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Autore: Papillon_    15/04/2015    1 recensioni
“Parla quello che quando si siede sembra un orso appena uscito dal letargo.”, borbottò Kurt. Puck di fronte a loro si lasciò scappare una piccola risata, beccandosi un'occhiataccia da parte di Blaine.
“Così a Parigi non convincerai proprio nessuno.”, borbottò Blaine.
“Credi davvero che io sia il Granduca, Blaine?”, chiese Kurt, cercando i suoi occhi. Blaine li scrutò per un attimo.
“Ovvio, altrimenti non staresti qui.”
“Bene.”, soffiò Kurt, avvicinandosi piano al suo viso. “Allora smettila di darmi ordini.”
“Affondato.”, disse Puck, scoppiando poi a ridere. “Amico, di sicuro ha un bel caratterino il ragazzo qui.”
“Cosa davvero adorabile.”, borbottò Blaine, passandosi una mano tra i capelli.
“Mai quanto diventeresti adorabile tu se mi facessi un piacere.”
“Quale piacere?”, chiese Blaine dopo un po'.
“Sta' zitto.”
*
Avete mai visto la favola di Anastasia? Ottimo, immaginate che i suoi protagonisti siano un Kurt sarcastico alla ricerca della sua famiglia e un Blaine che ce la sta mettendo davvero tutta per arricchirsi. Entrambi sono alla ricerca del loro nuovo inizio, ma sono completamente ignari di come trovarlo.
O del fatto che, con molta probabilità, questo nuovo inizio ce l'hanno a portata di mano.
[AU Klaine - Anastasia!Kurt, Dimitri!Blaine]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Visto che siete stati più che dolcissimi nell'accogliere la storia mi sembra giusto che aggiorni oggi! Sono davvero contenta che mi abbiate dato fiducia. Una cosa importante prima di farvi leggere: molti di voi mi hanno fatto notare che di storie così ne esistono già su EFP, e ho apprezzato molto il gesto. Può succedere. Nel mio piccolo, posso dirvi che non ne avevo mai letta una (ma credo rimedierò al più presto). Se doveste notare delle somiglianze, cose legittime immagino per via di trama, sono assolutamente casuali :)

Buona lettura!

 

 

 

- Parte seconda -

 

Dieci anni dopo

 

Blaine percorse le scale che portavano al suo minuscolo appartamento due alla volta, un cappotto nuovo di zecca con del pelo finto appoggiato al braccio e il cappellino che aveva messo in testa che ormai gli stava per cadere. Entrò sbattendo la porta, trovando Puck vicino alla finestra mentre dormiva, la bocca semi-aperta – posizione che gli permetteva di sicuro di sbavare anche poco elegantemente sull'unica coperta che avevano.

Blaine alzò gli occhi al cielo e gli gettò addosso il cappotto invernale che aveva appena comprato con i suoi pochi risparmi.

"Puck.", sibillò, aspettando poi che si svegliasse. Puck grugnì qualcosa di incomprensibile, aprendo e chiudendo la bocca continuamente come un vecchio. "Puckerman, svegliati.", borbottò Blaine, scrollando una delle sue spalle. Quando Blaine si rese conto che il suo migliore amico – o compagno d'affari, meglio, cosa di cui spesso Blaine si dimenticava soprattutto quando lo trovava in quelle condizioni – non aveva alcuna intenzione di svegliarsi, decise di adottare un metodo molto poco ortodosso e ci si sedette sopra.

"Cos- uhm- che- è arrivata la polizia...?", biascicò Puck tra il sonno e la veglia, stropicciandosi gli occhi con le dita.

"Sì, Noah. È proprio qui fuori che non aspetta altro che arrestarti."

Puck a quel punto si mise a sedere di scatto, spingendo in quel modo Blaine che urlò e si trovò con il sedere per terra.

"Aiuto, Blaine, i Russi! I Russi sono venuti a prenderci- avanti razza di lumacone, scappa-"

Blaine alzò un sopracciglio con l'aria vagamente irritata, non muovendo un singolo muscolo. "Noah.", borbottò. Nel vedere l'assoluta tranquillità di Blaine, Puck si bloccò di colpo.

"Tu- tu, brutto imbroglione. Non c'è nessuna polizia."

"Ma va, non mi dire.", ghignò Blaine. "Però ehy. Grazie di avermi dato una nuoa scusa per svegliarti. È perfetta."

"Vai a farti fottere."

"Magari più tardi."

Ecco, quello era più o meno il modo che avevano Blaine e Puck per dimostrarsi il rispetto reciproco. Una sorta di ringhiarsi e punzecchiarsi a vicenda continuo, che la maggior parte delle volte terminava con allusioni e battute a sfondo vagamente sessuale – togliendo il vagamente, con molta probabilità.

Puck a un certo punto prese tra le mani il cappotto con cui Blaine prima aveva cercato di svegliarlo.

"E questo cos'è?", borbottò, guardandolo molto male. "Hai tipo squartato una pecora?"

"E' una pelliccia falsa, idiota.", borbottò Blaine, alzando gli occhi al cielo. "E non è per te, è per il Granduca."

Noah annuì, alzandosi per dirigersi in bagno e lavarsi la faccia. Blaine seguì i suoi movimenti, strofinandosi poi con delicatezza la fronte con le dita.

"Oggi terremo dei provini al Palazzo d'Inverno.", disse dopo qualche minuto. "Non lo so, mi sento- piuttosto positivo."

"Ogni santo giorno dici la stessa cosa.", grugnì Puck, sputtacchiando un po' di dentifricio scadente alle erbe. "Blaine, rassegnati. Non troveremo mai nessuno che somigli anche solo vagamente al Granduca Kurt. Senza contare che non penso che nonnina bella si farebbe prendere in giro così."

"Non deve essere identico.", disse piano Blaine, afferrando dal comodino di legno il giornale di quel giorno. "Deve assomigliarci."

"Sogna, Blaine. Sogna pure."

"Certo che sogno, Puck.", bofonchiò Blaine, lasciandosi cadere sul pavimento dietro di lui. "Si tratta di quattrocento milioni di rubli. Ogni nostro piccolo problema sarebbe solo un vecchio ricordo."

Puck uscì dal bagno con un piccolo asciugamano attorno al collo. "Guarda che lo so, Blaine.", mormorò. "Sarebbe il sogno di una vita. Ed ehy, io sto con te dall'inizio, e mi fido. Però abbiamo cambiato sei città, abbiamo visto almeno un centinaio di ragazzi che dicevano di essere il Graduca, e nonostante questo non ne abbiamo trovato uno – e dico uno, che ci assomigli vagamente. C'era anche quella travestita polacca, come diavolo si chiamava-"

"Diceva di chiamarsi Jeremiah.", borbottò Blaine. "Brutti ricordi."

Ridacchiarono all'unisono, entrambi guardando un punto indefinito fuori dalla finestra.

