto trovarsi lì, con il suo nemico giurato mezzo ubriaco, anzi, totalmente ubriaco marcio, spalmatogli addosso, quasi come il formaggio che metteva Makino sul pane la mattina, intento a divorarlo lentamente.
-Non credo c-che sia una b-buona idea.- Riuscì a dire tutto d’un fiato. Oh no, non lo era affatto, anzi, se li avessero beccati in quel frangente, come minimo lo avrebbero legato ad una delle postazioni delle sentinelle, quelle situate più in alto sugli alberi, senza cibo ne acqua.
-Ah no?- sussurrò Marco, depositandogli l’ennesimo bacio sulla pelle e facendogli scorrere un brivido lungo la schiena.
Ma che diavolo…?
Era malizia quella che Ace sentì nella sua voce? E da quando quel bastardo si rivolgeva a lui in quel modo e con quel tono? Di solito lo guardava con disprezzo o lo ignorava bellamente. Di sicuro non lo avvicinava in quella maniera! Ancora non si capacitava di come se lo era ritrovato tra i piedi quella sera, sapeva solo che prima stava camminando con la sua sacca piena di cibo e quello dopo si era ritrovato sbattuto addosso a un albero con quell’inglese che senza troppe cerimonie gli si era avventato contro.
Marco approfittò di quel momento di silenzio per schiacciarlo contro il tronco e afferrargli saldamente un fianco per non permettergli di muoversi, scorrendo con le dita sotto al tessuto giallo della camicia e sentendo come i nervi di Ace si tendessero al suo passaggio.
Il ragazzo si morse le labbra per non tremare a quel tocco, mentre dentro di lui si muovevano sensazioni strane mai provate prima, facendogli quasi percepire il sangue che gli scorreva nelle vene e il cuore che accelerava il ritmo, svegliandolo completamente e rendendolo lucido. Aveva l’impulso di rispondere a quelle attenzioni, di aggrapparsi alle spalle di Marco e di affondare le dita tra quei capelli improbabili con il desiderio di strapparglieli per obbligarlo finalmente a prestargli attenzione. Voleva restituirgli il gesto e morderlo fino a fargli male, fino a fargli vedere che lui c’era, che esisteva e che non avrebbe smesso di comportarsi come era solito solo perché a lui dava fastidio.
Fottuto inglese.
Ma, quando le labbra di Marco risalirono la linea del collo fino alla sua guancia, si rese conto che qualcosa non andava bene, che quello non era il principio di una rissa e nemmeno una casta discussione, no, quello era tutto un casino che gli stava facendo scoppiare la testa per la confusione.
Doveva reagire, sapeva che il braccio destro di Barbabianca non era lucido e voleva evitare fraintendimenti e casini irreversibili dato che aveva già perso troppo il sonno a causa sua. Non gli occorreva di certo essere additato come seduttore, figuriamoci. Lui, poi, che in quell’ambito non ci capiva niente!
Peccato che quella inesperienza, però, giocasse a suo sfavore, visto e considerato che le attenzioni che Marco gli stava rivolgendo, sotto, sotto, a una parte di lui non dispiacevano affatto. Era un qualcosa di nuovo e di piacevole, tanto che avrebbe quasi voluto scoprire fino a che punto si sarebbe spinto quel fastidioso essere che gli aveva fatto capire che lo odiava, ma la paura di finire nei guai e l’antipatia che provava verso di lui ebbero la meglio.
Così, con un sospiro stanco, posò entrambe le mani sul petto del biondo, facendo leva per staccarselo di dosso e allontanarlo, per sua fortuna riuscendoci.
-Hai bevuto troppo.- gli fece notare con sarcasmo, sorreggendolo quando lo vide traballare incerto sulle sue gambe. -Meglio se vai a dormire.-
-Gneh, io sto benis-simo!- contestò l’altro, colpito nell’orgoglio e desideroso di dimostrare la sua ormai perduta lucidità mentale che, se fosse stata presente, non gli avrebbe mai permesso di avvicinare Ace in quel modo. Non voleva comunque ammettere che tutto ciò di cui aveva bisogno era un letto e un secchio dove vomitare l’anima.
