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Autore: Alida Dreamer    13/04/2015    0 recensioni
Perché noi donne siamo così, ci riempiamo la testa di parole inutili come “nonostante tutto”, “per sempre”, “anche se”.
Che poi “nonostante tutto” e “anche se” un’emerita cippa.
Il fatto è che dal Paleolitico ci ripropongono la storia del sesso debole.
E noi neghiamo ovviamente – la chiave della vita è negare, anche davanti all'evidenza- ma non riusciamo mai a farlo bene. Mai. Perché? Perché ci sarà sempre una sola piccolissima ma importantissima parte del nostro cervello che continuerà in maniera del tutto- o quasi- indipendente dal nostro volere a macinare le parole di qualcuno che in noi il segno l’ha lasciato.
E in me l’aveva lasciato di brutto, marchiato a fuoco. E come in ogni cliché che si rispetti, ci ero rimasta con la pelle e con il cuore, secca, arida come una pianta in mezzo al deserto.
Gli avevo regalato l’anima. E mi era stata tornata indietro, tutta stropicciata, puzzolente di naftalina, pronta per prendere fuoco.
Sì, faceva male. Scommetto più di quanto ne facesse a lui.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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#I
È primavera: gli uccelli cinguettano, il sole splende, le giornate si allungano… E quella maledettissima sveglia continua, imperterrita, a suonare.
Questo è l’anno di Emma Marrone, ”Maledetto quel giorno”.
E maledetto per davvero. Ad ogni nuovo anno scolastico mi ostino ad impostare una suoneria diversa, impegnandomi per trovarne una sufficientemente insopportabile e, a tal proposito, ringrazio mentalmente Dio per essere arrivata sana di testa all’ultimo anno di liceo.
 Per rendere l’idea, insopportabile a tal punto da far volare il mio cellulare fuori dal letto e da far gridare mia madre – dalla parte opposta della casa- cose alquanto improponibili per una diciottenne qualunque, nella fascia oraria che va dalle sette di mattina alle nove. Chiedo vénia.
-Aurora, chiudi quella cazzo di sveglia e alzati! Se perdi il bus stamattina te la fai a piedi!
Se c’è una cosa certa è che la mia mammina incarna perfettamente e dico perfettamente, lo stereotipo della mamma rompiballe. Che poi, non si direbbe che un metro e cinquanta di cristiana, possa gridare così tanto. Mi chiedo ancora, com’è possibile che i miei vicini dopo tutti ‘sti anni non ci abbiano denunciato per disturbo alla quiete pubblica.
Vi prego nascondetemi, c’ho sonno.
-MI ALZO!
Chiedo asilo politico.
Io e mia mamma litighiamo un giorno sì e l’altro pure. Il fatto è che siamo ideologicamente diverse ma caratterialmente simili. Forse colpa della frattura generazionale.
In poche parole, siamo due bisbetiche pronte a ringhiarsi -acca ventiquattro- in faccia. E nonostante tutto, sappiamo quanto il nostro mondo giri intorno all’altra. Un mondo caotico e rumoroso, fatto di urla e incomprensioni, ma anche tanto amore. Non credete alla cazzata del mulino bianco. Le famiglie d’oggi sono famiglie fieramente e rigorosamente allargate, casiniste, moderne e inequivocabilmente anticonformiste.
E se ve lo dico io, che di anticonformista porto la bandiera.
Mi faccio forza, impiegandoci più del solito, cercando di uscire dal botolo di lenzuola. Tasto tutto il letto per recuperare il cellulare e, ancora in coma, controllo le news su Instagram e Facebook. Una malattia, una malattia mediatica quella dei social, da cui dipendo come un’eroinomane in astinenza. Sarebbe ipocrita da parte mia dire che ne potrei fare a meno, ma la squallida verità è che se la mattina non ho in mano il mio cellulare, sclero. Che poi, concretamente parlando, stando sulle balle a circa il novanta percento della gente che conosco, mi risulta difficile trovare messaggi o foto che non siano quelle di Carola.
Mi alzo, e stavolta lo faccio per davvero. Sembro Lazzaro mentre varca la soglia della caverna, con in sottofondo le grida di mia madre – modalità normal- che dà da mangiare a Rocky.
Dopo tre quarti d’ora circa passati a contemplare le mie occhiaie allo specchio, mi decido a darmi una mossa, ripetendomi la stessa manfrina che da sei mesi a questa parte sembra funzionare.
“Fatti forza, stiamo ad Aprile, mancano solo tre mesi e ti diplomerai. Ti sveglierai più tardi, sarai una matricola e non dovrai più somatizzare i disagi che quelle  facce da pizza delle tue compagne ti impongono da cinque anni a questa parte. Ce la farai, prenderai in mano la tua vita.”