"Ci arricchiremo, Puck.", sussurrò Blaine, una promessa più fatta a sè stesso che al mondo intero. "Te lo prometto."

 

***

 

"Ciao Tim! Ricorda di non mettere mai più quel cappello con i buchetti, okay?", disse piano Ky, immergendo una mano nei capelli del bambino che c'era di fronte a lui. Cercò di trattenere le lacrime mordicchiandosi il labbro inferiore.

"...e subito dopo la pescheria c'è un bivio, tu va' a sinistra. Chiaro? Ky? Che razza di nome che hai. Comunque. Va' a sinistra, ti ho trovato un lavoro a una locanda che c'è in un piccolo paese...mi stai ascoltando o sei sordo per caso?"

Ky si fermò di colpo, una mano tesa a mezz'aria per salutare i bambini che lo stavano guardando partire dalle finestre dell'orfanotrofio, mentre il piccolo Tim sgattaiolava via a piccoli passi – era l'unico che era sceso a salutarlo, fuori c'era davvero troppo freddo.

"Certo che la sto ascoltando signora Korkorov.", borbottò Ky, entrambe le sopracciglia alzate. "Sa, ho la fortuna di lavarmi le orecchie tutti i giorni, a differenza di qualcun altro."

"Mi stai prendendo in giro, Ky? Mi auguro di no. Anzi sai che ti dico? Poco mi frega, per fortuna adesso non ti vedrò più."

"Già, siamo in due a pensarla allo stesso modo.", rispose tranquillamente Ky, dirigendosi a passi eleganti verso il cancello. C'era neve dappertutto perchè durante quelle settimane aveva nevicato molto, e Ky amava il panorama che si poteva ammirare dalla collina.

"E smettila di camminare con un principino da strappazzo. Non sembri normale.", borbottò la signora Korkorov, troterellandogli dietro. Ky la guardò male.

"Lei è davvero una persona triste, singora Korkorov.", disse con una vena di malinconia. "Mi dispiace che le diano dei bambini a cui badare."

"Ma taci tu, che ne vuoi sapere.", grugnì lei. "Piuttosto va', ora. Magari la smetterai di piagnucolare."

"Certo che andrò.", disse prontamente Ky, prendendo tra le mani il ciondolo da cui non si separava mai. "Andrò a cercare la mia famiglia-"

"Oh, certo, insieme a Parigi!", lo scimmiottò lei, imitando il suo tono di voce delicato. "Povero illuso. Adesso sparisci, principe delle cause perse, che io ho un orfanotrofio da gestire. Vi ho nutriti, vi ho vestiti..."

"...vi ho trovati, vi ho messo un tetto sopra la testa...", concluse per lei Ky, alzando gli occhi al cielo. Non vedeva l'ora di andarsene via da quel posto piccolo e angusto.

In realtà non sapeva nemmeno come ci era arrivato. La signora Korkorov gli aveva raccontato la sua storia solo un paio di volte, dicendogli che era stato trovato all'età di dieci anni vicino ai binari della grande stazione ad est di San Pietroburgo; quando una giovane coppia russa lo aveva trovato spaventato, infreddolito e in mezzo alla strada avevano cercato di chiedere lui come si chiamasse e da dove venisse, senza ricevere alcuna risposta. Era stato portato nell'unico orfanotrofio nel raggio di miglia, e non aveva detto una parola per ben dieci mesi, facendo andare su tutte le furie la signora Korkorov. Un giorno come molti altri, una bambina chiese lui come si chiamava, e invece di rimanere muto Ky rispose con quella che ricordava – o credeva di ricordare – fosse l'iniziale del suo nome. Non avendo idea di come terminasse, da quel giorno tutti lo avevano sempre chiamato con quella semplice lettera. Ky non sapeva niente del suo passato, non ricordava perchè i suoi genitori lo avessero abbandonato e soprattutto non ricordava chi fosse – l'unica cosa che gli era rimasta era quel ciondolo dorato che gli pendeva dal collo, con su scritto con lettere eleganti la frase Insieme a Parigi. Era l'unico indizio che avrebbe potuto riportare Ky dalla sua famiglia, e lui era intenzionato a seguirlo a qualsiasi costo. Voleva ritrovare la sua famiglia, voleva scoprire per quale motivo lo avessero abbandonato, che cosa era andato storto.

Da qualche giorno Ky aveva finalmente compiuto diciannove anni, l'età necessaria per lasciare l'orfanotrofio e costruirsi una vita indipendente. Proprio per quello ora doveva andare a sinistra al bivio, per raggiungere la famigerata locanda in cui avrebbe lavorato per il resto della vita. Osservò quel piccolo bivio per minuti interi: a sinistra segnava il nome del piccolo paese dove si trovava la locanda, a destra invece l'insegna puntava a caratteri cubitali San Pietroburgo, la città dei sogni, come la chiamavano i bambini all'orfanotrofio. Ky fece per fare un passetto verso destra, ma da dietro arrivò chiara la voce della signora Korkorov.

"Ho detto va' a sinistra.", grugnì. Ky la guardò di sbieco, scrollando le spalle.

"Lo so cosa c'è a sinistra.", borbottò, mordicchiandosi il labbro inferiore. "Una vita inutile e monotona che non mi merito.", disse a nessuno in particolare. "Ma se vado di qua...", sussurrò, continuando a camminare verso destra, senza fermarsi mai. "Se vado di qua la mia vita cambierà per sempre.", bisbigliò, una promessa che fece solo a sè stesso.

Così si lasciò indietro tutto. Anni e anni di ingiustizie in orfanotrofio, di insicurezze e domande a cui non riusciva a dare una risposta: finalmente avrebbe avuto l'occasione di scoprire tutto, e forse avrebbe ritrovato la sua famiglia.

 

***

 

San Pietroburgo era decisamente la città più grande che Ky avesse mai visto – non che ne avesse viste molte altre, in vita sua, ma insomma, era davvero enorme. C'erano tantissime persone con addosso enormi pellicce e capottini eleganti, bambine che rincorrevano madri per tutto le vie, e Ky invece non aveva altro che sé stesso e una sciarpa che gli pendeva dalla tasca del cappotto grigio scuro che aveva addosso. Non che avesse bisogno di molto altro, in verità.

Si mise in coda per acquistare un biglietto del treno per Parigi nei pressi della stazione – non aveva molto denaro con sé, quel poco che aveva gli spettava di diritto dalle tasche comuni dell'orfanotrofio, ma si era documentato e aveva scoperto che un biglietto di terza classe costava veramente una miseria, e stando attento a consumare pochi pasti ci sarebbe riuscito ad arrivare a Parigi. Quando fu il suo turno disse fieramente al signore che vendeva i biglietti la propria destinazione, ma questo gli rispose poco bellamente che per venderlo aveva bisogno di un visto d'uscita, e Ky il visto d'uscita non aveva la minima idea di cosa fosse.

Se ne stava per andare con la coda tra le gambe, quando una vecchina con gli occhi tutti storti gli mise una mano sulla spalla.

