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Autore: CainxAbel    14/04/2015    0 recensioni
"Certo che il Foam e il Legno stanno bene per costruire le armi".
"Li shippiamo?"
Fu così che nacque questa storia... i materiali in una veste umana ehehhehehe
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Sento che ogni attimo del suo amore per me mi brucia il corpo. Presto diventerò cenere.
 
Foam si rigirò nel letto, a disagio. Gli doleva la spalla. Quello non era il letto della sua stanza: era scomodo e le coperte erano gelide come se avesse lasciato del ghiaccio. In realtà era uno squallido e triste giaciglio. Quando si stropicciò gli occhi e li aprì, realizzò la sua situazione. Le sbarre limitavano la sua libertà e il suo spazio era racchiuso da una cella. E la sua stanza, con i suoi libri e il suo amato materiale per il disegno? Il cuore perse dei battiti. Chiamò sommessamente i suoi genitori, senza ottenere risposta.
“C’è nessuno?”
Alzò la voce, ma ancora una volta non ottenne alcuna risposta.
Dove diavolo sono?
Presto non fu solo la spalla a dolergli, ma anche il petto. Era prigioniero, in carcere, senza che avesse mai ucciso o rubato in vita sua. Non gli risultava nemmeno di aver compiuto un qualsiasi reato punibile con la reclusione. Si guardò le mani: tremavano e in parte erano coperte dalla tua tuta arancione da carcerato, che gli andava fin troppo larga. Nel camminare si rese conto di trascinare sul pavimento un lembo dei pantaloni. Girò intorno, come alla ricerca di risposte, ma finì per guardare afflitto la sua cella. Com’era finito lì? Il panico quasi gli impedì di respirare: doveva trovare qualcosa da fare o avrebbe iniziato a dare di matto. Persino ammirare i granelli di polvere poteva essere un’idea. Iniziò a starnutire. A quel rumore seguì quello sinistro di passi. Allora c’era davvero qualcuno! Al pensiero temette che il cuore potesse fermarsi e che nella sua mente potesse regnare solo il caos. Quel suono poteva farlo impazzire, come ogni movimento sospetto.
“Ecco qui il condannato numero uno”.
La voce era bassa, calda , profonda, il tono provocatorio. L’avrebbe riconosciuto ovunque.
“Legno, sei tu!” esclamò con entusiasmo Foam “ Ti prego, liberami. Scappiamo! Non ho davvero fatto nulla”.
Il suo entusiasmo si spense quando i suoi occhi si posarono su Legno. Indossava una divisa da poliziotto. La camicia nera gli andava un po’ aderente, soprattutto sulle spalle. Per un istante Foam rimase imbambolato, a constatare come il nero donasse a Legno e non solo quello. Si trattava di Legno in divisa, qualcosa che non poteva esprimere a parole. Quella strana sensazione crebbe di intensità quando Legno si tolse il berretto con uno stemma dorato e gli sorrise.
“Ne sei proprio sicuro?”
Il suo sorriso era tornato quello beffardo di sempre. Foam avvampò in volto e Legno si avvicinò sempre più, fin quando non ci furono solo le sbarre a separarli.
“Mi dispiace solo che rischierai di morire di noia, condannato numero uno. Per questo ti ho portato qualcosa”.
Solo in quel momento Foam si rese conto che Legno aveva portato qualcosa con sé. I suoi occhi si illuminarono alla vista di alcuni fogli e colori a pastello. Non era nulla rispetto a ciò che aveva a casa, ma meglio di niente. C’era anche un pennarello nero.
“Perché non mi chiami Foam?”
Il sollievo fu soffocato da quelle parole simili a un lamento. Legno parve impassibile, le iridi spietatamente rosse e accese.
“Hai fatto qualcosa di sbagliato, anzi direi terribile”.
Gli passò il materiale per il disegno. Gli occhi di Foam si fecero grandi per la paura, le labbra erano tutto un fremito. Avrebbe voluto protestare, ma anche il resto del corpo iniziò a tremare. Quella cella era gelida e quel freddo misto al gelo della paura si insinuò in lui.
“Ti prego, senpai, dimmi cosa ho fatto. Ti prometto che saprò rimediare”.
