Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Bloody_Schutzengel    12/04/2015    1 recensioni
[Primo capitolo della serie: Sotto mille ciliegi]
Anno ****, mese di Agosto, quindicesimo giorno.
Lo stato di Kintou viene stravolto da un violento colpo di stato da parte di estremisti detti Rivoluzionari, che attuano un macabro e violento regime di ferro nella parte orientale del paese. La parte occidentale, invece, è popolata ancora da creature magiche, sacerdotesse e dalla natura. E' chiamata Terra Pura ed è sotto tiro dal generale salito al potere che vuole emulare violentemente i costumi delle popolazioni d'Oltremare, industrializzate e moderne all'esterno ma sanguinose e ingiuste all'interno.
Yoko è una semplice ragazza di Kintou Shuto, la capitale di Kintou Est, che a causa di vari eventi, si troverà ad entrare nell'esercito della morte della città, pur di sfuggire all'esecuzione pubblica. Tra le file, Yoko dovrà affrontare i suoi compagni, tutti uomini, le battaglie, le campagne militari ma soprattutto il vero e proprio generale, del quale è oggetto di desideri perversi e omicidi allo stesso tempo.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
• Capitolo 2 •
Guardami negli occhi

 


La porta si spalancò violentemente, producendo un rumore simile a quello di una bomba una volta ch’era urtata contro il muro. Yoko quasi stava cadendo, uscita dall’appartamento spingendo via il portone, poggiando repentinamente i piedi uno davanti all’altro e viceversa per quello scarso metro quadro di spazio prima di imboccare di nuovo le scale, stavolta in discesa. Non parlava, il cuore le batteva a mille, si sentiva rigida, con un branco di cani che le ringhiavano dietro. Non urlava, tanto non sarebbe servito a nulla: una delle regole principali del regime era di restare indifferenti a situazioni del genere e di lasciar che le pattuglie operassero per portare giustizia. Un palmo appoggiato all’ appoggiamano ferroso e nero delle scale, l’altro chiuso e rigido. Gli occhi nocciola erano spalancati, aveva dimenticato di portarsi via il cappello, l’avrebbero resa ceca per quei suoi occhi troppo chiari e non conformi alle volontà del generale. La bocca cercava fiato nel correre giù per i gradini che sembravano non finire mai, seppur fossero solo due rampe di scale dal primo piano al piano terra. Il soldato aveva gli occhi iniettati di sangue, un cappello militare che sembrava incollato alla sua testa e che non accennava a volar via per la corsa, lo sguardo fisso su Yoko come un radar e le mani che volavano a destra e sinistra, nel tentativo di acchiappare un lembo della camicia verde grigiastro della giovane o un ciuffo dei suoi capelli tinti di catrame che in origine erano di uno strano colore misto tra il castano e il cenere.
Yoko tentò di spingere la porta dietro di sé mentre usciva dal palazzo, per rallentare quella belva, ma servì solo a farle perdere preziosi millisecondi. Montò sulla bici e cercò di pedalare il più possibile, ma il soldato era veloce, riusciva a stare più o meno ad un paio di metri dietro di lei. Queste bestie erano addestrate a non fermarsi mai, ad inseguire la preda per giorni in nome della giustizia, per portarla davanti alla coorte del giudizio e magari anche alla ghigliottina pubblica. La treccia di Yoko si era rivolta dietro di lei, come non era mai successo: la velocità le avrebbe fatto volare via il cappello se l’avesse portato, pensò. Pensò anche che quello che stava facendo non sarebbe servito a nulla, perché difficilmente si sarebbe stancata dopo il soldato che era allenato a correre per ore a quella velocità. Le gambe erano già doloranti quando entrò per un vicolo stretto ed impervio nella speranza di rallentare quel demone, ma anche questo servì a poco e si ritorse contro di lei. La bici iniziò a sbandare sul terreno melmoso per via dei tubi di scarico e delle cisterne maleodoranti che rigettavano tutto nei sotterranei e che creavano muffa in superfice. Yoko cercava di mantenere il controllo del manubrio, rallentando, ma faceva solo guadagnare terreno a quegli occhi rossi e neri. Riprese a pedalare con più foga, ma la bici incontrò un’asse di legno probabilmente appartenente ad una cassa, sbandò e Yoko cadde a terra, col soldato ormai a meno di un metro e mezzo da lei.
