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Autore: Ink Voice    19/04/2015    4 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XVIII
I Comandanti anonimi

Nel buio risuonava l’eco di un alternarsi di passi stanchi, pesanti, i quali si dirigevano verso una fonte di luce sconosciuta e misteriosa. Un ansimare continuo ma tenue faceva da sottofondo alla camminata arrancante, le mani toccavano la parete di fredda roccia e tremavano disperatamente, chiedendo un aiuto che non sarebbe arrivato.
I passi si fermarono quando ormai mancavano pochi metri all’arrivo, la luce era pronta a sopraffare il buio, ma essa era stranamente più minacciosa dell’angosciante oscurità. Il fiato purtroppo era ancora pesante e sicuramente sarebbe rimasto così molto a lungo, perché una diffusa e penetrante stanchezza avvolgeva tutto l’ambiente, come a volersi sostituire all’aria. La forza per andare avanti non c’era; proprio ora che il traguardo era così vicino un terribile fallimento stava per abbattersi su tutto, cancellare ogni cosa o scaraventarla in un abisso di afflizione.
Le orecchie percepirono improvvisamente un rombare in lontananza e proprio in quel momento il respiro si trattenne, in attesa di ciò che stava per arrivare. La visuale cambiò, la luce non c’era più e forse allora sarebbe stata preferibile la presenza di quel biancore accecante e pauroso anziché dell’enigmatico buio. Per fortuna una nuova luce si accese in lontananza, colorata d’arancio e di azzurro; fortuna che si rivelò una terribile sventura quando si trasformò in fuoco. Un mugolio terrorizzato seguì la spaventosa scoperta e l’immobilità della visuale si confuse in abbinamento ad un folle passo di corsa, impotente però se paragonato all’impeto delle fiamme divoratrici.
E mentre sentivo i miei talloni scalzi lambiti dal fuoco temibile mi risvegliai di soprassalto, respirando a fatica e scattando subito a sedere. Soffocai qualche colpo di tosse isolato mentre cercavo di far circolare aria nei polmoni, cosa che mi riuscì difficile per interminabili secondi. A giudicare dal buio doveva essere notte fonda e un rapido controllo sul Gear, che tenevo accanto al cuscino, me lo confermò: erano le tre di notte passate da poco. Riuscii a prendere una profonda boccata d’aria per poi sospirare. Il cuore mi batteva ancora velocemente, ma nel complesso mi stavo tranquillizzando. Una mano stringeva con forza decrescente la coperta bianca, finché non la mollò per passare in mezzo ai miei capelli, spettinati e anche un po’ sudati. Erano bagnati di freddo: rabbrividii appena e scossi la testa un paio di volte, rivedendo quelle immagini disturbanti davanti ai miei occhi chiusi.
Nonostante avessi osservato la scena in prima persona, mi sentivo estranea alle sensazioni che avevo “provato”, come se avessi impersonato qualcun altro e le emozioni mi fossero arrivate filtrate. Non erano particolarmente forti, più preoccupante era invece la situazione catastrofica, con il fuoco e anche un deciso tremare della terra.
Mi ricordai di un dettaglio visivo che aveva preceduto il mio risveglio: due occhi. Erano un color grigio chiaro, quasi bianco, vitrei e spettrali. Mi avevano messa addosso un’ansia dalla quale mi liberai ore ed ore dopo, perché non mi pareva di aver visto pupille in mezzo alle iridi incolori. Le palpebre erano socchiuse, come sul punto di addormentarsi, e ricordavo lunghe ciglia chiare, appartenenti a qualcuno con i capelli biondi. Nonostante l’ambiguità e l’inquietudine che trasmetteva, avrei giurato che quello sguardo fosse femminile, lo sentivo. Ed ero sicura di aver già incontrato quegli occhi da qualche parte. Non erano umani e lo sapevo, molto probabilmente erano frutto della mia immaginazione e magari li avevo sognati più di una volta senza ricordarmelo. Fatto stava che avevo la netta e terribile sensazione di aver già scambiato un’occhiata con la proprietaria - o il proprietario - di essi, ed ero anche certa che la situazione non dovesse essere stata delle migliori quando tutto ciò era avvenuto.
Già, ma quando e perché avevo visto quegli occhi disumani? Non ne avevo idea, dovevo aver rimosso il sogno in cui li avevo notati. Mi convinsi infatti dell’impossibilità di averli potuti incontrare nella realtà perché l’assenza di pupille e la lucentezza fantasma che possedevano non erano ammissibili nel mondo. Nemmeno in quello dei Pokémon, nel quale si aveva una libertà eccezionale nella scelta del proprio look e si potevano acquisire alcune caratteristiche fisiche incredibili. “Magari era un sogno sui Pokémon” tentai di dirmi mentre mi gettavo sdraiata sul letto: il cuscino accolse morbidamente la mia testa e l’incontro produsse un rilassante tonfo, che mi costrinse a chiudere gli occhi e avere di nuovo sonno. “Sì, dai, sicuramente era sui Pokémon. Forse stavo lottando contro una qualche avversaria sconosciuta molto forte con quello sguardo da spettro… Perché no? È possibile…”
Sbadigliai vistosamente e tornai a dormire, un po’ rassicurata da quell’ipotesi. Mi impedii di pensare a quegli occhi e riuscii ad evitare una notte insonne tenendo in una mano la Poké Ball di Altair, come al solito calda. Quello mi tranquillizzò più di ogni altra cosa, allontanò la mia mente preoccupata dal ricordo del sogno - o dell’incubo - e mi consentì di riaddormentarmi. Mi svegliai qualche ora dopo insieme alle altre ragazze, ovviamente la sveglia era uguale per tutti nella base segreta. Con la luce del giorno - che non arrivava veramente nel Monte Corona, ma ora ci accontentavamo di poco - non ebbi più tanta paura di quegli occhi e ben presto li dimenticai.
Ci fu un’altra cosa che però ricordai all’improvviso, mentre ero in bagno a darmi le ultime sistemate per poi uscire, circondata da altre ragazze più o meno chiacchierine. Agli inizi fu solo una sensazione, anzi il ricordo di essa: la forte angoscia provata durante il sogno l’avevo già sentita in una situazione simile. Sì, doveva trattarsi di un altro ancora, e ci misi poco a ricordare quella sottospecie di incubo, dal quale mi ero risvegliata solo grazie all’aiuto di Chiara.
In quell’altro sogno la terra tremava e la furia di più elementi voleva travolgermi, mentre traballante cercavo di non cadere nelle voragini sempre più profonde e ampie che venivano a crearsi intorno a me. Il vento infuriava, si sentiva in lontananza una tempesta o un temporale, non ricordavo bene; e poi il fuoco, fiamme infernali che fuoriuscivano dalle spaccature del terreno o che arrivavano anche da altre parti intorno a me. Era una situazione insostenibile, solo questo mi ritornò alla memoria, non cosa stessi facendo durante quella specie di Apocalisse che mi pareva di star vivendo. Forse c’erano anche due o più animali, mitologici o Pokémon, ma a parte i loro strilli non riuscii a ricordare nulla di essi.
La cosa non mi preoccupò in quel momento. Mi era successo molte volte di fare sogni surreali - d’altra parte un po’ tutti lo erano - o che al risveglio mi lasciavano una sensazione di ansia o addirittura un po’ di suspence, facendomi chiedere “cosa sarebbe successo se non mi fossi risvegliata?”. Perciò un sogno, o incubo che fosse, un po’ fantasy che arrivava ad angosciarmi, non mi allarmò affatto anche grazie alla mia innata scetticità.
