Attorno al tavolo della cucina quella mattina c'era un gran silenzio, le facce affondate nelle tazze e nei piatti, ma gli occhi vigili e attenti. Perfino Mikey, che solitamente ciarlava da presto e si scofanava otto o nove ciambelle, era teso e quieto e aveva mangiato solo un paio di pancake con un po' di miele.
Isabel
assaporava con calma la sua tazza di caffelatte, l'unica che facesse
una colazione di vago stampo italiano; con lo sguardo sopra il bordo
della tazza teneva d'occhio gli altri e pensava.
Quelle otto
persone stavano per sfidarsi in un prestigioso quanto competitivo
torneo, che fossero tesi era il minimo; e se gli ospiti erano ben
scusati, dato che non sapevano cosa aspettarsi, i quattro mutanti che
ormai vi avevano partecipato ben tre volte non erano per quello meno
nervosi.
Poi
i suoi occhi scuri incontrarono brevemente quelli di verdi di Joi, ma
quest'ultima distolse lo sguardo in fretta.
Non sapeva cosa
pensasse della sua sparizione della notte prima, se sapesse o
sospettasse che era andata nella camera di Raphael, e non le
importava; con quella domanda, col suo strano comportamento, Joi le
aveva fatto capire che forse quello che provava per Raphael non si
era assopito. E vedendo lei, un'umana, stare con lui, forse anche un
po' della paura se n'era andata.
Ma Raphael era suo. E non le
avrebbe permesso di riavvicinarlo.
Nella
strana atmosfera tesa tutti finirono di mangiare e si alzarono per
andare a prendere i loro bagagli, niente più che uno zaino
per
ognuno, stando bene attenti ad avere con sé il Kunai
dell'invito.
Splinter, Isabel e Steve li attendevano vicino
all'entrata, tra essa e la porta dell'ascensore precisamente, e il
maestro ne approfittava per disegnare nel muro il simbolo per il
portale, con un gesso blu: questa volta però,
disegnò due simboli,
distanziati un metro l'uno dall'altro.
Arrivarono.
E
gli otto sfidanti si scissero senza una parola in due gruppi: i
mutanti da una parte e gli umani dall'altra.
“La
fase di qualificazione del torneo ha luogo oltre le mura esterne
della città, per cui noi non potremo seguirle. Andrete
avanti... e
vi farete onore, lo so. Fate sì che possiamo vedervi al
Battle
Nexus” disse Splinter, osservando con particolare attenzione
i suoi
figli.
Leo
si fece avanti e congiungendo le mani gli fece un piccolo inchino,
poi una volta rialzato, si portò vicino al padre, anche lui
con le
mani in preghiera: entrambi iniziarono una nenia soffusa, difficile
da capire, e la pozza d'acqua che Splinter aveva precedentemente
gettato a terra iniziò a sobbollire e vibrando, seguendo le
sollecitazioni del loro canto, si inerpicò sul muro creando
l'arco
luminoso, pulsante di vita propria.
Sentirono i quattro umani
trattenere il respiro di fronte a quel prodigio, con gli occhi
spalancati di sorpresa.
I
due portali vorticavano in loro attesa, uno di fianco all'altro.
“Noi
andremo da questa parte” esclamò Leo puntando
quello di destra,
rivolto ai suoi fratelli. Dopodiché si voltò
verso gli altri
accoliti, che aspettavano delle direttive.
“Il
vortice vi porterà al posto del primo scontro. I vostri
avversari
potrebbero essere già lì o arrivare poco dopo di
voi. In bocca al
lupo.”
E con quell'ultimo augurio, Leo oltrepassò il proprio
portale, sparendo alla vista.
Dall'altra parte anche Faraji,
dopo aver salutato con cortesia per la loro ospitalità, si
infilò
nel suo portale, in una luce rosata.
E
mentre gli altri si apprestavano a seguirli, Raphael ne
approfittò
per salutare Isabel.
Un bacio. Niente di sconvolgente, niente di
eclatante, ma fu la naturalezza con cui lo fece, anche se c'erano gli
altri, anche se c'era Joi. Ma a lui non importava nulla di
Joi.