“Troppo tardi” sentenziò Legno “ Ormai è ora di meditare sui tuoi errori. Spero solo che sopporterai meglio la tua pena da scontare. Mi dispiace un po’, ma è colpa tua”.
Gli accarezzò la testa attraverso le sbarre e Foam, nonostante tutto, si sentì inspiegabilmente rassicurato. Legno se ne andò, lasciandolo solo. Foam sfruttò la solitudine per realizzare un ritratto di Legno, basato su ciò che aveva visto, ma prima col pennarello nero scarabocchiò qualcosa di indefinito sulla sua tuta da carcerato. Era profondamente turbato e si sentiva ridicolo nel voler realizzare un altro ritratto di Legno, tuttavia, confessò a se stesso, doveva pur trovare un modo per trascorrere il tempo. Quanto ne passò? Legno gli portava da bere, da mangiare e altri colori. Gli parlava e lo fissava spesso. Alla domanda di Foam “ Quando uscirò?”rispondeva in modo vago o con un sorriso enigmatico. Accadeva lo stesso quando Foam gli chiedeva quale reato l’avesse condotto in prigione. Quanto tempo trascorse? Lo poteva contare a ritratti o con i pasti? Tra quanti ritratti avrebbe riabbracciato i suoi genitori, i suoi amici e la sua vita di sempre?
“Aspetta, Legno!”
Il diretto interessato si voltò di scatto. Foam avvertì chiaramente che il battito cardiaco stava diventando troppo rapido, a momenti persino doloroso. Legno lo stava fissando con un’intensità disarmante, che pareva trafiggergli il petto.
“Cosa vuoi adesso? Mi hai detto di avermi arrestato e non ti basta questo, insomma la gloria per aver sbattuto in prigione un simile criminale?”
Foam aveva pronunciato quelle parole tutto d’un fiato, paonazzo in volto. I suoi occhi e la sua espressione erano come un unico grido “ Liberatemi!” ma lo sguardo di Legno continuava a soggiogarlo.
“Vuoi saperlo?” il suo sorriso mise in particolare mostra i canini “ Tra i numerosi crimini che hai commesso il peggiore è aver attirato la mia attenzione”.
Foam udì il rumore dei passi sempre più distinto: lui era sempre più vicino.
“Ma cos…”
Le parole di Foam furono seguite da un suo gridolino di sorpresa. Legno gli si avvicinò, al punto che i loro visi furono separati solo dalle sbarre. Con la mano destra, gli afferrò un lembo della manica della tuta.
“Per essere degli scarabocchi sono carini” commentò con un altro dei suoi sorrisetti “ Mi piacciono, come mi piace vederti”.
Foam, paonazzo in volto, balbettò qualcosa di indistinto, ma nonostante l’imbarazzo tentò di divincolarsi.
“Tu sei pazzo! Non ho fatto nulla e voglio solo tornare a casa”.
Legno allentò la presa sul suo braccio fino a lasciarlo. Foam riprese fiato. Per un attimo si illuse persino sul fatto che Legno l’avrebbe abbandonato alla solitudine, ma quelle parole e quella supplica avevano fatto scattare qualcosa. Proprio nel mezzo dell’illusione, Legno si avvicinò a lui. Foam continuò a retrocedere, mentre Legno tirava fuori un mazzo di chiavi dalla tasca dei suoi pantaloni. Stava per liberarlo? Per qualche. attimo il cuore di Foam si riempi di speranza, ma quando Legno richiuse la porta della cella, sprofondò nell’angoscia. Non smise di retrocedere, fin quando non si trovò con la schiena poggiata contro il muro. Era freddo e le gambe gli tremarono in modo incontrollabile. Sarebbe stramazzato a terra, sotto lo sguardo divertito di Legno. Si sentiva spaventato, eppure così attratto da quella figura così imponente, dai suoi occhi profondi come un baratro e dalle sue labbra che lo volevano catturare in un universo di tentazioni. Il suo era lo sguardo del controllo e del dominio.
“Questa è corruzione di pubblico ufficiale, lo sai?”
Il sussurro di Legno gli solleticò l’orecchio. Foam era ormai consapevole di non poter scappare ed era come se non avesse nemmeno le forze per allontanarlo. Avvampò in volto e per poco non gli sfuggì un grido. Prima che potesse urlare, Legno gli premette una mano sulla bocca. Foam tentò di divincolarsi, ma Legno parve lasciarlo presto.