“Cerca Blaine.”, gli disse con voce bassissima. Ky aggrottò le sopracciglia.

“B-Blaine?”

“Sì, lui può aiutarti con questa cosa del visto. È al Palazzo d'inverno a combinare qualcosa, tu digli che ti mando io. Fila, vai, vai, vai!”

Quella signora spinse Ky lontano dalle file, e lui si ritrovò a fissare il vuoto per minuti interi senza sapere cosa fare. Come poteva presentarsi da uno sconosciuto dire lui “Ehy, mi manda una vecchina che ho incontrato giù in città coi denti storti.”. Non sapeva quanto efficace potesse essere.

Tuttavia, cercò le indicazioni per il Palazzo d'Inverno comunque. Non aveva niente da perdere, no?

 

La fregatura stava nel fatto che il palazzo d'Inverno a quanto pare era inagibile. Kurt ci girò attorno un paio di volte per trovare l'entrata, ma ogni porta era accuratamente sbarrata con assi di legno, ed era impossibile pensare di entrarvici. Quella vecchina però era sembrata davvero convincente quando aveva detto a Ky di quel Blaine, e quindi Ky non aveva alcuna intenzione di arrendersi. Si aggrappò alle assi di legno con tutte le sue forze, e stava quasi per rinunciare quando improvvisamente riuscì a strapparne via una. Cadde rumorosamente all'indietro sbattendo il sedere per terra – però ehy, ce l'aveva fatta finalmente. Dopo aver svegliato mezza San Pietroburgo, ma ce l'aveva fatta.

Si addentrò al Palazzo d'Inverno con estrema cautela. L'interno era molto spazioso, l'aria era umida per via dell'inverno ed era chiaro che il palazzo fosse abbandonato, eppure c'era ancora qualcosa di fiabesco nelle mura, nei quadri appesi alle pareti e nelle scale che portavano al piano di sotto. C'era polvere ovunque, che rendeva i tappeti e i pavimenti quasi grigi, eppure Ky nel camminare in mezzo a quei corridoi si sentì a casa come mai era successo prima in tutta la sua vita. Non aveva idea del perché, ma c'era qualcosa di stranamente familiare in quelle sale, qualcosa che sapeva di passato dimenticato e ricordi rimossi.

Ky era entrato ormai da diversi minuti nel palazzo quando trovò la sala principale. Era in assoluto l'ambiente più grande che avesse mai visto: di sicuro un tempo era stata una sala da ballo, e per un attimo immaginò essere un principe ed avere la possibilità di ballare in quell'enorme sala con mille damigelle che danzavano attorno a lui e gli facevano i complimenti per la sua grazie ed eleganza.

Al lato della sala c'era un lungo tavolo con sopra diversi oggetti. Alcuni erano andati distrutti – forse per i tempi della rivoluzione, forse per colpa del tempo e dell'invecchiamento. C'era anche uno specchio, e Kurt lo prese in mano per potersi guardare, e nel momento in cui lo fece dietro di lui ebbe come l'impressione di vedere un bambino che gli assomigliava tremendamente correre verso un signore di mezza età senza capelli che lo prendeva in braccio e lo cullava, e solo -

Era così strano. Quel palazzo faceva sentire Kurt in modo strano. Malinconico, in primo luogo. Forse proprio per quello alla fine si sedette proprio al centro della sala, sperando che quella brutta sensazione gli passasse. Si sentiva a casa ma al contempo era come se non lo potesse sapere. E poi c'erano tutte quelle immagini che assomigliavano a ricordi – ma come poteva essere sicuro che non fossero solo sogni?

“Ehy, tu- non puoi stare qui!”, gridò una voce. A quel punto Ky alzò la testa dalle ginocchia e vide che in cima alle scale di fronte a lui c'era un ragazzo che doveva avere più o meno la sua età – senza pensarci due volte si alzò in piedi e cominciò a correre verso le scale che c'erano dalla parte opposta, quelle da cui lui era arrivato. Era stata una follia introdursi in quel palazzo: e se lo avessero arrestato?

“Aspetta, fermati!”, urlò quel ragazzo dietro di lui. Beh, col cavolo, avrebbe risposto Ky se avesse avuto tempo. Non gli avrebbe dato la possibilità di arrestarlo, era appena uscito da una sottospecie di carcere, non aveva intenzione di essere rinchiuso di nuovo.

“Sul serio?!”, borbottò il ragazzo dietro di lui. “Avanti, non ti mangio mica! Vuoi fermarti?”

Ky non seppe capire perché alla fine si fermò. Sta di fatto che lo fece; era esattamente al centro delle scale quando si voltò e puntò gli occhi in quelli dell'altro ragazzo, che adesso lo stava guardando con molta attenzione. Ky non si era soffermato a guardarlo abbastanza, prima: aveva i capelli ricci scuri che gli ricadevano dolcemente sulla fronte, due occhi molto grandi contornati da ciglia spesse e labbra piene e carnose. Non era russo, quello era certo. Però era...vagamente carino, quello sì. Anche se Ky non capiva perché doveva pensare che fosse carino, ma comunque.

“Come diavolo...”, una pausa, e poi quel ragazzo ricciolo spalancò gli occhi, come se avesse avuto una visione. “Come diavolo sei entrato?”, soffiò. Ky cercò di riprendere fiato, mordicchiandosi il labbro inferiore. Quel tipo dai capelli ricci adesso aveva la bocca aperta, e sembrava molto più che ridicolo.

“...dalla porta?”, buttò lì Ky, indicando vagamente il fondo del corridoio con un braccio. “Ascolta, so che non dovrei stare qui, ma stavo cercando...vuoi farmi la cortesia di chiudere quella bocca? Sembra che stai aspettando che uno sciame di api arrivi per farci il miele.”

Il ricciolo a quel punto sbuffò una risata. “Sciame di api. In inverno.”

“Non che mi aspetti che tu sappia cos'è il miele, comunque.”, borbottò Ky alzando le spalle. Quel ragazzo cominciò a percorrere le scale per raggiungerlo, un vago sorriso che gli increspava le labbra.

“So benissimo cos'è il miele.”

Già, assomigliava vagamente a quello che c'era nei suoi occhi. Oh, al diavolo Ky, come ti vengono in mente certe idee. “Stavo per andarmene, comunque, quando hai cominciato a urlare come se non ci fosse un domani.”

“Il tuo tecnicamente è reato. Stai violando una proprietà privata.”, disse il ricciolo, cominciando a camminare intorno a Ky, osservandolo continuamente.

“Non so se te ne sei accorto, genio, ma siamo in due a trovarci in questo dannato palazzo.”

“Io qui ci lavoro.”

“Non avrei mai detto che avessi una tale intelligenza.”, borbottò Ky. “E la vuoi piantare di girarmi intorno e fissarmi? Sei inquietante. E mi dai fastidio.”

“Come siamo irascibili.”

