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Autore: Ziggie    12/04/2015    1 recensioni
Mycroft e Sherlock. Due fratelli, due facce della stessa medaglia, due tra i più brillanti uomini che servono l'Inghilterra. Ma com'era la loro vita prima dei fatti che tutti noi conosciamo? Perché sono arrivati ad essere così schivi l'uno con l'altro? Questa long fiction si propone di esplorare questo mondo antecedente ai fatti della BBC collegandolo con alcuni fatti e personaggi del nuovo film Kingsman, The Secret Service, attraversando la serie per superarla ed arrivare ad un ipotetico e se? da dietro le quinte, sperando di cogliere nel segno.
Non solo Sherlock e Mycroft, ma ci saranno altri personaggi a coronare questi capitoli, un nome a caso: Anthea.
Buona lettura e, mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Anthea, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questo capitolo è stato un po' un parto per diversi motivi, il primo tra tutti era quello che avrei voluto smetterla qui, senza pensare troppo ad un continuo, con troppi "E se..", con troppe idee in testa. Poi però mi sono detta la parolina magica e ho continuato. Da troppo tempo non scrivo una long fiction e non vedo perché smettere adesso, proprio quando il personaggio scelto ha molto da dire. No, non vado da nessuna parte e continuo imperterrita e così vi lascio il continuo, spero vi piaccia e spero lascerete qualche commento, io sono molto curiosa a riguardo. Buona lettura.
 
4. Caring is not the advantage
 

Una finestra e il suo oltre: cosa potrebbe narrare?

Niente, qualcosa, tutto.

I passi delle persone sull'asfalto cittadino raccontano parte della loro storia, se si tende l'orecchio, se si sta ad ascoltare.

I materiali edili narrano quella delle case, degli edifici che reggono da tempo immemore o leggermente nuovo.

L'osservazione, niente lasciato al caso, niente lasciato all'ovvio.

Ultimamente il mio tempo lo spendevo così, osservatore pensieroso dietro le righe.

Quattro anni erano passati da quel Natale in cui mi era stata data una possibilità di emergere, quattro anni in cui avevo continuato a vivere la mia vita come avevo sempre fatto, affinando le mie conoscenze, ampliandole, migliorandomi per prepararmi al college, per prepararmi a questa possibile opportunità. Quattro anni, non tre sperati, promessi.

I servizi segreti. Esistevano davvero o era stata una momentanea invenzione di mio zio per compiacermi? Una seconda opzione valida e vivida più che mai a differenza di quello zio dissolto nel nulla. L'attaccamento a qualcuno, a qualcosa distoglie dai propri obbiettivi; occorre essere razionali, mai essere troppo coinvolti perché non ha senso rimanere delusi da un'idea, da una promessa, dal tempo che scorre; non ha senso rimanere delusi da parole dettate all'orecchio da persone di cui  si conoscono a malapena volto e voce.

L'esperienza del college iniziò in autunno, inutile dire che mi portò indietro nel limbo dei ricordi collegati alla mia esperienza al Saint John, ma stavolta non mi sarei fatto espellere, in quegli anni avevo imparato a gestire la mia impulsività indossando la maschera della compostezza qualora e laddove mi fosse possibile. Ragionare prima di agire era sempre la giusta scelta a differenza di quello che poteva pensare mio fratello e mentre pensavo a ciò, immaginavo la voce di mia madre dire: - ma ha dieci anni! - mentre io ipoteticamente le rispondevo che non era un buon motivo.

Non cercai di farmi degli amici, non ne avevo voglia e non ne avevo bisogno, ma quando meno te lo aspetti, rischi di venire trasportato in un turbine di nuove esperienze e questo era successo anche a me.
Il vento soffiava forte sulle imposte mentre il cielo chiamava pioggia da un momento all'altro. Avevo da poco finito le lezioni e stavo preparando i libri sulla scrivania quando un rumorino metallico giunse al mio orecchio, ma non feci in tempo a voltarmi che mio fratello, alquanto malconcio, stava entrando dalla finestra con un grimaldello in mano.