“Non ho ucciso nessuno, non ho fatto nulla di male” farfugliò Foam cercando di riprendere fiato “ E non ho denaro..”
Guardò Legno in una specie di disperata supplica, ma non giunse alcuna risposta. Rimase sigillata sulle labbra di Legno, quelle stesse labbra che sfiorarono le sue con un bacio.
“Che ti salta in mente? Siamo due ragazzi e tu avrai una fidanzata che ti starà aspettando!”
Foam sbottò quelle parole sempre più imbarazzato. Solo la schiena era gelida, perché poggiata contro una fredda parete della cella.
“Problemi?  Non ne vedo” Legno si concesse una specie di risata “ Sai perché ? È te che voglio. Non avrai denaro, è vero, ma un corpo che corrompe sicuramente”.
Foam rimase ammutolito dalle parole di Legno. Rimase a guardarlo come stregato. Avrebbe voluto togliergli il berretto per sentire i suoi capelli tra le dita. Si sorprese a pensare una cosa del genere, ma presto Legno soffocò qualsiasi pensiero e qualsiasi accozzaglia di parole insensate con un altro bacio, accarezzandogli le labbra con le sue. Foam temette che l’unico rumore udibile fosse quello del suo battito cardiaco. Era spaventato, eppure i loro respiri si stavano fondendo, per ogni attimo gli pareva che il suo corpo bruciasse. Voleva opporsi, ma era come se non potesse farlo. La lingua di Legno si insinuò tra le sue labbra e tra i suoi fiochi sensi di colpa, le sue mani si aggrapparono alle spalle del ragazzo, così larghe e forti. Quando si distaccarono, gli parve che il tempo si fosse fermato. Legno sussurrò il suo nome con voce lievemente roca. Foam si sentì avvampare: era come se lui lo stesse riplasmando a suo piacimento. Le sue dita iniziarono a giocherellare con la zip della tuta.
“A-aspetta” balbettò Foam distogliendo lo sguardo da lui.
“Prima volta?”
Il sussurro sensuale di Legno nel suo orecchio lo fece avvampare, ma allo stesso tempo provocò dei brividi lungo la spina dorsale, un misto di eccitazione e paura. Si trovò ad annuire appena, mordendosi le labbra. Il solo percepire il respiro di Legno sul collo lo faceva impazzire.
“Per me non proprio” la voce di Legno era bassa e sensuale “ ma con te sarà fantastico, me lo sento. Sono molto affamato, Foam.. di te”.
Il diretto interessato balbettò qualcosa di sconnesso, mentre le labbra calde di Legno si posarono sul suo collo. Chiuse gli occhi , mentre assieme all’imbarazzo cresceva il piacere. Legno gli baciò più volte il collo e a quel punto fu consapevole che stava cedendo a lui, anche se a livello razionale non voleva. Il respiro di Foam si fece più irregolare, mentre la lingua di Legno guizzava sulla sua pelle, tracciando tanti piccoli cerchi. Stava per scivolare contro la parete. Quando Legno gli succhiò con forza il collo, ansimò pesantemente, gemendo il suo nome. In modo indecente, aggiunse mentalmente, senza saper dire se quel bruciore fosse doloroso o piacevole. I denti di Legno affondavano nella sua pelle, come quelli di un predatore, poi la sua lingua placava il dolore, come se dovesse leccargli via delle ferite.
Presto Legno abbassò la zip della sua tuta, scoprendogli il petto. Era esposto al suo tocco e ai suoi baci, prima delicati, poi sempre più affamati, che partivano dalla base del’orecchio, per scendere lungo la linea del collo.
“Ti prego” farfugliò Foam trattenendosi a stento dall’ansimare “ Cerca di essere gentile. Lo sei sempre stato con me”.
Il sorriso di Legno era rassicurante e solo in un secondo momento colse una sfumatura provocante e tentatrice. Le sue labbra scesero più in basso fino ad arrivare ai capezzoli. Li sfiorò appena, ma fu abbastanza per udire i gemiti sommessi di Foam che si aggrappò alla sua schiena. Legno lo sentì fremere in un misto di imbarazzo e desiderio, mentre la sua lingua guizzava su un capezzolo, lasciando una scia di saliva. Foam inclinò la testa, in balia di ondate di piacere. Legno si distaccò per un istante da lui, ma solo per sussurrargli qualcosa all’orecchio con quella voce così profonda e sensuale. In un primo momento non capì, poi distinse chiaramente quelle parole.
