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Autore: Persej Combe    12/04/2015    1 recensioni
Negli ultimi mesi Sinnoh è stata colpita da un'anomala perturbazione che nel corso del tempo sembra continui a peggiorare sempre di più, mettendo a rischio l'intera popolazione della regione. In seguito, tuttavia, si scoprirà che la causa che ha generato il cataclisma sono in realtà i Pokémon Leggendari, il cui ordine è stato violato dal Team Galassia nel progetto di creazione di un nuovo universo.
Il Professor Platan, presa coscienza della pericolosità degli eventi, si precipiterà a Sabbiafine in cerca del suo mentore, il Professor Rowan, nella speranza di poterlo aiutare a sistemare le cose. Ad accompagnarlo ci sarà Elisio, diventato ormai una presenza costante, che nonostante le prime resistenze dell'uomo si ostinerà a volerlo seguire, per mantenere fede ad una richiesta fattagli dallo stesso Rowan.
Tra ricordi del passato, conoscenze abbandonate e ora ritrovate, incertezze e dubbi, riusciranno ad afferrare l'impalpabile ombra del vecchio Professore?
[Perfectworldshipping]
[Midquel della storia "Risplenderemo insieme nell'eternità di un mondo perfetto"]
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
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IV
.Fine del mondo.

Profumo di pelle. Profumo di capelli, di cuscini e di lenzuola pulite. Profumo di legno e di casa.
Platan fu ben lieto di risvegliarsi nuovamente tra le braccia di Elisio. Sorridendo, con gli occhi chiusi si girò dall'altro lato, tastando il suo petto con la mano. Si raggomitolò contro di lui e sospirò assonnato. Quella volta preferì rimanere a letto. Strinse piano le dita sullo scollo della canottiera dell'uomo e si riappisolò. Fra uno sbadiglio e un altro sentì la mano di Elisio passare qualche secondo tra i suoi capelli; poi probabilmente si era allontanato, perché ora tra le dita teneva un lembo di coperta e la testa era poggiata sul cuscino.
I suoi vestiti piegati sul pavimento non c'erano più. Si mise a sedere e dalla parte opposta vide la porta chiusa. Rimase ad osservarla in silenzio, cercando di riportare alla memoria quell'interminabile chiacchierata della sera prima. Mai gli era capitato di sentirsi così per delle parole. Si stropicciò gli occhi e sospirò. Era stato bizzarro, però stranamente piacevole e intenso.
Mentre metabolizzava le sensazioni provate quella notte, improvvisamente si ricordò che giorno era quello, che sarebbero andati dal Professor Rowan e che finalmente avrebbero messo la parola fine a tutta quella storia. Saltò in piedi e aprì il pannello, poi corse a cercare Elisio: era emozionatissimo e non riusciva a stare fermo.
Trovò l'uomo seduto accanto all'irori, il focolare dove aveva acceso il fuoco per far riscaldare l'acqua e preparare il caffè. Vicino aveva messo a tostare qualche fetta di pane. Notò che aveva preso soltanto due tazze e due piatti. Camilla non c'era?
«Siamo di nuovo soli?» chiese Platan sedendosi vicino a lui e allungando le mani verso il fuoco per riscaldarsi un po': in canottiera e mutande faceva freddo.
«Camilla ha detto che doveva ritornare dalla nonna. È uscita da poco. Mi ha chiesto di non partire finché non torna.» rispose girando una fetta di pane.
«D'accordo, allora l'aspetteremo. Spero solo che non ci metta molto.»
Quando il caffè fu pronto, Elisio ne versò un po' nella tazza di Platan e gliela mise tra le mani. Gli avvicinò il contenitore dello zucchero ed un cucchiaino. Poi fece lo stesso per sé. Bevve un sorso stando attento a non scottarsi la lingua.
«Non avevo intenzione di svegliarti, poco fa. Scusami.» disse a Platan riferendosi alla carezza che gli aveva fatto prima di alzarsi.
Il Professore arrossì e, scuotendo la testa, disse: «No, non preoccuparti. Ero già sveglio, a dire la verità.»
Morse il bordo della tazza con i denti: a volte proprio non riusciva a tenere a freno la lingua. Si chiese che cosa avrebbe pensato. Lo guardò, ma sul suo viso non vide altro che un sorriso, un sorriso tuttavia diverso da quelli che di solito gli vedeva addosso. Sembrava molto tranquillo quella mattina, eppure si ricordava bene come entrambi la sera precedente avessero parlato a lungo di tutti i timori che li assalivano di fronte al pensiero dei rischi che avrebbero corso in quella giornata. Forse si trattava solo di un modo per mascherare la preoccupazione? Ingoiò un pezzo di pane e burro con un goccio amaro di caffè.
«Non appena Camilla tornerà, ci metteremo subito in viaggio!» esclamò Platan dando un altro morso al panino «Quindi intanto cominciamo a pensare ad uno schema dei nostri spostamenti, sei d'accordo?»
Elisio annuì silenziosamente. Ancora sorrideva.
«Bon.» fu tutto quello che Platan riuscì a dire: in testa aveva troppe idee e non riusciva a sceglierne una che potesse essere migliore di tutte le altre.
Squillò il telefono e, lasciando da parte i propri progetti, si alzò per andare a rispondere: forse era Camilla che chiamava per avvisarli del suo ritorno.
«Vado io, se vuoi.» Elisio aveva provato ad alzarsi prima di lui, ma Platan lo aveva rassicurato dicendogli di non scomodarsi, che già aveva pensato a preparare la colazione e lui invece non aveva fatto ancora nulla.
Si spostò nella stanza vicina, si fermò di fronte al telefono. Allungò la mano, ma non appena toccò la cornetta l'apparecchio si spense. Non aveva fatto in tempo a rispondere.
«Beh, pazienza! Richiamerà!» si consolò.
Aspettò lì che la donna telefonasse di nuovo per sapere se c'erano novità o se avesse avuto bisogno di avvisarli di qualcosa. Ma la chiamata non arrivò. Aspettò, aspettò. Alzò la cornetta e se la portò all'orecchio per sentire se faceva qualche suono. Nulla. Squillava a vuoto. Avvicinò le dita alla tastiera per comporre il suo numero di cellulare sforzandosi di ricordarselo. Poteva essersi trattato di chiunque altro, ma lui era convinto che fosse stata lei a telefonare.
Sette, tre, cinque, due. Sei. O era nove?
Sette, tre, cinque, due, nove.
Quindici. Uno, cinque.
Sette, tre, cinque, due, nove, uno, cinque...
E poi come continuava?
... Nove... Uno... Cinque...
...Nove, uno, cinque...?
Ah, giusto. Otto, sette, zero, quattro.
Otto. Sette. Zero. Quattro.
“8704”
Mentre digitava il numero gli tremavano le dita.
Accanto alla tastiera vedeva che il pulsante della segreteria lampeggiava. Qualcuno doveva aver lasciato un messaggio. Non voleva intromettersi nelle faccende private di Camilla, tuttavia, per un movimento improvviso della mano, involontariamente pigiò il pulsante di riproduzione. Si fece scappare un'esclamazione allarmata, non lo aveva fatto apposta, no, non gli importava proprio niente di quel messaggio, e subito roteò lo sguardo sopra il telefono su ogni lato, cercando di capire come fermare la registrazione.
Era quel bottone a destra? O quello là in alto? Oppure, semplicemente, sarebbe bastato premere...

Il suo corpo si fece di pietra.
 
