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Autore: Ziggie    17/04/2015    0 recensioni
Mycroft e Sherlock. Due fratelli, due facce della stessa medaglia, due tra i più brillanti uomini che servono l'Inghilterra. Ma com'era la loro vita prima dei fatti che tutti noi conosciamo? Perché sono arrivati ad essere così schivi l'uno con l'altro? Questa long fiction si propone di esplorare questo mondo antecedente ai fatti della BBC collegandolo con alcuni fatti e personaggi del nuovo film Kingsman, The Secret Service, attraversando la serie per superarla ed arrivare ad un ipotetico e se? da dietro le quinte, sperando di cogliere nel segno.
Non solo Sherlock e Mycroft, ma ci saranno altri personaggi a coronare questi capitoli, un nome a caso: Anthea.
Buona lettura e, mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Anthea, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccoci arrivati ad uno dei capitoli più crossover della storia. Non so quanti di voi hanno visto Kingsman, The Secret Service, ma è da quando i miei occhi si sono posati sul grande schermo, che medito questa storia. Se non avete visto il film, non ha importanza, alla fine la storia scorre tranquillamente. Ringrazio tutti coloro che mi fanno avere i loro pareri sia tramite il programma recensioni del sito, sia al di fuori di esso: mi rendete davvero felice, grazie! Ora vi lascio alla storia, buona lettura e se vi va, ditemi cosa ne pensate.
 


5. Manners Maketh Man


 
Divertimento, una parola non di uso comune nel mio vocabolario e solitamente usata in modo inopportuno quando io e mio fratello analizzavamo ogni mossa di nostro cugino, mettendolo con le spalle al muro, in imbarazzo: ah, i vecchi tempi!
Divertimento, questa è la parola per descrivere il mio approccio con i Kingsmen e gli anni di formazione tra le loro fila: non era il college, ma gli anni di studio erano gli stessi; non era il college, ma la qualifica finale sarebbe stata uguale, con una conoscenza a trecentosessanta gradi su una quantità di argomenti notevole; non era il college ed il lavoro sul campo poteva costarti la vita.

I primi due anni e mezzo prevedevano quasi tutti gli esami teorici del corso: dottrine e istituzioni politiche, diritto nazionale e internazionale, storia dell'Inghilterra, storia generale, storia dei servizi segreti, chimica, nozioni scientifiche, fisica e le lingue basilari come lo spagnolo, l'italiano, il francese, il tedesco, l'arabo e le lingue orientali. Dalla seconda metà del terzo anno, gli esami teorici diminuirono e si lasciò spazio alla pratica e all'addestramento sul campo: tutto quanto avevamo appreso negli anni precedenti tornava utile per calcolare, ad esempio, la velocità del proiettile, la miglior traiettoria di questo, evitare il rinculo del calcio di qualsiasi arma da fuoco e via discorrendo. Sei anni di teoria e pratica che ti preparavano al mondo dello spionaggio; sei anni di teoria e pratica che solo pochi eletti riuscivano a portare a compimento; sei anni in cui lo studio non fu mai così divertente. Era tutto come un gioco, nonostante ero conscio e ben attento a valutare la gravità della situazione che mi gravava attorno. Ero il più razionale della mia squadra, colui che teneva le redini del gioco e che non esitava mai ad andare in prima linea quando era richiesto.

Non avevo mai avuto amici, non ne avevo mai sentito il bisogno, non avevo mai capito perché dovessi relazionarmi con altre persone quando queste piccole menti erano così lente a comprendere. Questo però non aveva nulla a che vedere con i Kingsmen, perché lo spionaggio, la crescita della persona, dell'io esteriore ed interiore porta a rivedere le priorità e a piccoli o grandi cambiamenti. Una squadra è come una famiglia, la maggior parte delle volte vige il motto "uno per uno e uno per tutti", in rare occasioni quel del "chi indietro rimane, indietro viene lasciato". Uniti nella gran parte dei casi, coinvolti mai. Il numero standard di componenti del gruppo era dieci, dall'inizio della seconda metà del terzo anno al quarto inoltrato quel numero calò fino ad arrivare a restare fisso sul quattro. Io, Harry, Jack e Mark eravamo molto abili e attenti singolarmente, infallibili e veloci in gruppo, tanto che riuscimmo ad ottenere il nome in codice prima del diploma, cosa che poteva permettere ai superiori di portarci in missione qualora avessero voluto. A Mark fu assegnato il nome di Merlin, ad Harry quello di Galahad, Jack divenne Lancelot, io fui Galvano. Eravamo un gruppo omogeneo, uniti dalle stesse passioni, dagli stessi interessi; con Merlin ci trovavamo spesso dopo lo studio e parlavamo di armi e modi di agire perché dei quattro eravamo coloro affascinati al dietro le quinte, da sempre convinti che per salvare il mondo non occorre solo la destrezza sul campo, ma anche un buon manovratore nascosto. Con Galahad e Lancelot verteva più sull'eleganza e la politica internazionale.