“Ti sta piacendo, Foam?”
Le sue mani erano ancora incatenate alla schiena muscolosa di Legno. Le sue dita erano così serrate alla sua camicia che le sentì doloranti.
“ È che hai una lingua.. diabolica”.
Farfugliò quelle parole, ma era come se gli mancasse il fiato. Legno inarcò un sopracciglio, divertito.
“La considererò un’adorabile supplica e io adoro le suppliche”.
Eccolo che ricomincia, pensò Foam. In realtà i suoi pensieri si disgregarono quando quella lingua diabolica tentò nuovamente la sua pelle candida. Iniziò dal collo, lasciando una lunga scia calda di saliva e continuò con un morso che strappò un gridolino a Foam.
“Sei affamato” mormorò con voce tremante.
“Io sono affamato e tu sei delizioso. Colpa tua”.
Foam sentì la pelle ardere. La lingua diabolica si era di nuovo soffermata sui suoi capezzoli , in una specie di tormento piacevole. Doveva aggrapparsi a lui per non cadere, fino ad arpionargli la schiena in un ansimare  crescente. Nel frattempo Legno iniziò a far scivolare la tuta lasciando scoperte le spalle. Foam si sentì completamente vulnerabile, consapevole di non poter scappare da quello sguardo. Senza alcun preavviso Legno lo sollevò come  un fuscello, facendoli uscire una specie di grido di sorpresa, per poi posarlo sul pavimento. Per quanto potesse essere freddo, il suo corpo era accaldato, il suo battito cardiaco era impazzito, le sue labbra semiaperte, come assetate di altri baci. Legno iniziò a sbottonarsi la camicia con gesti lenti ma ben studiati. Foam non riusciva a staccargli gli occhi di dosso alla vista dei suoi pettorali definiti e degli addominali scolpiti. La camicia cadde sul pavimento, Legno gli si avvicinò e a quel punto i loro respiri si fusero in un bacio selvaggio e famelico che tolse il respiro a entrambi. I loro corpi si scontrarono: Foam si trovò a mugolare mentre le dita di Legno scorrevano su di lui. Si trovò a sollevare il bacino , senza contare che quelle mani e quella lingua lo stavano mandando in estasi. Presto Legno lo liberò anche del resto della tuta e Foam si coprì il volto con le mani, colmo di vergogna, mentre quella che credeva l’ultima briciola della sua dignità scivolava via. Legno voleva essere in qualche modo rassicurante con quel sorriso. Sarebbe affogato nei suoi occhi.
“Non aver paura” gli sussurrò Legno.
Le sue parole furono seguite da un piccolo morso all’orecchio che fece sfuggire un gemito a Foam. Presto, ne fu consapevole, avrebbe iniziato a gemere senza ritegno. Il suo corpo era tutto un tremito, come se delle scariche elettriche gli colpissero il basso ventre. Legno si leccò le labbra. Era come un predatore davanti alla sua invitante preda, servita su un piatto d’argento. Gli parve di impazzire alla vista di quello sguardo dolce e innocente, le labbra morbide come di velluto, il corpo longilineo..
Le sue dita si soffermarono sull’addome di Foam che lo guardò con gli occhi che parvero farsi grandi.
“S-senpai” balbettò “ Piano, io..”
Non sapeva nemmeno cosa dire.
“Lo so, ma ricorda che io adoro le suppliche “.
Foam vide Legno togliersi rapidamente anche i pantaloni e avvicinarsi nuovamente a lui.
“E poi” aggiunse “ Se sei tu a supplicarmi è decisamente meglio”.