- Potresti avere un futuro da criminale, lo sai vero? - asserii, accennandogli con un cenno del capo al grimaldello che teneva in mano.

- Si, è il terzo lavoro che ho nella lista "cosa mi aspetta il futuro?", ma non preoccuparti fratellone, non ho forzato nessuna finestra, queste imposte sono facili da aprire facendo leva dall'esterno, questo l'ho portato per evenienza -

- O per difesa - esclamai - non è difficile dedurre che ti sei azzuffato a scuola, i tuoi vestiti e il tuo volto parlano chiaro - gli feci segno di accomodarsi dove più gli era congeniale e andai a recuperare la cassetta del pronto soccorso.

- Non è colpa mia se sono circondato da un gruppo di idioti e comunque non ne voglio parlare - si imbronciò.

- Perché sei qui allora? - chiesi spontaneamente, mentre gli tamponavo il taglio che aveva sul labbro.

Silenzio, poi un leggero brontolio - saluti - tagliò corto, mentre faceva diverse smorfie per sopperire il dolore. Scossi il capo ed un sorriso mi si dipinse sul volto, ma sparì subito quando sentii bussare, cosa alquanto strana: chi diavolo poteva essere?
Feci segno a Sherlock di nascondersi da qualche parte, non mi andava di dover dare spiegazioni a qualcuno sul perché mio fratello, un bambino di dieci anni, malconcio e con un grimaldello al seguito si trovava in camera mia, ne tanto meno mi andava che lui iniziasse ad analizzare il possibile interlocutore, bastava la mia mente a farlo. Contrariato scosse il capo, così fui costretto a prenderlo di forza ed appenderlo all'attaccapanni dietro la porta, ringraziando le divise scolastiche con tanto di bretelle che resero il tutto più facile, mentre il bussare alla porta si faceva sempre più insistente.

- Un attimo, arrivo - esclamai aprendo la porta e trovandomi davanti un signore sulla cinquantina, ben vestito e con degli occhiali da vista: un professore pareva. Non avevo mai seguito un corso con lui e non aveva nessun principio di polvere di gesso addosso, piuttosto indossava un completo perfetto gessato scuro, una cravatta bordeaux e delle scarpe nere, eleganti e lucide - Desidera? - chiesi dopo aver lasciato che entrambi ci studiassimo.

- Fare quattro chiacchiere con lei, Mycroft Holmes - rispose semplicemente lui, un tono gentile.

- Se potessi avere il piacere di conoscere il nome del mio interlocutore, sarei più invogliato nell'accettare questo invito - un tono più mellifluo il mio.

- Mi avevano detto che era molto sospettoso - esclamò ridacchiando appena.

- Lei dice? - osservai io, aggrottando la fronte senza scompormi - Tra noi due è lei quello che conosce i dettagli, ma ostenta le presentazioni - feci sfacciato e notai un maggior sorriso dipingersi sul volto del mio anziano interlocutore.

- Mi chiami pure Artù - disse senza darmi il tempo di porre altre domande, il suo sguardo era deciso e irremovibile che era chiaro il fatto che se avessi voluto sapere di più, se avessi voluto fare quelle quattro chiacchiere, avrei dovuto seguirlo. Entrai in camera ad afferrare la giacca ed osservai Sherlock, ancora appeso all'appendiabiti dietro la porta, imbronciato e con le braccia conserte.

- Da quando un vecchio dal nome mitologico e dal mocassino nero numero 43 suscita la tua attenzione più di tuo fratello malconcio, che hai volutamente appeso dietro alla porta? -

- Da quando mio fratello malconcio si arrampica dalla grondaia con un grimaldello in mano per raggiungere la finestra più in ombra del secondo piano solo per parlare di una zuffa? - eravamo pari, frecciatina per frecciatina, ma sapevamo anche che avremmo affrontato l'argomento al mio ritorno: si, perché lui non sarebbe tornato a casa.

- Parleremo più tardi, Sherlock. Nel frattempo, se ti conviene, non combinare guai - uscii, lasciandolo appeso alla porta in modo tale che avrebbe impiegato due minuti del suo tempo per scendere da lì, e raggiunsi Artù ormai in fondo al corridoio.