Non guardò indietro che per un secondo scarso, per rialzarsi e cominciare a correre, inciampando nei propri passi per via delle cosce doloranti. La melma che le aveva sporcato le gambe, le faceva venire i brividi, fredda e maleodorante, si confondeva sul colore nero delle calze e delle scarpe. Le braccia ondeggiavano a destra e sinistra, piegate, coi pugni chiusi, mentre a volte andavano avanti e indietro come dovrebbero.  Erano passati almeno dieci minuti, ma a Yoko parevano un’ora o anche di più, col cuore in gola, senz’aria a sperare che il soldato venisse colpito da qualcosa e morisse, ma doveva metterla a tacere, non si sarebbe mai potuto fermare, anche con un braccio squarciato o con una gamba mozzata da una bomba. Gli occhi di Yoko cambiarono espressione e da spaventati ma decisi diventarono insicuri e quasi privi di conoscenza.
All’orizzonte, poteva vedere la gente che stava tornando a casa dalla marcia, mentre l’esercito era ancora lì. Avrebbe voluto girare, ma pensò solo a continuare a correre per salvarsi la vita. Se avesse girato, sarebbe sicuramente sbandata, si sarebbe slogata una gamba e sarebbe finita sulla ghigliottina per aver interferito con la giustizia.
Ormai non vedeva più, le gambe si muovevano da sole, non badavano a dove stessero andando e cedettero proprio su uno degli scalini che portavano al palazzo del governo, ma chissà perché il soldato non aveva iniziato a prenderla a pugni, calci, a sbatterle la testa contro la scalinata e a gridarle insulti macabri contro. La testa le faceva male per la botta e le girava, non svenne. Dopo pochi secondi, le orecchie di Yoko iniziarono a sentire dei tacchi sulla pietra della scalinata, poi i suoi occhi videro degli stivali davanti a lei sullo scalino superiore. Cercò di alzarsi e correre via, ma inciampò tra le risate degli altri soldati, trovandosi di nuovo a terra con dietro una schiera di militari e davanti il loro generale, che immobile, la fissava da sotto la visiera del cappello. Lo fissava: aveva dei capelli lunghi fin oltre la vita, neri dai riflessi verdastri come la melma, spazzolati all’indietro con pochi lunghi ciuffi che rimanevano davanti. La divisa era nera, con un colletto alto e nero, i bordi ed i bottoni dorati. Il cappello era grande, scuro e dalla visiera bassa e lucida, che copriva gli occhi per chi l’avesse guardato frontalmente, mentre non erano nascosti a Yoko. Per qual poco che riuscisse a vedere, erano due bagliori neri, due abissi accesi, assottigliati ed enormi. La fissavano con la stessa violenza con cui si guarda a qualcosa di imprevisto. I lineamenti erano esili, ma non scarni, eleganti con la morte che viene lenta di notte, la grandezza delle cosce traspariva dai pantaloni non troppo larghi e dai lunghi stivali neri. Aveva una spada legata alla cintura della giacca che terminava più lunga come quelle degli altri soldati e che avrebbe potuto sembrare una gonna. Sebbene sembrasse delicato come un fiore nero, nessuno aveva mai pensato che non potesse essere altro che un uomo.
Yoko aveva la faccia sporca di polvere, un livido sullo zigomo ed un’abrasione sulla tempia sinistra e lo sguardo di qualcuno che si trovava con le spalle al muro con un rullo di cemento che lo stava per schiacciare senza speranze. Respirava normalmente, il battito del cuore si era calmato, forse perché non stava succedendo ancora nulla in quel silenzio tombale.