Dopo aver udito quelle parole, Foam sentì le sue dita armeggiare con l’elastico dei boxer, tracciando con una lentezza sensuale il contorno della sua erezione. Cominciarono a tastare i primi centimetri di pelle bollente. Alzò il bacino verso di lui mugolando il suo nome. Legno godeva della vista del viso di Foam contorto dal piacere. Sarebbe stato fin troppo facile saziare il suo appetito sessuale in poco tempo, invece ancora più difficile e appagante prolungando il piacere, che a tratti pareva scemare, ma solo per riaccendersi con crescente intensità sui loro corpi accaldati. Foam temeva che gli sarebbe mancata la voce , che a furia di gemere e gridare il nome del suo focoso compagno come una radio rotta gli si sarebbero spezzate le corde vocali. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato lui a supplicargli di togliergli i boxer, lui che aveva così tanta paura del sesso, ancora di più a farlo con un ragazzo, con il suo amico! Tenne gli occhi chiusi, mentre con fare esperto Legno muoveva una mano sulla sua erezione e ci soffiò sopra. I movimenti del ragazzo si fecero più rapidi, come l’ansimare di Foam. Ottenebrato dal piacere, era solo sicuro di bramarne di più. Il basta non aveva alcun significato nella sua volontà di raggiungere un intenso orgasmo. Era ormai convinto che stesse arrivando quando Legno allontanò la mano. Si sentì come stordito, turbato e … frustrato.
“Non abbiamo fretta”.
Legno parve affilare le labbra in un sorrisetto che lo trafisse. Foam fu sul punto di protestare: il suo compagno si scostò per un attimo, lasciandolo in quella posizione poco dignitosa, steso sul pavimento, le gambe divaricate, un’espressione da “ fammi ciò che vuoi”.
“Ricorda che dovrò punirti per il tuo crimine”.
In un guizzo di ribellione, un piccolo e miserabile attimo, Foam portò una mano sulla propria asta.
“Non pensarci nemmeno”.
La voce di Legno suonò con prepotenza nella sua testa: gli sembrò di impazzire.
“Ci stiamo divertendo” proseguì con un sorrisetto “ Facciamolo durare e niente scherzetti o scorciatoie. Sai qual è il bello di essere un poliziotto, Foam?”
“Perché me lo stai chiedendo ora?”
“Allora?”
Foam si morse le labbra.
“Sbattere i criminali in cella”.
La risposta venne fuori in una specie di gemito. Le parole si dibattevano nella sua mente, braccate  da quel piacere sospeso, da quel bisogno che esigeva di essere appagato…
“Esatto, questo è uno dei tanti motivi, oltre un accessorio che fa sempre comodo”.
Foam lo guardò prendere qualcosa. Con gli occhi annebbiati a stento si rese conto di ciò che stava accadendo, ma presto avvertì qualcosa di gelido e liscio bloccargli i polsi con uno scatto metallico: manette.
“Ora possiamo giocare”.
Anche Legno si liberò dei boxer che in quel momento sembravano strettissimi. Foam deglutì rumorosamente, mentre Legno gli accarezzava in modo sensuale un fianco, poi si fece pian piano spazio tra le sue gambe. L’autocontrollo e i tentativi di ricordarsi che era una follia: tutto incenerito e annebbiato dal piacere. Avrebbe afferrato la testa di Legno, le sue dita si sarebbero aggrappate ai suoi capelli se non avesse avuto le mani legate.
“Sei pazzo, ma.. mi piace, mi fa sentire vivo” .
Le parole di Foam furono spezzate da gemiti sempre più acuti, mentre Legno sfiorò il suo membro con la lingua. Foam avrebbe dato qualsiasi cosa per coprirsi il volto per la vergogna. I  movimenti di Legno divennero sempre più rapidi, i gemiti di Foam si fecero sempre più forti, il suo respiro più irregolare e affannoso.
“Ti prego”.
Cercava disperatamente aria. Le sue labbra erano semispalancate per quella ricerca e per il piacere. Quelle miserabili parole si infransero negli attimi che seguirono, mentre mugolava, come un cucciolo ferito. Se fosse stato davvero ferito, avrebbe voluto che quel dolore non finisse mai. Stava cessando? Non riusciva a crederci. Stava borbottando qualcosa e stranamente c’era luce. Sempre più confuso Foam si rese conto di trovarsi nel suo letto. Aveva ancora addosso il suo pigiama, mentre qualche secondo prima…
Aveva un forte dolore alla testa ed era tremendamente accaldato. Diventò paonazzo: per quanto si sentisse stordito,ricordava tutto alla perfezione.