Fu una camminata silenziosa fino al polo principale del college e nel mio mutismo cercavo di apprendere maggiori informazioni da colui che sarebbe diventato a breve, o così pensavo, il mio interlocutore, ma era molto ligio e più di quello che avevo già dedotto quando si presentò al dormitorio, non riuscii a fare. Raggiungemmo i sotterranei dell'università, lunghi e infiniti corridoi ricchi d'archivi, con l'illuminazione che rifletteva sulle pareti in vecchia e solida muratura. Non una parola, finché non arrivammo dinanzi ad un ascensore, vi entrammo e questo iniziò a muoversi lateralmente.

- Come diavolo è possibile? - domandai alquanto stupito.

- Ci sono molte cose a cui rivolgerai questa esclamazione, non tutte le domande potranno avere una risposta -

Lo guardai un po' sconcertato, ma rimasi in silenzio, quella poteva essere una frase adatta a me, perché mai non l'avevo pensata prima? Il viaggio in quello strano ascensore fu il più lungo che ebbi mai compiuto e ci condusse all'interno di una lussuosa villa. Mi guardai attorno per assicurarmi non fossimo giunti a Buckingham Palace, ma i lampadari e i tappeti mi diedero la conferma che non eravamo giunti a far visita alla regina e ciò mi fece tirare un respiro di sollievo. Seguii Artù fino al salotto e mi accomodai in poltrona solo dopo che mi fece segno di sedermi.

- Ti sono grato per non essere stato tedioso durante questo nostro piccolo viaggio fino a qui - era la seconda volta che si rivolgeva a me dandomi del tu, probabilmente il lei lo utilizzava per i convenevoli e le presentazioni di facciata.

- Avrei dovuto, signore? - domandai, mettendomi comodo su quella poltrona di pelle, lui sorrise.

- Esattamente quattro anni fa ti è stato detto che il tuo fascicolo era stato preso in considerazione dalle più alte cariche dei servizi segreti, vero? -

- Più o meno è andata così, ma visto e considerato il ritardo nell'adempiere questa vecchia diceria, mi viene da pensare a due opzioni: il mio non era tra i fascicoli degni di nota o i servizi segreti di sua maestà non sono puntuali come dovrebbero essere - lessi una sorta di irritazione nel suo sguardo quando mi mostrai a lui con quell'osservazione dal tono sfacciato e sorrisi mentalmente.

- Esistono diverse tipologie di servizi segreti in tutto il mondo, Mycroft. La stessa Inghilterra possiede varie categorie di questo stampo: MI5 per la sicurezza interna, MI6 per quella esterna e poi ci siamo noi, una società di uomini ben addestrati al servizio di sua maestà e di questi due grandi gruppi. Dove non arrivano loro, andiamo noi. Qualora avessero bisogno di uomini, il nostro supporto non è mai negato. La nostra società è nata ai tempi di Giorgio VI, tempi in cui la guerra imperversava nel mondo e le nostre forze avevano bisogno di una mano invisibile che le aiutasse, per giungere dove loro non sarebbero mai arrivate. Noi siamo i Kingsman e il tuo fascicolo è sotto stretta sorveglianza da quando eri in fasce - sorseggiò un po' del suo brandy che il maggiordomo aveva servito mentre parlava, io stesso avevo il bicchiere bagnato da quel liquore, ma fu come se non lo vedessi, attento come ero a quella storia. Era una minaccia? Era un invito a prenderne parte? Era entrambi? Perché ora? Perché non prima o dopo il college?

- Dovrei essere impressionato, Sir? - convenni con lo stesso tono sfacciato di prima - Quattro anni fa fui stupito quando seppi di avere un fascicolo, credevo che soltanto i criminali potessero averne uno. Ora lei mi dice che lo tenete sotto controllo da quando ero in fasce, ma cosa potrà mai aver fatto un bambino, un neonato, in fasce tra le braccia dei propri genitori? Sia io che mio fratello abbiamo un'intelligenza più sviluppata e molto ben allenata, un'ottima memoria visiva, i dettagli sono il nostro forte, ma può dirmi quello che vuole, Sir, ma non credo di essere stato un caso più unico che raro quando indossavo ancora il pannolino e gorgheggiavo -.