Sì, è vero, è l’anno della maturità. Quello su cui certi- da circa un ventennio- ci hanno girato dei film con la stessa colonna sonora come sottofondo. Che poi vorrei seriamente- con tutto il mio corazon- chiedere a Venditti che c’azzeccano gli esami con le notti di polizia? A meno che non conoscesse un paio di maturandi appena usciti dal riformatorio, la vedo difficile che uno la notte prima dell’esame si ritrovi in un posto diverso dal tavolo della cucina, con i libri sparpagliati pure sul pavimento, e un paio di ematomi causati dallo sbattersi la testa contro il muro.
No vabbè, la faccio tragica. Io sarò la mosca bianca dei maturandi, ho tutto sotto controllo. A parte l’ansia, come sempre. Perché io sono un’adorabile ragazza ansia e sapone.
Mezz’ora dopo e sessantasette avvisi di mia madre più tardi, sono letteralmente spiaccicata sul mio banco, con Carola che mi fissa mentre continua a ingurgitare un cornetto con la crema. Ma dove li mette tutti ‘sti grassi? Alta e bella, tutta sorriso e occhi vispi, la mia migliore amica. Cinque anni di torture autoimposte al mio fianco, poverina lei che mi deve sopportare. Non sto dicendo che sono insopportabile, sono solo diversamente fuori di testa. Per lei.
Carola è l’amica di una vita, quella con cui dividevo le caramelle e le carte di Yu-gi-oh! alle elementari. Tecnicamente ci compensiamo a vicenda: terribilmente calma ed estremamente simpatica lei, ed estremamente esagitata e particolare io.
Ok ho detto particolare per non dire insopportabile. È che nella maggior parte delle situazioni il cinismo e la razionalità con cui affronto cose diverse che non siano i libri, lasciano il posto alla spontaneità. Ecco, meglio chiamarla spontaneità. Almeno per oggi evito di autoinsultarmi.
-L’ora della De Santi me la faccio dormendo ad occhi aperti, mi sto per trasformare in un antistaminico parlante. Odio la primavera, è una settimana che sono un incrocio tra un lama e mio zio Ninì, te lo ricordi? Quello della pattina..
- Ah, sì, quello che avete recuperato al check-in dell’aereoporto mentre tentava di scappare da nonna Santina!
Ridiamo di gusto, come sempre. E menomale, menomale che c’è lei. Unite nella buona e nella cattiva sorte affronteremo anche quest’anno, e ne usciremo vincitrici. Alla faccia di queste quattro serpi.
La verità è che tutte le storie che girano intorno ai licei umanistici, nella maggior parte delle ipotesi, sono molto credibili e… concrete. Ecco, la mia è una classe di diciassette ragazze che un giorno sì- e pure l’altro- sono in piena crisi pre-mestruale. La convivenza non è semplice, vige la legge del più forte. O della più furba. O nel nostro caso, di quella che riesce a strillare di più. E oggettivamente parlando, è seriamente difficile che qualcuno mi batta. Devo essere sincera, l’astio e l’acidità di almeno una decina di loro sono stata proprio io a incitarli… Ma effettivamente, se c’è una cosa che odio è l’ignoranza. L’ignoranza nel senso lato del termine. Non conoscere, non voler conoscere e imputare giudizi a destra e a manca. E, considerato che sembra, di questi tempi, piuttosto normale che una diciottenne standard abbia interessi molto diversi dai miei e non spinga il proprio naso oltre alle apparenze, allora bene. Mi consola il fatto che presto io e Carola ne verremo fuori.
Alla fine, se c’è una cosa che ci accomuna è proprio questa: l’essenza del progetto, della curiosità. Ci piace studiare cose diverse, ma ci piace anche pensare che un domani, grazie ai nostri interessi, avremo un futuro solido. Da donne emancipate e in carriera.
Quindi, non siamo come loro. Semplicemente perché abbiamo fame di cose vere, e qualcuno, sin da bambine, ci ha fatto capire che la frivolezza non è la chiave del mondo.
La De Santi arriva con dieci minuti di ritardo. Questo istigherebbe una persona normale al suicidio visto e considerato che dieci minuti di ritardo, nel suo vocabolario, significano venti minuti di recupero nelle ore altrui.  Ma noi ci abbiamo fatto quasi l’abitudine.
Dio dammi la forza.
La De Santi incarna il perfetto ideale hitleriano di docente modello. Non si scherza. Non si ride, se non a Natale o Pasqua. Non si dorme. Non si vive. Si studia.