Ciò Ace l’aveva capito dal colore pallido che aveva assunto il volto di Marco e dalle palpebre pesanti, così, ingoiando improperi e giurando vendetta, lo trascinò verso uno dei focolari poco lontani dove era sicuro di aver visto delle panche e qualche coperta. Non era certo di riuscire a portarlo fino alla sua tenda, la stessa che condivideva con Thatch, perciò avrebbe dovuto accontentarsi di dormire per terra e guai a lui se avesse avuto il coraggio di lamentarsi.
La distanza era poca, circa una decina di metri, ma furono infinite tra imprecazioni, risate sguaiate e senza motivo, battute insensate, colorite e ingegnose verso la madre di ignoti.
-Ecco!- esalò il ragazzo, lasciando scivolare il più grande su una delle due panche disposte attorno al fuoco quasi al limite e gettandogli addosso una coperta raccattata da terra con poca grazia. -Bene, ora dormi, ne hai bisogno.- concluse scocciato e con una buona dose di acidità che non si preoccupò di nascondere, anche se vedere le condizioni pietose in cui Marco si era ridotto gli dava un senso di soddisfazione immenso.
Farlo fuori in quel momento sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Il pensiero colpì Ace all’improvviso e fu talmente sconvolgente che si vergognò di se stesso. Aveva dovuto imparare troppo presto ad uccidere per salvarsi la vita e, ogni volta che sparava a qualcuno, doveva per forza estraniarsi dal mondo e non pensare per non venire sopraffatto dalle emozioni e dall’ansia. Le domande erano la parte peggiore, si chiedeva spesso se fosse giusto o sbagliato, ma alla fine Shanks gli aveva spiegato che, a volte, era solamente necessario. Lui arrivava ad uccidere unicamente se non aveva altra scelta o se una persona a cui teneva era in pericolo. Per la sua famiglia, ad esempio, avrebbe raso al suolo un intero battaglione, ma uccidere così, per puro piacere o ripicca gli faceva rivoltare lo stomaco. Persino l’odio non gli pareva un buon motivo per arrivare a tanto.
Fu per quello che si ripromise di chiarire i conti con Marco. Dovevano trovare un modo per andare d’accordo e per non desiderare costantemente di scannarsi a vicenda. Certo, non sarebbe stato facile, lui per primo lo ammetteva, ma continuare in quella maniera non avrebbe portato da nessuna parte e, se fosse servito a qualcosa, avrebbe fatto lui il primo passo quando ne avrebbe avuto l’occasione.
Presa quella decisione, Ace mandò giù l’ennesimo boccone amaro e si avviò con la sua sacca piena di avanzi verso casa, desideroso di buttarsi a letto e cadere in un sonno profondo. Avrebbe lasciato il divertimento agli altri, lui, per quella notte, ne aveva avuto abbastanza.
Marco, ormai, dormiva della grossa nel suo giaciglio improvvisato in modo scomposto e, russando rumorosamente, si sarebbe svegliato al mattino con la sensazione di avere le ossa fracassate e di aver fatto qualche cazzata ridotta solo ad un vago ricordo riguardante la gola di qualcuno.
 
*
 
Era il 27 di giugno e per le strade correvano un sacco di voci, tutte diverse, ma tutte, fortunatamente, vere.
Gli schiamazzi arrivavano persino alle orecchie disinteressate di Law che, dalla sua stanza, non aveva la minima intenzione di uscire da sotto le lenzuola e scendere dal letto. Dopo la notte precedente non se ne parlava proprio.
Se avesse saputo che Corazòn avrebbe fatto tutto quel casino, di sicuro non avrebbe mai permesso che quella cosa accadesse. Pazienza l’arrivo di un cucciolo, quello il suo tutore lo aveva accettato di buon grado, affezionandosi subito all’animale, un batuffolo di pelo tutto bianco e con dei particolari e, a detta di Law, interessanti occhi rossi. Nel giro di un mese il cucciolo era cresciuto notevolmente e di certo sarebbe cresciuto ancora, ma quella non era affatto una preoccupazione. Avevano spazio in casa e il giardinetto sul retro andava benissimo, purché non scappasse in strada. Law dubitava che le guardie avrebbero lasciato vivere a lungo un cane lupo una volta adulto.