Dopo lunghi minuti di silenzio e immobilità, il generale si incamminò verso Yoko, con passo ritmato e lento che faceva salire il terrore all’interno della ragazza, che rimaneva immobile a fissarlo. Quando fu di fronte a lei, di accovacciò, mentre Yoko cercò di indietreggiare invano, bloccata dalle gambe dei soldati dietri di lei, che era in ginocchio a terra. Il generale cercò di guardarla negli occhi, ma lei distoglieva lo sguardo ovunque lo cercasse, facendo irritare chi aveva di fronte, che prese a sussurrarle di guardarlo. Era una voce vellutata, bassa ma non troppo, avrebbe potuto appartenere sia ad un uomo che a una donna. Le due teste ondeggiavano: il generale che cercava lo sguardo di Yoko e questa che lo volgeva dalla parte opposta per guardare i piedi degli altri soldati. Questo andò avanti per pochi secondi, al che il generale alzò il tono di voce prima, poi prese tra le sue mani guantate il mento di Yoko e si fece guardare negli occhi.
“Guardami, ti ho detto! Devi guardare negli occhi il tuo generale quando ti parla, scellerata!” Le ringhiò avendo perso la pazienza.
Yoko rimase zitta, stingendo gli occhi e i denti.
“Che ci fai qui fuori dopo il coprifuoco? Huh? E con gli occhi così chiari…” le sussurrò malignamente.
“Stavo tornando a casa.”
“Non dirmi stronzate.” Sentenziò rigidamente alzando il tono di voce. “Riformulo la domanda…Perché cazzo sei qui?” Le sibilò di nuovo con un ghigno perverso.
Yoko non rispose.
“Rispondimi, indisciplinata!” la schiaffeggiò. “Non ti hanno insegnato a rispondere a comando quegli inetti dei tuoi genitori?!” ringhiò.
Yoko non rispose di nuovo, non sapendo che dire, quando intervenne il soldato che l’aveva inseguita che riferì il tutto, ma il generale sembrava fissare più gli occhi di Yoko che prestare attenzione alle parole del suo subordinato.
“La porto alla ghigliottina, mio signore?” chiese i soldato.
“Sta zitto, chi ti ha dato il permesso di parlare?” lo guardò in cagnesco il generale. “Ce la porto io sulla ghigliottina questa stronzetta, non ti disturbare.” Fece per poi alzarsi e buttare con la punta dello stivale della polvere in faccia a Yoko. Camminò indietro per un metro, poi si fermò.
“No…” si girò con un ghigno fissando la ragazza. “Per aver sfidato il capo del regime ci vuole punizione più grande che il sollievo della morte. Dopo la morte non c’è un cazzo, invece… il dolore della tortura rimane impresso fino alla morte.” Il ghigno si espanse, poi sparì.
 
Ci sarà da divertirsi…
 
“Complimenti. Sei la prima donna a far parte dell’esercito di Kintou Shuto. Sei contenta, stronzetta?” La guardò piegandosi in avanti, con gli occhi fissi su di lei e le mani dietro la schiena.
“Mi chiamo Yoko…” sussurrò quella, con un filo di voce e lo sguardo perso.
“Non mi interessa, per me sei e sarai solo ‘soldato’, ‘idiota’, ‘stupido’ e anche di peggio, non voglio iniziare da adesso… Di nuovo, complimenti, ti sei meritata la tortura più orribile del mondo.” Camminò verso il palazzo del governo ridendo divertito, mentre Yoko veniva trascinata di peso su per gli scalini.
 
Ci sarà da divertirsi…
 
“Signor generale, mio signore, siete sicuro di quello che fate?”
“Signor generale! Una donna nell’esercito? E’ un affronto, con tutto il rispetto…”
“Signor generale!”