Cinque anni con lei ci hanno insegnato che le normali tecniche adottate dallo studente medio e perfezionate con l’esperienza, per saltare-bigiare un’ora delle sue lezioni, sono impraticabili. L’unico modo per potersi salvare è affrontarla. E questo, soprattutto i primi tempi, non portò a nulla di buono o congeniale al fine di salvare l’anno senza debiti formativi. Nulla di buono come file s
u file di genitori davanti alla sua cattedra ai colloqui, sfilze su sfilze di tre politici, e mega su mega cazziatoni post e pre compito.
E quest’anno l’aggiunta della cattedra di storia e lettere, sembra un boicottaggio agli esami di Stato. A questo proposito potrei anche non lamentarmi, nonostante sia stato difficile, ho raggiunto con sacrificio il mio fatidico nove in latino. Beh, inizialmente pensava utilizzassi qualcosa per fregarla, per fargliela sotto il naso, quindi mi ero abituata alle sue reazioni. Durante ogni compito finiva letteralmente per sdraiarsi sul mio banco, alla ricerca di pizzini, traduzioni scritte sulle mani o, vista la foga con cui si agitava, oggetti contundenti nascosti nel mio eastpack. Ma alla fine, dopo cinque anni sembra essersi rassegnata. Ma il motto è : “Con me Benedetti, non basta mai”.
Sissìgnore.
-Scusate il ritardo e chiudete quella porta!  Entra una filippina! Allora, aprite il Tria, pagina ottocentonovantasette: Ovidio. Oggi  ci fermiamo alla vita e iniziamo il classico del libro primo, Caos e Primigenio.
-Prof, ma giusto ieri abbiamo fatto Livio e Vitruvio…
Riggio. È stato bello averti come compagna di fila. Tutto sommato non davi problemi…
-E quindi Riggio, di grazia, dove dovrebbe stare il problema? Vi avverto, tutti e nessuno escluso, dalla settimana prossima cominciamo le interrogazioni pre- pagellino. Inutile girarci attorno, come la prof Negroni vi avrà già detto, i giochi sono fatti. Manca un mese pieno allo scrutinio finale e non pensate che il sessanta vi venga regalato. Se io ritengo che qualcuno di voi non sia sufficientemente preparato ad affrontare la maturità, non mi farò scrupolo alcuno a bocciare. Ricordate che le materie che quest’anno mi sono state affidate, sono tre. Palladini, leggi.
Un solo sguardo con Carola basta a capire che stiamo sotto un tram, o sotto un treno, per intenderci. Abbiamo appena finito la sessione estenuante di simulazione di esami, e per noi che contiamo di uscire con un voto che vada dal novanta in su, non è e non sarà facile. Il fiato sul collo. Ecco cosa sento. Passerò l’ennesimo fine settimana tra i libri di latino e quelli di pedagogia. Un minuto di silenzio per la mia vita sociale.
Quando la De Santi esce, dopo le sue tre ore ininterrotte di ciarla intervallata da minacce di asfaltamento della classe, ho bisogno di uno psicoterapeuta.
-E io che pensavo di uscire, almeno questo sabato… E invece alternerò l’aerosol a Ovidio e agli integrali superficiali!
- A chi lo dici, mi avevano detto ci fosse la Luna questo sabato, portavano quella dj… Te la ricordi Carola? Quella dei diciotto di Adriana!
Mi guarda con una faccia incommentabile.
-C’è la luna questo sabato?
La luna è un locale di noialtri, dove ci va gente figa- anzi, faiga- ma non troppo. Lì dove, in poche parole, abbiamo passato i più bei sabati della nostra vita dai diciassette ad oggi, costringendo, per forza di cose, i nostri a mettersi una tuta sul pigiama per venirci a prendere a notte fonda. In realtà non andiamo sempre in discoteca, giusto un sabato sì e uno no, anche perché altrimenti il padre di Carola e mia madre si coalizzerebbero per ucciderci. Dev’essere mostruosamente emozionante svegliarsi alle tre e mezzo per andare a prendere tua figlia, di fronte ad un locale pieno di adolescenti, con l’emicrania e la voglia di vivere di uno scolapasta. Ma sorvoliamo.
 -Sì stamattina mi hanno invitato all’evento su facebook. Ma lo guardiamo col cannocchiale, lunedì ci pelano come patate…
-Ma tu lo sai che mi aveva chiesto Matteo se ci andavo?
Ah? Cosa? Come? Ma soprattutto, perché?