Isabel arrossì per la sua irruenza, sorpresa.
“Ci
vediamo al palazzo del Daimyo” le sussurrò
all'orecchio, come una
promessa.
“Ci
conto” le urlò invece lei, per raggiungerlo prima
che
oltrepassasse il portale. E forse il sorriso che gli aveva visto in
viso se l'era solo immaginato, ma le scaldò il cuore.
I portali si richiusero quando Tora e Don furono oltre, gli ultimi delle loro file. Collassarono su sé stessi e si liquefarono in due pozze innocue sulle mattonelle gialle.
Steve
pareva un po' preoccupato.
“Dobbiamo
viaggiare anche noi così?” domandò dopo
qualche istante,
perplesso.
Splinter gli sorrise tranquillo.
“Noi
siamo ospiti, abbiamo un portale diverso ad attenderci. Ma prima
dobbiamo prepararci, no?” chiosò particolarmente
contento, il
sorriso che andava allargandosi sul suo muso.
Il
flusso azzurro del portale li trascinò con la sua
impetuosità verso
l'uscita, nel vortice azzurro che era il tramite tra i passaggi.
Ormai erano abituati. Se la prima volta ne erano stati sopraffatti
tanto da finire poi col sedere per terra una volta fuori, con
l'esperienza delle loro volte successive avevano capito come
attraversare il passaggio in sicurezza, godendosi il breve
tragitto.
Il secondo portale apparve alla fine del flusso,
splendente e dalla forma ovale, differente da quello di
entrata.
“Pronti,
ci siamo!” urlò Leo, il primo ad arrivare. La
corrente lo spinse
oltre, immediatamente.
Uscì
in una radura, controllando con occhi attenti nelle vicinanze, mentre
compiva dei passetti per lasciare campo libero agli altri: Mikey,
Raph e Don apparvero nell'ordine, anche loro perfettamente in piedi e
guardinghi.
Il portale scomparve con un debole fruscio, ormai
dimenticato.
“Questo
posto sembra sempre lo stesso” disse Raphael, studiando
circospetto
i dintorni.
In effetti non poteva essere lo stesso posto delle
loro lotte preliminari passate, ma l'aspetto dei terreni fuori dalle
mura della città sembrava costantemente identico: boschetti
bassi e
ombrosi che si aprivano su radure brulle e ricche di sterpaglie, e
poi rovine, rovine di statue e costruzioni sgretolate che giacevano
in mezzo all'erba, che raccontavano di grandi fasti del passato ormai
perduti.
Donatello aveva sempre desiderato sapere a quale epoca
e popolo appartenessero quelle rovine, senza aver però mai
potuto
trovare davvero il tempo.
In basso, rispetto a dove si trovavano loro, lontana e piccola, la città del Nexus splendeva di fulgida bellezza, cinta da alte mura e abbracciata dalle due cascate che cadevano alle sue spalle.
“Sembra
che siamo arrivati per primi” constatò
Michelangelo, che pareva
fin troppo rilassato, una volta scoperto di essere
soli.
“Arriveranno”
esclamò Leo, tenendo d'occhio i dintorni per scorgere
qualcosa.
“Stavo
pensando: quanti gruppi di quattro sfidanti possono esserci al Battle
Nexus? Non sarebbe orribile se venissimo accoppiati con gli altri
accoliti per questo?” chiese Donatello, un po' amareggiato.
La
sua domanda causò un'ondata di panico e gli occhi si
cercarono nel
silenzio.
“Beh,
prima o poi dovremo affrontarli. Ma non credo che saranno loro per
ora, sarebbero già qui, non credete?” disse Leo,
con
confidenza.
In effetti essendo partiti in contemporanea,
sarebbero stati già lì con loro; invece
continuavano a guardare
l'area che li circondava in attesa, ma non c'era una presenza,
nessuno in vista.
“Io
ho sempre pensato che forse una volta dovremmo provare a venire
ognuno per conto proprio” affermò Raphael
convinto. “Per
metterci alla prova da soli.”