Sentì un brivido corrergli lungo le braccia, ma non tremò. Il cuore cominciò a salirgli alla gola, quasi soffocandolo, mentre i suoi batti, forti, secchi, rimbombavano nelle orecchie. Vedeva nero. Completamente nero.
«Camilla? Pronto, Camilla? Ci sei? Puoi rispondermi?»
«Professore, Professore, eccomi! Che cosa succede?»
Elisio si alzò di scatto. Si girò nella direzione in cui era andato Platan e dopo aver riconosciuto quelle voci corse in stanza da lui. Lo vide immobile di fronte a sé, che gli dava le spalle, rannicchiato su se stesso.
«Ho bisogno del tuo aiuto, devi venire subito a Monte Corona. Non so per quanto tempo io e i ragazzi riusciremo ancora a resistere!»
«Ma di cosa sta parlando? Professor Rowan, mi sente? Professore!»
«Passata la notte quanto tempo pensi di metterci per venire alle porte della grotta?»
«...Un quarto d'ora. Mezz'ora forse... Non lo so! Professore, ma Platan? È venuto da Kalos insieme al suo amico, non vorrà lasciarlo indietro!»
«Platan è qui?»
Ci fu un silenzio.
«Non farlo venire. Per nessun motivo.»
Si portò la mano al petto, come per coprire una ferita da cui usciva sangue. Poi salì, su, alla gola che bruciava, sul mento, sulle labbra tremanti. Chiuse gli occhi e ci spinse sopra i palmi per impedirsi di guardare ancora quella scena che tuttavia andava avanti nella sua testa.
«Bloccalo in qualche modo, inventati una scusa per allontanarlo, fa' come vuoi. Ma lui non deve venire.»
Con la testa che gli scoppiava e la gola graffiata, corse via aprendo le porte scorrevoli con violenza, sbattendole forte, senza guardare indietro. Saltò giù dal pianerottolo di legno e spinse i piedi nudi sulla terra fredda e sporca continuando ad andare avanti.
Perché lei sì e lui no? Allora era vero che era da sempre stata la sua preferita fra i due? Ma sì, come poteva non essersene accorto! Che stupido era stato, che stupido! L’aveva capito, l’aveva capito benissimo come stavano le cose, ma non aveva mai voluto crederci. Camilla era sempre stata migliore di lui, su tutti i fronti: non doveva stupire che avesse preferito avere lei accanto, anziché lui. Corse, corse, il vento gli schiaffeggiava la faccia. Certo, era ovvio. Lui era sempre stato un pasticcione, un sognatore, un ingenuo, e soprattutto un ragazzino, sciocco e infantile; ancora adesso che era un adulto si comportava in modo puerile. Giunse alla riva del lago e crollò sulle ginocchia collassando sul prato grigio, stringendo le braccia attorno alle gambe. Tremava come un misero pulcino. Aveva freddo e ansimava con le lacrime agli occhi. In pochi secondi si era ritrovato con le ciglia umide e le guance bagnate. Si osservò nel riflesso d’acqua. Si faceva schifo da solo. Chiuse gli occhi e rintanò il viso in mezzo alle ginocchia emettendo qualche lamento.
Sembrava d’essere in inverno. Le foglie erano cadute dagli alberi, lasciandoli spogli e nudi, l’erba si era svigorita, il cielo era pallido e l’acqua del lago era incolore, gelida alla vista. L’impeto di Giratina pareva non avere freni e il disordine regnava sovrano all’interno della valle.
Elisio si era subito messo a rincorrere Platan ed ora si era fermato a pochi metri da lui. Lo vedeva raggomitolato su se stesso come un Pokémon ferito, debole e inerme. Gli si avvicinò di qualche passo.
«Platan, vieni dentro. Fa freddo, stando qui ti ammalerai e basta.» gli disse.
«Non m’importa.» ribatté «Lasciami stare.»
«Allora lascia almeno che ti porti una coperta o...»
«Che mi venga pure un malanno! Non me ne frega niente! Lasciami da solo!» lo interruppe bruscamente con la voce irruvidita. Si mise a sedere e lo fissò con gli occhi lucidi socchiusi in due fessure avvelenate. Strinse le mani contro la terra e racchiuse nei palmi un po’ di fango. Poi allentò la presa. Si girò dall’altra parte, dando le spalle all’uomo. Con le dita lerce si avvinghiò nuovamente contro le gambe.
Per quale motivo era là? Perché aveva premuto tanto per venire laggiù con lui?
«Dovevi rimanere a Kalos.» sussurrò, cercando di addolcire il tono «Tu... Tu...»
Elisio si chinò vicino a lui e gli accarezzò timidamente una spalla, provando a confortarlo.
«Platan, non devi pensare a me. Ti avrei raggiunto comunque, in un modo o nell’altro. La mia presenza non deve importarti.» gli disse.
«E invece m’importa, m’importa eccome, va bene?!» tuonò, scuotendo la spalla per scrollarsi di dosso la sua mano «È l’unica cosa di cui m’importi, adesso...»
Elisio socchiuse la bocca sorpreso.
«Sono io che sono venuto con te. È colpa mia.» tentò dopo una breve pausa.
«Ma io te l’ho permesso.» la sua voce suonò come un ringhio senza che lo avesse voluto.
«Perché io ti ho costretto a farlo.» continuò in tono calmo.
Non sapendo che cosa controbattere, rimase in silenzio. Inspirò profondamente sforzandosi di calmarsi. Si accarezzò i capelli e inclinò la testa di lato, finendo per poggiare casualmente la fronte sul petto di Elisio. Non appena se ne accorse tentò di allontanarsi, ma sentendo che le sue braccia lo stavano circondando con delicatezza, lasciò perdere. In un primo momento se ne imbarazzò. Poi a poco a poco si rilassò e lasciò cadere tutto il peso contro di lui. E improvvisamente si sentì al sicuro.
Anche Elisio ci mise qualche attimo ad abituarsi alla sensazione che gli dava stringere il suo corpo tra le braccia – dopotutto non era tipo da quel genere di cose -, al fatto che lo sentiva tremare e sospirare ancora per qualche residuo di pianto contro il suo petto, ai suoi capelli spettinati che gli solleticavano il collo. Si rese conto che il suo calore, a contatto con le sue membra, gli trasmetteva un che di piacevole e meraviglioso, e non se ne sarebbe mai voluto allontanare. E non era per il freddo, di questo ne era sicuro. Sentì la mano di Platan passare piano sulla sua spalla e istintivamente gli accarezzò la nuca con le dita, come a volerlo ringraziare per quell’attenzione.
«Platan, qualsiasi cosa tu stia pensando, in realtà il Professor Rowan tiene molto a te. L’ho capito dalla sua voce. Non hai sentito quella pausa che ha fatto dopo che Camilla lo aveva avvisato del fatto che c’eri anche tu? Quella pausa così lunga... Se non ha voluto che andassi anche tu, è soltanto perché non vuole metterti in pericolo. Tutto qui.» disse Elisio dopo un po’. Temette d’aver detto la cosa sbagliata, perché subito dopo la mano di Platan si arrestò.
«Non ti fidi di me?»
«Anche di lui mi fidavo...»
«Andiamo, adesso stai esagerando.»
Elisio lo sentiva brontolare e si lasciò scappare una mezza risata. Tutti quei capricci un po’ futili lo facevano assomigliare a un ragazzino.
«Sei proprio un bambino...» non poté fare a meno di dire. Platan alzò di scatto la testa e lo osservò, ma non con sguardo impettito, poiché non lo aveva detto con cattiveria. Si strofinò un occhio con il pugno e rise, rendendosi finalmente conto dell’assurdità dei suoi brontolii.
«È vero!» rise ancora «Ma tu hai detto che ti piace, no?»
Vedere Platan sorridere lo riempiva di gioia. Gli asciugò una lacrima con il pollice e annuì.
«Sì, mi piace.» sorrise.
Si guardarono l’un l’altro per qualche istante in modo particolarmente intenso. Calò uno di quei silenzi che ultimamente sempre più spesso si insinuava nei loro discorsi, uno di quei silenzi che non c’era bisogno d’interrompere per parlare, poiché le parole le sussurravano i loro stessi sguardi, i loro stessi sorrisi, i loro stessi gesti. Platan, ora tranquillo, strofinava la testa contro la spalla di Elisio, stringendo le dita di una mano contro il tessuto dei suoi abiti.
Era talmente bello, anche con i capelli arruffati e il viso segnato dal pianto. Forse in realtà la sua bellezza che adorava si trovava non tanto nel suo aspetto, quanto in quella sua umanità, in quel suo essere meravigliosamente spontaneo e vivo, buono, proprio come un bambino. Non lo capiva, in quel momento non lo capiva ancora. Elisio gli accarezzò una guancia per un po’. Si lasciò pervadere dalla sensazione che gli dava il contatto con la sua pelle. Qualcosa di così bello doveva proteggerlo a tutti i costi. Accostò il viso al suo e posò le labbra sulla sua fronte, leggero, lasciandogli un bacio. E si chiese, come già stava facendo da mesi e come aveva fatto ancora la sera precedente, se quello fosse proprio amore, amore vero, e trovò la risposta nel momento in cui sentì Platan stringergli le braccia attorno al collo, con la testa poggiata contro di lui. Lo abbracciò più stretto e lasciò che l’altro potesse fare lo stesso, se avesse voluto. Ma non era quello che Platan cercava, bensì la sua mano. Elisio rincorse le sue dita, le prese. Le intrecciò con le proprie. Sapevano entrambi il valore di quel gesto, sebbene ancora ricordassero soltanto per frammenti. Rimasero per un paio di minuti buoni nella stessa posizione senza parlarsi, lasciandosi andare alla serenità che l’unione delle loro mani trasmetteva a tutt’e due. Poi ad un tratto videro Milotic sbucare dallo specchio d’acqua e rituffarvisi dentro.
«Lo sapevi? Sembra che i Milotic siano in grado di togliere dalle persone che si trovano in loro presenza le emozioni negative e di donargli tranquillità. Chissà, magari è vero.» disse Platan.
Si allontanò da Elisio e si mise in piedi tendendogli la mano per aiutarlo a rialzarsi da terra.
«Allora, mon ami, vogliamo andare?» lo sollecitò.
«Andare dove?» chiese perplesso, avvicinando la mano.
«A Monte Corona, no?»
«Monte Corona?» esclamò; si sentì tirare su e un attimo dopo si ritrovò in piedi di fronte all’uomo «Mi era sembrato di capire che...» continuò, venendo subito interrotto.
«Prima che partissimo ero in dubbio se portarti con me o meno. Avrei preferito che rimanessi a Kalos, ma adesso sto pensando che se qualcuno non fermerà ciò che sta succedendo sulla Vetta Lancia, allora tutto il mondo verrà colpito dal potere di Giratina, compresa la nostra regione. Quindi che tu sia lì o qui, non fa differenza.»
«Non ho alcuna intenzione di farti scappare via un’altra volta.» disse non appena capì dove voleva andare a parare con quel discorso.
«Devo farlo, Elisio! Per te. Per Diantha, per i miei due nuovi apprendisti, per Lucinda, per Edwin e Rosabella, per il nonno... Il Professor Rowan ha detto che non mi vuole con sé, ma io so che più siamo, più abbiamo possibilità di vincere. Perciò andrò. Vieni con me. Ti proteggerò io. Ti prometto che andrà tutto bene.»
Non poteva esserne sicuro. Non ne era certo, infatti: aveva molta paura di fallire, ma sperava che in qualche modo Elisio si convincesse a seguirlo. Avevano cominciato il viaggio insieme, e a quel punto insieme avrebbero dovuto finirlo. Strinse le sue mani con più forza e lo guardò negli occhi con uno sguardo fiducioso.
«Va bene, Platan.» si decise infine, «Andiamo.»
 