Essa però si piegò alla vista di Camille, che come me stava allo specchio a sistemarsi e a legarsi nei suoi soliti due codini bassi i lunghi capelli color carota. Lei. Lei sapeva qualcosa, sì. Quando eravamo stati portati via dalla base nemica due anni addietro, dopo l’incontro, aveva chiesto a me e Gold se avessimo fatto sogni che ci avessero turbati, preoccupati o addirittura sconvolti, se erano stati tanto impressionanti. Essi evidentemente potevano essere la chiave per il segreto che ci stavamo portando appresso senza poter sapere cosa fosse, erano essenziali per arrivare a comprendere cosa gravasse sulle nostre spalle. Proprio per questo Camille era stata molto vaga e si era solo accertata che noi ne avessimo fatto almeno uno, anche se la cosa poteva essere soggettiva. Magari non era vero che eravamo noi i diretti interessati, sogni così capitavano a tutti.
Scossi la testa impercettibilmente mentre sbattevo la porta del bagno alle mie spalle. Sapevo benissimo che la faccenda non poteva riguardare altri che me, oltre Gold ovviamente e Camille stessa. Le parole di Cyrus erano state molto chiare in più occasioni, qualcosa che mi interessava direttamente mi era nascosto e per il momento non mi era dato sapere cosa fosse, a meno che non mi fossi arruolata dalla parte nemica. Ma davvero Cyrus e la sua compagnia avrebbero mantenuto la “promessa” fatta? Io non potevo passare dalla parte del Male, come era definito, solo per una curiosità che forse non era così essenziale sapere e che magari sarebbe rimasta solo un’illusione. Non dovevo lasciarmi sfiorare da questi pensieri.
“Con Camille non posso parlarci” pensai mentre me ne andavo dal dormitorio. “E non sono sicura che le chiederei qualcosa su quel sogno se invece Bellocchio non ci avesse proibito di avere contatti. Anche perché mi aspetto già il tipo di risposta che darebbe e non mi va di raccontarle i fatti miei per nulla.” Quindi misi definitivamente i miei pensieri e le mie preoccupazioni a riposo, decidendo di conservarle per altri momenti.
Adesso avevo altro a cui pensare, come la lezione di Rosso, che con la sua pesante tensione abituale addirittura superava i problemi che mi stavo facendo, impegnandomi la mente molto di più. Quell’uomo faceva paura. Le sue lezioni demolivano l’autostima di tutti noi suoi allievi e, appena finivano - purtroppo duravano ore ed ore ciascuna, ce ne andavamo con il cuore alleggerito da numerosi sospiri liberatori, che lasciavano fluire via l’ansia, la quale inevitabilmente la faceva da padrone nella sala d’allenamento per tutte quelle lunghissime ore.
Ormai si era diffuso lo strano silenzio a cui nessuno riusciva ad abituarsi durante una lotta. Non risuonavano più molti ordini nell’aria, solo ogni tanto qualcuno si lasciava sfuggire qualche consiglio o comando, come ad esempio di evitare una mossa o attuare una qualche strategia. Lo faceva solo chi non era intenzionato a perdere la lotta e per questo correva in aiuto del suo Pokémon, al prezzo però di una dura occhiataccia di Rosso che si mostrava silenziosamente deluso. Era fastidioso partecipare a quei maledetti allenamenti e sentirsi abbandonati a sé stessi, ma al contempo costantemente osservati dagli occhi marroni e annoiati del cosiddetto Master. Infatti l’uomo non ci aveva dato alcuna dritta su come combattere in silenzio, su come rafforzare l’intesa tra Pokémon ed Allenatore: voleva vedere come riuscivamo a cavarcela e poi, forse, ne avrebbe tratto delle conclusioni.
Io non sapevo come fare. Stavo in silenzio durante le lotte e prima di cominciare dicevo qualche parola rassegnata al Pokémon che sarebbe sceso in campo per me, poi assistevo allo scontro e vedevo un mio compagno perdere contro la forza del nemico o ingannarlo con un po’ di furbizia. Mi rendeva fiera vedere la mia squadra così autonoma e mi rassicurava: se fossi stata in difficoltà, loro sarebbero riusciti a difendermi e ad aiutarmi.
Ma allo stesso tempo mi infastidiva non poco guardare e basta, non mi sentivo partecipe come invece era per me prima, durante una lotta. Sentivo che l’intesa di cui parlava Rosso non c’era tra me e i miei Pokémon: non perché non fossimo legati, perché c’era tensione o non c’era affetto, ma semplicemente quello che io volevo fosse fatto non era eseguito dai miei amici come invece, a quanto pareva, succedeva a Rosso e alla sua squadra. Spesso i miei Pokémon si lasciavano ingannare quando io impotente li guardavo perdere, senza vedere attuata la strategia che mi ero programmata in quei pochi secondi in cui mi era concesso pensare prima che l’avversario sorprendesse Altair, Aramis, June o gli altri con una mossa.
“Ma cosa pretende quello,” mi chiedevo abbattuta riferendomi al maestro, “telepatia? Oppure va bene già così? Ma alla fine dovremmo pensare le stesse cose… quindi è davvero telepatia?” Poi sospiravo mentre guardavo un po’ corrucciata, sicuramente parecchio impensierita, la lotta che stavo indirettamente combattendo.
Argon, Kripton od Oxygen a turno osservavano l’andazzo delle lezioni, senza intervenire troppo per non seccare il suscettibile Rosso. Egli infatti ci teneva, o almeno così diceva, a farci scoprire quel nuovo lato delle lotte e del rapporto con la propria squadra. Sottovoce davano consigli a ognuno, facendo il giro della sala abbastanza lentamente. Oxygen si comportava come suo solito, non era cambiato niente rispetto a prima, quando non stavamo insieme. Però quando mi parlava era particolarmente affettuoso, anche perché nessuno poteva sentirci se parlavamo sottovoce e abbastanza velocemente. Era quello che dovevano fare i tre maestri con i ragazzi, erano ormai banali assistenti del Master, quindi non avevamo problemi.
-Come va?- mormorava gentilmente ogni volta che mi si avvicinava.
Io facevo spallucce. Agli inizi pensavo di star andando bene e di far progressi, era un po’ strano per i Pokémon abituarsi all’idea di dover fare tutto da soli, ma dopo un po’ acquisivano naturalezza nei movimenti e non avevano più la forte preoccupazione di deludere il proprio Allenatore.
Invece quella volta borbottai, desiderosa di sfogarmi: -Non capisco cosa devo fare per pensare con una sola mente con i miei Pokémon.
-Non sei l’unica ad avermelo detto. Lo so, è un bel problema…
-Tu però ci sei riuscito- mormorai di rimando. -Quando lotti non parli, proprio come Rosso. E vabbè, ormai nemmeno io parlo più, ma tu ottieni esattamente l’effetto e la reazione desiderati?
-La maggior parte delle volte- rispose lui facendo spallucce. -È una cosa che verrà con il tempo, te lo assicuro, e Rosso lo sa meglio di tutti.
-Tu dici?
Lui mi sorrise di sfuggita. -Amore, tieni presente che lui ha avuto vent’anni per imparare tutto questo alla perfezione. Non pretende che voi diventiate come lui in così pochi mesi, ormai manca poco anche alla fine dell’anno. Devi stare più tranquilla, Eleonora. Va bene?
Anche io sorrisi, un po’ meno convinta, ma sicuramente più rassicurata rispetto a prima. -Va bene.
-Una parolina dolce ogni tanto puoi dirmela, eh! Mica mi offendo- si finse indispettito.
Mi mordicchiai il labbro inferiore nel tentativo di non ridacchiare. -Adesso puoi andare, caro.
-Ah!, quanto mi fai soffrire, donna…- Guardando altrove mimò una pugnalata al petto con poco vigore per un immane dolore e mi diede un pizzicotto sul braccio, per poi allontanarsi verso qualcun altro lasciandomi sola con le risatine che cercavo di soffocare.