“E
sai che ridere se poi noi vinciamo e tu non passi nemmeno le
qualificazioni, Raphie?” ridacchiò la solita voce,
che nemmeno
alle porte di un torneo smetteva di trovare divertente punzecchiare
suo fratello.
“Tu
prega di non trovarmi alle preliminari, Mikey. Chissà che ti
può
succedere, senza nessuno che possa testimoniare!” fu la
risposta,
nemmeno troppo astiosa, ma di certo minacciosa.
Michelangelo
sorrise con quel suo fare fastidioso, spostandosi un po' da Raphael,
percependo la portata delle sue parole. E in un clima di attesa come
quello facevano anche più paura.
“Smettetela
voi due!” li riprese Leo, con lo sguardo però
rivolto altrove,
scrutando tra i tronchi del sottobosco con gli occhi ridotti a
fessura.
In quel momento, con un sibilo morbido, un secondo
portale si aprì sulla radura, turbinando su sé
stesso impazzito:
dal fiotto di luce abbagliante iniziarono ad uscire i loro sfidanti,
nell'agitazione crescente.
“Ma
dai! State scherzando?” tuonò Raphael sconvolto,
all'improvviso,
mentre Mikey scoppiava a ridere e rise talmente tanto che quasi perse
l'equilibrio.
I
loro avversari erano di una dimensione aliena, probabilmente, e il
loro aspetto ricordava in tutto e per tutto quello di quattro grosse
e inquietanti…
“Blatte!”
esalò Raph, che ancora non ci credeva. Le risate di Mikey si
fecero
più forti.
I
quattro erano indubbiamente degli scarafaggi, dalle antenne alla
corazza coriacea, alle mandibole che colavano un liquido vischioso
mentre schioccavano nella loro direzione. Gli occhi glauchi
brillavano di intelligenza e pericolosità.
Solo la loro stazza
era decisamente anormale, quasi due metri di mostruoso insetto,
più
alti perfino di Raphael.
Quest'ultimo
era assurdamente turbato, lo sguardo che saettava folle verso gli
enormi insetti.
E se Mikey non avesse smesso immediatamente di
ridere come un folle della sua fobia lo avrebbe ucciso.
Il
portale alle loro spalle svanì come era arrivato e i quattro
insetti
si alzarono sulle zampe posteriori, più robuste e grandi
delle
altre, arrivando ad un'altezza vertiginosa. Li osservavano dall'alto
in basso con aria predatoria.
“Possono
alzarsi anche in piedi!” esalò strozzato Raph, che
ormai se ne
fregava se Mikey o gli altri potevano percepire la sua paura.
“Ok,
ragazzi, uno per ciascuno. Scegliete il vostro!”
ordinò Leo
all'istante, gettandosi contro il suo avversario.
Non che la
scelta fosse difficile: quei grossi insetti erano tutti uguali ai
loro occhi.
Gli otto sfidanti si divisero in quattro coppie e
così Raph si trovò da solo a fronteggiare una
versione
pantagruelica della sua più enorme paura e vergogna.
E
tuttavia lui non si sarebbe arreso ad essa.
Deglutì a vuoto.
Spiccò
una corsa veloce, diretto a testa bassa contro il suo opponente, ma
quello con un verso stridente da far accapponare la pelle, si
riabbassò pancia a terra e lo caricò a sua volta.
Lo scontro
fu violentissimo e Raphael venne sbalzato indietro per metri, la
mente che lavorava febbrilmente nell'incredulità mentre il
cielo
fuggiva fugace davanti al suo sguardo, prima di sbattere pesantemente
contro il tronco di un albero.
Ricadde al suolo con un tonfo
doloroso, sollevando spirali di polvere. Riprese fiato con ampi
respiri nervosi.
Si
rialzò più in fretta che poté, ma il
suo avversario stava già
correndo contro di lui, con l'intenzione di schiacciarlo tra il
tronco dell'albero e il suo corpo mostruoso: fu preso da uno sprazzo
di panico e gli lanciò uno dei suoi Sai contro a folle
velocità.
L'arma fendette l'aria morbidamente con la sua punta
acuminata, ma con un clangore metallico sbatté contro la
schiena
spessa del mostro, rimbalzando e finendo al suolo, distante.