“Tu tiri fuori il peggio di me.”, quasi ringhiò Ky, incrociando le braccia. “Mi dai sui nervi se continui a muoverti.”

Il ricciolo a quel punto sorrise. “E' solo che...mi ricordi una persona in maniera impressionante.”, sussurrò in modo vago. Kurt a quel punto si leccò velocemente le labbra, distogliendo lo sguardo.

“Dunque, stavi dicendo di essere venuto qui perché stavi cercando qualcuno, uhm...non ho afferrato il tuo nome.”

“Perchè non l'ho mai detto, genio.”, borbottò Ky, alzando gli occhi al cielo. Lanciò verso il ragazzo un'occhiata di sufficienza. “Ky.”

“Ky...che?”

“Il mio nome. Ky.”

“Ky come...”

“Come la lettera, sì. Non prendere in giro il mio nome.”

“Non mi permetterei mai di farlo.”

“E' quello che stavi facendo.”, sbottò Ky, respirando piano per cercare di mantenere la calma. “Comunque stavo cercando un tizio di nome Blaine, ma a parte te e qualche quintale di polvere questo posto mi sembra deserto, per cui credo che chi mi ha dato questa informazione si sia sbagliato.”

Quel ragazzo a quel punto trattenne una risata. “E sentiamo, perché averesti bisogno di questo Blaine?”

Ky alzò un sopracciglio. “...perchè, lo conosci?”

“Certo che lo conosco.”, sussurrò lui. “Alto, molto bello, di buone maniere...un ragazzo che non si dimentica facilmente, posso giurartelo.”

Ky non seppe capire cosa fu il moto di rabbia che sentì aleggiare nel suo stomaco. Non era di sicuro gelosia. Insomma, non poteva essere geloso di un ragazzo coi ricci che aveva appena incontrato e che aveva tutta l'aria di essere un poco di buono.

Ky sbattè le palpebre, alla ricerca delle parole giuste. “Beh, e credi che potresti farmi conoscere questo Blaine o devo fare i salti mortali per incontrarlo?”

“Vederti fare i salti mortali sarebbe molto interessante, devi credermi.”, ghignò quel ragazzo a quel punto, e Ky sentì le proprie guance scaldarsi, perché dio se a volte era irritante. “Ma si dà il caso che tu lo abbia già incontrato.”

Ky aggrottò la fronte. Un momento. Non aveva incontrato nessuno da quando era entrato in quel palazzo, quindi quello significava che...

Naturalmente, scoppiò a ridere. Forte, senza inibizioni, e il ragazzo di fronte a lui aggrottò la fronte.

“...perchè ridi?”

“...oh, non lo so. Forse perché hai detto di essere alto.”, borbottò Ky, tenendosi la pancia con entrambe le mani. “Voglio dire, alto? Sì, alto come un metro e una melanzana, molto probabilmente.”

Il ragazzo – Blaine, si corresse Ky, si morse il labbro inferiore con cautela. “Questa me la pagherai.”

“No, hai ragione. In effetti dipende molto dalla misura della melanzana.”

“Perchè qui si parla di melanzane e io non sono stato invitato?”, borbottò una voce che Ky non riconobbe. Lui e Blaine si voltarono all'unisono verso uno dei ragazzi più strani che Ky avesse mai visto: aveva i lineamenti marcati e i capelli più bizzarri di tutto il continente.

“Chi è questa fatina?”, chiese quello strano ragazzo. Anche lui lo osservò da capo a piedi, e quando si soffermò sul viso sembrò realizzare qualcosa di fondamentale e spalancò gli occhi. “Oh porco di quel demonio, Blaine- ma lui- cioè lo hai visto-”

“Sentite, voi due dovete seriamente farvi curare.”, borbottò Ky. “Sembra che non abbiate mai visto una persona.”

“Le abbiamo viste, Ky.”, disse Blaine a quel punto, assestando una gomitata nello stomaco del ragazzo coi capelli strani. “Puck, questo è Ky. Ky, lui è Puck, un mio collega che adesso ci farà il piacere di stare zitto.”

Puck mise su un piccolo broncetto e abbassò il volto.

“Dunque-”, iniziò Blaine con voce melliflua. “A quanto pare hai bisogno di me.”

“Tecnicamente parlando, non ho bisogno di te.”, asserì Kurt. “Ho bisogno di un biglietto per arrivare a Parigi, e non so per quale motivo mi hanno detto che tu saresti riuscito a procurarmelo.”

“Certo, certo.”, acconsentì Blaine. “Beh, effettivamente io ho tre biglietti per andare a Parigi. Uno è per me, uno è per l'avventuriero qua giù-”, disse Blaine, dando una pacca sulla spalla di Puck. “Ma il terzo è per il granduca Kurt.”

Ky a quel punto alzò un sopracciglio. “...e chi diamine sarebbe?”

“O porca loca, ma tu da dove cavolo vieni?”, domandò Puck allargando le braccia. “Dal paese dei balocchi?”

“No, da un orfanotrofio.”, rispose a tono Ky.

A quel punto Blaine e Puck si scambiarono un'occhiata.

“Vieni con me.”, sussurrò Blaine a un certo punto, facendo un passo verso di lui per afferrare una sua mano. Ky non ebbe il tempo materiale di dire nulla che Blaine lo stava trascinando su per le scale senza lasciargli andare la mano, fino al momento in cui arrivarono di fronte a un enorme quadro che ritraeva una famiglia.

“Ti presento la famiglia Hummel, Ky.”, disse Blaine fieramente, indicando i membri che erano stati ritratti. “L'ultima famiglia regnante che abbiamo avuto in Russia.”

“So chi sono gli Hummel, grazie mille.”, borbottò Kurt. Li aveva studiati, naturalmente.

“Bene. Quel pelato lì era l'Imperatore una decina di anni fa, l'ultimo che abbiamo avuto.”, spiegò Puck. “Si chiamava Burt.”

Ky rimase ad osservarlo per un tempo che gli parve infinito. Quell'uomo gli infondeva un senso di sicurezza, una strana pace che fino a quel momento non aveva mai provato con nessuno.

“Quella vicino a lui era sua moglie, Elizabeth.”, disse poi Blaine. “E' morta molto giovane, poco dopo aver dato alla luce il suo ultimo figlio, che tra l'altro porta il suo nome come secondo.”

Ky deglutì. “...chi era il suo ultimo figlio?”

“Kurt, appunto.”, rispose prontamente Blaine. Allungò un braccio per sfiorare con le dita il bambino che nel ritratto teneva la mano di un'anziana signora. “Kurt Elizabeth Hummel, l'unico sopravvissuto alla rivoluzione.”

Ky cercò gli occhi di Blaine. “Io non capisco.”

“Dieci anni fa ci fu la grande rivoluzione, e ogni membro della famiglia Hummel fu ucciso brutalmente. Sono stai ritrovati tutti i corpi. Tutti, tranne quello del principino.”, borbottò Puck. “Per questo si pensa che lui sia sopravvissuto.”