Dove lo avesse trovato quella testaccia rossa proprio non lo sapeva, glielo aveva piazzato tra le braccia una sera nella sala dove operava, tutto sporco e con una zampa rotta, ordinandogli di curarlo e, non contento, obbligandolo a tenerlo perché non poteva vivere da solo. Alla domanda sulla ragione per la quale non potesse stare con Kidd, quello aveva risposto con una semplicità spiazzante, e con un po’ di sarcasmo che Law aveva mal digerito, dicendogli che non aveva una casa e che viveva a scrocco, solitamente da Ace senza nemmeno pagare l’affitto perché ci pensava il ragazzino.
Su quella confessione, il dottore ci aveva riflettuto a lungo e, alla fine, dato che quel ladruncolo dei sobborghi della Costa Azzurra aveva preso l’abitudine di fargli visita ad ore improponibili della notte per elemosinare qualcosa da mangiare, anche se inventava sempre un sacco di scuse per non fare la parte del mendicante, il ragazzo aveva deciso di tentare l’impossibile. Così, senza sapere nemmeno lui il perché di quel comportamento, ne aveva prima parlato col diretto interessato, rigirando la frittata in modo che non sembrasse un invito e, una volta ottenuto il suo consenso, l’aveva introdotto in casa sue e, beh, presentato inevitabilmente a Corazòn.
Il quale, per la precisione, si era chiuso nel suo classico mutismo e non aveva più proferito parola.
Se la ricordava benissimo la scena e difficilmente l’avrebbe dimenticata, ne era certo.
Nel bel mezzo della cena, lui si era alzato e, senza dire nulla, era andato sul retro per raggiungere Eustass-ya che, indispettito per l’attesa, era entrato e si era fatto accompagnare, stranamente in maniera molto composta e docile, fino alla sala da pranzo dove, dopo che Law si era schiarito la voce per attirare su di sé lo sguardo del mentore, aveva fatto il suo ingresso con i suoi stracci, i suoi capelli disastrati, nemmeno l’ombra di un sorriso e il suo muso da schiaffi.
Corazòn aveva sbattuto più volte le palpebre e, alla fine, aveva spostato lo sguardo su Law che, in piedi accanto alla porta e con le braccia conserte, lo aveva guardato di rimando, intrattenendo una lunga ed estenuante gara di sguardi. Talmente lunga che, dopo un po’, Kidd si era seduto a tavola e aveva iniziato a sgraffignare qualcosa da mangiare. Alla fine, dopo aver notato con la coda dell’occhio l’uomo seduto davanti a lui alzare le braccia al cielo e scuotere il capo con esasperazione, stringendo le labbra truccate in maniera da allungarle quasi fino a coprire anche le guance e facendo dondolare i laccetti neri appesi al cappuccio della giacca che indossava terminanti in due cuori neri, Law era entrato al centro del suo campo visivo e si era seduto a capotavola, riprendendo il suo pasto e rendendo noto che lui sarebbe stato loro ospite fino a tempo debito. La cena si era consumata silenziosamente e Law non si era perso l’occhiata truce che Corazòn aveva rivolto più volte al loro nuovo coinquilino, ma aveva deciso di ignorare quel suo comportamento protettivo facendo di testa sua.
Ecco come si era ritrovato a dividere il letto con Bepo, il suo nuovo cane, e con quell’idiota che in quell’esatto istante stava russando come una locomotiva.
Si, era stato costretto a far entrare Eustass-ya nel suo letto dopo che Corazòn aveva chiuso a chiave tutte le stanze degli ospiti per fargli un dispetto, sapendo quanto lui amasse starsene tranquillo all’interno della sua stanza, il suo angolo di paradiso.
Sentì Bepo muoversi a pochi centimetri dal suo viso e bastò una carezza all’animale per dargli il permesso di andare a leccare la faccia addormentata di Kidd che, sentendosi inumidire le guance, si svegliò intontito e leggermente preoccupato di essere finito a letto con una delle ragazze di Dadan. Donne di cui, per la precisione, aveva una paura fottuta perché aveva sentito dire che svuotavano le tasche dei poveri allocchi e li sciupavano fino allo stremo. E lui preferiva non restare traumatizzato da una notte di sesso, grazie tante.