Riuscì
a scansarsi appena in tempo, gettandosi di lato per terra e l'insetto
finì la sua corsa contro lo stesso albero contro cui aveva
sbattuto
anche lui, con un tonfo molto più forte.
Doveva essersi fatto
male, a giudicare dalla violenza dell'impatto. Ne avrebbe potuto
approfittare per attaccare, anche con un Sai solo.
Ma lo
scarafaggio si scostò rapidamente e si voltò per
cercarlo, intonso,
senza nemmeno un graffio.
Raphael
strinse la presa sul Sai rimastogli.
“Qual
è il loro dannato punto debole?”
strillò arrabbiato, osservando
per un momento gli altri scontri.
Si accorse che anche i suoi
fratelli sembravano in grande difficoltà: quei dannati
insettoni non
erano solo eccessivamente fuori misura, ma anche molto resistenti.
“Non
credo che ne abbiano!” rispose Don, poco distante, che
evidentemente lo aveva sentito.
Stava facendo del suo meglio per
cercare di colpire la lucida corazza dello scarafaggio, ma a parte il
sordo rumore del bastone che si propagava attorno, non sembrava
sortire nessun danno.
E così i Nunchaku di Mikey e perfino le
Katane di Leo.
Se
si trovavano così tanto in difficoltà fin dal
round preliminare, si
metteva male per l'intero torneo.
Il problema del round
preliminare a quattro era che, anche se era in gruppo coi suoi
fratelli, ognuno doveva battere il proprio sfidante da solo. Ognuno
doveva pensare per sé.
Gli
arrivarono alle orecchie i rumori delle altre lotte attorno a lui, ma
non poteva più distrarsi per controllare: il suo avversario
si era
rimesso all'attacco, veloce come prima: riuscì ad evitare
per un
soffio, ma una delle sue antenne lo afferrò per la caviglia
e lo
sollevò in aria, sbattendolo poi contro il terreno con
forza.
Strinse i denti per il dolore dello scontro, ma non era
finita, perché si senti sollevare ancora e probabilmente
sarebbe
stato lanciato ancora al suolo, forse anche con più violenza.
Si
contorse per arrivare al piede e poter staccare la sua antenna, ma
era spessa come una corda e dura come l'acciaio, ricoperta di spine
che gli ferirono le mani. Graffiò con le unghie, mentre
già veniva
sbalzato all'ingiù, prossimo allo scontro: nella
disperazione mirò
con la punta del Sai e colpì con ferocia, anche se sapeva
che
probabilmente si sarebbe colpito da solo.
La
punta slittò con un suono stridulo sul rivestimento coriaceo
dell'antenna e lo scarafaggio stridette in pena, slegando le sue
spire per il dolore: Raph ricadde al suolo, rantolando e riprendendo
fiato.
Allora qualche punto debole ce lo avevano anche loro!
Si
rialzò con un ghigno malefico, gliele avrebbe strappate
quelle
antenne, ma prima che potesse fare anche solo una mossa, una zampata
allo stomaco lo rispedì in volo, mozzandogli il respiro.
Rimase
al suolo, questa volta. Con la rabbia crescente nel petto e il
respiro corto.
Non poteva essere sconfitto nel round
preliminare, non esisteva nell'universo una cosa possibile. Non
avrebbe mai più avuto il coraggio di guardare in viso il
maestro,
mai più.
E aveva giurato che quell'anno avrebbe vinto, che era
il suo anno, perciò arrendersi così presto era
semplicemente
escluso. A costo di smantellare la lurida corazza di quei cosi a mani
nude e morsi.
Stava
per rimettersi in piedi, quando un grido di trionfo e un tonfo
prodigioso risuonarono nella radura. Si mise a sedere con meraviglia
e vide Don che esultava, mentre il suo opponente giaceva schiena a
terra qualche metro più in là, incapace di
muoversi o rigirarsi,
sconfitto.
Si accorse di lui e gli mandò un sorriso splendido,
fiero di sé.
“È
lo stomaco! Il loro punto debole è lo stomaco! La loro
corazza è
morbida in quel punto!” urlò nella sua direzione,
con le mani
attorno alla bocca per farsi sentire.