Durante la notte doveva aver nevicato parecchio se ora le strade erano ricolme di neve fino a quel punto. Erano dovuti tornare indietro diverse volte e svoltare in bivi secondari, poiché spesso il percorso era bloccato da dei grossi cumuli di neve insormontabili. Ci avevano messo molto più tempo del previsto per arrivare alle porte della grotta e nel frattempo il cielo si era annuvolato in modo minaccioso. Infatti quelle che vedevano nel cielo non erano normali nuvole: da lontano apparivano viscose e nere più della pece. Più tardi capirono che si trattava del vortice, il quale ormai aveva allungato le sue braccia in maniera esorbitante sopra all'intera regione. Erano arrivati troppo tardi?
«Platan, guarda lassù!» lo chiamò Elisio puntando con il dito la cima della montagna.
Nell'oscurità del cielo si potevano distinguere tre luci sferiche che ruotavano intorno alla vetta: una gialla, una rosa e una azzurra.
«Sono i tre Guardiani?» si chiese il Professore, stupefatto. Ovviamente, si disse, di che cosa si sarebbe potuto trattare, altrimenti? Ma che cosa ci facevano lì? Stava succedendo qualcosa sulla Vetta Lancia? Qualcosa che non avevano calcolato? Platan scese dall'auto e si aggiustò il cappotto addosso. Era sceso un vento particolarmente freddo che di continuo gli scompigliava i capelli e lo faceva rabbrividire. Elisio gli si fermò accanto e alzò la testa per guardare meglio i tre Pokémon che volavano fra le nuvole. La situazione non gli piaceva per niente. Posò la mano su una spalla di Platan e gliela strinse. L'uomo gli rivolse un'occhiata.
«Andrà tutto bene.» ripeté.
Il rosso annuì. Proseguirono a piedi per un breve tratto, poi oltrepassarono l'entrata della grotta e vennero inghiottiti dal buio. Elisio improvvisò una fiaccola con dei legnetti trovati all'esterno della caverna, poi la fece accendere a Litleo con un colpo di Braciere. Il Pokémon si aggrappò alla sua gamba, chiedendogli varie volte di tenerlo con sé fuori dalla Poké Ball.
«È meglio che tu rimanga dentro, per il momento.» gli disse pazientemente accarezzandolo sotto al muso. Lo richiamò nella Sfera e si accostò a Platan, facendogli intendere che potevano andare avanti. Avanzarono, non sapendo nemmeno da che parte dovessero andare. La grotta pareva particolarmente sinistra: i Ranger avevano fatto uscire ogni Pokémon e lungo la strada non incontrarono nemmeno l'ombra di uno Zubat. C'era un silenzio spaventoso, innaturale, e il buio che li circondava lo rendeva ancora più agghiacciante. Cercavano di allontanarsi l'uno dall'altro il meno possibile. Se qualcuno notava qualcosa di strano da qualche parte andavano ad esaminarla insieme. Stavano vicini in ogni momento: separarsi sarebbe stata la scelta meno saggia. Elisio osservava ogni punto della strada con sangue freddo. Nell'aria sentiva sempre più forte l'odore del pericolo, ma mai avrebbe lasciato trasparire quel tipo di emozioni, men che meno se con lui c'era Platan. Doveva mostrarsi forte e risoluto se voleva proteggerlo: sapeva che se lo avesse visto sicuro di sé questo lo avrebbe reso più tranquillo. Il Professore sembrava particolarmente concentrato, a dire il vero, perciò non se ne sarebbe dovuto preoccupare poi così tanto; tuttavia la sua irrequietezza veniva smascherata di volta in volta, quando dietro di loro udiva un rumore improvviso e si girava di scatto, ansioso, e sobbalzava e tremava. Ma bastavano pochi secondi e si ricomponeva subito.
Giunsero in uno spiazzo il cui soffitto era ricoperto da stalattiti lunghe ed appuntite.
Platan si arrestò. Tirò Elisio per una manica e gli indicò un punto lontano sulla parete di pietra. Dei fasci azzurri e luminosi si posavano fra le nervature delle rocce, diffondendo un po' di luce nell'ambiente circostante.
«Dev'esserci qualcosa da quelle parti.» suggerì Elisio.
«O qualcuno...» aggiunse Platan.
Nel buio aveva visto la figura di un uomo correre in quella direzione. Non era riuscito a vederlo in viso, poiché il lungo colletto del cappotto ne aveva celato le sembianze, ma al suo fianco aveva scorto per un attimo il Pokémon che lo accompagnava, un Croagunk. Silenziosamente si apprestarono a seguirlo, ma dopo pochi minuti ne persero le tracce. Si guardarono intorno, tuttavia non poterono trovare alcun indizio su quale direzione avesse preso. Si rassegnarono. Ripresero a camminare fidandosi del proprio istinto. Elisio posò un piede a terra. Il terreno era duro, ma più avanzava, più lo sentiva perdere robustezza.
E ad un tratto il pavimento franò.
Sentì Platan chiamarlo mentre un senso di vertigine gli attanagliava la testa. Sotto ai suoi piedi c'era il vuoto e guardando in basso non riusciva a vedere se vi fosse un fondo. Alzò lo sguardo e lo posò sulle dita di Platan strette ai suoi polsi, che dal bordo del precipizio cercava di tirarlo su. Dovette ammettere che non avrebbe mai creduto il Professore capace di una tale forza.
«Résiste!» gli stava dicendo, stringendo i denti per la fatica.
Gli sembrava come se, mano a mano che lo ripeteva, la stretta sui suoi polsi si facesse più forte e disperata. Spinse i piedi sulla roccia e cercando di scalare la pietra, tentò di aiutarlo. Finalmente era tornato in piedi, ma Platan non ne sembrava sollevato. Infatti alzò la testa in alto e, afferrando Elisio per un braccio, gli intimò di correre. E insieme presero a correre, sentendo le orecchie fischiare al suono delle stalattiti che cadevano ai loro piedi e si schiantavo a terra. Una di esse precipitò esattamente di fronte a loro, ma con un rapido scatto furono in grado di evitare il pericolo e di cambiare direzione. Era tutto una frantumarsi e sgretolarsi di rocce che rimbombava fra le pareti. Il suolo tremava, e loro perdevano l'equilibrio e cadevano, si rialzavano e correvano di nuovo da una parte all'altra, uno inciampava e l'altro lo tirava su, si rincorrevano in quella foresta di punte e di spine cercando di raggiungere la luce, quella luce che pareva talmente vicina eppure così irraggiungibile. Gli spuntoni continuavano a cadere, inesorabilmente, mettendoli incessantemente fuori pista. Elisio si spinse in avanti e dopo un ultimo sforzo riuscì a raggiungere la sponda sicura, il volto accarezzato da quei raggi azzurri.
Furono pochi istanti.
Allungò la mano verso Platan e lo tirò a sé, violento, rapido.
Subito dopo un colpo secco segnò la caduta dell'ultimo masso, bloccandogli per sempre la via del ritorno.
Fissarono la roccia in silenzio, col fiato spezzato. Nelle orecchie rimbombava ancora il rumore delle stalattiti che erano piombate accanto a loro. Platan abbassò la testa in un attimo di raccoglimento, poi la sollevò di nuovo, guardando il compagno in faccia.
«Tu t'es fait mal?» gli chiese, non si accorse di starlo stringendo sulle braccia.
Lui allontanò lo sguardo dal masso, si girò verso l'uomo e lo osservò, zitto.
«Non. Je vais bien.» rispose con uno sguardo confidente.
Il Professore si scostò, si voltò per capire dove fossero. La luce azzurra gli finì negli occhi, così li coprì con una mano. Guardò di nuovo e sul lato opposto vide una sorta di colonnato formato dalle stalattiti e dalle stalagmiti che si erano congiunte. Vi si avvicinò e poggiando la mano su uno dei pilastri si sporse un po' con la testa. Oltre lo strapiombo che aveva di fronte, sulla parete vedeva un'incisione di tempi molto antichi.
Da destra a sinistra un gruppo di uomini, in fila uno dietro all'altro, si dirigeva verso una scalinata, recando con sé dei doni e le teste di qualche Pokémon sacrificato. In cima alla scalinata, Dialga riceveva le donazioni e dava la benedizione ad ognuno dei presenti. Sulla roccia vi erano ancora delle tracce di colore, che seppur sbiadito suggeriva che un tempo l'immagine fosse stata dipinta di tonalità sgargianti. Sul petto del Pokémon Leggendario era stata incastonata una pietra azzurra che produceva una luce abbagliante.
«Di che pietra potrebbe trattarsi?»
«Ricordo una volta di aver letto una leggenda in cui si diceva che Dialga, per ricambiare gli uomini che lo avevano servito con così tanta riverenza, gli avesse affidato una piccola scheggia del diamante che ha sul busto. Anche Palkia doveva aver fatto la stessa cosa. Le loro pietre erano talmente brillanti da poter illuminare il cammino a coloro che si perdevano nella grotta.»
Si girò e alla loro sinistra notò, nascosta nella parete e rivelata dai raggi di luce, una stretta scalinata.
«È lì che dobbiamo andare. Quel passaggio ci porterà alla Vetta Lancia.»
 