Ky sentì una strana sensazione montargli nel petto. Più guardava quel bambino, più aveva l'impressione che qualcosa di profondo li legasse.

“Sua nonna è l'unica parente diretta che gli è rimasta. La madre di Elizabeth, che durante la notte più dura della rivoluzione riuscì a scappare a Parigi.”

“...a Parigi?”, pigolò Ky, sentendo gli occhi pizzicare. “Ma è proprio dove devo andare io!”

“Questa è una gran bella coincidenza.”, disse Blaine con un vago sorriso. “E anche la somiglianza, beh...oserei dire che è impressionante.”

Ky alzò lo sguardo per osservare quel bambino nel ritratto per l'ennesima volta, e dovette ammettere che...sì, c'era qualcosa di lui che era molto familiare.

“Portatemi con voi.”, disse senza mezzi termini a quel punto, avvicinandosi a Blaine. I loro petti quasi si sfioravano.

“Mi piacerebbe, visto che molto probabilmente le tue battutine mi mancherebbero durante il viaggio. Ma te l'ho detto, il terzo biglietto è per il Granduca.”

Detto quello, Blaine si allontanò insieme a Puck scendendo le scale, mentre Ky rimaneva indietro a torturarsi le mani.

“Amico, che diamine stai facendo? Quel ragazzo è in assoluto quello che mi assomiglia di più a quel maledetto Granduca, e te lo dice uno che ha cercato di travestirti come lui almeno una decina di volte. Non possiamo farcelo scappare-”

“Noah, zitto e aspetta. Dammi dieci secondi.”

Blaine a quel punto si mise a contare sotto voce, e proprio quando le sue labbra pronunciarono il decimo secondo, una voce li interruppe.

Blaine!”, urlò Ky dietro di loro, mordicchiandosi il labbro per poi cominciare a scendere qualche scalino. Blaine fece l'occhiolino a Puck.

Ky puntò i piedi e si avvolse il corpo con le braccia. “Hai bisogno di me.”

“Cosa?”, borbottò Blaine.

“Hai bisogno di me.”, ripetè Ky. “Non hai detto che il terzo biglietto è per il Granduca?”

Blaine sorrise, a quel punto, un sorriso lascivo. “Non ti seguo.”

“Blaine, fa' un po' di matematica. Gli unici parenti di questo Kurt sono a Parigi, vero? L'unico indizio che io ho della mia famiglia è Parigi. Non ricordo molto del mio passato, ma potrei...potrei essere chiunque, no?”

Puck annuì con vigore. “Fantastico. Quando si parte?”

“Quello che Puck intende dire, Ky, è- credi davvero che potresti essere il Granduca?”, chiese Blaine a quel punto.

“Non lo so.”, soffiò Ky con sincerità. “Ma ci sono troppe coincidenze per far sì che io le ignori. Una persona sogna tutta la vita di essere un principe, o qualcuno di speciale...perchè non potrei esserlo io?”

“Già, perché no?”, ripetè Puck con un gran sorriso. “E adesso diamoci una mossa, che non mi va di perdere il treno.”

Ky e Blaine si guardarono di sfuggita a quel punto – Blaine aveva un sorriso soddisfatto sul volto, e Ky provò ardentemente il desiderio di farglielo scomparire con una sberla, anche se allo stesso tempo lo considerava vagamente adorabile.

Molto vagamente.

 

***

 

Poche ore più tardi, Ky, Blaine e Puck stavano prendendo posto in una cabina del treno che gli avrebbe portati fino a metà strada, in Germania. Ky aveva studiato quei posti solo sui libri, e non vedeva l'ora di poter vederli dal vivo: non riusciva ancora a credere che tutto quello stesse succedendo proprio a lui.

Si sistemò vicino al finestrino, con Puck di fronte e Blaine accanto. Il treno partì dapprima con calma e cominciò ad acquistare velocità, e a Ky gli si riempì il cuore di una strana emozione quando pensò che stava per abbandonare quella che fino a quel momento era stata casa sua. Iniziò a giocherellare con il ciondolo che portava al collo, fino a quando la voce di Blaine lo fece sobbalzare.

“Dunque, visto che ormai è ufficiale e siamo partiti.”, borbottò. “Direi che per abituarci dovremmo cominciare a chiamarti Kurt.”

Ky strabuzzò gli occhi. “Uhm, scusa? Non siamo sicuri che io sia il vero Granduca.”

“Ma te l'ho detto, dobbiamo abituarci.”

Ky a quel punto sbuffò, incartocciando le braccia davanti al proprio petto. “Fa' quello che vuoi, Blaine.”

“E per dio, siediti composto. Sei un Granduca, Kurt.”, si lamentò lui, indicando le sue braccia incrociate. “Impara a usare un po' di grazia-”

“Parla quello che quando si siede sembra un orso appena uscito dal letargo.”, borbottò Kurt. Puck di fronte a loro si lasciò scappare una piccola risata, beccandosi un'occhiataccia da parte di Blaine.

“Così a Parigi non convincerai proprio nessuno.”, gli disse di rimando Blaine.

“Credi davvero che io sia il Granduca, Blaine?”, chiese Kurt, cercando i suoi occhi. Blaine li scrutò per un attimo.

“Ovvio, altrimenti non staresti qui.”

“Bene.”, soffiò Kurt, avvicinandosi piano al suo viso. “Allora smettila di darmi ordini.”

“Affondato.”, disse Puck, scoppiando poi a ridere. “Amico, di sicuro ha un bel caratterino il ragazzo qui.”

“Cosa davvero adorabile.”, borbottò Blaine, passandosi una mano tra i capelli.

“Mai quanto diventeresti adorabile tu se mi facessi un piacere.”

“Quale piacere?”, chiese Blaine dopo un po'.

“Sta' zitto.”

 

Più tardi, ormai verso sera, Puck era uscito dalla cabina per farsi un giro in mezzo ai corridoi del treno – Blaine aveva la vaga impressione che avesse voglia di flirtare con qualche ragazza, ma non lo disse ad alta voce - e per questo si ritrovò da solo con Kurt. Lui continuava a guardare fuori dalla finestra e sembrava vagamente triste, ma era anche molto bravo a nascondere i suoi sentimenti.

Blaine fece finta di prendere il proprio visto d'uscita e darci un'occhiata, e solo dopo trovò il coraggio di parlare.

“Senti-”, borbottò, prendendo un respiro profondo. “Credo che io e te siamo partiti col piede sbagliato.”

“Decisamente.”, disse Kurt quasi subito, senza nemmeno guardarlo.

“Infatti.”

“Bene.”, sussurrò Kurt. “Gradirei quindi le tue scuse.”

“Gradiresti- ma che cavolo- io non ti chiederò scusa, mi dispiace tanto!”

“Sei tu che mi dai ordini e non fai altro che lamentarti di quello che faccio, Blaine.”

“Mi lamento perché sto cercando di aiutarti e tu non mi dai retta!”