Raphael
ricambiò il suo sorriso.
Quel geniaccio di Don. Si sarebbe
dovuto guardare da lui, al torneo. Era davvero ben preparato e anche
troppo scaltro.
Con un colpo di reni e le mani piantate a terra
fu in piedi e pronto alla lotta. Ora che sapeva dove colpire, non
aveva nessuna scusa in caso di fallimento.
Doveva colpire allo
stomaco, ma quel coso stava sempre pancia a terra… come
avrebbe
potuto fare?
Si
lanciò contro di lui e lo colpì col Sai per farlo
arrabbiare, su
ogni parte del suo corpo dove riuscì ad arrivare: lo
scarafaggio
stridette di furore e provò a colpirlo a sua volta, ma Raph
schivava
velocemente per non dargli modo di prenderlo.
Spiccava via via
salti sempre più alti, per indurlo ad alzarsi ancora in
piedi, ma il
bestione non cadeva nella sua trappola: faceva versi di rabbia e
impazienza, ma sembrava sapere che lui stava mirando al suo punto
debole.
Raphael
schivò una scudisciata di un'antenna e si portò
indietro di qualche
metro per pensare, riprendendo fiato.
Sentiva le gocce di sudore
scendere velocemente lungo il collo.
Se il bestione non voleva
alzarsi, voleva dire che doveva arrivare al suo stomaco in altro
modo.
Lanciò
al suolo il Sai rimastogli e fece scrocchiare le mani una con
l'altra. Poi fece qualche rimbalzo sul posto e sciolse i muscoli del
collo, preparandosi alla mossa successiva.
Bene. Era una cosa
che lo schifava da morire, solo il pensiero, ma che doveva fare.
Si
accorse distrattamente che anche Leo era riuscito a battere il suo
avversario, ma non ci fece troppo caso, era concentrato solo
sull'insetto di fronte a sé.
Spiccò
la corsa, a testa bassa, prendendo velocità, caricando con
tutta la
sua furia: il suo opponente si accorse delle sue intenzioni, le sue
antenne frustavano l'aria impazzite aspettando il suo arrivo,
schioccando rumorosamente.
Mancava pochissimo allo scontro,
entrambi avrebbero colpito assieme. Le antenne erano alte,
già
pronte a colpire, quando la tattica di Raphael variò: si
tuffò al
suolo in scivolata, strisciando con la schiena contro il terreno e
sollevando la polvere che coprì la sua mossa.
Riuscì ad infilarsi al di sotto della creatura, proteggendosi il viso con le braccia dalle sue zampe acuminate: fu un bene, perché riuscì anche ad evitare di respirare troppo il suo cattivo odore. Rimase a guardare per un istante la penombra e il suo stomaco grigio che pulsava, provocandogli il disgusto.
Piantò
i piedi contro la sua superficie molliccia e viscida, e le mani sopra
la testa, al suolo.
Gridò quando fece forza, con un colpo di
reni, che scaraventò lo scarafaggio in aria di qualche
metro. Lo
guardò piroettare mostruosamente nell'aria e fu in piedi
prima che
toccasse terra: con un salto raggiunse la sua altezza e lo
colpì
allo stomaco con un calcio, spedendolo a sbattere contro uno degli
alberi lì vicino.
Riatterrò ammortizzando con le ginocchia,
poi fu di nuovo in piedi, a guardarsi intorno. Anche Mikey aveva
sconfitto il suo avversario e c'erano quattro enormi scarafaggi
riversi a terra, privi di sensi.
Ci fu un istante di silenzio totale, mentre i quattro fratelli si cercavano con lo sguardo, tutti sollevati.
L'arbitro
Gyoji apparve nella pura aria come suo solito, con la sua trasparenza
eterea; non avevano mai capito che creatura fosse Gyoji, talmente
incorporeo da potergli vedere attraverso, coi suoi vestiti simili
alla tenuta dell'arbitro di Sumo sulla terra, il viso bianco
perennemente inespressivo. Era inafferrabile come l'aria, e
galleggiava proprio in essa, senza peso, con le gambe
incrociate.