Era il mese di Aprile del quarto anno all'accademia dei Kingsmen quando Artù venne nella nostra camerata e ci invitò a seguirlo senza proferir parola. Il percorso mi ricordò molto quello che avevo intrapreso anni prima quando quello stesso uomo era venuto a bussare alla porta della mia camera al college, ma questa volta prese un'altra direzione fino a raggiungere una sorta di nuovo vagone della metropolitana. Salimmo tutti e cinque ed il viaggio durò si e no una decina di minuti, conducendoci ad una sorta di scantinato ricco di manichini e scatole che tanto pareva una cantina di una sartoria. Artù ci fece strada e salimmo le scale che ci condussero ad uno dei negozi più eleganti del centro di Londra: la boutique di Mr Porter. Era un piccolo angolo di paradiso con vestiti eleganti e stoffe pregiate degne delle migliori sartorie. Artù parlò con l'uomo dietro al bancone e, nel giro di pochi minuti, questo alzò lo sguardo su di noi e ci sorrise.

- Allora signori, chi è il primo? - chiese gentilmente, mentre noi lo guardammo tra lo spaesato e l'eccitato.

- Io - esclamai facendo un passo avanti, seguendolo in uno stanzino, dal quale uscii diversi istanti dopo con un'espressione soddisfatta dipinta sul volto. Avevo scelto una stoffa gessata grigio melange per l'abito, un gessato più chiaro, ma non troppo, per il gilet ed una serie di camicie e cravatte da alternare. Il tutto mi sarebbe stato recapitato all'accademia di lì a qualche giorno e nel frattempo attesi che anche gli altri scegliessero mentre mi guardavo attorno soddisfatto.

- Sono rari i casi in cui le persone del quarto anno entrano qui, vero? - chiese Lancelot.

- Così come è raro il fatto che già avete un nome con il quale potete partecipare a delle probabili missioni - replicò Artù in tono ovvio - ma le sorprese non sono ancora finite -.

Si, le sorprese non erano ancora finite e quando Merlin terminò la sua prova d'abito e misure aggirammo il bancone ed entrammo in un'altra porta sul retro di questo, che si aprì su una grande stanza color ocra con mensole in ebano nero ed una fievole luce ad illuminare quanto sostenuto dagli appositi sostegni: armi di ogni sorta, ombrelli, taccuini, altre eleganti chincaglierie. Capitava raramente rimanessi stupito per qualcosa, solitamente sapevo dosare il mio stupore, essendo molto razionale nei sentimenti, ma quella fu una delle prime volte che capitò il contrario, tanto che se Merlin non mi avesse dato un lieve pizzico sul braccio avrei seriamente pensato di esser perso in qualche mio sogno.

- Le buone maniere determinano l'uomo, l'eleganza e gli oggetti di cui si circonda tendono a fare il resto - esordì Artù - occorre sempre guardare oltre a ciò che si vede. Un ombrello, per esempio, può rivelarsi un'arma inaspettata quanto efficace e letale - ne prese uno e fece una dimostrazione, aprendolo come un normale ombrello, ma sparando un proiettile dal puntale in ferro che andò dritto al centro di un bersaglio posto in fondo alla stanza: una mossa che ebbe tutta la mia attenzione. - Ogni cosa può essere un'arma, la può contenere e meno è visibile e più ci garantisce di muoversi con discrezione - sbatté il tacchetto della scarpa e ne fuoriuscì una lama, prese una semplice penna Mont Blanc e ci mostrò in che modo questa potesse essere l'innesco per attivare una bomba, per passare poi al modo in cui un semplice orologio potesse essere letale o quasi con alcuni dardi soporiferi o avvelenati nascosti al proprio interno.
Non sapevo cosa mi avrebbero riservato la vita o gli ultimi due anni all'accademia, non mi piaceva fare progetti su quanto non conoscevo, quanto stavo toccando con mano era più che sufficiente ad attirarmi sempre di più verso il ruolo delle organizzazioni segrete in difesa del'Inghilterra e del resto del mondo.

*

L'unica cosa frustrante era non poter rivelare nulla nemmeno alla propria madre. In quei quattro anni c'erano state delle mezze verità, ma mai mi ero sbilanciato troppo e Sherlock aveva mantenuto il segreto. Quando l'addestramento lo permetteva e non c'erano esami o missioni imminenti, tornavo spesso a casa nei weekend. Fu una cena modesta quella che mia madre cucinò una sera di inizio Maggio: polpettone, insalata di patate e pudding come dessert. Non era un caso che avesse scelto due dei miei piatti preferiti, così come non era troppo normale tutto quel silenzio durante il pasto, mi aspettava sicuramente un dopocena dal sapore amarognolo.

Attesi che Sherlock e mio padre ci lasciassero soli e l'aiutai a sparecchiare, in attesa che lei iniziasse un discorso  - Ultimamente non vola una mosca a tavola, sai? Sherlock diventa più taciturno ogni giorno che passa e quelle occhiaie sul suo volto raccontano più delle parole non dette - fece una pausa mentre prendeva i piatti che le porgevo ed iniziava a lavarli - grazie a te so solo che si è inimicato diversi gruppi a scuola ed è per questo che io temo possa finire in cattive compagnie -.
 