- Quando hai iniziato a parlare, Mycroft? -

- Tra i 7 e gli 8 mesi -

- Il che non è da tutti, no? Tuo zio ha sempre fatto rapporto dei tuoi progressi in ogni campo. Ognuno può essere un Kingsman, in pochi dimostrano di saperlo essere davvero - disse, finendo il suo brandy. Era uno dei colloqui più strani a cui avevo mai preso parte e non mi chiesi nemmeno come potevano sapere tutte quelle cose sul mio conto, tanto da farmi mettere quasi sulla difensiva prendendo anche in considerazione mio fratello, cosa alquanto rara. Cosa significava tutto quello? Come sarebbe finita? Sarebbe durata molto? Avevo troppe domande in testa, avevo bisogno di estraniarmi con i miei pensieri e riflettere, riflettere e basta. - Quello in cui ci troviamo ora è il quartier generale della nostra scuola di addestramento. I corsi inizieranno tra una settimana e riguarderanno non soltanto la pratica sul campo, ma anche la cultura generale, sosterrai esami al pari di quelli del college e potrai conseguire un diploma di alto riconoscimento se supererai i test con il massimo dei voti. Certo, accettando è inutile che ti dica che metterai in gioco la tua stessa vita, ma credo sia una cosa ovvia e normale se si vuole lavorare in questo campo o in quello politico, al quale sapevo che stavi mirando una volta iscritto all'università. -

Ora che evitava di girare attorno all'argomento ed era giunto al punto, la cosa si faceva più interessante nonostante fossi una persona che preferiva toccare con mano le situazioni, scettica nei riguardi della semplice parola, ma in quel discorso non c'era una virgola fuori posto così come sul volto di quell'uomo e un sorriso si distese sul mio - Quanto tempo ho per darle una risposta, Artù? -

- Quarantotto ore, non un minuto di più - annuii - e Mycroft, la segretezza è la massima priorità anche nei riguardi di chi ci sta più a cuore -.

Mi congedai annuendo a quelle ultime parole, sapevo che non avrei potuto rivelare nulla a nessuno, non ai miei, non a Sherlock, a momenti nemmeno a me stesso. Occorreva la giusta scusa, la mezza verità e avevo quarantotto ore per decidere cosa sarebbe stato della mia vita.

Per tornare sui miei passi non potei usare la scorciatoia segreta che avevamo usato per raggiungere detto luogo qualche ora prima, ma il maggiordomo mi accompagnò alla porta e notai che eravamo nel bel mezzo della campagna inglese, sospirai pensando che mi ci sarebbero volute ore per tornare da lì alla City sulle mie sole gambe, ma un sorriso mi si dipinse sul volto quando il lacchè mi aprì gentilmente la porta di una berlina nera con i sedili in pelle marrone chiaro.
- Prego, Sir, il suo passaggio - esordì con un leggero inchino, mentre io osservavo ancora incredulo tanta organizzazione e ricchezza tutta in una volta: rischio, organizzazione, conoscenza, buon gusto e buone maniere, se quello era il sipario che avvolgeva il lavoro e il percorso che mi era appena stato offerto, ero pronto a metterci la firma, anche se avevo già imparato a mie spese che esser troppo legati ad una semplice idea non era mai la scelta giusta. Com'è che si dice in questi casi? Ah si, caring is not the advantage.

L'oscurità delle prime ore della notte aveva avvolto Londra quando rientrai al college, rimanendo per qualche istante ad osservare quella berlina nera riprendere la strada. Quando salii in camera, trovai Sherlock rannicchiato sul letto, che dormiva con il grimaldello in mano e sorrisi richiudendo la porta alle mie spalle, raccogliendo da terra le bretelle di mio fratello che avevo appena calpestato; non mi era stato difficile immaginare il tempo e il modo in cui si fosse liberato dall'attaccapanni. Nonostante l'ora tarda, immaginavo che i miei genitori non fossero ancora a letto visto e considerato che mia madre aveva una forte apprensione nei riguardi di mio fratello, perciò decisi di chiamare a casa e rassicurarli sul fatto che si trovava con me.