«Fermati, Cyrus!»
«Temevo che non saresti più arrivata, Camilla. Vuoi ancora tentare di fermarmi?»
Voltò le spalle ai due Pokémon Leggendari e fissò la donna con due occhi gelidi.
«Ci siamo scontrati centinaia... migliaia di volte, e ancora tu non sei stanca di sprecare così le tue energie... Non lo capisci? Né tu né quegli altri ragazzini, voi non potrete battermi in alcun modo. Ormai è troppo tardi! Accettate la vostra sconfitta e assistete alla mia vittoria!»
«Te lo puoi scordare! Noi non te lo permetteremo, hai capito?!» gridò Barry agitando le braccia in aria.
«Calmati, Barry.» sussurrò Lucas, fermo accanto a lui «Non è il momento di andare in escandescenze, questo.»
Lucinda era rimasta un po' in disparte accanto ad una colonna, dietro alla figura rassicurante del Professore.
«Stupido marmocchio.» sibilò il Capogalassia «Credo proprio che mi libererò di te per primo, sei il più fastidioso.»
Alzò la Rossocatena al cielo e a pieni polmoni gridò: «Palkia, Dialga! Ascoltatemi! Liberate i vostri poteri, scatenate la vostra furia! E create per me un universo perfetto!»
Sul pavimento apparve una pozza di colore nero. Cyrus la osservò sorpreso, corrugando un sopracciglio.
«Che cosa significa questo?» sibilò a denti stretti, mano a mano che la sostanza si allargava sempre di più, fin quasi a toccargli le punte delle scarpe. La calciò via con un piede, cercando di scansarla, ma la cosa continuava a camminare e a espandersi, macchiando del suo colore scuro il pavimento della Vetta Lancia.
Dialga e Palkia rimasero fermi sulle loro zampe, osservando con sguardo severo ciò che stava accadendo.
La luce cominciò ad affievolirsi. Le nubi che già coprivano a mo' di coltre la cima del monte presero ad addensarsi e ad accorparsi con un movimento circolatorio più pesante di quello precedente. Camilla alzò lo sguardo al cielo e vide i tre Guardiani accavallarsi gli uni sugli altri, rompendo la traiettoria del loro moto e collassando caoticamente da una parte all'altra.
«Lucinda, sta' attenta!» gridò improvvisamente Lucas prendendo la ragazza per un braccio e tirandola a sé. La colonna sotto cui si era arrestata a guardare quella visione inquietante aveva iniziato a creparsi lungo i bordi, e presto, tra le varie nervature, la pietra aveva incominciato a sgretolarsi come polvere. La base aveva perso robustezza e, vacillando minacciosamente sopra le teste dei testimoni, era infine crollata ai loro piedi, rompendosi in miriadi di macigni che si erano schiantati per tutta la Vetta. Lucinda, stretta tra le braccia del giovane, fissava ora sgomenta il punto in cui era stata fino a pochi istanti prima, stringendosi con le unghie alla maglietta dell'amico. Rowan si avvicinò ai due ragazzi e li spinse insieme a Barry contro il suo petto per proteggerli dal pericolo imminente, che si preannunciava di straordinaria entità.
«Incredibile...» sussurrò Giovia, ferma vicino a Martes, con gli occhi sgranati. Infatti, le altre colonne che si trovavano al centro della piattaforma stavano lentamente cambiando aspetto: come se qualcuno le stesse tirando verso il centro, si stavano piegando sotto la pressione di una forza misteriosa. La luce era ormai scomparsa del tutto e ad illuminare il luogo vi erano solamente le pietre incastonate sui corpi dei Pokémon Leggendari.
Improvvisamente si spensero anche quelle.
Dalla sostanza nera si sollevò una mostruosa figura oscura. Dai suoi contorni gocciolava melma, raccolta sul suo corpo in quantità massicce. Restò immobile per interminabili istanti mentre nel silenzio che era piombato intorno si udivano solamente le gocce cadere sulla pietra. Così, ferma. Poi cominciò a muoversi, si allargava e si restringeva su se stessa, come se stesse respirando.
Camilla fece un passo indietro. Un secondo dopo l'altro stava realizzando ciò che stava per accadere, e da una parte grata che Platan ed Elisio non fossero venuti con lei.
La creatura si contraeva e si distendeva affannosamente, affamata d'aria e del terrore che stava suscitando nei presenti. Si apriva e si chiudeva. Dentro e fuori, fuori e dentro. Poi dai suoi fianchi fuoriuscirono quelle che dovevano essere braccia, o forse ali, con tre spuntoni rosso sangue da un lato e dall'altro. Si prolungarono con un rumore raccapricciante, simile ad un viscido stridio, fino a sfiorare le nubi con le loro punte aguzze.
La sua figura ormai sovrastava l'intera Vetta Lancia, la intrappolava fra le sue membra come fossero sbarre di una gabbia.
Non avevano via di scampo.

Nessuno sarebbe più riuscito a fuggire.
 