Kurt sbuffò sonoramente. “Senti, Blaine, è chiaro che io e te nella stessa stanza per più di cinque minuti non ci riusciamo a stare se uno dei due comincia a parlare. Non facciamo altro che litigare, ed è snervante.”

“Beh, cancelliamo il problema alla radice, allora. Stiamo zitti.”

“Bene.”, borbottò Kurt, facendosi piccolo piccolo contro il sedile del treno.

“Bene.”

Bene.”, ripetè Kurt in tono ancora più alto, lanciando a Blaine un'occhiataccia. Rimasero a fissare dei punti imprecisi fuori dal finestrino per diversi minuti, senza dire nemmeno una parola. Poi a Kurt venne in mente una cosa.

“Ne sentirai la mancanza?”

Blaine sbuffò una risata. “Di cosa, delle tue chiacchiere?”

“Ma no, genio. Della Russia.”, mormorò piano. Vide Blaine incupirsi appena, e si chiese se quella fosse la domanda giusta. “Era casa tua, no?”

Blaine si bagnò le labbra. “Non era propriamente casa mia.”, sussurrò senza guardarlo negli occhi. “Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti dall'Irlanda quando io ero ancora un ragazzino. La Russia era un paese grande e offriva più lavoro, e fummo fortunati a trovarne uno in cui ci pagavano bene. Poi ci fu la rivoluzione, e i miei ne rimasero coinvolti. Furono arrestati, non li vedo da allora.”

Kurt era senza parole.

“Io e mio fratello ce la cavammo da soli per un po', poi quando lui raggiunse la maggiore età mi lasciò per dedicarsi a una vita da artista in giro per l'Europa. E io, beh...io avevo quindici anni e niente in mano.”

“Blaine-”

“Puck mi trovò in mezzo alla strada e, beh- mi aiutò a cavarmela. E' stato proprio come una famiglia per me.”

Kurt si strinse nelle braccia, incapace di credere che Blaine avesse un passato di quel genere alle spalle. “Blaine, mi dispiace tanto.”

Blaine sbuffò. “Non voglio la tua compassione.”

“No, solo...non è compassione, sto solo cercando di dirti che mi dispiace.”

Blaine scrollò le spalle. “La vita è ingiusta, è allora? La maggior parte delle volte lo è. Non è che hai sofferto solo tu.”

A quel punto Kurt si sentì ferito nel profondo. Gli occhi cominciarono a pizzicargli, ma non aveva alcuna intenzione di piangere di fronte a Blaine, così si alzò in piedi.

“S-sei davvero una persona orribile, Blaine.”, borbottò, agitando le mani. E Blaine, tanto per confermare quello che Kurt aveva appena detto, incrociò le gambe davanti a lui per non farlo passare.

“Non ti ho di certo chiesto io di farmi un interrogatorio.”

“Ma non ti ho nemmeno puntato una pistola alla tempia! Ma immagino che non serva a molto dirti queste cose, tanto il tuo cervellino non riuscirebbe comunque a immagazzinarle tutte.”

“Dove stai andando?”, chiese Blaine a quel punto, vedendo che Kurt stava cercando di superare le sue gambe.

“Lontano dalla tua faccia.”, borbottò lui. “Sai, stavo- stavo solo cercando di essere carino.”

Blaine si rese conto solo in quel momento che Kurt sembrava davvero ferito. “K-Kurt, aspetta, io-”

“No ti prego, risparmiami una delle tue gentilezze.”, grugnì. “Sai, quando dico a qualcuno che mi dispiace non lo dico per dire. Ma forse chi lo sa, sono un Granduca, dovrei dirlo in modo diverso-”

A quel punto entrò Puck. “Che diamine succede qui?”

“Lascia stare.”, borbottò Blaine.

“Voglio solo che me togli dalle scatole!”, borbottò Kurt, asciugandosi bruscamente una lacrima.

“Che cazzo hai combinato, Anderson?”, sbottò Puck, mettendosi le mani sui fianchi e guardandolo con aria vagamente minacciosa.

“Io? Ma è lui!”, si difese Blaine. E a quel punto Kurt agitò le mani per aria e con un ultimo borbottio che assomigliava a un “Sei un tale bambino” lasciò la cabina, andando alla ricerca di in un posto in cui avrebbe potuto stare da solo.

Blaine si passò le mani tra i capelli. “Dei, è- è snervante, okay? E insopportabile.”

“Sì, e perché?”, gli chiese Puck. “Perchè è carino con te?”

Blaine a quel punto sospirò, mordendosi poi la carne del labbro inferiore.

“Senti, razza di idiota.”, cominciò Puck. “Adesso alzi il tuo nobile deretano e vai a recuperare il nostro principino che per colpa tua si è incazzato, e ti scusi. Sono stato abbastanza chiaro?”

“Ma Puck-”

“Niente ma Puck. Fila.”

E a quel punto, beh, Blaine non aveva molta scelta.

 

Blaine ringraziò qualsiasi cosa lo avesse convinto a lasciare la cabina per andare a cercare Kurt, perché scoprì per puro caso che quell'anno i visti d'uscita dovevano essere compilati in penna rossa – e naturalmente lui, Puck e Kurt ce li avevano compilati in penna blu. In poche parole, era come se stessero viaggiando senza biglietto, e se qualcuno li avesse trovati avrebbe sicuramente chiesto loro di scendere.

Kurt era vicino alla cabina del ristorante, fermo a fissare un punto fuori dalla finestra, quando Blaine gli passò di fianco e raccolse una sua mano. Non appena Kurt si rese conto che era lui fece per aprire dire qualcosa, ma Blaine gli mise la mano sopra la bocca, facendogli segno di fare silenzio.

“Shhh.”, soffiò, guardandosi intorno. “Devi tornare in cabina con me.”

Kurt si scostò dalle sue dita. “Ci so tornare anche da solo in cabina.”

Blaine alzò gli occhi al cielo. “Senti. Potrebbe...potrebbe dispiacermi, per prima.”

“Potrebbe.”

“Già. Uso il condizionale, perché la prossima battutina che farai di sicuro mi farà cambiare idea.”

“Oh, certo.”, ridacchiò a quel punto Kurt. “Beh, allora io credo che potresti tenerti pure le tue scuse, genio.”

Detto quello, Kurt superò Blaine e tornò verso la cabina.

 

Dieci minuti più tardi, Blaine e Puck stavano trascinando le loro valige in quello che aveva tutta l'aria di essere il vagone bagagli. Kurt si guardò attorno con aria smarrita, cercando poi gli occhi di Blaine.

“Immagino di capire che i biglietti non fossero perfetti quanto credevi, genio.”

“Mi sto solo assicurando che Vostra Altezza abbia tutto il comfort di cui ha bisogno.”, disse Blaine in tono mellifluo, accennando un piccolo inchino. Kurt alzò gli occhi al cielo.