Alzai lo sguardo e incontrai quello di Daniel. Ammiccò maliziosamente e io arrossii imbarazzata: lui sapeva, sì, e se ero conscia della sua presenza mentre parlavo con Oxygen ero sempre un po’ tesa. Ormai iniziavo a rilassarmi in presenza del mio ragazzo, che agli inizi faticavo a chiamare così. Ogni occasione era buona per il mio amico per fare qualche battuta o massacrarmi di frecciatine che volevano essere irritanti, ma per le quali non riuscivo a prendermela: sapevo che lui era contento e così come mi lanciava molto spesso le suddette frecciatine, altrettante volte mi ripeteva che era felice per me e che da tempo desiderava vedermi così allegra.
-Vedo che ve la intendete, eh?
-Stupido.
-Aah, l’amore, cosa non fa.
-Proprio.
-Gliel’hai mica già data?
E lì al posto della mia voce si sentiva un sonoro scappellotto, uno di quelli che atterravano il proprio interlocutore e che lo lasciavano a metà tra le risate incontenibili e un certo dolorino. Erano battute che non mi offendevano, si facevano per scherzare e anche io avevo il mio bel daffare a ribattere con cosette anche più imbarazzanti. Lo facevo quando non avevo voglia di alzare le mani per rimproverare la sua ignobile nuca.
Quella volta fece per avvicinarsi sempre per sferrare una battutaccia delle sue, ma scossi la testa lanciandogli un’occhiata eloquente che lo fece ridacchiare e rinunciare al suo obbiettivo. Poco dopo arrivarono altre lotte a distrarmi dal pensiero dell’imminente frecciatina che mi avrebbe lanciato appena possibile. Nel frattempo ogni volta che potevo - tanto non facevo niente per lottare - lanciavo un’occhiata a Oxygen che gironzolava da una parte all’altra della sala, in cerca di allievi bisognosi d’aiuto. Quando incontrò il mio sguardo abbozzò un sorrisetto, ricambiato dalla sottoscritta, la quale tornò ad ammirare il suo Nightmare che abbatteva l’avversario.
Rosso nel frattempo, come ogni volta, camminava lungo il perimetro della sala con una lentezza tanto immane da risultare seccante, osservando con i suoi occhi glaciali ogni lotta e senza dire nulla a nessuno. Non appena passò accanto al mio campo, in cui lottava ancora Spiritomb, lo guardai abbastanza a lungo: mi permisi di farlo perché fino ad allora il mio compagno non dava alcun segno di cedimento e dava filo da torcere ad ogni Pokémon che scendeva in campo per fronteggiarlo, che quasi prevedibilmente cadeva al tappeto nel giro di qualche turno.
“Devo dire che Nightmare… nonostante sia l’ultimo arrivato in squadra, è quello che mi soddisfa di più in queste lotte silenziose” osservai: appena Rosso se ne andò io posai il mio sguardo nuovamente sul campo, pronta per sforzarmi a non intervenire. “Ma non ce n’è mai bisogno quando lotta lui” mi contraddissi; “Ogni mossa che mi viene in mente, la immagina anche lui e la attua. Notiamo le stesse cose, gli stessi dettagli che poi portano alla vittoria… Mi chiedo perché ci sia la fantomatica intesa tra me e lui, ma non tra me e Altair o Aramis.”
Per me tutta quella roba rimaneva comunque un mistero. Non capivo in maniera accettabile come funzionasse il legame che bisognava stringere tra Allenatore e Pokémon per pensare con una sola mente.
-Secondo me ‘sto Rosso ha fatto un patto con il diavolo- borbottai con un filo di voce tra me e me, mentre il caro Nightmare mandava K.O. l’ultimo dei Pokémon avversari e mi si avvicinava, strisciando sul terreno, in attesa di qualche complimento. Era sgradevole fare carezze a quella nuvoletta lilla: dopo aver passato la mano dentro la sommità della sua testa, essa mi tremava tutta per lunghi minuti ed era innaturalmente fredda. Ma gli concessi un po’ di coccole quella volta, nonostante il suo ghigno terrificante non si modificasse per ringraziarmi.
-Com’è che hai detto?
-Ah, eccoti, mi chiedevo quando saresti arrivato- borbottai in risposta a quella voce.
Daniel sogghignò e mi disse che la mia mano tremava come una foglia, ma era una cosa che già sapevo. -Be’, allora, cos’è che hai detto prima, quando è finita la lotta con quel ragazzo?
-Che, a mio modestissimo parere, il nostro Master ha fatto un patto con il diavolo.
-Oh, sono assolutamente d’accordo.
-Non prendermi in giro!- capii subito che lo stava facendo. -Però non capisco che diamine voglia da noi. Cos’è l’intesa di cui parla? Io non la sento quasi mai. Solo con Nightmare!- esclamai indicando il Pokémon. Sentii una specie di spettrale mormorio, a cui seguì una risatina diabolica. “Mi fa piacere che ogni tanto si diverta…”
-Con lui?- Inarcò le sopracciglia, sinceramente stupito.
Annuii con vigore. -Te lo assicuro. Invece Altair e Aramis, i primi due che mi vengono in mente quando penso a Pokémon a cui sono molto legata… mi sorprendono anche loro, a volte cadono in tranelli degli avversari o si fanno fregare mentre preparano una mossa, quando magari potrebbero evitare benissimo entrambe le cose. Ecco cosa non capisco. Credevo che un legame del genere si costruisse con il tempo, e invece…
Sospirai, senza concludere la frase.
-Ancora non capisci come si fa?- completò lui. Annuii così lui poté proseguire: -Be’, se ti può consolare, non ci riesco nemmeno io. Nessuno dei miei Pokémon fa quello che spero succeda durante una lotta, mi sorprendono sempre e spesso nel peggiore dei modi. Ma Rosso ci ha categoricamente vietato di parlare loro dicendo “ehi, se ti ritrovi ad affrontare un avversario così, così e così allora fai questa, quella e quest’altra cosa”. Lo ha fatto a ragione, non si costruirà mai un rapporto come si deve se con un Pokémon si fa così, ma almeno dirci qualche esperienza sua personale avrebbe aiutato!- sbuffò, mettendo le mani sui fianchi e osservandomi rassegnato.
-Chissà cosa gli passa per la testa…- mormorai, guardando altrove.
-Sai qual è la cosa strana? A quanto si dice in giro lui non ha mai fatto praticamente niente, davvero niente, mentre era sul Monte Argento. Non ha lottato tanto quanto possiamo credere con dozzine di Pokémon selvatici, ognuno diverso dall’altro, che possano aver abituato la sua squadra a cavarsela per conto proprio. No! Se n’è stato i giorni fermo a scrutare l’orizzonte, al massimo con il suo Pikachu. Ma non ne sono nemmeno troppo sicuro.
-Oxygen…- esordii, aspettando che il mio amico mi ammiccasse prima di proseguire, -… mi ha detto che lui non pretende nulla da noi. Ma la cosa mi ha confusa ancor di più, avrei preferito deluderlo a questo punto, magari poi si sarebbe deciso a spiegarci qualcosa in maniera decente. Invece ci manca solo che se ne freghi, vada avanti così e che continui a stare zitto. E intanto noi ci scervelliamo su cosa voglia.
-Rimarrà un mistero- rise Daniel, alzando le mani e arrendendosi definitivamente.
-Ehi, voi due!- ci richiamò Oxygen. Arrossii fino al collo e Daniel mi lanciò una certa occhiata per poi scoppiare a ridere. -Basta chiacchierare e mettetevi al lavoro.
-Agli ordini- mormorò il castano, sicuramente non rivolto a lui. -Be’, cara Eleonora, non vorrei far ingelosire il tuo cavaliere. Quindi meglio che mi cerchi un altro compagno per la prossima sfida!