Quando si rese conto che si trattava solo del cagnaccio, Law udì una sonora bestemmia e un tonfo sordo che doveva essere stato Bepo che finiva con un balzo giù dal letto. In un altro momento avrebbe provveduto e soffocare Kidd con un cuscino per aver colpito il suo cane, ma sapeva che l’animale era guarito dalla piccola storta che aveva preso, altro che frattura, perciò lasciò momentaneamente perdere la questione, preferendo sorridere sotto i baffi per lo strano risveglio che aveva avuto.
-Buongiorno Eustass-ya.-
-Dannata bestiaccia.- grugnì il rosso, ributtandosi sotto le coperte con la speranza di prendere nuovamente sonno, ignorando bellamente il ragazzo accanto a lui che, ridacchiando e conscio che il tempo di poltrire era finito, si levava di dosso le lenzuola per alzarsi e andare ad aprire la finestra per scoprire cosa metteva tutti così di buonumore.
Mettendo la testa fuori non riuscì a capire niente e di richiamare l’attenzione quando era a torso nudo non se ne parlava proprio. Anzi, avrebbe dovuto sbrigarsi a vestirsi se voleva evitare che a Kidd venisse un altro infarto vedendolo senza abiti come quando era successo la notte che si era intrufolato in casa sua per rubare.
-Ehi, chiudi quella cazzo di finestra.-
Troppo tardi, pensò Law sogghignando, approfittando dell’occasione per voltarsi e vedere come l’espressione assonnata di Kidd lasciasse posto ad una più sveglia e attenta. Il suo ghigno si allargò e si ritrovò ad ammettere che si sentiva quasi euforico quando vedeva quello sguardo negli occhi ambra del rosso. Se fosse stato un po’ più esperto, avrebbe definito l’atmosfera tra loro come attrazione, ma non ne era del tutto certo. Poteva benissimo trattarsi di una fase pre-infarto, oppure di una situazione di stallo prima di uno scoppio di eresie che, puntualmente, arrivarono l’attimo dopo.
-Che diavolo fai? Vuoi che tutti ti vedano mezzo nudo?- sbraitò Kidd, alzandosi a sua volta e andando con poche falcate a chiudere le ante del balcone.
Law incrociò le braccia al petto senza spostarsi di un millimetro. -Sei geloso?- lo stuzzicò con fare innocente, beccandosi un’occhiataccia assassina.
-Fottiti. Vado a lavarmi.- fu l’unica risposta che ricevette dal nuovo ospite, il quale lo superò per dirigersi nella stanza adiacente con l’intento di gettarsi in faccia molta acqua, preferibilmente fredda, per mettere fine al caldo asfissiante che sentiva in corpo.
Law si appoggiò alla parete e chiuse gli occhi nel tentativo di calmarsi. Aveva cantato vittoria troppo presto per non aver subito la fase degli ormoni instabili quando era adolescente, ma, a quanto pareva, la stava iniziando a vivere in quell’ultimo periodo e quel poveraccio non lo aiutava di certo, anzi.
Sospirò stizzito, ancora si chiedeva perché diavolo gli avesse proposto di stabilirsi momentaneamente da lui. Doveva essere stato colto da un momento di follia.
Quando scesero a colazione, trovarono Corazòn intento a dare da mangiare a Bepo, accarezzandogli amorevolmente il capo e sorridendo quando la bestiola scodinzolava e si alzava su due zampe per avere ancora qualche pezzetto di cibo.
Non appena si accorse dell’ingresso dei due ragazzi, l’uomo si imbronciò e fece finta di nulla, facendo sbuffare Law, il quale si sedette al solito posto, mentre Kidd lo affiancava, attento e vigile. Non si azzardava nemmeno ad abboffarsi come faceva alla locanda di Makino. Insomma, lì lo facevano tutti, mentre in quella casa usavano una serie infinita di posate e numerose tazze e piattini. Se avesse bevuto direttamente dalla brocca si sarebbero scandalizzati?
Era ancora indeciso su come agire, quando Law venne in suo soccorso, fingendo indifferenza e muovendosi con calma in modo che Kidd potesse imitarlo senza sbagliare. E, quando il rosso si rese conto che anche quel perfettino di Trafalgar mangiava il pane con la marmellata usando le mani, si sentì a casa e non ebbe più nessuna paura.