Voglio sparire…
Nel tentativo di alzare la testa, incontrò quelle iridi rosse, le stesse che nel sogno l’avevano stregato. La gola gli si fece secca.
“Va’ via!”
Gridò quelle parole rivolto a Legno, ma il ragazzo non era solo. Cart sghignazzò, divertito. Foam era sempre più confuso: abbassò prima le palpebre, poi la testa.
“Che ci fate qui?”
Si raggomitolò nelle coperte, sperando che raffreddassero il suo viso rovente e lo celassero agli occhi di Legno e del cugino.
“Eravamo preoccupati per te, Foam. Ti sei beccato una gran brutta influenza dopo la serata di Halloween, così ho pensato..”
“Abbiamo pensato, cretino” lo rimproverò Legno  senza peli sulla  lingua “ poi sei tu che mi perseguiti!”
Sospirò, poi guardò intensamente Foam.
“Pensavo che sarebbe stato un gesto carino passare da casa tua, chiedere come stai, insomma quelle cose lì”.
“Ma in realtà volevi solo levarti di torno tuo cugino” replicò Cart con un sorrisetto.
“Puoi scommetterci” sbottò Legno senza vergogna.
Foam non voleva udire quei discorsi. Aveva bisogno del silenzio,  non della testa che martellava e pulsava dolorosamente, come qualcos’altro.. avrebbe dovuto pensare a qualunque cosa che non fosse il suo amico dei piani bassi. Seppellì la testa sotto il cuscino per la vergogna.
“Vattene via” farfugliò con voce tremante.
Non si riuscì a capire a chi si fosse rivolto. Un sorriso di scherno sorse sulle labbra di Cart, diretto a Legno.
“Visto, cuginetto? Finge di sopportarti”.
“Andatevene, soprattutto tu, Cart. Smettetela di guardarmi”.
La voce uscì straordinariamente roca dalla gola di Foam. Perché si era cacciato in quella situazione imbarazzante? Perché non riusciva a stare tranquillo, ma soprattutto perché aveva sognato certe cose? Ebbe l’impressione che il cuscino si stesse surriscaldando a contatto col viso. Legno sospirò: credeva di aver fatto un gesto carino e apprezzabile.
“Allora ci vediamo a scuola” mormorò.
Sembrava che non ci fosse emozione nella sua voce, ma Foam lo conosceva abbastanza bene per comprendere che in realtà il suo tono tradiva la delusione.
“Scusatemi” farfugliò contro il cuscino “ ma sto male.”
Le parole furono talmente impastate che né Legno né Cart compresero cosa stesse dicendo.
“Allora ci vedremo presto”.
Nella voce di Cart c’era speranza. Una folle e orribile speranza, aggiunse mentalmente Foam, mentre udiva il rumore della porta della sua stanza che si chiudeva.
 
 
Legno era tutto un fremito di rabbia. Dovette assistere ai detestabili sorrisetti trionfanti di Cart e al suo modo mellifluo di porsi con gli altri per ottenere qualcosa. Non c’era dubbio sul fatto che i genitori di Foam lo trovassero già simpatico. Rimase rigido come un palo, trattenendosi dal digrignare i denti, come una bestia inferocita. In fondo dei due era sempre lui quello che passava per l’antipatico, mentre il cugino, pur non essendo il più popolare del circondario, riscuoteva un certo successo col suo carisma.
L’ascensore gli parve più soffocante che mai. Fu costretto a sopportare i sorrisi di scherno di Cart. Il rancore era vivo negli occhi di Legno, come il dispiacere per non essere riuscito a incontrare Foam da solo come avrebbe voluto. Ma a che cosa serviva? Lui l’aveva solo mandato via, in realtà aveva cacciato sia lui che cart. Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che ad Halloween fosse rimasto qualcosa di incompiuto. Legno avrebbe faticato ad ammetterlo, d’altronde non amava esporsi troppo mostrando le sue emozioni, ma quello che avvertiva era reale, come il fatto di detestare il cugino, che stava snudando i denti in un sorriso crudele. Uscirono dal palazzo e quell’irritazione non si placò, anzi crebbe a dismisura.
“Non guardarmi così” lo provocò Cart “ Non ho fatto nulla di male. Voglio vedere il piccolo Fommy”.