Sapevano solo che era dappertutto e vedeva tutto
quello che succedeva nel torneo, svolgendo il suo compito di arbitro
con precisione e affidabilità.
In
quel momento teneva uno stendardo in una mano, su cui vi erano gli
strani simboli che formavano l'alfabeto della dimensione Nexus e uno
Yin Yang disegnato proprio in cima.
“L'incontro
preliminare di gruppo è stato completato in 73.1
Quargon” annunciò
con la sua voce morbida, mentre lo piantava al suolo.
“I
Blattoden sono eliminati dalla competizione!” aggiunse,
agitando il
ventaglio da battaglia che portava sempre, il Gunbai, di fronte a
sé.
Un portale ovale apparve a mezz'aria, vicino ai quattro scarafaggi
che si rimettevano a fatica in piedi, pronti ad andare via.
“È
un piacere rivederti, Gyoji” salutò Leo,
avvicinandosi all'essere
fluttuante.
Era complesso capire se lui fosse felice di vederli,
data la sua espressione monotematica, ma la sua voce sembrò
lieta
quando parlò, agitando il ventaglio ancora una volta.
“Il
piacere è mio. Il mio signore vi sta aspettando con vostro
padre a
palazzo.”
Un
secondo portale apparve di fronte a loro, differente dagli altri: la
sua superficie lucente non vorticava impazzita come le altre, ma
splendeva di statico bagliore, rasserenante.
Lo attraversarono
con un senso di sollievo nel petto, al pensiero che si erano
qualificati anche quell'anno per poter competere.
Alla
fine del tunnel sbucarono sulla terrazza del palazzo del Daimyo, che
si affacciava direttamente sull'arena: riuscirono a vedere l'immensa
folla accorsa per assistere alla competizione seduta sugli spalti,
chiedere a gran voce l'inizio del torneo, con i tifi esultanti che
entravano sotto pelle.
“Ehi,
ma quelli non li conosciamo?” domandò Mikey
occhieggiando verso il
basso, dove tutti gli altri partecipanti che avevano superato le
qualificazioni attendevano, tutti con il collo verso l'alto, verso
loro, in attesa.
Diede di gomito a Raphael per fargli vedere di
chi stava parlando, ma la voce del Daimyo attirò anche la
sua
attenzione.
“Bentornati
al Battle Nexus, onorati ospiti. Avete reso onore a vostro padre
ancora una volta” li salutò, con un breve inchino.
Il Daimyo
sembrava non cambiare mai, costantemente identico, dalla punta dei
capelli bianchi ai vestiti sontuosi dall'aria giapponese; i guanti di
metallo argenteo scintillavano alla luce del sole e portava la
maschera dorata in foggia di viso di demone antico, come al solito.
Si
inchinarono anche loro, in segno di rispetto.
“Ero
certo che sarebbero passati” disse Splinter, apparendo dalle
sue
spalle e rivolgendo loro uno sguardo fiero e un sorriso.
Dietro
di loro c'era il seguito del Daimyo, le donne e gli uomini coi volti
pitturati come attori del teatro Kabuki e vestiti con kimono, e poi
due ragazzini che parlottavano tra loro. Uno coi capelli biondi e uno
rossi.
“Steve!”
lo chiamò Leo, sorpreso di vedere con chi
stava
parlando.
Steve si voltò al richiamo e sorrise verso di
loro.
“Leonardo!”
esultò contento il ragazzo al suo fianco, con un gran
sorriso.
L'ultimate Ninja, il figlio del Daimyo, era felicissimo
di rivederlo. Era cresciuto ancora dall'ultima volta che l'aveva
visto, era più alto anche di Steve, ma rimaneva sempre lo
stesso
ragazzino felice che era diventato dopo la sua rinascita: corti
capelli rossi, splendenti occhi verdi e orecchie a punta per
completare l'aria sbarazzina.
“Vedo
che tu e Steve avete già fatto conoscenza, Ue”
constatò Leo,
felice di rivederlo quanto lo era lui.