Nel frattempo, Corazòn aveva sbattuto sul tavolo il giornale e il chirurgo lo aveva afferrato con curiosità mentre finiva il suo latte. A quanto pareva, il Re aveva abbassato la corona, per modo di dire, e aveva invitato il Clero e la Nobiltà ad unirsi all’Assemblea Nazionale. Law era certo che, ormai, il Clero non avrebbe avuto più niente da ridire, ma aveva qualche perplessità sui nobili. In ogni caso, il popolo poteva portare tranquillamente avanti l’idea di creare una Costituzione. Era innegabile che avessero ottenuto un punto a loro favore.
Sorrise, un sorriso sinistro e sardonico, mentre pensava ad alta voce che quello era stato proprio un colpo di fortuna.
-Cosa dice?- si informò Kidd, stanco di starlo a guardare mentre sghignazzava come faceva solitamente al Quartier Generale davanti ad un cadavere.
Per tutta risposta, il moro gli passò il giornale.
-Beh?- lo interrogò allora il rosso, spiazzato e infastidito.
-Leggi.-
Merde.
-Tu hai appena letto, cosa ti costa dirmelo?- si scaldò, lanciando da parte il quotidiano e beccandosi in quella maniera un’occhiata glaciale da parte di Corazòn che, anche se si era alzando in piedi e sbirciava le strade da una finestra, aveva seguito lo scambio di battute e non si era perso quel gesto maleducato.
Law alzò gli occhi su di lui e lo studiò qualche istante, notando il respiro un po’ accelerato e le mani strette a pugno. Espressione truce e arrabbiata a parte, sembrava quasi preoccupato e teso. Un’idea sul perché di quella reazione se l’era fatta, ma preferì metterla da parte per un’altra occasione, posando con pazienza la tazza sul piatto e preparandosi a spiegare con calma quello che era successo.
Più tardi avrebbe chiesto a Kidd se aveva voglia di imparare a leggere.
 
*
 
-Ehi, aspetta. Fermo, aspetta!-
Perona stava camminando a passo svelto lungo il corridoio illuminato dalle decine di candelabri spolverati e lucidati, posti ordinatamente e con cura lungo le pareti, cercando inutilmente di attirare l’attenzione di Mihawk che, con espressione dura e senza la minima intenzione di fermarsi ad ascoltarla, procedeva svelto verso l’uscita con l’intento di scendere nei bassifondi della città e scomparire.
Sapeva quello che la ragazza aveva da dirgli, lo immaginava benissimo, nonostante non avessero più avuto modo di parlasi dopo l’annuncio ufficiale del suo fidanzamento.
A quanto pareva, quei piccoli momenti che si erano ritagliati senza nemmeno averne l’intenzione, quelle ore che avevano passato in compagnia quando avrebbero potuto impiegare i giorni diversamente, quel loro segreto, se così lo si voleva chiamare, non gli apparteneva più.
Qualcuno, e Mihawk una vaga idea su chi fosse stato il colpevole ce l’aveva, era corso a spifferare, o a mettere la pulce nell’orecchio, al Re di quei loro ritrovi nella vecchia armeria, il quale lo aveva convocato al suo cospetto per chiedergli spiegazioni. Al momento della confessione, lo spadaccino aveva mantenuto la calma senza lasciar trapelare nulla dai suoi occhi freddi e inespressivi, spiegando che doveva essere stato un malinteso e che l’incontro con la Principessa era stato puramente casuale. Sua Maestà aveva annuito e non aveva insistito, ma gli aveva espressamente fatto intendere che non avrebbe ammesso altri sbagli. Gli aveva affidato una serie infinita di incarichi, per la maggior parte sciocchezze per occupargli tutte le giornate e, come a volersi assicurare che la cosa non si ripetesse, quando qualche giorno prima era giunto a Palazzo uno sconosciuto Marchese del Lussemburgo, aveva pubblicamente annunciato davanti a tutta la Corte reale Corte Reale e qualche membro della Flotta dei Sette, lui compreso, l’imminente matrimonio di sua figlia per sancire così un’amicizia che sarebbe tornata comodo solo a lui e alle sue casse nei momenti critici come, ad esempio, una Rivoluzione.