«Guarda lì, Platan: quell’incisione è simile a quella che abbiamo visto poco fa.»
«Sì, con Palkia al posto di Dialga. Dovremmo essere vicini, allora.»
Erano giunti in cima alla scalinata e gli mancava soltanto un ultimo tratto da percorrere prima di raggiungere la Vetta Lancia. La perla incastonata sul braccio di Palkia aveva rivelato una seconda scala e i due si stavano dirigendo lì.
«Fermi! Dove pensate di andare?» una voce giovane dietro di loro li aveva messi in allarme. Si erano voltati di scatto e Platan si era subito messo sulle difensive.
«Il Team Galassia...» sibilò portando la mano in tasca per afferrare la Poké Ball di Garchomp. Ci mancava solo quel contrattempo! Alzò la testa al soffitto, oltre il quale si ergeva probabilmente la Vetta Lancia. Che cosa stava succedendo là sopra? Con il Team Galassia intorno, non presagiva nulla di buono. Vide Elisio fare un passo in avanti ostentando la sua solita fierezza.
«Come ti chiami?» chiese al ragazzo.
«Saturno.» rispose quello scrutandolo senza fidarsi del suo tono docile «Sono uno dei comandanti del Team Galassia, scelto personalmente dal maestro Cyrus.»
«Saturno, capisco.» annuì e sorrise «Devi essere un giovane davvero astuto se sei riuscito ad arrivare così in alto, scelto inoltre da Cyrus in persona...»
Fece una pausa per studiare il volto del ragazzo e capire dalle sensazioni che ne trasparivano se c'era un modo per evitare lo scontro, nonostante sapesse che le speranze che ciò si sarebbe potuto avverare erano molto basse.
«Lui è qui?» domandò ancora.
«Sì. Volete arrivare da lui?» ridacchiò «Ma io di certo non vi lascerò fuggire così! Non permetterò che qualcuno intralci il cammino del capo! Verrà alla luce un nuovo mondo... e nessuno ne ostacolerà la venuta! Bronzor, Kadabra!»
«Come desideri, allora. Ma ti avverto che non sarà facile. Gyarados...!»
«Garchomp, vieni fuori!»
Elisio gli rivolse un'occhiata sorpresa: aveva pensato che non avrebbe avuto il coraggio di prendere parte alla sfida. Meglio così, si disse. Si scambiarono un sorriso, poi si voltarono verso il campo di battaglia.
«Lascio a te l'onore di sferrare la prima mossa.»
«Non aspettarti che io ti ringrazi.» disse Saturno rivolto al rosso «Kadabra, vai con Ondashock! Bronzor, usa Palla Ombra!»
Kadabra avvicinò le due mani e in mezzo ad esse apparve una sfera gialla attorno a cui si formavano di continuo numerosi fasci di scariche elettriche. Poi corse in avanti di qualche metro e allungando le braccia lanciò l'attacco contro il Gyarados di Elisio. Garchomp, evitando la mossa di Bronzor, si fiondò di fronte all'alleato e si addossò l'Ondashock senza farsi alcun danno.
«Molto bene. E ora, Gyarados, usa Idrondata.»
«Garchomp, vai con Dragartigli!»
Il drago d'acqua ringhiò minaccioso. Poi alzò la testa in alto per caricarsi. Intanto Garchomp aveva iniziato a scattare verso Bronzor con gli artigli che mano a mano si allungavano sempre di più, squarciando l'aria. Balzò addosso al Pokémon e lo colpì, ma questo con la sua corazza dura riuscì a parare la mossa e lo scaraventò indietro.
«Adesso, Gyarados!» intimò Elisio al Pokémon.
Gyarados ringhiò un'altra volta e finalmente mise in atto l'attacco, mandandolo a segno e provocando un danno di normali proporzioni a Kadabra.
«Psichico! Vortexpalla!»
«Terremoto.»
«Breccia!»
La battaglia infuriava fra un colpo e un altro, sul campo di battaglia che tremava e che cominciava a perdere resistenza alle pressioni che subiva. In pochi turni Bronzor fu messo al tappeto dai ripetuti attacchi di Garchomp, e anche Kadabra, ormai, si avviava alla propria sconfitta.
«Usa Ripresa!»
Contrariamente ad ogni aspettativa, invece, con quella mossa fu capace di riprendere le piene forze. Fissava i due avversari con uno sguardo rinvigorito, più aggressivo di prima.
«Dannazione, non ci voleva...» si lasciò scappare Platan.
«No, non è un problema.» disse Elisio mentre osservava il Golbat di Saturno prendere posto sul terreno «Guarda Gyarados.»
«Sembra affaticato.» commentò, notando la sua postura stanca e il modo affannoso in cui respirava.
«Sta perdendo la pazienza.» lo corresse il compagno «Tra poco andrà su tutte le furie. Immagino tu sappia che cosa succede quando un Gyarados si infuria, giusto?»
«Intendi sfruttare la sua rabbia? Ma così c'è il rischio che possa distruggere tutto!»
«In battaglia bisogna essere pronti a tutto. Anche il rischio a volte vale la pena di essere corso... se c'è in gioco la salvezza. Gyarados, Morso!» gridò: la lotta poteva riprendere.
Il Pokémon si gettò con violenza inaudita su Kadabra e lo strinse tra le proprie fauci senza dargli via di fuga. Kadabra si dimenò, il dolore era forte, troppo forte per poter essere sopportato. Gyarados lo scaraventò a terra e lo fissò con crudezza, i denti aguzzi sporchi del suo sangue. Kadabra stava per cedere, tuttavia gli rimanevano ancora un minimo di forze per poter sferrare un ultimo attacco. Mentre Golbat lanciava le proprie tossine velenose contro Garchomp avvelenandolo gravemente, cercò di rialzarsi, e con le membra doloranti si girò verso il proprio Allenatore per ricevere l'ultimo comando prima di essere sconfitto definitivamente. Platan era già pronto con l'Antidoto in mano, ma purtroppo non sarebbe servito.
«Divieto!»
Questa fu l'ultima mossa di Kadabra, che impedì a Garchomp di poter utilizzare qualsiasi strumento per potersi curare, condannandolo così ad una fine certa. Poi collassò, colpito da un ultimo e letale Morso di Gyarados.
Toxicroak prese il suo posto, più che deciso a vendicare la disfatta del compagno.
Corse verso il drago marino sferrandogli una Finta; intanto Golbat finiva il lavoro che aveva iniziato con Garchomp, assestandogli colpi che ne aggravavano ancora di più l'avvelenamento.
«Garchomp, stai bene?!» gli chiedeva preoccupato Platan ogni volta che lo vedeva cadere a terra allo stremo delle forze. Ma il Pokémon non rispondeva e continuava ad attaccare il nemico senza fermarsi, voleva dimostrargli che era forte, che ce la poteva fare, che doveva credere in lui. E in se stesso, anche.
Gridò inferocito e alzò le zampe in alto. Prese a correre velocemente con gli artigli che gli si infuocavano. Saltò, afferrò Golbat per le ali con i denti e lo graffiò in viso con un altro Dragartigli. Il colpo fu talmente forte che il pipistrello ci rimase secco.
«Gaaarchomp!» sibilò il Pokémon ripiombando sul terreno. Mentre Saturno si vedeva costretto a richiamare nella Sfera Poké anche Golbat, Garchomp si raggomitolò su se stesso emettendo un ringhio sommesso. Platan corse verso di lui e gli posò una mano sulla schiena.
«Garchomp, va tutto bene?» gli chiese. Poi si scostò perché aveva sentito la sua pelle tremare e abbassarsi improvvisamente di temperatura. Lo guardò negli occhi sorpreso. Gli effetti dell'avvelenamento erano svaniti.
«Ti sei curato da solo?» sussurrò, perché non riusciva a credere a ciò che il Pokémon aveva appena fatto «Lo hai fatto per me?»
Garchomp annuì. Poi scosse la coda in aria, fermandola di fronte al suo viso. Gli lasciò toccare il cinturino legato attorno ad essa in cui teneva inserita la sua Megapietra.
«Oh, ma io non posso, Garchomp... Non ne sono all'altezza, lo sai...» gli disse dispiaciuto, spingendo via la sua coda con delicatezza.
«Chooomp! Chomp Chomp!» ringhiò, volendogli dire che non era vero e che ciò che era successo alla Torre Maestra non importava niente, che era stato solo un incidente. Gli prese il viso tra le zampe e lo fissò negli occhi.
"Devi avere fiducia in me. In noi."
“Ah, Garchomp... Ma io ho fiducia in te, è in me che...” pensò.
Sospirò e scosse la testa.
«E va bene. D’accordo, proviamoci un’altra volta!»
Indietreggiò di qualche passo.
«Garchomp!» lo chiamò con voce decisa. Il Pokémon si mise in posizione, pronto a ciò che sarebbe accaduto a breve. Platan toccò la pietra incastonata nell’anello e alzò la mano mentre dal gioiello si generavano miriadi di fasci di luce colorati, illuminando la grotta molto più di quanto stava facendo la perla nel dipinto di Palkia.
«Megaevolvi!»
Attorno al Professore si generò una forte corrente ed un guscio luminoso intriso della polvere delle rocce si racchiuse attorno al Pokémon, in procinto di evolversi.
Gyarados e Toxicroak si girarono dal lato opposto, non sopportando la vista di tutta quella luce. Anche Saturno, malvolentieri e incredulo di fronte a quello che stava succedendo, fu costretto ad allontanare lo sguardo. Elisio invece si sforzò di resistere, perché finalmente, dopo averlo desiderato a lungo, poteva assistere alla Megaevoluzione di un Pokémon. Lo trovava uno spettacolo meraviglioso e potente. Non vedeva l’ora che il guscio si schiudesse per mostrare finalmente le nuove sembianze di Garchomp, tremava al solo pensiero. Tuttavia si trattenne, si trattenne come aveva e avrebbe sempre fatto.
E Platan era stupendo immerso in quello splendore. Lui stesso brillava ed era luce, sfavillava come una stella.
La trasformazione terminò. Garchomp avanzò, il suo aspetto era ancora più imponente di prima. Sul petto e sulle braccia gli erano cresciuti numerosi spuntoni che lo facevano appare più aggressivo, mentre gli artigli sulle sue zampe si erano allungati e affinati, simili a lame. Elisio osservava le nuove apparenze del Pokémon con il fiato sospeso, mentre Saturno, con le mani tremanti, cercava di capire che cosa era appena successo.
«Si chiama Megaevoluzione.» spiegò Platan «Ma permettimi di darti una dimostrazione pratica di ciò che comporta... Garchomp, usa Breccia davanti ai tuoi piedi!»
Il Pokémon obbedì al comando e colpì il terreno. Il colpo fu talmente forte da provocare una spaccatura che raggiunse Toxicroak e la massa d’aria prodotta spinse lontano il Pokémon nemico.
«Pazzesco!» esclamò il ragazzo, disperato e stupefatto insieme «Con un solo colpo ha prodotto tutta questa energia!»
«Incroyable, non?» disse il Professore con un sorrisetto sulle labbra.
«Devo ammettere che anche io sono rimasto sorpreso, caro Platan.» si aggiunse Elisio «Forte sì, ma non immaginavo fino a questo punto.»
«Comunque io non mi arrendo mica! Toxicroak, vai!»
E ricominciarono a combattere, a sferrarsi attacchi su attacchi, a parare colpi e a rotolare per terra. Poi, ad un tratto, dato che stava andando troppo per le lunghe e che Saturno si mostrava davvero tenace e imbattibile, Elisio e il Professore si scambiarono un’occhiata. Forse non era del tutto corretto, pensava Platan un po’ contrariato, ma dopotutto la situazione era quella che era. Non potevano sprecare altro tempo: non ce n’era più.
«Garchomp, avvicinati a Gyarados.»
«Gyarados, lascia salire Garchomp sul tuo dorso.»
Garchomp guardò i due con stupore.
«Fai come ha detto.» lo incoraggiò Platan sorridendogli.
 