“Generale”
Il generale camminava per il corridoio del suo palazzo, di legno di ciliegio e pavimenti di mattonelle scure, con tappeti e vessilli rossi dappertutto. Non si curava altezzosamente e indifferente dell’orda di soldati a suo seguito che gli facevano tutte quelle stupide domande, come avrebbe detto lui.
“Non sono impazzito, stolti, so quello che faccio. Vi preoccupate di una donnicciola nell’esercito? E io che credevo di ricevere dei ringraziamenti cordiali da voi coglioni per avervi portato carne fresca su un piatto d’argento.” Ringhiò. “O siete tutti froci o avete voglia di mancarmi di rispetto reagendo così ai miei provvedimenti… mi fate incazzare. Sparite! Fuori di qui!” Continuò a camminare, mentre i suoi soldato tornarono ognuno alla propria camera finché in pochi secondi non rimasero solo lui e Yoko. Lui si fermò per guardarla, tenendo la postura di un militare: petto in fuori, rigido e testa alta. Questa volta gli si poteva vedere bene il viso, dato che si era tolto il cappello.
“Ebbene… hai visto troppo. Devi imparare a pensare solo a te qui dentro, lo sai? Rispondimi e non farmi perdere la pazienza.” Yoko fece cenno di sì, poi quello iniziò a camminare di nuovo, salendo l’imponente scalinata di legno scuro adornata da un tappeto rosso coi bordi dorati.
“Che fai lì, imbecille? Seguimi!” Le disse duramente e Yoko scattò camminando a passi veloci verso di lui, ma tenne una certa distanza e continuò a guardare per terra.
“Numero uno, se non mi guardi in faccia di riempio la testa di piombo, ho una pistola e non ho paura di usarla, specialmente su una femmina. Secondo, fai bene a starmi lontana, ma non credere di poter fare di testa tua quando vuoi, capito? Se ti chiedessi di venire qui e pulirmi le scarpe coi capelli devi farlo, perché io sono il tuo generale. Intesi?”
Yoko annuì e guardò per terra, ricevendo uno schiaffo.
“Allora sei dura di comprendorio. Andiamo.” Ringhiò.
Salirono le grandi scale sontuose, entrarono in un altro enorme salone, che dava su numerose porte. Il generale ne aprì una e Yoko scoprì che dava su un lungo e bui corridoio, rimanendo atterrita.
“Che c’è? Hai paura di un corridoio?” Sussurrò quasi dolcemente per schernirla. “Hai paura che al mattino quando dovrai attraversarlo qualcuno ti divori o che di notte io possa starti alle calcagna ringhiando e ridendo come un pazzo? Hai paura che possa essere la tua ombra, che io possa controllare ogni tuo respiro, pensiero o movimento? Fai bene, perché io posso fare quello che voglio di te, posso distruggerti, posso salvarti. Sei diventata il mio giochino per avermi sfidato non guardandomi negli occhi e fidati, non sei stata intelligente, stronzetta. La tua stanza è la settima sulla sinistra. Dentro ci sono due divise ed una veste da notte. I tuoi vestiti li prenderò io. Chissà… forse nella notte?” Continuava a sussurrarle tutto quello all’orecchio tenendole le mani bloccate dietro la schiena, mentre Yoko abbassava la testa per evitare il respiro del generale sul collo mentre ridacchiava divertito. “Adesso sparisci.”
Yoko indugiò ad avanzare, ma il generale le fece mettere paura urlando all’improvviso e lei cacciò un piccolo grido, per poi muoversi con quelle risate perverse dietro di lei. Iniziò a camminare sempre più velocemente al sentire i passi del generale dietro di lei che la seguivano, che correvano, che la stavano cacciando. Trovò la porta ed entrò chiudendola dietro di lei.
“Io ti osservo, soldato! Ti starò addosso come la spada del soldato sul collo della tua stupida madre!”
Detto ciò si dileguò e Yoko scivolò con la schiena per terra, sedendosi con le ginocchia al petto. Si abbracciò le gambe e delle lacrime di terrore solcarono le sue guance sporche di polvere.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Bloody_Schutzengel