-Vi ordino di fermarvi!-
Mihawk bloccò il suo passo, stringendo i pugni nascosti sotto al mantello e indurendo l’espressione già minacciosa presente sul suo viso. Avevano lasciato perdere i convenevoli, finendo per parlarsi con confidenza per molto tempo e quel ritorno di formalità lo aveva infastidito, ma doveva accettarlo e farsela passare. Quella ragazza era una principessa e avrebbe dovuto rivolgersi a lei come tale. Dopotutto, lei non si faceva problemi a dettare legge a destra e a manca.
-Dobbiamo parlare.- la sentì pronunciare alle sue spalle, così decise di voltarsi per fronteggiarla, trovandola a braccia conserte davanti a lui con gli occhi che lanciavano saette, infastidita dalla sua poca attenzione.
Sospirò stancamente. -E di cosa?-
-Degli allenamenti.- attaccò subito lei. -Non ti sei più fatto vedere ed io…-
-Non ci saranno più allenamenti, la questione è chiusa.- dichiarò immediatamente, senza permetterle di aggiungere altro. Non sarebbe servito a nulla perdere tempo in chiacchiere e lui andava di fretta. A quanto pareva, l’Assemblea Nazionale aveva riscosso più successo del previsto e a Corte c’era un gran trambusto. In quelle due ultime settimane erano cambiate talmente tante cose che tutti facevano fatica a rendersene conto veramente.
Circa due settimane prima il Terzo Stato si era spostato nella chiesa di Saint Paul-Saint Louis dato che il Re aveva fatto chiudere anche la sala della pallacorda, privandolo così di un luogo d’incontro. Peccato che quei poveracci non fossero del tutto degli zoticoni ignoranti, infatti non ci avevano messo molto a riprendersi e a passare al contrattacco, soprattutto perché la maggior parte del Clero era ufficialmente passata dalla loro parte. Ciò, Mihawk, lo aveva previsto da molto prima, anche se quando aveva esposto la sua idea al resto della Flotta dei Sette quelli non gli avevano dato retta, primo fra tutti Gekko Moria. Inutile dire che, quando i capricci del Monarca non avevano fatto altro che accelerare il corso della rivolta, lo spadaccino si era concesso di rivolgere un’espressione carica di superiorità e soddisfazione in direzione del suo rivale, innervosendolo e obbligandolo ad uscire adirato dalla stanza dove si erano riuniti. Dopo quell’avvenimento, Mihawk aveva creduto che fosse finita, invece il Re, non contento e troppo lontano dal popolo per poter capire il loro comportamento, aveva espresso la richiesta che l’Assemblea rinunciasse a continuare quella campagna, promettendo che egli avrebbe ugualmente fatto il bene della popolazione. Quella era stata, non solo secondo la Guardia Reale, ma anche a detta della maggior parte delle persone che avevano ancora qualche briciola di buon senso, l’azione più stupida e incauta che un sovrano avesse mai fatto. Ad onor del vero, nel giro di pochi giorni, i ranghi dell’Assemblea Nazionale erano aumentati, accogliendo nel giro un gran numero di nobili.
Se avessero chiesto a Mihawk come si fosse sentito quando il Re aveva ammesso di essersi comportato in maniera azzardata e di aver fallito nel suo intento, lui avrebbe risposto che, a parte il divertimento iniziale, si era reso conto di essere stato uno stupido ad accettare di servire un buono a nulla come quello. Ne aveva avuto la prova un sacco di volte, ma aveva sempre finto di non vedere quella poca organizzazione, quell’ossessione per il denaro, quel continuo benestare che richiedeva ingenti somme ogni anno, soldi pubblici del resto. Solo in quell’ultimo periodo si era accorto dell’assurdità della situazione ed era ad un passo dal mollare tutto e andarsene. Chissà, magari tra i Rivoluzionari c’era posto anche per lui.
Qualche giorno prima, inoltre, il popolo si era dichiarato Assemblea Nazionale Costituente e sembrava più che intenzionato a mettere su carta le basi per una Costituzione, mentre la minaccia della caduta della monarchia assoluta era sempre più probabile. A discapito di tutto, il contraccolpo militare che era stato proposto tempo addietro durante una riunione con la Guardia Cittadina e tutto il corpo degli Ufficiali, aveva scaldato gli animi dei Rivoluzionari e la situazione stava per degenerare, mentre la minaccia di una rivolta era nell’aria, lo sapevano tutti. L’aumento dei gendarmi attorno a Versailles, Parigi e Saint-Denis era stato coperto dall’arrivo di un ospite del Lussemburgo in visita a Corte, un certo Marchese di nome Cavendish, per l’appunto il futuro marito della Principessa Perona, sulla quale lui non poteva vantare nessun diritto.