-Codardo! La verità è che hai paura di perdere!
-Certo, certo…
-Mi hai sentito? Prima o poi dovrai lottare di nuovo con me e allora…
Ma lui ormai mi aveva abbandonata e se n’era andato da un altro ragazzo, un suo amico che non conoscevo. Sospirai abbattuta e mi guardai intorno, aspettando che qualcuno mi invitasse a lottare o cercando una persona libera con la quale fare l’ennesima prova di battaglia muta.

-Di questo passo darò di matto, Ilenia. Sto entrando in crisi.
Fu questo il mio annuncio a quella che ormai consideravo la mia migliore amica, mentre occupavo un letto non mio accanto al suo. Nonostante non facessimo niente praticamente per tutto il giorno durante le “lezioni” del caro Master, la pressione che esse mettevano era parecchia e tornavamo nei nostri dormitori tutti sfiniti, in cerca di un letto morbido e accogliente che ci sollevasse dalle nostre afflizioni. Anche perché Rosso sembrava star escogitando qualcosa in ogni momento, mentre si stuzzicava la barbetta mal tenuta e ci osservava più o meno con attenzione, per questo ci domandavamo cosa stesse macchinando nella sua mente chiusa al pubblico.
-Come mai?- chiese lei innocentemente.
-Lo sai il perché- ribattei. -Il tuo Rrrosso, come ti diverti a chiamarlo, è semplicemente pazzo. Sì, sono arrivata a questa conclusione, e sono sicura che voglia far ammattire pure noi con i suoi comportamenti assurdi!
-Ma ci siamo arrivati tutti prima di te, cara- mi prese in giro lei, ridacchiando. Storsi le labbra e poi risi anche io, lievemente. -Non capisco il perché di tutta questa ansia durante le lezioni di Rr… va bene, va bene, di Rosso. Cioè, sono fantastiche. Non devi fare un beneamato… nulla- si trattenne da qualche uscita rozza degna di Cynthia, -non devi fare niente, dicevo. Basta stare a guardare il tuo Pokémon e sperare che non se ne esca con qualche cretinata.
-So che mi stai prendendo in giro e che detesti fare così durante le lotte.
-Ma come mi conosci bene- brontolò lei continuando a sorridere. Si mise a testa in giù sul letto a castello mentre si passava entrambe le mani tra i voluminosi capelli rossicci, pieni di riccioli. Le sorrisi buffamente intanto che lei provava quel nuovo punto di vista. -Sai cosa dovremmo fare? Ci ho pensato oggi mentre il mio Tyranitar lottava. Lui sì che sa come va gestito l’avversario, non si smentisce mai.
-Lo stesso si può dire per Nightmare. Spiritomb- puntualizzai. -Comunque, cosa dici che dovremmo fare?
-Chiedere a qualcuno di altri gruppi come vanno le loro lezioni con il Master. Lui non passa quasi mai da loro, molto meno che da noi, il che è tutto dire. Però sono curiosa di sapere cosa fa con loro.
-Non ci ho mai pensato! Hai ragione!- esclamai.
-Mmh… sì, io ho ragione la maggior parte delle volte.
-Mi sembra di star parlando con Cyn. Passi decisamente troppo tempo con lei, sei diventata grezza e altezzosa- la rimproverai; lei in risposta mi fece una grossa linguaccia. -No, seriamente: come mai tanta sicurezza in te? Ti è successo qualcosa di bello, mia carissima?
-Non direi, niente di speciale- grugnì lei. -Ma vado a giornate, capiscimi.
-Capiscoti.
Il mio tentativo di dire qualcosa di divertente fallì miseramente, neanche a precisarlo. Io scoppiai a ridere provando pena per me stessa mentre Ilenia fingeva di imbracciare un fucile, prendere la mira alla mia tempia e farmi fuori. -Problema risolto- disse soddisfatta, soffiando sull’immaginaria bocca dell’arma.
Sbuffai senza aggiungere nulla e lei continuò: -Invece a te sta andando molto bene sotto molti punti di vista, a giudicare dalle numerose informazioni che mi sono state passate.
-Spero per questi terzi che non abbiano aperto bocca e che le “numerose informazioni che ti sono state passate” provengano solo da una fonte autorevole… quale la sottoscritta!- replicai. Lei rise, giurando che nessuno sapeva nulla e che nemmeno Daniel le aveva parlato, temendo che andassi in escandescenza probabilmente. Proseguii: -Davvero sono tante le cose che ti ho detto su me e sull’elemento della tavola periodica?
-Sono diventata diabetica per colpa tua. La maschera di ferro che indossi si trasforma in miele per le cose da romanzetto rosa di quarta categoria che ti escono dalla bocca.
-Oggi sei proprio in vena di battute, eh?- borbottai.
-Vuoi la verità? Ti devo tirar fuori con le pinze anche le più piccole, insignificanti cose. Sei davvero riservata! Secondo me Oxygen si danna perché non gli dici mai neanche una parolina dolce.
-Sì, probabile- risi imbarazzata. -Ma lo hai praticamente detto anche tu: non sono una persona dolce. Parlare di certe cose mi mette in difficoltà, è più forte di me! Non sono brava a parlare…
-Quaaanto sei tenera, piccola Ele!- Allungò una mano verso la mia guancia, probabilmente per stritolarmela e sballottarmi la testa di qua e di là come se fossi una comunissima bambolina. Non ci arrivò: ghignai soddisfatta. -Malefica. Basta, ci rinuncio. Complimenti, Maschera di Ferro, è tutta colpa tua!
-Ma cosa?!- sghignazzai.
Continuammo a cazzeggiare per qualche minuto, ignorando le altre ragazze presenti nel dormitorio, che ci lanciavano occhiate perplesse e che probabilmente progettavano di chiedere a Bellocchio di buttarci in un qualche manicomio estremamente sicuro. Il senso dell’umorismo di Ilenia non era poi un granché, ad essere oggettivi, ma io non potevo fare a meno di essere contagiata dalla sua bella risata. Mi divertivo con poco in sua presenza.
-Piuttosto! Ho una cosa serissima da dirti!
Lei inarcò le sopracciglia, mostrandosi incuriosita - ma era anche pronta a non prendermi troppo sul serio, in particolare per la mia espressione. Esponevo il labbro inferiore e sbattevo ripetutamente le ciglia, cercando di avere un’aria triste e pietosa, ma volutamente esagerata e infantile per farle capire che no, non ero affatto seria.
-Temo che Oxygen mi tradisca.
-Io ne sono certa. Sicuramente lo fa con Rosso.
-Stronza!!
Scoppiammo a ridere senza ritegno, ancor più rumorosamente di prima. Quella battuta non me l’aspettavo da parte sua e annaspai nel tentativo di riprendere fiato, sicura che fosse giunta la mia ora: decisamente stavo morendo dal ridere, non riuscivo a respirare per quanto lo facevo sguaiatamente, e lo stesso era per lei. Dopo qualche minuto riuscimmo ad isolare risatine di sfogo per poter parlare di nuovo con un po’ di decenza.
-Come mai dici che ti tradisce?
-Perché… senti, non ridere, ma diciamo che è passato dalla parte di Rosso!- Mi tappai la bocca subito dopo aver detto questo e lei mi imitò: ci volle qualche altro secondo di pausa, ma riuscimmo ad evitare un’altra scena simile alle precedenti e, più o meno serie, ebbi l’occasione di andare avanti: -Adesso anche lui, Argon e Kripton non ci fanno parlare durante gli allenamenti, non possiamo dare ordini nemmeno con loro, ecco perché mi tradisce. Anzi, tradisce tutti noi, ecco. Lui e i suoi fratelli sono passati al Lato Oscuro.