Ue, Ue-sama com'era
chiamato a palazzo, sorrise anche di più. Lui e Steve
dovevano avere
pressapoco la stessa età, doveva essere veramente felice di
avere
qualcuno coetaneo con cui parlare e relazionarsi.
Annuì
nella sua direzione.
“Sì,
Steve mi stava parlando dei suoi allenamenti. In futuro io e lui
potremmo entrare nel Battle Nexus e sfidarci, non sarebbe
fantastico?” esultò, facendo scintillare gli occhi
verdi di
emozione.
Steve arrossì alle sue parole, all'idea che un giorno
potesse essere scelto come guerriero al prestigioso torneo. Non
sarebbe mai potuto diventare così bravo.
“Anche
se, non è giusto che lui sia allenato da te e dal tuo
maestro! Siete
una famiglia di campioni, potrei non farcela!”
continuò il figlio
del Daimyo, storcendo la bocca in una piccola smorfia di disappunto
che fece scoppiare a ridere Leo.
C'erano anche Mikey e Don
insieme a loro, che scherzavano coi due ragazzi, ma Raphael invece
continuava a guardarsi attorno in cerca di qualcuno.
“Sensei,
dov'è Isabel?” chiese leggermente apprensivo,
perché proprio non
riusciva a scorgerla.
“Sta
arrivando. Le donne del seguito del Daimyo le stanno dando una mano a
vestirsi” rispose Splinter con un sorriso furbo sul muso.
“Vestirsi
per co… oh.”
Apparve
dalla porta. Una donna in uno splendido kimono rosso, rosso come il
sangue. Delicati decori di fiori bianchi si inerpicavano sulle lunghe
maniche e sulla parte sinistra del corpo, partendo dal bordo del
vestito; in vita era stretto da un Obi verde scuro con decorazioni
floreali scure, nelle tonalità che sfociavano nel nero,
creando un
bel contrasto con la fascia color panna al di sotto di esso e con il
colletto bianco sotto il Kimono.
Era un tripudio di eleganza e
bellezza.
La
donna si avvicinò a piccoli passetti con ai piedi Tabi
bianchi e
Zori rossi, arrossendo sotto il suo sguardo.
Isabel sorrideva
nervosamente, mentre si avvicinava. I capelli castani erano raccolti
in una complicata crocchia alla base delle nuca e decorati con un
Kanzashi con fiori di stoffa rossi e bianchi.
Era
ancora più nervosa, quando si fermò di fronte a
Raphael.
“Era
di Tang Shen” disse per riempire il silenzio teso. Stava
gesticolando, come suo solito.
“Il
maestro ha chiesto al suo padre adottivo se poteva avere il suo
Kimono per le cerimonie, per me” finì, con la voce
strozzata.
Sembrava che fosse l'idea di avere qualcosa di Tang
Shen, più del fatto che indossasse un Kimono, ad
emozionarla. Come
se possedesse qualcosa che apparteneva ad una Dea.
“Ti…
ti piace? Non sono strana?” domandò dopo qualche
istante, dato che
lui non parlava.
Raphael
si aprì in un sorriso e si chinò su di lei,
sussurrando qualcosa al
suo orecchio.
Avvampò all'istante, prendendo la sfumatura
sanguigna del vestito.
“Da
come è arrossita quello che le stai dicendo è di
certo poco
pulito!” esclamò Mikey, che come gli altri aveva
notato l'arrivo
di Isabel. E se solitamente avrebbe lasciato tutto per andare ad
abbracciarla e dirle che era bellissima, per stavolta rimase
tranquillo ad osservare le reazioni del fratello davanti a quella
sorpresa.
Ci
fu uno scoppio di risa che la imbarazzò ancora di
più, mentre
guardava Raphael che ritornava a posto con uno scintillio nello
sguardo.
“È
ora, amici” annunciò il Daimyo, scostandosi da
loro e
avvicinandosi al bordo della terrazza per guardare verso gli sfidanti
che l'attendevano là in basso.
Era
il momento del discorso di apertura.
Alzò le braccia in alto
per chiedere il silenzio dalla folla di spettatori emozionata e dai
partecipanti che lo salutavano con orgoglio.
E silenzio fu,
spesso e penetrante.