Si mossero insieme con un attacco combinato.
Tornarono dai loro Allenatori, Toxicroak ancora resisteva.
«Mi fa davvero piacere che tu abbia allenato il tuo Pokémon così!» il Professore si rivolse a Saturno: era sincero. Vedere i Pokémon e le persone lottare le une accanto alle altre per difendere ciò in cui credevano lo riempiva di gioia. Avevano proprio un bel legame! Tuttavia non poteva permettere che Cyrus e il Team Galassia riuscissero nei loro piani. Gli dispiaceva un po’, ma doveva mettere la parola fine a quella lotta.
«Elisio,» chiamò il compagno, ma questo aveva già capito. Si accostarono l’uno vicino all’altro e alzarono un braccio in avanti.
«Sei pronto? Un ultimo colpo e abbiamo vinto, Platan.»
«Sono pronto.»
Si guardarono un attimo negli occhi e si sorrisero. Ce l’avrebbero fatta.
«Iper Raggio!» gridarono ad una sola voce.
Ed ecco che Gyarados e Garchomp si scagliavano sul nemico con il loro ultimo e vigoroso attacco: un Iper Raggio potentissimo e accecante. I due raggi si unirono nella loro traiettoria, avvolgendosi a spirale l’uno sull’altro.
 
All’improvviso una parte di terreno si alzò, formando uno scudo davanti al Pokémon e facendo rimbalzare il colpo all’indietro. Garchomp, ricordando ancora l’incidente di quella sera, spinse Platan lontano insieme ad Elisio, parando il colpo per quanto riuscisse, aiutato da Gyarados. Il raggio si dissolse nell’aria e si precipitarono tutti a vedere quella strana sporgenza. Se ne formarono altre, così dal nulla, di varie forme: aguzze, curve, dritte, spezzate. Era tutto distorto. La terra ricominciò a tremare e dal soffitto caddero nuovi macigni. Alcuni precipitarono su Saturno, ma fortuitamente riuscì a proteggersi. Platan gli corse in contro per andare in suo soccorso. Lo prese per un braccio e cercò di tirarlo via dicendogli che quel posto non era più sicuro, che se ne dovevano andare, che altrimenti...
«È la fine del mondo.» sibilò il ragazzo. Si strattonò via e strinse a sé Toxicroak.
«Cyrus ci è riuscito. Sta per creare un nuovo universo. Abbiamo vinto noi.»
Il Professore lo osservò terrorizzato. Come poteva dire quelle parole con quel sorriso in faccia?
Saturno scoppiò a piangere, mentre intorno i macigni continuavano ancora a cadere e a sfiorarli di pochi metri.
«Devo andare dai miei compagni.» disse «Devo proteggerli.»
Si alzò e fece per andarsene.
«Saturno, perché?! Perché fai tutto questo?!» gli chiese Platan, cercando di trovare una risposta.
«Il mondo in cui viviamo ora mi fa ribrezzo! È un mondo in cui dominano il dolore, la paura, la sofferenza, l’avidità, l’odio... Vorrei creare anch’io un mondo privo di queste emozioni che mi portano solo a star male... Ma non così! Tutto ciò è una pazzia! Salite quella scala. C’è un ultimo tratto da percorrere accanto a una cascata. Salite ancora. Poi una porta vi indicherà l’entrata alla Vetta Lancia. Adesso andate! E ve ne prego, fermate Cyrus!»
Fuggì lontano ed Elisio e Platan non lo videro più. Salirono velocemente la scalinata indicata dalla luce della perla, poi corsero ancora fino a raggiungere la cascata.
«Non è possibile!» esclamò il Professore coprendosi la bocca. Anche Elisio stavolta non poté trattenere lo sconcerto. Spalancò gli occhi e rabbrividì. Il fiume scorreva al contrario. Dal basso l’acqua saliva lungo la parete di pietra e poi proseguiva all’indietro. Era talmente assurdo che non riuscivano a crederci.
«Platan, credi che Cyrus abbia...?»
«Non lo so.» rispose salendo sulla schiena di Mega Garchomp «Ma noi dobbiamo fermarlo. Garchomp, aiutami a raggiungere quell’altura! In fretta!»
 
Un ruggito tremendo si diffuse sulla Vetta Lancia non appena Garchomp vi mise piede sopra.
La creatura era ancora ferma e non si era mossa per tutto il tempo, fatta eccezione per quel suo allargarsi e restringersi.
Lucinda fu la prima a voltarsi per vedere da dove provenisse quel ringhio che l’aveva spaventata. Si scostò da Rowan e non appena posò lo sguardo davanti alle porte della Vetta rimase a bocca aperta.
«Zio Platan!» esclamò, non sapeva se essere contenta o meno di vedere anche lui lì.
Immediatamente dopo aver udito quel nome, il Professor Rowan si girò a sua volta. Fissò gli occhi sui suoi, luminosi e pieni di vigore. Gli girava la testa. Perché era lì? Non doveva esserlo. Sarebbe dovuto rimanere lontano, lontanissimo, dove il Monte Corona neanche si poteva vedere all’orizzonte. Che cosa pensava di fare in quel posto? Era forse convinto di poter sistemare quel disastro? Rivolse un’occhiata fredda a Camilla ed ella abbassò la testa, mortificata e confusa. Eppure si era assicurato di farlo stare alla larga, lei glielo aveva promesso. Perché le cose erano finite in quel modo?
I tre ragazzini parlottavano fra loro: «È lui? È il Professor Platan, quello?», «Il Professor Platan? Quello che lavora nella regione di Kalos?», «Deve aver fatto davvero un viaggio lunghissimo per venire qui! Kalos è così lontana!», «Sì, zio Platan è il Professor Pokémon della regione di Kalos! È molto bravo, sapete?», «Ma quell’altro chi è?», «Non saprei, non l’ho mai visto...»
Soltanto in quel momento Rowan si accorse che al fianco del suo figlioccio c’era Elisio. Per qualche secondo si sentì rincuorato. Voleva avvicinarsi a lui, ma Platan gli fece cenno di rimanere fermo: la creatura aveva aperto gli occhi e li stava scrutando tutti, uno per uno, incastonando quei due punti rossi come rubini per secondi interminabili sui visi di ognuno. Non ne era sicuro, ma Elisio ebbe la sensazione che su di lui e sul suo compagno si fosse soffermata più a lungo degli altri.
Li riconosceva, la creatura. Ne aveva sentito parlare dagli altri Leggendari mentre era imprigionata nel suo mondo, lontana da loro. Ma si sarebbe vendicata, stavolta, si sarebbe vendicata eccome. Ancora li stava guardando e intuiva che erano vicini e che avrebbero desiderato stringersi l’uno all’altro per proteggersi reciprocamente. Ma non ci sarebbero riusciti. Si alzò in volo ed emise un grido fiondandosi su di loro. Dialga e Palkia cercarono di liberarsi dalle catene in cui Cyrus li aveva legati per poterla fermare, ma l’uomo, con voce dominante, disse: «Siete in mio potere, adesso. Non potete muovervi.», e intanto osservava quella scena particolare, chiedendosi perché mai la creatura stesse versando la propria furia proprio su quei due. Chi erano? Uno era il Professor Platan, certo. Anche l’altro gli era familiare, gli pareva d’averlo visto qualche volta alla televisione. Qualche pezzo grosso di Kalos, probabilmente. Ma per quale motivo abbattersi su di loro?
L’essere li aveva quasi in pugno, quando Garchomp con uno sforzo immane lo scaraventò via. La Megaevoluzione era terminata ed ora si teneva in piedi a fatica, barcollava da una parte all’altra. Platan gli andò vicino e gli fece una carezza per ringraziarlo, poi lo richiamò nella Poké Ball per farlo riposare. Alzò la testa e incontrò gli occhi della creatura.
«Giratina.» disse con un filo di voce. Elisio era dietro di lui, pronto a caricarselo addosso e a correre se si fosse permessa di attaccarli un’altra volta. E quella lo fece, sparandogli un raggio nefasto addosso, ma lui non fu abbastanza rapido: si chinò quindi sul Professore, il colpo diretto lo avrebbe preso lui, sperando che l’altro se la sarebbe cavata con qualche danno più lieve. Rimasero tutti col fiato sospeso, ansiosi, nella macabra rassegnazione che l’attacco sarebbe andato a segno.
Il colpo però non arrivò.
Elisio stringeva le mani di Platan e spingeva la testa sul suo collo, aspettava ancora. Aspettava, ma non c’era nulla. Un silenzio ovattato.
Sentì le dita di lui scivolare via dalla presa e accarezzargli una guancia, gli stava tirando su il viso.
«Guarda.» il sussurro giunse alle sue orecchie, e guardò.
 