“Guarda il lato positivo, immagina quanti gioielli ci saranno in tutte queste valige.”, disse poi Blaine.

“Valige che tu non oserai aprire.”

“Non prendo ordini da te.”, grugnì Blaine, mettendoglisi di fronte.

“Non era un ordine. Era più un ti prendo a calci nel sedere se lo fai.

“La volete piantare voi due? Sembrate una coppia di pensionati.”, si lamentò Puck.

Kurt e Blaine si girarono all'unisono verso di lui. “Mai.”, dissero insieme. Immediatamente dopo si guardarono, un vago sorriso irritato che sporcava le labbra di entrambi. Pochi istanti dopo, un forte colpo fece sbilanciare Kurt in avanti, ma Blaine prontamente fu in grado di allungare le mani per tenerlo tra le braccia e non farlo cadere.

“Che cosa è stato?”, chiese Blaine a quel punto, guardandosi in giro. Aveva la vaga impressione che il treno andasse più veloce di prima. Puck a quel punto camminò verso la porta che teoricamente avrebbe dovuto portare al vagone ristorante, ma si rese conto dalla piccola finestrella che c'era un enorme problema.

“Signori.”, disse. “Temo che da qui a breve il sottoscritto se la farà addosso.”

Kurt guardò Blaine con un'espressione di puro panico.

“Il vagone ristorante si sta allontanando.”, balbettò poi Puck. “Q-questo significa che siamo sostanzialmente morti.

Blaine sbuffò e lasciò andare Kurt per correre verso l'altro lato del vagone. Spalancò la porta verso l'esterno, e si sporse fuori per cercare di capire cosa stava succedendo nella locomotiva.

“Blaine-”, cercò di chiamarlo Kurt, ma fece appena in tempo ad avvicinarsi che Blaine saltò da un vagone all'altro. Kurt lo aspettò con il cuore in gola, e dopo diversi minuti Blaine con un nuovo balzo tornò nel vagone bagagli.

“Non c'è nessuno alla guida di questo dannato treno.”, grugnì, togliendosi la giacca.

“Ottimo.”, sussurrò Puck. “Siamo ancora più morti.”

“Non è detto.”, borbottò Blaine, recuperando da uno dei grossi scatoloni che c'erano lì un piccolo martello. Si diresse verso tutti i ganci di ferro che legavano una carrozza all'altra, e con qualche colpo, immaginò Kurt, tentò di romperli.

“Andiamo bene, Anderson.”, urlò Puck. “Al prossimo Natale se abbiamo fortuna ti ritroveremo lì.”

“Fanculo Noah, almeno ho avuto un'idea.”, borbottò Blaine. Dopo qualche altro colpo il martello gli si ruppe tra le mani.

Kurt a quel punto sbuffò: cominciò ad andare in giro per il vagone per controllare che ci fosse qualsiasi altra cosa che poteva permettere loro di separarsi dalla locomotiva. Stava quasi per perdere la speranza, quando si accorse che in una piccola scatola era raggruppata della dinamite. Senza pensarci due volte ne raccolse una e la accese con dei fiammiferi che trovò lì affianco, e corse verso Blaine per potergliela dare.

“Che cavolo- è dinamite!”, gridò Puck. Blaine sorrise nella direzione di Kurt. La raccolse dalle sue dita e la sistemò tra i vari ganci di ferro, per poi sollevarsi e e tornare sul treno. Raccolse una mano di Kurt e lo portò più lontano possibile, proteggendolo con le braccia.

“Sei completamente pazzo.”, sussurrò con un sorriso. “Che diamine ti hanno insegnato in quell'orfanotrofio?”

Un momento dopo la dinamite esplose, di fatto separando finalmente la locomotiva dal loro vagone. Stavano continuando a procedere per inerzia ad alta velocità, cosa che non sembrava per niente spaventare Blaine.

“Ottimo. Adesso basta solo aspettare, no? Prima o poi ci fermeremo.”, disse, pulendosi le mani sopra i jeans.

Kurt guardò dietro Blaine e il suo cuore perse mille battiti. C'era un ponte, a poca distanza da loro, un ponte che teoricamente avrebbe dovuto essere intero, che ora stava cadendo in mille pezzi.

“S-stavi dicendo?”, sussurrò Kurt.

Siamo morti.”, borbottò Puck. “Siamo fottutamente e irrimediabilmente morti-”

“Puck, passami una catena.”, gridò Blaine, dirigendosi verso il fondo del vagone. Puck fece per raccogliere una catena che c'era vicino ai suoi piedi, ma un movimento brusco del vagone lo fece cadere, così Kurt decise di prenderla al suo posto e andare verso Blaine, che si era arrampicato sotto il treno. Si sporse leggermente e la passò a Blaine con cautela.

“Mi pareva di aver detto Puck.”, borbottò Blaine, guardandolo storto.

“Puck è occupato al momento.”, gridò Kurt, per sovrastare lo stridio del vagone che continuava a viaggiare sulle rotaie. Blaine alzò gli occhi al cielo e prese tra le mani la catena che terminava con un gancio a forma di un uncino. Aspettò il momento giusto e la lasciò cadere in modo che il gancio si ancorasse ai binari che c'erano sotto di loro, ma Blaine non aveva messo in conto che la velocità con cui il vagone si stava muovendo era ancora troppa da permettere al gancio di funzionare immediatamente. Diversi binari si alzarono insieme alla neve, e Blaine ne vide uno schizzare esattamente verso il suo corpo, un momento prima che con uno sforzo enorme Kurt lo tirasse su.

Si guardarono intensamente, i visi a pochissima distanza, poi cercarono con gli occhi il legno spezzato che si era incastrato sotto le ruote del vagone.

“Quel pezzo di legno potevi essere tu.”, sussurrò Kurt. Si tirarono su insieme, sistemandosi i vestiti.

“Se ne usciremo vivi-”, borbottò a quel punto Blaine. “Ricordami di ringraziarti.”

Aiutarono Puck a uscire dalla scatola in cui era caduto, dopodichè raccolsero le poche cose che avevano e si sistemarono vicino al bordo del vagone, pronti a saltare sulla neve.

“Beh, direi che questa è la nostra fermata.”, sussurrò Kurt, cercando poi gli occhi di Blaine. Lui gli sorrise leggermente, e solo dopo aver chiuso gli occhi, saltarono.

 

***

 

Blaine aprì gli occhi di scatto, rendendosi conto di essere atterrato sopra una soffice coltre di neve – sentiva freddo tutto attorno a lui e i suoi denti battevano, ma gli sembrava di non avere niente di rotto. Cercò di alzarsi da terra per vedere dove fossero finiti Puck e Kurt, ma attorno a lui non trovò nessuno. Si alzò velocemente in piedi recuperando una valigia che era caduta lì di fianco, e cominciò a camminare in mezzo alla neve, almeno finchè sotto di lui non sentì qualcosa.

“E che cavolo, Anderson!” borbottò Puck, emergendo da sotto la neve. “Non sei di certo una piuma!”