- Mamma -

- Myc, per l'amor del cielo, dicci che è lì con te, è da tutto il pomeriggio che non abbiamo sue notizie -.

- Si, mamma. Sherlock è qui con me, sta usurpando il mio letto, dormendo come un ghiro, ma è tutto intero ed è tutto nella norma - dissi con tono stanco, quasi pensieroso.

- Dal tuo tono non sembrerebbe -.

- Sono solo stanco, mamma. Stavo studiando così assiduamente che non mi sono reso conto del tempo che passava - mentii prontamente, come potevo dirle che avrei lasciato il college? Come potevo dirle che avrei frequentato altrove servendo l'intelligence nazionale? Avevo bisogno di una notte per pensarci, un momento per rimanere da solo con i miei pensieri. - Non preoccuparti per Sherlock, lo porterò io stesso a scuola domattina. Buonanotte -.

Passai una notte in preda ai pensieri, alle mezze verità che avrei potuto sciorinare, poi ebbi l'illuminazione verso l'alba, rivangando nei ricordi, tornando a quel Natale e alle parole scambiate con mio zio: il regio esercito britannico. Come avevo fatto a non pensarci? Era perfetto! Ero così entusiasta che non chiusi occhio se non poco prima del suono della sveglia, che maledissi, cercando di tornare a dormire, ma vidi Sherlock nella penombra del letto fissarmi. Strofinai gli occhi e mi stiracchiai, avrei pagato profumatamente chiunque mi avesse portato del caffè nero non zuccherato in quel momento, ma cercai di non pensarci, alzandomi dalla sedia sulla quale avevo passato la notte pensierosa, avviandomi al letto in silenzio, sapevo che il primo a parlare non sarei stato io.

- Ti ho sentito stanotte mentre parlavi con mamma -

- Era tarda sera, Sherlock, cosa ti fa credere che chiami i nostri genitori nel cuore della notte? -

- Mezzanotte e mezza, Mycroft… Io non la definirei tarda sera - puntualizzò come suo solito, un bambino di dieci anni che già si comportava come un adulto, difficile a dirsi o forse no, io ero peggio alla sua età.

- È una specie di interrogatorio quello che stai mettendo in atto? Vuoi sapere il perché ho mentito così spudoratamente alla mamma, non è vero? -

Lui sorrise ed annuì - Diciamo di si, anche se immagino che quel vecchietto dal nome del re bretone per eccellenza sia la tua opportunità tanto agognata che nostro zio ti aveva promesso quattro anni fa. - Non avevo mai sottovalutato Sherlock, non me ne aveva mai dato modo, nonostante io tenessi le distanze, tenendomi composto, freddo.

- Perché ti sei azzuffato ieri? - cambiai discorso, ma sapevo che in merito alla mia situazione non avevamo più molto da dirci, lui non avrebbe detto nulla ai nostri genitori, io avrei fatto lo stesso garantendogli protezione, nonostante la lieve lontananza che si stava per andare a creare.

- Una semplice discussione contro un inetto più grande di qualche anno che si chiama Anderson. Sai, vuol fare il poliziotto, ma non è in grado di distinguere il superfluo dall'evidenza -.

- E tu ti sei premurato di insegnargli come fare, no? - commentai ironico.

- Più o meno è andata così - ridacchiò.

- Cerca di evitarli i guai, fratellino - lo ammonii, dandogli una lieve pacca sulla spalla - qualora non ci riuscissi, questa stanza farà al caso tuo, ma non far preoccupare troppo la mamma -.

- Disse quello che sta per unirsi ai servizi segreti -.
 
Al Diogenes riesco sempre ad estraniarmi e a tornare indietro ai ricordi più impensati e più nascosti, è sempre notevole vedere quanto possa fare il silenzio accompagnato da un buon bicchiere di brandy.
  
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