-Perché al Lato Oscuro hanno i biscotti!
Non ce la facevamo a scambiarci un paio di parole senza ficcarci in mezzo qualche cavolata. Inevitabilmente riprendevamo a ridere, ma quella volta ci sforzammo di riprenderci prima, così lei riuscì a rispondere con serietà, cosa che in quel momento ritenevo quasi impossibile. Mi faceva, anzi ci faceva bene passare un po’ di tempo così, a scherzare e basta ridendo per le cose più banali, svuotando la mente da eventuali preoccupazioni. Era decisamente rilassante, anche se i crampi alla pancia dopo quelle dolorose risate erano abbastanza imbarazzanti.
-Va bene, stavo dicendo? Ah, non avevo nemmeno cominciato… comunque! Per quanto mi piacerebbe fare una lotta con i comandi e tutto, vanificherebbero il lavoro che Rosso sta facendo.
-Perché, Rosso sta lavorando?- inarcai le sopracciglia. -Non me ne sono mica accorta.
-Waaah…!- emise uno strano verso mentre si stiracchiava e finalmente si rigirava, rendendosi conto che troppo sangue al cervello non aiutava. -Ho intenzione di chiudere ‘sta storia, non perché non mi piaccia prenderlo in giro con te, il caro Rrrosso, ma perché lo sto mal sopportando e non vorrei nemmeno sentirlo nominare. Se ci riterrà degni di scoprire il suo metodo allora lo farà appena sarà finito quest’anno. Altrimenti chi se ne frega, dovrebbe rimediare lui stesso a quel punto con un altro modo per insegnarci a lottare “dignitosamente”- mimò le virgolette con le dita. -E se si ostina a fare il Master invincibile ho già reclutato Cynthia per sbatterlo fuori dalla base.
-Mi aggiungo anche io per…
La mia voce fu sovrastata, con mia sorpresa, da quella di qualche Capopalestra femmina che non riuscii ad identificare, distorta con qualche programma che la rendeva irriconoscibile. Io e Ilenia interrompemmo ogni tipo di contatto visivo mentre una misteriosa comunicazione veniva annunciata nell’intera base segreta.
-Tutti i membri all’interno della base sono convocati nei sotterranei per un’urgenza. Si prega di non bloccare i passaggi nei corridoi e di dirigersi ordinatamente verso il luogo concordato, di non accalcarsi presso una qualsiasi entrata o uscita che potrebbe bloccare altre persone. Tra dieci minuti saranno chiuse le porte dei sotterranei per una riunione generale segreta.
Quando la comunicazione terminò io ed Ilenia ci lanciammo un’occhiata veloce. Senza dire niente capimmo più o meno la stessa cosa: non dovevamo evacuare né niente, non c’era un’invasione, un’infiltrazione o qualsiasi altra cosa sulla stessa lunghezza d’onda, perché altrimenti avremmo sentito suonare gli allarmi e si sarebbero attivati i numerosi teletrasporti. Le cabine di teletrasporto erano nascoste anche a noi ragazzi, per evitare che all’improvviso facessimo per scappare per una qualunque ragione, ma ognuno aveva una mezza idea su dove si trovassero. Io ero abbastanza sicura che fossero dietro le testate dei vari letti nei dormitori - e se così non fosse stato, rimaneva che la mia era una bella fantasia, senza ombra di dubbio. Ma non si aprì nessuna porticina segreta per i teletrasporti.
Quello fu l’ennesimo invito a sbrigarci per andare a vedere di che trattasse quella riunione improvvisa. Io ed Ilenia scendemmo dai letti e, già pronte per uscire, a passo di marcia ci dirigemmo non molto ordinatamente verso la porta, come era stato invece richiesto, insieme alle altre ragazze. Nessuna appariva spaventata, le espressioni di tutte erano curiose: qualcuna delle più grandi era addirittura annoiata, forse aveva già avuto esperienze di simili convocazioni che alla fine si erano rivelate una sciocchezza.
Non avevo mai visto i corridoi tanto affollati. Un lieve brusio, che però non disturbava con strilli o chiamate a gran voce di gente dall’altra parte della base, percorreva l’intera fiumana di ragazzi e adulti che si incanalava verso il corridoio F. Stringevo il polso di Ilenia, che si faceva strada davanti a me ed era la mia guida in quel momento. Per questo ero ben decisa a non mollare la presa, attaccandomi a lei come una bambina che teme di perdersi. Curvai le labbra appena una scena simile si fece strada nella mia mente.
-Ile’- la chiamai quando ormai stavamo scendendo le scale a chiocciola che, metri e metri più giù, portavano al livello dei sotterranei. -Secondo te cosa dovranno dirci in questa riunione?
Lei fece spallucce. -Ho idea che si tratti di qualche scoperta sul conto del nemico. Ma forse è solo una speranza mia, visto che non si viene a sapere mai nulla di quello che fanno i Victory… speriamo bene.
La mia amica era estremamente intuitiva e spesso le sue premonizioni si rivelavano esatte. Era stata lei a dire che forse l’ospite d’onore alla base segreta sarebbe stato Rosso e io allora non le avevo dato retta, ritendendola una cosa assurda. Ma stavolta mi fidai, perché anche se - in un modo tristemente comico - mi sembrava impossibile che stessimo addirittura facendo progressi - pensai ironicamente, decisi di fidarmi di lei. E feci bene.
La riunione si sarebbe tenuta nella sala principale dei sotterranei, quella in cui avevo incontrato Wilson per sapere se ci fossero stati progressi per la faccenda dei miei genitori. Era quel’enorme stanzone pieno di computer sempre accesi sulle numerose scrivanie, che per certi versi sembrava un’aula universitaria ma che sinceramente appariva più come un’inquietante scatola d’acciaio. I grandi schermi sul fondo sottolivellato della stanza avevano una luminosità talmente bassa che era impossibile leggere i codici scritti a caratteri piccoli accanto alle immagini che mostravano - probabilmente volevano evitare che qualcuno li leggesse per questioni di sicurezza, ma in ogni caso non potevano permettersi di spegnerli neanche un attimo e quei supercomputer lavoravano tutto il giorno.
Lì davanti agli schermi si stagliavano la figura ricurva di Wilson e quella più fiera e severa di Bellocchio, che si grattava sul mento la barbetta di qualche giorno. C’era una donna seduta a un pc accando a loro, ma voltata di spalle, che però se ne andò a un cenno del capo lasciandogli il suo computer. La sua espressione era corrucciata e lo stesso valeva per quella dell’anziano, che mi ricordavo più ridacchiante con la sua bocca provata dal fumo.
Bellocchio alzò lo sguardo gelido appena si sentì una specie di boato quando le grandi porte d’acciaio della sala si chiusero, segno che eravamo tutti lì. Mi guardai intorno senza prestare attenzione all’introduzione dei due e mi resi conto di quanto fosse popolosa la base segreta anche senza essere al completo: mi rassicurai sul numero delle nostre forze pensando che almeno tre o quattro volte tanto, sparsi per il mondo, c’erano nostri alleati in altre basi. E lì, nella sede centrale di Sinnoh, eravamo almeno qualche centinaio. Contando che erano pochi i prescelti a sapere dell’esistenza di un mondo Pokémon, quelle cifre erano impressionanti.
Il capo stava blaterando qualcosa sommessamente proprio sul fatto che non tutti fossero lì riuniti, ma che ogni membro delle forze del Bene era stato avvisato o stava per scoprire le stesse cose che lui ci avrebbe rivelato.