“Non lo chiamare così” disse Legno in una specie di sibilo minaccioso.
Cart fischiettò allegramente, mentre camminava al fianco del cugino. Negli occhi di Legno si accese una luce di irritazione. Non sopportava l’arroganza di Cart. La bava di lumaca era meno viscida di lui. Era un nullafacente, passava per diligente agli occhi troppo ciechi dei suoi genitori. Lui era, invece, da lasciar perdere, un caso perso. E loro l’avevano davvero perso: ormai viveva da solo.
“Non te la prendere, Legno. Ricordi quando eravamo piccoli? Che fine facevano i tuoi dinosauri?”
“Da gran stronzo che eri e che sei ancora adesso, diventavano magicamente tuoi”.
Un sorriso divertito aleggiò sulle labbra di Cart. Era un ghigno, un valido motivo per prenderlo a schiaffi.
“E a Foam cosa succederà? Potrebbe diventare magicamente mio”.
Le labbra di cart si affilarono in una linea sottile. Erano paragonabili a quelle di un serpente. Trascorse qualche secondo, prima che uno schiaffo si stampasse contro una guancia.
“Credi di poter ottenere tutto?”
L’espressione di Cart mutò improvvisamente: i suoi occhi erano sgranati dallo stupore, le labbra semiaperte, come per protestare, ma presto quelle labbra, con quell’insopportabile sorriso, tornarono a deridere Legno.
“Sai che è mia abitudine prendermi ciò che voglio” decretò senza peli sulla lingua, sfiorandosi la guancia colpita dalla mano di Legno.
Se si fosse davvero impegnato, gli avrebbe già spaccato il labbro, eppure faceva già male.
“Vuoi sapere la novità?” replicò Legno, alzando la testa con orgoglio “ Mi opporrò. Non rovinerai la mia felicità”.
Evitò di guardarlo. Se l’avesse fatto, l’avrebbe colpito con maggiore violenza. Quella di Cart era proprio una faccia da schiaffi.
“Coraggioso da parte tua, cuginetto, ma avrai davvero il fegato per farlo?”
“Fanculo” .
Legno cercò di non guardarlo, ma aveva bisogno di un maggior contatto visivo per affrontarlo. Era solo certo di non voler ancora sopportare la presenza del cugino. Non desiderava scappare da lui, ma solo evitare di aggredirlo. La rabbia gli stava bruciando in corpo. Non solo lui, ma altre persone avevano tentato di portargli via ciò a cui teneva di più, ma la differenza era che non si trattava di un oggetto o di qualcosa di astratto, ma di una persona…
 
“Bene, è tutto pronto. I libri, le penne, le calcolatrici, gli appunti e le nostre teste”.
Plexi si sedette con eleganza davanti a Iron che la vide con quell’espressione concentrata da “ mettiamocela tutta”. Gli piaceva perché gli occhi della ragazza parevano più splendenti.
“Plexi, pensi davvero di poter fare qualcosa per un caso come il mio?”
Una risata amara sgorgò dalla fola di Iron. Non era mai stato un asso della matematica.
“E il compito sarà tra due settimane” aggiunse.
“13 giorni per essere precisi” lo interruppe lei.
Iron deglutì rumorosamente. Quando si impegnava, con lei era difficile trattare. Stava anche indossando perfettamente la sua maschera di spavalderia. Iron sapeva ogni cosa, ma era presuntuoso pensare di poter intuire ciò che le stava passando per la testa? Qualcosa si rimescolò nello stomaco al pensiero che lei sarebbe rimasta ferita da ciò che stava immaginando.
“13 giorni sono molti” osservò lui.
Si scostò i capelli dalla fronte, quel cespuglio che non gli dava tregua, mentre un’espressione corrucciata andò a increspare la linea severa delle labbra di Plexi.
“Allora perché mi hai invitata a casa tua? Non avevi bisogno di ripetizioni?”
Iron si fece coraggio. Detestava ammetterlo, ma diceva e faceva le cazzate peggiori solo per Plexi.
“Più o meno. In realtà dobbiamo ripassare alcuni importanti concetti”.