“Guerrieri,
avete viaggiato dalle moltitudini degli universi e io vi offro il mio
benvenuto al torneo del Battle Nexus!
Di coloro che non hanno
superato la battaglia, io riconosco la loro audacia e il loro
coraggio, e a coloro che hanno passato il round preliminare io dico
congratulazioni.
E siate pronti per la prossima lotta, perché è
arrivato il momento:
Che il Battle Nexus cominci!”
Alzò il bastone magico, il War staff, che indicava la sua posizione di comando, verso il cielo: si illuminò di azzurro e la sua energia magica salì verso l'alto, dove esplose in variopinti e formidabili fuochi d'artificio e coriandoli colorati che caddero sulla folla esultante e gli sfidanti urlanti.
Il torneo era iniziato.
Note:
Scusate
per il ritardo, dovevo aggiornare ore fa, ma non vi sto a tediare.
Ci
sono tantissime note, perciò iniziamo!
Allora, da questo capitolo e per tutta la durata del torneo la sezione note mi servirà per le spiegazioni sulle fasi del torneo, sui metodi per sorteggiare gli sfidanti e sulle schede per spiegarvi i vari personaggi che vengono dalla serie. Ce ne sono un bel po'.
Per
questo capitolo:
La dimensione Nexus è una sorta di centro
delle dimensioni, connessa a tutte le altre. Però da quel
poco
mostrato c'è solo una città cinta da mura e
addossata a due
cascate; per il resto è solo terra brulla, montagne e
vegetazione
dove spiccano ruderi e rovine, di qualche vecchia civiltà.
Mi sono
sempre chiesta cosa possa essere successo.
Il
palazzo del Daimyo si affaccia direttamente sull'arena, e in una
finestra più sotto c'è l'infermeria, credo in
modo che anche quelli
sconfitti che poi finiscono lì, possano continuare a seguire
il
torneo.
Il resto della cittadina si sviluppa tutto intorno a
queste costruzioni.
Gyoji è ispirato alla figura dell'arbitro del Sumo. Sia l'aspetto dei vestiti che il ventaglio che usa, sono presi direttamente dal Gyoji. Così come il vero Gyoji del sumo, la sua figura è onorevole e si premunisce che le regole vengano osservate assolutamente.
Il Daimyo, o meglio l'Ultimate Daimyo, è il signore della dimensione Nexus. È molto anziano, ma non saprei dire quanto. Ha i capelli bianchi e quando non porta la maschera dorata in volto, si riesce a vedere il suo viso e i suoi occhi verdi.
Ue-sama,
Ue, è suo figlio, in passato l'Ultimate Ninja. Era adulto e
anche
malvagio, tanto da provare a prendere il trono di suo padre cercando
di ucciderlo. C'è stato un viaggio dimensionale che l'ha
fuso con un
drago e varie vicissitudini che alla fine hanno portato alla sua
rinascita in forma di bambino, con la memoria cancellata. Adesso
è
un bravo ragazzo e adoro che lui e Steve possano essere amici.
Il
suo nome non viene mai detto nella serie, figurava solo nel concept
del personaggio. L'ho trovato su TMNTpedia.
Il kimono è formato da varie parti, tantissime a dire la verità. L'Obi è la fascia che stringe in vita, rigida, che poi viene annodata in varie figure sulla schiena, e sotto di essa c'è una fascia più morbida chiamata datejime. I Tabi sono i calzini con la separazione infradito e gli Zori i sandali. Il Kanzashi è un ornamento per capelli, a volte molto elaborato, con fiori di seta, perline, placchette in metallo.
Ho fatto un disegno al volo per farvi vedere come io l'ho pensato, perdonatemi perché è davvero brutto.
Ok,
il torneo sta iniziando! L'emozione (la mia) è a mille. Sono
capitoli complessissimi, anche per la mole di personaggi che tornano
dal passato o che io ho inventato.
Spero di riuscire a farvi
piacere il torneo.
Credo
di aver dimenticato qualcosa, ma adesso proprio mi sfugge! Nel caso
metterò qualche edit!
Grazie di tutto cuore!
A presto