Il tono della sua voce si fece più determinato e deciso, segno che stava per dire qualcosa di molto importante. -In questi lunghi anni di guerra, entrambe le fazioni hanno combattuto duramente e hanno mutato sé stesse pur di mettersi al sicuro dalla minaccia del proprio nemico, trasformando le loro gerarchie per evitare che l’altro minasse alla sua sicurezza. Ebbene, è proprio della struttura nemica ciò di cui vi informerò- annunciò Bellocchio. -I documenti che riusciamo a sottrarre al nemico sono sempre e indistintamente protetti, anche per le cose più insignificanti abbiamo bisogno di mesi e mesi per decifrare codici, trovare password, e spesso tutte queste azioni sono rallentate da altri impegni e preoccupazioni più urgenti. In questi giorni, il team di tecnici ha aperto un prezioso contenitore di informazioni, che non vi mostreremo nel dettaglio ma di cui vi informeremo.
Wilson si schiarì la voce, tossendo da bravo fumatore, e si scambiò un’occhiata d’intesa con Bellocchio. Questi annuì e gli lasciò la parola. -Abbiamo catturato delle telecamere da una delle basi nemiche principali ed esaminati i loro nastri in questi due o tre giorni. Siamo rimasti non poco sorpresi dal loro contenuto e questo- agitò una mano che stringeva un fascicolo di fogli scribacchiati a mano, -è il resoconto dei filmati che abbiamo visto.
Lo porse a Bellocchio, informandoci che lo avrebbe letto lui, ma prima di cominciare il capo fece una premessa: -Questi filmati riprendevano una riunione tra i Comandanti nemici, per intenderci gli ex capi dei vari Team sparsi per le regioni tra dieci e quindici anni fa. All’appello mancava solo Giovanni, il boss del Team Rocket che aveva la sua influenza sulle regioni di Kanto e Johto… dopo questa lettura, però, saremo costretti a rinominare i ruoli dei vari Comandanti, e inizieremo a chiamare così altre figure.
Spalancai gli occhi e scambiai una veloce occhiata con i miei vicini. Cosa significava che avremmo rinominato le cariche di Cyrus e compagnia? E chi erano gli altri Comandanti allora?
-“Le seguenti registrazioni riprendono alcuni minuti compresi tra le ore sei e le ore sette antimeridiane del giorno xx del mese yy, anno corrente”- enunciò dapprima Bellocchio con voce chiara e tonante. -Queste riprese riguardano una breve riunione, come già detto, del cui contenuto non siete tenuti ad essere messi a conoscenza. Le parti essenziali e delle quali dobbiamo parlarvi sono… “M. e I. stanno in silenzio per l’intera durata della ripresa e gli unici a parlare sono gli altri tre, ovvero C., G., ed E.. Si riflette su un attentato a Luminopoli, capitale di Kalos, e su uno alla stazione del Supertreno di Fiordoropoli; i due saranno praticamente simultanei e C. commenta con un secco ‘per la gioia dei boss’. G. si lascia sfuggire una risatina ed E. prende la parola, ribattendo alle parole di C. con un’informazione, secondo la quale l’ordine dell’attentato provenga ‘dall’alto’.”
Bellocchio fece una pausa prima di continuare. Io non potevo credere a quello che stavo sentendo e speravo di non star capendo quelle parole ambigue, ma che purtroppo mi parevano chiare e precise.
-“C. dice che è stato comandato loro di agire con troppo poco margine d’anticipo e che questi attentati, se avrà voglia di attuarli, saranno preparati male e i loro piani saranno pieni di falle. Segue una gelida discussione tra l’ex comandante del Team Galassia di Sinnoh e tra quello del Team Flare a Kalos. C. indica i cosiddetti boss con un nomignolo ironico, ‘i due signorini’. E. insiste nel dire che i Comandanti sanno quello che fanno, hanno programmato già tutto… e che se sono diventati loro i Capi del Victory Team ci sarà qualche motivo.”
Bellocchio ripiegò il fascicolo e lo restituì a Wilson, il quale aveva abbassato la testa pensierosamente. La fronte rugosa del vecchio era corrugata in un tripudio di preoccupazione, e nonostante la mia non fosse corrucciata come la sua, i miei occhi aperti più del normale parlavano da soli.
“Abbiamo risparmiato le vite delle persone sbagliate” realizzai, rivedendo vividamente nei miei ricordi lo sparo di Camille contro il padre, Elisio, e desiderando ardentemente che quella barriera protettiva contro la quale si era infranta la pallottola non fosse mai esistita, immaginando il volto rabbioso ma esultante della ragazza nel vedere l’uomo che le aveva dato e rovinato la vita morto a terra. Morto.
Bellocchio confermò i peggiori dubbi di tutti gli spettatori nella sala. -A quanto pare il Victory Team è diretto da qualcuno molto più in alto e molto più potente degli uomini che facevano parte degli altri Team. E questi sono sempre stati, con ogni probabilità, loro marionette per non sporcarsi le mani, mentre agivano nell’ombra e davano direttive all’intera organizzazione. Forse è per questo che C., o meglio Cyrus, li chiama “signorini”.
Fece una pausa prima di andare avanti nelle considerazioni che tutti avevano già fatto. -Non sapevamo dell’esistenza di un vertice ancora più alto del Victory Team e non abbiamo traccia di questi due capi da nessuna parte. In seguito, Cyrus continua a fare ironia sull’identità di questi due e arriva a chiamarli “gli Dèi”. Nonostante il suo tono non sia serio, a giudicare da quello di Elisio e poi anche da un breve intervento di Gechis, gli altri sono molto seri da questo punto di vista e non accettano di buon grado i toni dell’ex comandante del Team Galassia. In ogni caso, da adesso- si apprestava a concludere, -il più delle nostre forze sarà impiegato nella ricerca di questi due misteriosi Capi, dei veri Comandanti del Victory Team.
Il suo sguardo buio percorse tutta la folla attonita, che non voleva credere a tutti gli errori commessi fino ad allora, sicura che il vero nemico fosse qualcuno già conosciuto in passato. Invece dietro alla nascita del Victory Team c’era qualcun altro, qualcuno di molto più potente a quanto pareva, che aveva liberato i vecchi capi dalle loro varie prigioni ed era addirittura riuscito ad ottenere la loro fiducia e la loro devozione, facendoli alleare sotto il proprio controllo. Era temibile il fatto che non si ribellassero a loro, che solo Cyrus si permettesse di fare un po’ l’arrogante menefreghista degli ordini che arrivavano dall’alto. Significava che esercitavano un potere di una forza spaventosa per intimorire tanto degli uomini già terribili di loro.
Mi riusciva difficile credere a qualcosa del genere e probabilmente lo stesso valeva per tutti i ragazzi, troppo atterriti dalla scoperta inaspettata per chiedere qualcosa in più a Bellocchio e Wilson sulle parole dei sottoposti ai signorini, come avrebbe detto il mio acerrimo nemico. Io di domande ne avevo, e anche tante, insieme a non poca rabbia nello scoprire che gran parte dei miei sforzi e dei miei impegni erano stati resi vani da quella scoperta. Ma preferii aspettare un momento più propizio, magari quando mi sarei trovata da sola con Bellocchio, nella speranza di non incollerirmi - rischio che correvo altamente.
I due uomini videro che l’effetto prodotto dalla scoperta aveva fatto ammutolire la folla, abbattendola oltre le loro aspettative. Ci congedarono senza sapere che fare altrimenti, ma io aspettai un po’ prima di andarmene. Mi interessava guardare le espressioni dei miei amici per poi confrontarmi con loro: vidi di sfuggita Daniel, serio come poche volte lo avevo visto in vita mia. Ilenia e altre ragazze avevano le sopracciglia corrugate a causa di una profonda preoccupazione e anche dalla disapprovazione nei confronti di tutto ciò che le circondava.
Mossi i primi passi verso l’uscita quando sentii qualcuno darmi una gomitata. Seccata mi voltai di scatto verso la direzione da cui quel colpo proveniva, per poi spalancare gli occhi alla vista di Camille che, senza guardarmi e continuando a camminare, superandomi, mi mormorò qualcosa con una calma che mi lasciò interdetta.