Non aveva mai visto un Pokémon simile in vita sua. Il suo pelo era bianco candido, il suo corpo era circondato da una ruota dorata e il suo aspetto era talmente maestoso da metterlo in soggezione. Ed era bello, bellissimo. Gli stava parlando e la sua voce era meravigliosa, melodiosa come il suono di centinaia di campanelli. Stava dicendo a lui e a Platan di non avere paura, che non gli sarebbe accaduto nulla, che li avrebbe difesi. Tutti gli altri guardavano, stupefatti, ma non potevano sentire le sue parole. Stava parlando soltanto a loro due, telepaticamente. Il Pokémon si mosse e guardò Giratina con sguardo severo.
«Vattene. Torna nel tuo mondo.» disse, stavolta facendosi sentire da tutti quanti.
«Non ho intenzione di sottomettermi ancora al tuo volere, Arceus.» nel Pokémon ribelle persino la voce aveva un che di distorto, innaturale, deformato «Sono stato tuo prigioniero per troppo tempo. È giunto il momento di vendicarmi di ciò che mi hai fatto millenni fa!»
Si scontrarono, si colpirono ferocemente. Diedero inizio ad una nuova battaglia.
La Vetta Lancia divenne un inferno. Nessuno sapeva cosa fare e ognuno cercava di mettersi al sicuro in qualche modo. Tutti tranne Cyrus. L’uomo osservava in silenzio i due Pokémon mentre lottavano tra loro. Era impaziente ed irritato. Si era trovato così vicino al suo traguardo, ed ora si vedeva costretto ad arrendersi. Ma no. Mai e poi mai avrebbe permesso a qualcuno di ostacolarlo, neanche si fosse trattato del Pokémon più potente dell’universo. Era suo, l’universo. Spettava a lui governarlo. Chiamò di nuovo Dialga e Palkia. Martes corse al suo fianco e cercò di farlo ragionare prendendolo per il braccio che stringeva la Rossocatena.
«Non ora, Cyrus! O moriremo tutti!» gridò.
«Lasciami stare, Martes!» le disse con freddezza.
«Ti prego, Cyrus! Ti supplico!» aveva le lacrime agli occhi e si avvinghiava a lui con le unghie, graffiandolo.
«Sei patetica.»
E si sentì morire, il cuore strangolato e squarciato in infiniti frammenti.
Intanto i due Pokémon continuavano a colpirsi, a lanciare attacchi che si schiantavano sulla pietra, e ancora, come se mai avesse smesso, il suolo tremava.
«Elisio, fa’ attenzione!» disse Platan ponendosi di fronte all’uomo. La melma di Giratina che era rimasta al centro della pedana aveva preso a muoversi. Il Pokémon era in grado di controllarla e aveva deciso che se ne sarebbe servita per metterli in pericolo: sembravano stare a cuore ad Arceus, e porre la loro vita a rischio sarebbe stata una vulnerabile debolezza per abbattere la Creatura Originaria. La poltiglia camminava, strisciava come un Ekans fra le lastre, viscida e scura. I due si misero a correre. Ma dove potevano correre? Non vi era un posto sicuro, ogni cosa era dominata dal potere di Giratina e li avrebbe potuti colpire fatalmente. La melma inoltre non si dava pace e di volta in volta li raggiugeva. Non avevano scampo. Si fermarono sull’orlo della pedana. Di fronte a loro, il liquame li teneva in allerta. Dietro invece, avevano il vuoto. La cosa avanzava adesso con lentezza, come se provasse gusto a tenerli in angoscia.
«Reste près de moi.» sibilò il Professore rimanendo davanti ad Elisio. Non aveva intenzione di indietreggiare, se la melma lo avesse raggiunto allora si sarebbe lasciato andare ad essa. Lui prima di Elisio. Era l’unica cosa che poteva fare. Ma aveva fiducia, e le cose sarebbero andate per il verso giusto, alla fine. Si presero per mano e restarono in attesa.
Lucas, Barry, Lucinda e Camilla, insieme ai loro Pokémon, aiutavano Arceus a contrastare la violenza di Giratina senza arrendersi. A loro si era aggiunta anche Giovia, intimorita dalla piega che aveva preso la situazione. Cyrus, incurante di tutto, continuava a tentare di dare ordini a Palkia e Dialga. Martes si era abbandonata a se stessa, mentre il Professor Rowan, non avendo nulla con cui essere di giovamento, non poteva far altro che rimanere a guardare. Ogni tanto Platan rivolgeva lo sguardo a lui per assicurarsi che non gli accadesse nulla. In fondo non poteva fare a meno di volergli bene. Poi improvvisamente un po’ della sua fiducia scomparve.
«PROFESSOR ROWAN!» lo chiamò con tutto il fiato che aveva. Ma il Professore era a terra, freddo, esanime, e non lo sentiva. Arceus venne richiamato da quel grido disperato e attaccò Giratina con più forza. Questo per un attimo s’indebolì, e contemporaneamente anche la sua melma, che si ritirò, deteriorandosi. Platan lasciò bruscamente la mano di Elisio e corse verso l'anziano, si gettò ai suoi piedi.
«Professor Rowan! Professor Rowan!» lo chiamò di nuovo.
Lucinda lo raggiunse, preoccupata, mentre Camilla restò a guardare, immobile. Non poteva allontanarsi, doveva aiutare i ragazzini. Ma il Professor Rowan era a terra ed era stato accidentalmente colpito da uno dei loro attacchi. Cosa doveva fare? Il rosso accorse, scostò Platan con delicatezza e poggiò due dita sulla carotide del Professore per sentire il suo battito. Lievemente, ma il suo cuore batteva ancora, e respirava, dal naso soffiava a poco a poco un po’ d’aria. Aveva solamente perso i sensi. Lo prese tra le braccia e si alzò, cercando un punto sicuro dove avrebbe potuto farlo riposare. Alcune colonne in fondo alla pedana erano crollate le une sulle altre e avevano creato una sorta di piccolo antro.
«Sta bene.» disse Elisio rivolto a Camilla «Platan se ne prenderà cura. Non preoccuparti.»
Poi si diresse verso la grotta con Lucinda e il suo compagno e una volta arrivati distese il Professore a terra, supino, in modo che potesse respirare più facilmente. Disse ai due di fargli da guardia.
«Resta qui e proteggili. Dopotutto è per questo che sei venuto, no?» fece, una volta che Platan si fu seduto accanto al corpo dell’uomo. Lucinda si era accucciata al suo fianco e osservava il viso del vecchio Professore.
«Sì, è vero. Lo farò.» rispose Platan «Ma tu?» aveva fiducia, tuttavia era anche impaurito per lui.
«Io so cavarmela.»
Si guardarono per un po’, silenziosi, ed Elisio scorse una scheggia plumbea in quel già grigio dei suoi occhi grandi. Si tolse la giacca e gliela mise fra le mani.
«Tiens.» disse «Coprilo con questa. Fa freddo, e la cosa importante adesso è mantenerlo al caldo.»
Platan lo ringraziò. Si osservarono ancora qualche istante, poi Elisio si alzò e si allontanò.
«Mi fido di te!» gridò l’uomo dai capelli scuri prima che fosse troppo lontano. Lui si voltò un’ultima volta nella sua direzione e sorrise, dicendogli che faceva lo stesso nei suoi confronti. In fine corse via e andò ad aiutare gli altri.
Anche sulle labbra di Platan si formò un timido sorriso che piano piano si allargò sempre di più. Si chinò sul Professore e lo coprì con la giacca di Elisio. Per un attimo gli giunse il suo profumo nelle narici, un profumo che sapeva di gigli. Poi lasciò andare la schiena sulla pietra e sospirò.
«Sai, per un attimo ho pensato che volesse darla a te.» disse la ragazzina sorridendo.
«Ah, davvero?» ridacchiò imbarazzato «Elisio è una persona premurosa, cerca sempre di aiutare il prossimo... È gentile.» spiegò.
«Siete amici?» chiese.
«Sì. Amici molto stretti.» rispose.
«Molto stretti.» ripeté «Sai, zio Platan,» lo chiamava “zio” ma il loro rapporto era più simile a quello fra cugini «sono davvero contenta di rivederti! Anche se avrei preferito farlo in circostanze diverse...»
«Anch’io sono felice di rivederti, Lucinda! È passato tanto tempo...»
Le sorrise e vedendo il suo viso un po’ turbato, allargò le braccia.
«Vieni.» le disse. L’abbracciò e la strinse a sé, accarezzandole i capelli come aveva fatto quando era stata piccina, in quelle notti in cui era venuta a cercarlo per trovare conforto dopo un incubo improvviso.
«Vedi,» le confidò «io ed Elisio ci siamo fatti una promessa, un giorno, tanto tempo fa. Io ho fiducia in quella promessa. E in lui. Perciò non temere... Andrà tutto bene.»
 