Sono le tre le verità assolute, indiscutibili, gli assunti certi e verificabili su cui poggia il mio mondo: la terra è sferica, la matematica è la disciplina su cui si fonda l’universo, e a Carola non interessano i ragazzi. No, a Carola non interessano, semplicemente perché si dice disinteressata a chiunque, crede i suoi obiettivi siano altri. E nonostante io, in questi tanti anni di amicizia, abbia provato a farle cambiare idea in quanto amica sgamata e decisamente più incline alle cotte brevi ma intense, lei è rimasta sulle sue idee. E credetemi, io ho una capacità persuasiva dirompente. Perfino nel suo diario, preciso e lindo, ha disegnato un cuore con dentro la frase: “non mi piacerà mai nessuno”. Un caso disperato.
Non che io non lo sia, alla fine. Anzi, forse lo sono più di lei. Crescendo ho maturato l’idea di non potermi e non volermi innamorare. Di certo mi impelago in situazioni imbarazzanti, prendo sbandate stupide per tipi altrettanto stupidi e che dopo un tot di tempo non riesco nemmeno a spiegarmi. Ma niente di importante, o comunque, niente che mi abbia lasciato il segno. Emozioni tiepide, che generalmente mi inducono a capire che le mie priorità per ora siano altre. Non lo desidero nemmeno l’amore, ogni tanto frequento qualcuno, e mi fermo quel tanto che basta dal perderci tempo dietro.
-Ma Matteo chi?
Sorride. No, tenta, malamente, di nascondere il risolino. Buddha, Dio, Allah, i Re Magi, la principessa Sissi e Martin Luther King, siamo rovinati.
-Ma non te l’ho detto? Un cretino è. Veniva all’asilo con me, mi faceva sempre le smorfie. L’ho visto in chiesa quando li aiutavo a vendere i rosari per Pasqua e lui mi ha aggiunto su facebook.. E mi scrive ogni sera.
- Hai capito tu? Ma non è che questa è la volta giusta che ci rimani sotto anche tu?
Mi guarda con gli occhi di fuori. Sembra La De Santi durante i consigli di classe estivi.
-Ma che dici! Che uno così che me lo voglio? Io lo dicevo tanto per dire, figurati se mi interessa… Io sto bene con me stessa.
Se e io e Palladini la domenica mattina andiamo all’oratorio insieme. Vabbè.
Taccio e solo per il momento chiudo la conversazione, con l’intento di riaprirla più tardi tentando di capirne di più.
Dopo sei ore di tormento, usciamo pestandoci i piedi, ed è come vedere l’acqua nel deserto. Carola ha minimizzato il discorso Matteo ma la situazione non mi quadra e mi impongo mentalmente di investigare.
A fine serata, dopo aver lasciato la mia testa a fumare dinnanzi allo stesso paragrafo di pedagogia – maledetta pedagogia- per tre ore e mezzo e solo dopo aver visto ad occhi chiusi i miei neuroni far le valigie e partire per le Maldive, chiudo i libri frustrata e apro il frigo. Rocky mi guarda. Otto chili di ciccia il mio gatto nero tutto occhietti. La mattina si piazza davanti alla porta del bagno fino a quando non sente il getto dello sciacquone, e se vado in bagno con la porta aperta mi mette inquietudine. Avete presente quando si dice che agli animali manca la parola? Beh, al mio manca solo di fare pipi sul water, per il resto è uno di famiglia.
Richiudo il frigo pensando di farmi un panino, e mentre lo faccio, la mia mente si illumina. Ecco, quando alle donne viene in mente qualcosa- annotiamolo- non è mai qualcosa di positivo. Anzi.
Afferro il telefono e aspetto mi risponda.
-Oh Aurora, sono in coma indotto da studio coerc-
-Ho un’idea!
-Spara, intanto preparo l’aerosol…
Storco il naso, che schifo. Le dico le mie genialate e lei si fa l’aerosol. No Maria, io esco.
-Allora, prima cosa: che schifo. Seconda cosa, andiamo alla luna… Abbiamo bisogno di staccare, e uniamo l’utile al dilettevole… c’è quell Matt-
-Ti uccido! Non è come pensi, io te lo dicevo per dire…
Rido, tentando insistentemente di convincerla,
-Vabbè è fatta, ma solo perché se studio anche sabato sera giuro che mi do al cocktail farmaceutico.
 Effettivamente povera Carola, tanto dolce quanto perennemente malaticcia. Potrebbe darsi seriamente alle scienze farmaceutiche, laurea ad honorem per esperienza personale in campo.
- Tieni duro Tyson, ci divertiremo. Piuttosto comincia a controllare l’evento, così vediamo chi ci va. Ci divertiremo fratella!
Certo, la De Santi si sazierà delle nostre carni, ma noi ci divertiremo.
 

 

   
 
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