-Io me ne vado.

Avevo la netta sensazione che quell’affermazione volesse significare molto più di quello che pareva. “Io me ne vado” non poteva riferirsi solo all’uscire dalla riunione convocata nei sotterranei, Camille non avrebbe avuto alcun motivo di avvertirmi che se ne tornava al piano superiore, a meno che non avesse voluto incontrarmi. Ma per il giorno successivo evitò accuratamente il mio sguardo interrogativo e fuggì la mia presenza, finché non la vidi più in giro. Inizialmente pensai che fosse in missione, ma i giorni passavano e la faccenda si faceva troppo strana.
Mi feci un’idea a tal proposito, chiedendomi ripetutamente cosa significassero le parole della ragazza e non restando indifferente al suo sguardo lunatico: in alcuni momenti appariva arrabbiata, come al solito gelida, però solo quando non si accorgeva di me. Quando poi ci incrociavamo, s’intristiva improvvisamente e quasi arrossiva, abbassava lo sguardo e cercava una scusa per andarsene. Non che io volessi parlarle, d’altronde; probabilmente si era pentita di avermi detto quella cosa, pensai, anche se poi scoprii che non fu affatto così.
Camille sparì dalla circolazione e mi parve strano il fatto che nessuno se ne fosse accorto. Tutti proseguivano con allenamenti che mi parevano sempre più futili e privi di senso, di utilità: a che serviva allenarsi ancora? Quali livelli dovevamo raggiungere? Ero più demotivata che mai: avevo come minimo altri due nemici da combattere, che non conoscevo e che non volevo nemmeno conoscere. Sarà stata codardia, vigliaccheria, ebbi davvero paura in quel periodo al pensiero che esistessero persone ancor più spaventose di Cyrus e compagnia, più potenti di uomini che già davano parecchio filo da torcere ai nostri. E poi all’improvviso si scopriva che c’era pure di peggio.
Non mi andava affatto bene tutto ciò, per niente. Ero stanca di quegli allenamenti che non avrebbero portato da nessuna parte: presto smisi di frequentare le lezioni di Rosso per giorni, quando ormai si erano fatte più regolari, suscitando dapprima la preoccupazione, poi la disapprovazione, infine anche la rabbia di Oxygen. Voleva che mi allenassi ancora, perché di cose da migliorare ce n’erano ancora e neanche poche, lo sapeva lui che era inferiore a Rosso. Ma me ne fregai altamente dei suoi desideri e alla fine si arrese, dandomi carta bianca e lanciandomi un deluso, rassegnato “Peggio per te” che non mi toccò minimamente.
-Che senso ha continuare così?- gli avevo chiesto quella volta.
-Che senso ha non continuare, allora?
-Oxygen, dammi una motivazione valida per la quale io possa convincermi ad allenarmi ancora, ti prego. Così non ce la faccio, smetterò definitivamente, o almeno finché Bellocchio lo tollererà.
-La motivazione è che il nemico è più forte di quello che abbiamo sempre creduto e quindi…
-E quindi dovremmo continuare ad allenarci?!- avevo esclamato all’improvviso, scaldandomi. -Tanto nessuno di quelli che tu e i tuoi colleghi state allenando andrà a combattere davvero, non è mai stato combattuto niente, non ho mai sentito parlare di una guerra che potesse essere definita tale durante questi anni. Se dobbiamo andare ancora a tentoni per poi scoprire che molti dei giochi di Bellocchio sono stati inutili, tanto vale lasciar perdere.
-Ma che cosa stai dicendo?- aveva ribattuto lui basito. -Non mi sarei mai aspettato niente del genere detto da te.
-Io non mi sarei mai aspettata, due anni fa, di arrivare a un punto simile! Non è possibile che Bellocchio ci impegni in missioni sconclusionate, giusto per tenerci impegnati e non farci pensare a quanto tutto questo sia assolutamente inutile! Come puoi non darmi ragione, Oxygen? Cosa c’è di buono in quello che è stato fatto finora?
-Ma che vuoi che ne sappia io? Il mio compito è quello di allenarvi e prepararvi alla minaccia nemica, che come saprai è sempre presente! Non si tratta solo di andare a combatterci per sconfiggerli, ma nel caso in cui le cose si mettessero ancora peggio per noi, dovremo pur darvi un minimo di mezzi per difendervi da soli e i Pokémon sono l’unica scelta che abbiamo. Gli allenamenti non finiranno mai, Eleonora, se non quando terminerà la guerra. Cosa c’è che non va? Qual è il tuo problema con Bellocchio, visto che lo odii tanto?
-Ne avessi solo uno di problema con lui, ma a te non te ne può fregare di meno di questo…
-Oh, bada a come parli!
-… e se dovremo aspettare il termine della guerra- ero andata avanti, ignorando il suo rimprovero, -allora direi che passerò la mia vita a potenziare sempre di più Altair e la sua compagnia, per poi vedere i miei sforzi vanificati dall’intervento di qualcun altro. Questa guerra avrà un eroe che la terminerà, sia egli dalla parte del “Bene” o da quella dei Victory. Allora non mi rimarrà più niente, se non una squadra…
-Ma allora non capisci!- mi aveva interrotta. Avevo ricambiato il suo sguardo con un’occhiata furente e seccata da tutto quello che non andava in ciò che stava succedendo, quando per tutta la conversazione avevo sentito i suoi occhi su di me mentre io guardavo da tutt’altra parte. -Non devi guardare solo al futuro, ma anche al presente! Se durante una missione ti ritrovassi improvvisamente sola contro Cyrus, cosa faresti? Avresti bisogno di Pokémon in grado di superare i suoi, ed è questo quello a cui mira Bellocchio… Lo hai detto anche tu spesso, andiamo!
-Cos’è che avrei detto, scusa?
-Sai meglio di me che non siamo altro che pedine- mi aveva ricordato, calmandosi all’improvviso. Si era un po’ rattristato nel sentirmi dire quelle parole velenose nei confronti del capo, mettendo da parte la rabbia suscitata dai miei discorsi. -Noi non abbiamo voce in capitolo, non possiamo fare nient’altro che sottostare ai suoi ordini e a quelli di qualcun altro che ci comanda, magari sopra Bellocchio ci sono altri capi, proprio come per il nemico.
-Non capisco dove tu voglia andare a parare.
-Invece lo capisci- aveva replicato lui, scuotendo la testa. -Se hai intenzione di farla finita con gli allenamenti, posso dirti solo peggio per te, perché hai ancora da migliorare. Ma spero che tu non ti inventi niente di stupido per la rabbia, Eleonora, perché io sono sicuro che da adesso i nostri si daranno una mossa. Sono arrivate molte proteste in questi giorni, Bellocchio è nervoso ma sa che bisogna iniziare a fare qualcosa di più concreto…
-Oxygen, tu non hai capito, o forse non la conosci, la mia posizione in questa guerra. E all’inizio non la capivo nemmeno io, ma ormai mi è fin troppo chiara!
-Perché, qual è la tua posizione?
Mi ero morsa il labbro, sentendo di aver parlato troppo. Quella cosa era un altro segreto tra me e me stessa, non volevo dirlo a nessuno. Nemmeno ad Oxygen, nonostante lo amassi, perché era fin troppo fedele a Bellocchio per i miei personalissimi gusti. Quindi avevo scosso la testa e gli avevo detto di lasciar perdere.
-No, adesso mi dici che ti prende.