- Ah, la carriera piratesca che avanza! - osservai con ironia, venendo fulminato con lo sguardo da mia madre - Ha quattordici anni, è in piena adolescenza e frequenta una delle scuole più importanti della città, io sarei contento di sapere che non è stato ancora espulso nonostante tutti questi "nemici" attorno, non credi? -

- È compito di una madre preoccuparsi per suo figlio - feci un leggero sospiro in quanto tra i due era sempre Sherlock quello a venire sempre preso in considerazione - e questo vale anche per te, signorino - esordì subito dopo, una frase che mi fece aggrottare le sopracciglia e mi portò sulla difensiva.

- Mamma, sono al college, cosa vuoi che accada? - esordii io con un altro sospiro.

- È proprio questo! Tutto questo essere vago, questo non accadere nulla che mi porta a sospettare che ci sia qualcosa, sia da parte tua che da parte di tuo fratello - scossi il capo ridacchiando appena e rivendendo nell'apprensione di mia madre sia me, che Sherlock quando eravamo alle prime armi nel gioco della deduzione.

- Sospettare… E di cosa? Del tuo stesso figlio che sta facendo tirocinio presso alcuni uffici del Governo o dell'altro che è in piena fase adolescenziale? - feci una pausa per studiare l'espressione stupita e quasi orgogliosa della donna, ma lo diedi il tempo per parlare, non avevo ancora finito - Non vivere nell'apprensione, mamma. Sei al sicuro con le nostre scelte - la baciai in fronte e sorrisi - così al sicuro che questa notte dormirò qui - esclamai facendo per andarmene, dopotutto quanto c'era da dire lo avevamo trattato.

- Mycroft Holmes e tu pensi di darmi una notizia del genere e poi farla franca? - esclamò in tono di rimprovero, seguendomi svelta per abbracciarmi, senza darmi il tempo di replicare, ma solo quello di godermi il momento. Quegli attimi stavano diventando sempre più rari ed essere così ligio e razionale spesso portava a dimenticare quanto un piccolo gesto potesse trasmettere calore - sono orgogliosa di te, figliolo e grazie -.

Sorrisi, sapevo che quel grazie stava a racchiudere non solo la mezza verità sciorinata, ma anche le parole dette in merito a Sherlock, il mio controllo su di lui da dietro le quinte; mio fratello era sempre stato il più irascibile e testardo tra noi due e a me non dispiaceva tenerlo sotto controllo ogni tanto, osservando quanto si inventava per tirarsi fuori o mettersi nei guai.

Proseguii verso camera mia ed una volta imboccato il corridoio sentii una melodia a metà tra il dolce e il malinconico, che si tramutò svelta nell'inno inglese quando i miei passi si avvicinarono alla porta aperta.

- Una provocazione o un saluto? - esclamai poggiandomi allo stipite della porta.

- Esercizio - si voltò appena, rispondendomi pacato - e poi non dirmi che, ti dispiace sentire l'inno della nostra amata madre patria, ora che sei quasi un suo degno agente -.

- Sbaglio o nel tuo tono c'è del risentimento, Sherlock? - puntualizzai.

- Io? Perché mai dovrei essere risentito? - scosse appena il capo - Non sono risentito per le cose non dette o per quelle lasciate in sospeso. Non sono risentito per le volte in cui mi hai promesso che ci saresti sempre stato quando ne avessi avuto il bisogno. No, Mycroft, non sono risentito - si voltò di scatto verso di me, posando sulla sedia della scrivania il violino e il suo archetto, mentre io cercavo di venire a capo di quel suo sfogo, colto in contropiede, in silenzio.

- Non sono mai venuto meno alle mie promesse, credo che tu lo sappia questo -

- Si, conosco il tuo modo di agire dietro le quinte, riconosco la gran parte dei messaggi che mi mandi indirettamente, ma a volte gradirei trovare qualcuno con cui parlare in quella camera di Cambridge -

- Sai, Sherlock - mi avvicinai e gli posai una mano sulla spalla, accovacciandomi quanto bastava per essere all'altezza del suo sguardo, ormai non era poi così più basso di me - a volte non fa male sciorinare un "mi sei mancato" -

- È strano sentirtelo dire - commentò aggrottando la fronte.

- È giusto un momento, mi passerà - esclamai con un sorriso, che venne ricambiato.

Non eravamo mai stati avvezzi ad aprirci a sentimenti, a lasciarci andare ai ti voglio bene e simili frasi melense e tipiche delle persone comuni, normali. Sapevamo che esistevamo l'uno per l'altro, la razionalità vinceva su tutto, ma la chimica molte volte la faceva da padrone e quello era uno dei tanti casi. Sette anni di differenza potevano essere tanti, le strade che si sceglievano di seguire diverse, ma eravamo fratelli, due facce della stessa medaglia così simili quanto diversi; sempre l'uno al fianco dell'altro anche se lontani. 
  
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