L’aveva detto, ma la parte peggiore doveva ancora arrivare. Guardò i suoi superereroi preferiti che parevano fissarlo dalle mensole. Pregò mentalmente, guardando Thor, il suo amato Iron man e Hulk.
Datemi la forza.
“Plexi, non puoi rimanere con questo peso per sempre. Rovinerai ogni attimo che verrà. Devi dirlo, devi dichiarare a Foam i tuoi sentimenti”.
La ragazza tacque per qualche attimo. Inarcò le sopracciglia per la sorpresa. La morsa al cuore che avvertiva era l’unica stretta decisa che avesse sentito.
“Perché questo discorso?” scosse la testa rapidamente come per scacciare quella detestabile folla di emozioni nel suo cuore “ Siamo qui per studiare, altrimenti prenderai un 3 in pagella”.
“Tu rischi invece di essere bocciata dalla vita. Cosa è peggio?”
Lo sguardo di Iron era così intenso da far accapponare la pelle. Plexi era sicura di non averlo mai visto così e ciò fece vacillare la sua determinazione. La maschera che indossava subì la prima crepa.
“Puoi scappare quanto vuoi, Plexi, ma poi arriverà quel momento che ti ricorderà quanto sia inutile prenderti in giro. Sei innamorata di Foam, lo so. Non c’è bisogno di un manifesto o di una tua confessione. Devi dirlo a lui”.
Plexi aveva bisogno solo di riprendere fiato. Si alzò dalla sedia, fuggendo dallo sguardo di Iron. Era come se qualcuno stesse tenendo il suo cuore tra le sue mani, in attesa di farlo a pezzi. Sulla maschera affiorò una seconda crepa.
“A che servirebbe?” sbottò lei.
“Serve e ti sta parlando uno sciocco senza speranza”.
Iron si rabbuiò. Era proprio lui che stava facendo la predica, che  non riusciva a collegare quel “ ti” e quell’ “ amo” con la ragazza che aveva davanti. Forse il silenzio era il suo dovere.
“ E poi in attesa di cosa hai conservato quel braccialetto di conchiglie?”
“Te lo ricordi” farfugliò lei, le labbra tremanti.
Terza crepa sulla maschera. Una lacrima affiorò tra gli occhi che cercavano di nascondersi.
“Sì, quella storia di regalarla alla tua persona speciale, ricordo tutto alla perfezione. Speravi che dimenticassi?”
 
Il cielo non era più del limpido azzurro del giorno. Era un misto di roso e arancione con sfumature color pesca. Le nuvole apparivano come dolci e imprendibili montagne di gelato alla vaniglia.
La sabbia era morbida sotto i loro piedi. Plexi sembrava inarrestabile, mentre raccoglieva conchiglie che sarebbero servite per il suo bracciale. Il suo sorriso era ampio e sincero e Iron si trovò a sorridere a sua volta.
“Ricordati di indossare quel bracciale”.
Plexi scosse la testa.
“Non è per me, ma sarà un regalo”.
Iron non fece in tempo a porle ulteriori domande che lei lo zittì con lo sguardo.
“Per la mia persona speciale” disse in un sussurro.
 
“Plexi, anno dopo anno ti sei sempre tirata indietro. Hai ancora quel bracciale senza averlo dato al ragazzo che ami. Mi chiedo quanto tempo passerà ancora… non puoi andare avanti sopportando questo peso”.
La ragazza si perse negli occhi di Iron. Era spaventata dalle sue parole, eppure erano il suo punto di riferimento.
“Spero presto” mormorò cupamente.
“No, Plexi. Dobbiamo darci dei tempi. Quando Foam guarirà e sarà pronto ad ascoltarti: in quel momento dovrai dichiararti. Comunque vada ci sarò, d’accordo?”
Plexi si trovò ad annuire impotente, nel timore che il suo amore sarebbe rimasto rinchiuso in un sarcofago, calato in un mare di angoscia.
 
Scleri post capitolo: perdonatemi, sono un essere spregevole che non aggiorna spesso come dovrebbe. Qualcuno di voi ha rischiato un nosebleed potente mentre leggeva il sogno di Foam? Spero di sì.
Considerazione due: quanto è odioso Cart! Considerazione tre: Plexi e Iron sono tenerissimi. Con questo passo e chiudo. Alla prossima ^^  
   
 
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