-No che non te lo dico!- avevo sbottato all’improvviso, buttando fuori l’aria dai miei polmoni con veemenza. Il ragazzo mi aveva guardata intensamente, perplesso dai miei comportamenti, ma io in quel momento vedevo tutto infuocato dalla rabbia. -Per favore, lasciami sola. Ne ho abbastanza di questa conversazione, che non ci porterà da nessuna parte, perché io sono fin troppo ferma sulle mie posizioni.
-Ho qualche speranza di sapere quali esse siano?- mi aveva chiesto lui.
-Pensa solo che è stato difficile per me sperare di scoprirle- avevo ribattuto, chiudendo la discussione. Oxygen se ne era andato scuotendo la testa, disapprovando totalmente le mie parole.
Io però mi sentivo sicura nel mio pensiero sulla cosiddetta guerra, ma sinceramente non volevo più definire tale un simile teatrino in cui io facevo la comparsa. Forse non lo sarei più stata, se Bellocchio si fosse deciso a dirmi quel dannato segreto che mi riguardava e che mi faceva fare gli incubi la notte: forse allora mi sarei sentita meglio, mi sarei sentita più forte e speciale, come aveva detto spesso Cyrus. Invece non sapevo nemmeno cosa aspettarmi da questo segreto, che magari mi avrebbe davvero condotta alla follia, come aveva fatto con Camille.
Camille era scomparsa e se io non avevo imitato la sua fuga dalla base segreta era solo perché non avevo altri posti in cui andare. In alcuni momenti di debolezza l’offerta del nemico mi sembrava terribilmente allettante, forse ero così importante da poter entrare a contatto con i vertici del Victory Team e collaborare con loro… il dominio che volevano imporre sul mondo forse non era poi una cattiva idea, d’altra parte erano tutti uomini intelligenti che conoscevano le regole del governo e le leggi che facevano girare il mondo, sia Pokémon che normale.
Fu così che iniziai a trovare facilmente comprensibili le teorie di Enigma, le sue parole: chi era il Bene e chi il Male? Aveva senso logorarsi così, senza andare a finire da nessuna parte? Io non sapevo chi fosse la fazione meno peggiore, ormai. Non aveva senso no, niente aveva più motivo. Combattevo per modo di dire, perché mi veniva detto di fare così e perché era una cosa che più o meno mi riusciva. Ma era pure vero che non avevo mai realmente fronteggiato Cyrus o Elisio, i due capi nemici che avevo incontrato fino ad allora.
Però non riuscivo a inquadrarmi tra le fila nemiche, esperienza che più volte ipotizzai di sperimentare. Perché no, mi ero chiesta, perché non andare da qualcuno che riuscirà a trovarmi un’occupazione in questo conflitto così dannatamente silenzioso ed inutile? Perché non scoprire cosa riguardasse quel segreto che avevo e che nemmeno io conoscevo? Che problema c’era ad andarsene dai nemici e iniziare a chiamarli alleati?
Ma poi mi paralizzavo dallo spavento al pensiero di quel perverso di Cyrus e del suo ghigno terrificante, che tanto a lungo aveva infestato - e a volte infestava ancora - i miei sogni. No, non potevo, davvero no: era assurda la visione di Eleonora che all’improvviso scappava e se ne andava dall’altra sponda. Ormai ero troppo abituata a vedermi alleata con Bellocchio e la sua fazione, non riuscivo ad immaginare di stare con gli altri. Anche se forse sarebbe stato meglio così. Magari avrei incontrato tutta la corruzione del mondo e anche la cattiveria più cieca; non avrei trovato la pietà e la comprensione dei miei amici, che erano disponibili e altruisti, pieni di buone intenzioni.
O forse sì? Il marcio c’era anche nelle forze del Bene, non erano pochi i ragazzi menefreghisti, che si isolavano dal mondo ed erano davvero marionette mosse dalle mani poco esperte di Bellocchio. A loro non importava nulla del prossimo, se i loro compagni erano in difficoltà li lasciavano a cavarsela da soli, pur di salvarsi la faccia oppure per portare a termine una missione, un incarico. Sì, c’erano soggetti davvero terribili tra di noi.
Allora perché tutti i Victory avrebbero dovuto essere semplicemente cattivi? Se anche i capi e i Comandanti lo fossero stati, chi mi diceva che invece Bellocchio era puro e assolutamente buono? E le reclute nemiche erano tutte così corrotte? No, mi bastava pensare a Luke, il ragazzino che non conosceva i Pokemon e il loro mondo, che era stato sottratto dalla sua famiglia e dalla sua realtà per andare a servizio dei Victory. Lui era “buono”, sempre che la bontà fosse esistita a quel mondo… ma allora io chi ero?
-Basta, basta…!- mi intimavo, prendendomi la testa tra le mani, straziata da tanta confusione.
Io chi ero? Le mie intenzioni quali erano e cosa avrei fatto?
Sapevo solo che improvvisamente desideravo con ardore tornare bambina. Allora avrei visto solo una netta divisione nel mondo, quella bianca del Bene e quella nera del Male. Non avrei conosciuto l’esistenza di un lato buono nell’oscurità e di uno terribile nella luce, di conseguenza avrei ben saputo tra cosa scegliere. Bianco o nero? Ovviamente una bambina si sarebbe diretta verso la prima opzione. Invece era tutto così dannatamente grigio.
E poi - non avrei mai finito di tormentarmi con tutte quelle riflessioni - cosa era successo in dieci anni? Cosa poteva giustificare l’estrema lentezza delle operazioni sconclusionate ed inutili del mio schieramento? Non mi sarebbero mai state sufficienti le misere parole di Bellocchio: “Abbiamo bisogno di mesi e mesi per decifrare codici, trovare password. Spesso tutte queste azioni sono rallentate da altri impegni e preoccupazioni più urgenti”. Quali erano queste preoccupazioni tanto importanti, se non la lotta contro quello che veniva indicato come il Male? Solo Bellocchio avrebbe potuto rispondermi con completezza. Per questo andai a chiederglielo.
Una mattina mi alzai di buon’ora, non riuscivo a dormire, tormentata dal bisogno di schiarirmi le idee su quello che ero io nella “guerra” e su quello che stava succedendo. Mi diressi con apparente disinvoltura verso l’ufficio di Bellocchio, come al solito abitato dal suo proprietario, che era sgradevolmente sorpreso - come al solito - di dover vedere la mia faccia anche la mattina presto di un giorno a caso. Probabilmente credeva che gli avrei chiesto di mandarmi in missione, magari voleva rimproverarmi perché non seguivo più nessuna lezione.
Ma non volevo più mettermi in gioco con una missione, poteva anche dimenticarsi di me mentre io cercavo una risposta alle mie domande e decidevo che fare della mia condizione. Non me ne fregava niente delle lezioni, stavo bene così per quel che mi riguardava, Oxygen poteva rimproverarmi quanto voleva. E poi iniziavo anche a farmi valere, a dargli del filo da torcere durante le lotte che ogni tanto facevamo.
Saltai puntualmente i convenevoli che avrebbero dovuto esserci tra me e il mio capo, e lo stesso fece lui. Mi chiese subito cosa volessi, dopo aver premesso che non era affatto contento della mia condotta e che il periodo di equilibrio che credeva di aver visto in me si era spezzato. Feci spallucce in risposta e, con voce ferma, glielo dissi.
-Voglio sapere con estrema precisione cos’è successo in dieci anni di “guerra”.






Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Macciaoggente! Non sono in ritardo manco per niente stavolta, e verso la fine del mese pubblico l'extra. Tra l'altro verrà lungo come minimo come questo capitolo, preparatevi. Però è interessante, o almeno credo. Continua sul tema già trattato dal capitolo "Bene o Male? Bianco o nero?", spero vi piacerà. (Ah, Xy ed Ele non si molleranno per così poco, mi spiace molterrimo)
A presto allora! nella speranza di non fare tardi rido
Ink
  
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