Blaine alzò gli occhi al cielo e aiutò Puck ad alzarsi da terra. “Dov'è Kurt?”, chiese in un soffio, e si stupì della sfumatura di preoccupazione che assunse la sua voce. Non lo vedeva da nessuna parte.

“Kurt!”, gridò Puck a quel punto, senza curarsi che in quel modo aveva molto probabilmente danneggiato un timpano di Blaine. Cominciarono a cercarlo vicino al punto in cui entrambi erano caduti, Blaine che sentiva una strana ansia crescergli nel petto. Non che fosse preoccupato, quello no. Insomma, per la maggior parte del tempo lui e Kurt non avevano fatto altro che litigare, e di sicuro non teneva a lui, non lo riteneva importante. O meglio, era importante per la missione, ma non poteva esserlo per Blaine.

C'erano tutti quei pensieri nella mente di Blaine quando da lontano sentì il suo nome biascicato sotto voce. Era Kurt: Blaine lo trovò vicino a un piccolo albero, e si precipitò verso di lui con il cuore che batteva come mille cuori.

“Kurt- ehy.”, soffiò Blaine una volta che si inginocchiò di fianco a lui. Non ebbe la minima idea del perchè lo raccolse tra le braccia e di nuovo non seppe spiegare perchè gli scostò un ciuffo di capelli dalla fronte. Il suo corpo fece tutto da solo – e sì, Kurt sembrava stupito quanto lui.

“C-credo di essermi slogato una caviglia.”, borbottò Kurt con una smorfia di dolore. “M-mi fa davvero male, e-”

“Ci penso io.”, disse piano Blaine, aiutandolo ad alzarsi da terra. Persero leggermente l'equilibrio quando furono in piedi, e Kurt fu costretto ad aggrapparsi al corpo di Blaine, i loro visi che improvvisamente erano estremamente vicini.

Blaine – oh dio, lui non aveva mai notato di quanti colori fossero gli occhi di Kurt.

“P-posso camminare da solo.”, si lamentò Kurt, stringendo tra le dita la giacca di Blaine e leccandosi le labbra. Blaine si sforzò di non alzare gli occhi al cielo.

“C-certo, come no.”, borbottò Blaine, facendo passare un braccio al di là del fianco di Kurt. “Avanti, fatti aiutare.”

“Pensavo che preferissi farti un bagno in un laghetto ghiacciato piuttosto che aiutarmi.”, disse Kurt ridacchiando.

“L'idea del bagno non è poi così male.”, borbottò Blaine. “Ma poi ti avrei sulla coscienza, e non so se potrei avere a che fare con il tuo fantasma. Sarebbe ancora più irritante della vera versione di te.”

“Se diventerò un fantasma allora sarai la prima persona a cui farò scherzi.”, promise Kurt. Non seppero nemmeno capire perchè si ritrovarono a ridere e a cercare gli occhi dell'altro mentre lo facevano. Quando Blaine rideva aveva questa abitudine di allargare gli occhi – ed era carino. Purtroppo e in modo assurdamente reale, Blaine era carino.

“Ehy, voi-”, li chiamò Puck a un certo punto. “C'è una piccola baita giù di qui. Possiamo fare una pausa.”

Blaine e Kurt annuirono all'unisono, per poi cominciare a camminare aggrappati verso questa piccola baita. Mentre camminava aggrappato a Blaine, Kurt si disse per la prima volta che quel ragazzo fosse in realtà molto di più di quello che voleva dimostrare.

 

Quando Kurt riaprì gli occhi diverso tempo dopo si rese conto di essere ancora sullo strano letto di paglia sul quale Blaine lo aveva aiutato ad appoggiarsi una volta arrivati alla baita. Attorno al piede che si era slogato si accorse di avere una tovaglia bagnata di acqua calda, e anche sulla fronte gli era stato messo un panno bagnato. Fece per sfiorarlo con le dita, quando Blaine comparve accanto a lui.

“Ehy.”, disse con un piccolo sorriso. “Non toglierlo. Avevi un po' di febbre quando siamo arrivati.”

Kurt sbattè le palpebre, sentendo per qualche strana ragione che stava arrossendo. Distolse lo sguardo e cominciò a giocherellare con i lembi della coperta, mordicchiandosi il labbro inferiore.

“Mi dispiace di rallentare il viaggio.”

Blaine aggrottò la fronte. “Non devi dispiacerti. Quello che è successo sul treno non è stato di certo colpa tua.”

“Per un attimo ho temuto la dessi a me.”

Blaine ridacchiò. “Ci ho pensato. Ma poi avevo questa sensazione che mi avresti strangolato nel sonno.”

Fu il turno di Kurt di ridacchiare – in quel modo spensierato che non aveva mai sperimentato prima con Blaine. Si chiese cosa stesse succedendo, ma al contempo non riusciva a darsi una risposta.

“In ogni caso-”, iniziò Blaine, passando le dita tra i capelli. “...siamo sopravvissuti.”

“Siamo sopravvissuti.”, confermò Kurt, sorridendo appena.

“Beh, ti avevo fatto una promessa.”, borbottò Blaine a quel punto. Kurt alzò leggermente un sopracciglio, non capendo dove Blaine volesse arrivare.

“...grazie.”, soffiò a quel punto Blaine. Guardandolo negli occhi, un leggero luccichio che giocava con il miele che era incastonato nei suoi. “Solo...grazie. P-per quello che hai fatto mentre eravamo sul treno.”

Kurt a quel punto era piuttosto senza parole. “Oh- uhm- di niente. Insomma, mi sarebbe...mancato non poter litigare più con te.”

Blaine ridacchiò – di nuovo. “Già. Sarebbe mancato anche a me.”

.





 

.





 

.

Alcune note per fare chiarezza su certe cose:
-Ci ho messo un po' a deciderlo, ma come vedete almeno all'inizio del capitolo Kurt si fa chiamare Ky (e anche durante la narrazione assume quel nome) poi torna Kurt. Avrei dovuto tenere Ky fino alla fine ma non mi convinceva tantissimo! Nella mia testa, si legge semplicemente “Chi”, un po' come “Chiave”, in inglese, “Key”. In russo, Kurt si scrive “Kypt”, quindi ho pensato di abbreviarlo semplicemente. Questo perché all'inizio della storia Anastasia si fa chiamare Ania, perché non sa di essere la vera Imperatrice ;)
-"Nebol'shoy”, il nome che spesso usava la nonna, vuol dire ragazzo. Nel primo capitolo mi sono dimenticata di dirvelo!
-Uhm, io di russo non so proprio un bel niente. Non lo studio, ho solo delle amiche che lo fanno e a cui ho chiesto chiarimenti, quindi prendete quello che c'è scritto con le pinze. Anzi, se avete correzioni non esitate a dirmelo!
Ringrazio ulteriormente le persone che stanno leggendo, siete troppo carini! A presto con la terza parte <3
 
Je <3
   
 
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