«Ti avevo detto che dovevi proteggerlo!» disse Camilla una volta che Elisio le si fermò accanto.
«È quello che sto facendo. Lì è più al sicuro di qui.» le disse in risposta.
Prese la Ball di Gyarados in mano, ma non era sicuro che sarebbe riuscito ad affrontare un altro scontro: già il precedente era stato abbastanza duro.
«Ma io ti avevo detto di rimanere a casa finché non sarei tornata! Di certo avremmo evitato tutto questo!» continuava ancora lei.
Elisio le rivolse un’occhiata insistente.
«Allora come mai hai registrato quella conversazione? Pensavo lo avessi fatto di proposito per spronarlo a venire, nonostante Rowan fosse contrario!»
Quella lo guardò sorpresa e le ci vollero pochi istanti per capire a quale conversazione si stesse riferendo.
«Io non ho registrato nessuna conversazione!» esclamò, ma si dovette ricredere.
La sera prima, mentre i due si stavano sistemando nella loro stanza, aveva ricevuto la telefonata del Professor Rowan. Mentre teneva la cornetta in mano si era poggiata sul telefono e aveva accidentalmente schiacciato il pulsante della registrazione senza accorgersene. Poi era andata dalla nonna per chiedere consiglio su quanto le aveva detto il Professore: non voleva lasciare indietro Platan, sentiva come di fargli un brutto torto. Tuttavia le cose erano finite così ed ormai era troppo tardi per rimuginarci sopra. Non disse nulla. Si limitò a guardare Elisio con uno sguardo misto tra il dispiaciuto e l’arrogante: che poi, chi gli aveva dato il permesso di ascoltare le registrazioni sul suo telefono? La loro divergenza venne interrotta dal grido di uno dei ragazzi.
Di fronte a Cyrus si era aperto un varco. L’uomo lo osservava con un sorriso inquietante mentre stringeva tra le dita la Rossocatena. L’accesso al Mondo Distorto aveva preso finalmente una forma concreta. Dentro di esso si potevano vedere le sue sembianze: c’erano isolotti e terre, corsi d’acqua, cascate, monti, piante altissime che toccavano il cielo. Tuttavia non c’era ordine. Ogni tanto gli alberi sembravano sparire, ma ricomparivano pochi secondi dopo qualche metro più avanti, come se si spostassero; le isole fluttuavano nell’aria, si muovevano in su e in giù, a sinistra e a destra; e le cascate, le cascate scorrevano al contrario. Un mondo in cui non c’erano regole. Un mondo in cui le regole le avrebbe poste lui, Cyrus, il bellissimo e geniale Cyrus, che per tutta la vita era stato respinto e disdegnato da quell’altro mondo a cui apparteneva, incompreso, come fosse stato un pazzo, abbandonato da coloro che gli erano stati cari. Ma ora le cose sarebbero cambiate. Allungò una mano verso il portale e gemette nell’accarezzare finalmente il suo nuovo mondo, nel sentirlo pulsare fra le sue dita.
«Cyrus, non avvicinarti!» era Elisio che gli era corso in contro e lo aveva afferrato per le spalle, strattonandolo via dal varco.
«Adesso ti ci metti anche tu? L’amichetto del Professore... Qual è il tuo nome?»
«Elisio.»
«Elisio, dimmi. Per quale motivo lo fai? Per gioia? O per amore, forse? Stai proteggendo un mondo che non merita di essere difeso. Non è così? Spiegami, allora. C’è qualcosa per cui valga la pena lottare in questo universo? La gioia è fuggevole, basta una piccola delusione per scacciarla via. E l’amore è ancora più inutile e crudele, perché se non è ricambiato ci tormenta, ci strazia; e se invece lo fosse svanirebbe per uno sciocco litigio, per qualche stupido disaccordo. L’amore si sgretola, se ne va un pezzetto alla volta, si sciupa, finché nell’animo non rimane altro che un’enorme desolazione. Pensaci, e dimmi: non è forse vero?»
Rimase paralizzato mentre nella testa riaffiorava il ricordo di quella donna maledetta. Digrignò i denti.
«Allora sei d’accordo con me.» sibilò Cyrus notando l’espressione carica di odio che si era formata sul suo viso. Perché si stava facendo manipolare così da un uomo del genere? Era un folle, non glielo poteva permettere!
«Sta’ zitto.» gli disse «Sei un essere senza emozioni. Sei un mostro. Che puoi saperne?»
«Prima di diventare un mostro, ero un uomo, esattamente come te. Ho capito che la mia natura non avrebbe fatto altro che nuocermi. E così, sono giunto alla conclusione che l’unico modo per sopravvivere è quello di privarmi del mio spirito. Vieni con me. Ti mostrerò un nuovo mondo in cui non sarai più costretto a soffrire a causa di questa tua debolezza.»
«Mai!»
«E allora levati di mezzo!»
Lo colpì sul viso con un pugno, facendolo indietreggiare di qualche passo. Elisio si pulì la bocca sporca di sangue e lo osservò, carico di astio. Perché le persone erano così in quel mondo orrendo? Non lo poteva sopportare, gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Prese la rincorsa per raggiungere di nuovo l’uomo, ma qualcosa di pesante si scaraventò su di lui, facendolo cadere a terra e impedendogli di muoversi. Alzò lo sguardo ed incontrò gli occhi rossi fiammeggianti di Giratina.
«Maledetto.» sussurrò con voce fioca, non sapeva nemmeno lui se fosse rivolto al Pokémon o a Cyrus. Si sentiva stanco e debole, faticava a tenere gli occhi aperti. Gli girava la testa e aveva le vertigini. Vide confusamente Camilla che cercava di bloccare il Capogalassia e lui che veniva risucchiato all’interno del varco con un ghigno morboso sulle labbra. Martes gridava straziata. Cyrus scomparve, divorato dall’altro Mondo. L’ultima cosa che vide fu il suo sguardo ossessivo e gelido, folle, poi gli si chiusero gli occhi.
E il buio lo circondò.

 


 

Gente, ecco a voi l'ultimo capitolo. Manca soltanto l'epilogo e la storia sarà finita.
È il capitolo più lungo che abbia mai scritto in vita mia, succedono davvero tante cose. È la prima volta che mi cimento in una cosa del genere con così tanti personaggi tutti insieme... Vederla finita è una vera soddisfazione!
Ho mischiato un po' le carte in tavola, come al solito!
Elisio e Platan ormai sono diventati una coppia a tutti gli effetti, credo che sia palese! c': Ma da qui fino a vederli dichiararsi a vicenda il loro amore bisognerà aspettare ancora un po'...
Saturno è il membro del Team Galassia che alla fine si ribella agli ideali del gruppo. Non potevo definirlo in modo precisissimo, ma spero che con quella frase sia chiaro ciò che stesse pensando. Mi sono concentrata di più sul personaggio di Cyrus. Non è ironico che Elisio cerchi di fermarlo, ma poi rischierà di fare la stessa fine?

Come mai Arceus stava proteggendo proprio loro?

Che cosa è successo quel giorno, tanto tempo fa? Che senso ha quella promessa?

E il Professor Rowan si riprenderà?

Ed Elisio?

Quante domande ancora senza risposta... Ma a suo tempo ogni cosa verrà rivelata!

...Oh, e avete riconosciuto il misterioso figuro che girava per Monte Corona assieme a Croagunk? Non avrà un ruolo particolare nella serie, ma un altro personaggio che si intreccerà con lui invece sarà incisivo.

Spero che il capitolo abbia soddisfatto le vostre aspettative!

A presto,


la vostra Persღ

 


~ L'angolo del francese ~
 

*"Bon" = "Bene"
*"Résiste!" = "Resisiti!"
*"Tu t'es fait mal
?" = "Ti sei fatto male?"
*"Non. Je vais bien" = "No. Sto bene"
*"Incroyable, non?" = "Incredibile, no?"
*"Reste prés de moi" = "Stammi vicino"
*"Tiens" = "Tieni"


 

  
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