Fece per andarsene, muovendosi per darle di nuovo le spalle, ma Perona non era dell’umore per affrontare la sua solita scontrosità. Stava troppo male e aveva passato gli ultimi giorni chiusa in camera a decidere cosa fare della sua misera vita, perciò non era affatto intenzionata a vedersi sbattere un’altra porta in faccia. Ne aveva passate troppe per vedersi mettere di nuovo da parte.
Si mosse veloce, nonostante l’abito lungo e quelle odiose e scomode scarpette, e lo afferrò per un braccio, sentendo subito il muscolo sotto irrigidirsi, ma ignorandolo.
-Stammi a sentire.- sbottò, abbandonando le buone maniere che spesso dimostrava di detestare, -Non mi piace essere ignorata, quindi vedi di non voltarmi mai più le spalle!-
Non era esattamente quello che avrebbe voluto dire, ma stava perdendo il controllo e non sapeva più se era la disperazione che la stava guidando o la rabbia.
Mihawk le si parò di fronte, sovrastandola con la sua altezza e fissandola con quei suoi occhi inquietanti e severi, parlandole sottovoce quasi come se stesse sibilando. -Vi chiedo perdono, Vostra Altezza, ma al momento sono di fretta e non posso perdere tempo dietro alle vostre lamentele.-
Per Perona fu l’ennesima pugnalata al petto.
Dopo che suo padre le aveva annunciato il suo già organizzato matrimonio, dandole la notizia davanti a tutta la Corte di nobili e sotto lo sguardo di Mihawk, aveva passato dei momenti infernali. Si era sentita tremendamente sbagliata, tutto le era parso soffocante, asfissiante e stretto. Dannatamente stretto da farla quasi soffocare. Anche in amore non le era stata concessa la libertà di scelta e si era ritrovata a dover incontrare uno sconosciuto proveniente da una terra che non aveva voglia di vedere e visitare. Figurarsi andarci a vivere.
Da allora, lui non le aveva più rivolto la parola e non si erano più nemmeno visti. Lo aveva cercato inizialmente, arrivando persino a bussare alla porta della sua stanza durante una notte in cui non era proprio riuscita a prendere sonno, ma non aveva ricevuto nessuna risposta, anche se era rimasta per un pezzo a bussare, prima sommessamente e dopo un pochino più forte, quello che secondo le bastava per svegliarlo, ma non era venuto nessuno ad aprire. In quel momento aveva capito che era rimasta di nuovo sola anche se, forse, visto il comportamento di quello che era stato il suo maestro, lo era sempre stata.
Non aveva dimenticato l’occhiata che si erano scambiati non appena il Re aveva annunciato la schifosissima lieta notizia. Lei aveva immediatamente alzato gli occhi e l’aveva cercato, trovandolo in fondo alla sala intento a fare altrettanto. Le era venuto da piangere, ma si era trattenuta, sapendo che avrebbe solo complicato le cose se si fosse messa a fare scenate in pubblico, perciò aveva incassato il colpo e drizzato le spalle, affrontando quell’uragano di tristezza che aveva provato quando lo aveva visto uscire a grandi falcate senza più voltarsi indietro. Non aveva capito perché aveva reagito in quella maniera e non se lo era nemmeno voluta chiedere per paura di darsi una risposta che l’avrebbe illusa e basta. Perché la verità era che ci teneva troppo a quegli allenamenti e a quelle ore di svago che l’avevano salvata dal baratro della sua esistenza in quei mesi. L’armeria era diventato il suo luogo preferito in assoluto dove poteva essere se stessa senza paure e senza maschere, dove i fantasmi del suo rango scomparivano, lasciandola libera. E si era, inevitabilmente, affezionata a quell’uomo sempre così controllato e distante senza nemmeno rendersene conto, capendolo solo quando tutto era finito.
-Capisco.- rispose sommessamente, anche se no, non capiva affatto, ma tanto a cosa sarebbe servito insistere? Cosa si era aspettata? Che disobbedisse agli ordini per lei? Che le desse qualche speranza? Che stesse male quanto lei per la piega che aveva preso la situazione?
Abbassò lo sguardo, celandogli i suoi occhi che si erano fatti lucidi, mollando la presa e indietreggiando di un passo.
-Andate pure.- sussurrò, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
Mihawk tentennò un istante, per la prima volta indeciso sul da farsi. Perché la vedeva così abbattuta? Perché sembrava che le decisioni prese da Sua Maestà facessero comodo solo a lui, mentre ad entrambi risultavano dannatamente ingiuste e insensate?
Era sul punto di prendere una decisione importante, tentennando con una mano a mezz’aria, quando vide Perona alzare la testa di scatto e fulminarlo con quei suoi occhioni scuri, profondi e lucidi, irrimediabilmente feriti.
-Andatevene via!- gli urlò contro, dandogli una motivazione per allontanarsi da quel corridoio una volta per tutte.
Scappare non era esattamente quello che avrebbe voluto fare, ma aveva ricevuto determinati ordini a riguardo e non aveva il permesso di stare in compagnia della Principessa, non più, anche se i suoi desideri erano altri.
E, fino a che non avesse deciso se continuare o meno a sottostare al servizio della Corona o passare dall’altra parte della sponda, non si sarebbe azzardato a compromettere la sua posizione e quella di Perona. Non voleva causarle altri guai perché, se si era trovata costretta a doversi sposare prima del previsto, la colpa era stata solo sua e della sua presenza accanto a lei.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice.
Buon lunedì a tutti! so che non è sabato ma, ehi, il fine settimana diventa sempre più incasinato, perciò scusatemi il silenzioso aggiornamento dell’ultima settimana, so che non è stato carino, ma la verità è che ero in piena crisi, giuro, ma non volevo farvi aspettare ancora, quindi ho lasciato il tutto a questo capitolo.
Vi lascio le immagini dello scorso che spero vi sia piaciuto, per la maggior parte ci sono stati cuori ovunque con Bonney e Perona, ma vi prometto che le battaglie e il sangue stanno epr arrivare, LOL.
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Passiamo ora al capitolo di oggi.
Thatch, Ace e un pollo nella borsa che, quasi quasi, chiamerei Rosita; Sabo e Koala che fanno i ruffiani; Marco che vuole violentare Ace, mlmlml; Kidd, Law e Corazòn sotto lo stesso tetto, Bepo compreso; e, per finire, un bel fraintendimento di sentimenti per Perona e Mihawk.
Un bel mazzo, direi.
Ma siamo in dirittura di arrivo, non per la fine della storia, ma per la Rivoluzione ^^
 
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Penso sia quello che molti aspettavano. Un passo dopo l’altro, insulti e bestemmie, qualcosa tra i due si smuove, peccato si tratti solo della birra! Cose che capitano, anche se da questo momento in poi, Ace le proverà tutte per sistemare le cose. Almeno, ci proverà.
 
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E intanto Sabo e Koala diventano sempre più amici. Sono così carini che per loro riservo solo romanticismo, dolci e zucchero in abbondanza da far venire il diabete a chiunque. Anche se Sabo continua a non capire niente.
 
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Bepo diventerà grande e bello proprio in questo modo ** per averne un esempio migliore, chi segue il Trono di Spade dovrà solo immaginarsi Spettro, il metalupo di Jon Snow :3 a quanto pare, Kidd ha trovato la bestiola in giro e ha pensato di fare un regalo darlo in affido a Law, il quale, NON SI SA PERCHE’, ha deciso di ospitarlo in casa. Con Corazòn iper-protettivo. Bene, andiamo proprio bene.
 
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Questi due non saranno mai felici, punto. Troppi problemi, troppe regole, tutto troppo stretto per Perona e troppo impegnativo per Mihawk, ma staremo a vedere. Dopotutto, il 14 luglio si avvicina e servono altri uomini nei ranghi dei Rivoluzionari.
 
Siamo alla fine, per oggi. La prossima settimana credo che aggiornerò di nuovo di lunedì perché il fine settimana sarà difficile, credo.
Come sempre grazie a tutti, vecchi e nuovi lettori ^^ vorrei solo essere più presente, scusate.
Un abbraccione a tutti!
 
See yaa,
Ace.
  
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