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Autore: Kore Flavia    19/04/2015    1 recensioni
[La mia totale incapacità mi impedisce di fare un intro decente, ma giuro che la storia vale *coff coff*]
DAL TESTO:
-Ehi, tutto bene? – Una voce. La ragazza non alza la testa, sicuramente non sta parlando con lei. Anzi, inizia a stringere con maggiore forza le ginocchia al petto.
-Ehi. – Di nuovo quella voce, chissà forse l’interpellato non gli sta rispondendo. Lei non lo sa, non alza lo sguardo, perché dovrebbe? Farebbe solo la figura della fessa ad alzare lo sguardo e scoprire che non stanno parlando con lei.
[...]
-Andrea, tutti hanno bisogno di amici. Se vuoi io posso essere il primo. – La voce è dolce come il miele e lei non sa come rispondere, perché, in fondo, lei desidera qualcuno con cui parlare. Non le basta più la compagnia del silenzio. In quel momento nelle cuffiette inizia un’altra canzone: Come what may, e Andrea sorride debolmente.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Note d'autore: Volevo solo scusarmi per il ritardo e ringraziare chiunque segua e recensisca questa storia. 
E ci tengo a precisare che chi conoscesse il liceo Giulio Cesare di Roma sarà piuttosto avvantaggiato con l'andare avanti delle vicende. La scuola che infatti presento è questa e lo stesso vale per la zona. 
Per il resto ho finito. 
Buona lettura.
Bye bye
Black






CAPITOLO 3
Nature boy


Davide è contento poiché Andrea, la quale non si è mai realmente aperta con lui, ha finalmente ceduto invitandolo a casa sua. Camminano fianco a fianco, le braccia che si sfiorano ogniqualvolta uno dei due faccia un passo troppo vicino al piede dell’altro. E ogni volta che si toccano la ragazza s’irrigidisce stringendosi nelle spalle.
Davide non se ne cura, anzi, ogni tanto l’osserva sotto le lunghe ciglia nere.
-Quindi casa tua dov’è? – Domanda schiarendosi la voce, ha imparato a trattarla con i guanti come se potesse fuggire da un momento all’altro. Come un animale ferito pensa prima di continuare: -Ho già male hai piedi. – Scherza ravviandosi i capelli ricci, che ormai gli solleticano la nuca. Andrea alza lo sguardo indispettita e come suo solito risponde acidamente:
-Non abbiamo camminato neanche cento metri. –
-A mia discolpa posso dire che oggi ho avuto un’ora di ginnastica! – Ribatté lui mettendo il broncio e incrociando le braccia sul petto.
-Lo sai benissimo che il Frolli è un lavativo che non fa fare nulla durante le sue ore. Quindi non hai scuse per l’essere stanco. – Lo rimbrotta accennando un sorriso sottile sulle labbra illuminate dal sottile strato di lucidalabbra. Davide l’ha notato subito, ma ha ben deciso di non farglielo notare così da non irritarla ulteriormente. Il ragazzo ha anche notato che, attraverso le ciglia corte per essere quelle di una ragazza, c’è un leggero segno di matita nera. Sono i piccoli dettagli e cambiamenti che si è attentamente affisso nella mente.
-Quelli sono dettagli. Io mi alleno ugualmente! Indipendentemente dal professore! – Borbottò imbarazzato per il fatto che, a differenza di quel che aveva detto ora, lui quell’ora la passava a chiacchierare con i compagni di classe. E la verità per cui era talmente stanco non era certo lo sport, lui odiava praticarlo, ma era la notte insonne passata in ospedale assieme alla madre. Non aveva chiuso occhio fino alle 3 di mattina e quando la madre aveva insistito per farlo andare a dormire e di non andare a scuola e lui la mattina aveva ribattuto dicendo che quel pomeriggio sarebbe andato da un’amica. Il viso della donna si era aperto in un sorriso sincero anche se tirato dalla stanchezza. Stanchezza riflessa nel viso giovane del figlio. Andrea dovette notare il turbamento negli occhi dell’amico e stupita, poiché non aveva visto altro che comprensione e gioia in quegli occhi azzurri, domanda:
-Cos’hai? – le faceva strano preoccuparsi per qualcuno che non fosse il padre. Era una sensazione nuova e non sapeva se definirla bella o brutta. Davide sorrise gentile e scosse la testa come a scacciare i demoni che si stavano annidando dentro sé.
-Nulla nulla, stavo solo pensando. – Andrea rimase perplessa, ma non volendo forzarlo a parlare di cose di cui non voleva parlare decise di cambiare discorso.
-Ah, perché? Sai pensare? Questa è una novità. – Davide le fu grato per quell’acidità che aveva appositamente messo per non farlo sentire a disagio. Cosa sorprendente poiché è raro che qualcuno mostri gratitudine verso l’acidità.

Quando passano davanti ad un supermercato Andrea gli fa cenno di seguirla dentro. Compra un tozzo di pane e dopo aver pagato escono. Davide pensa che a casa sua manchi il pane e che, il padre, le abbia chiesto di comprarlo. Quando, però, davanti casa, la ragazza si inginocchia davanti ad una smart ed una piccione, dalle piume rade ed intirizzite, si affaccia timoroso, Davide capisce che il pane non è per loro. La ragazza sia avvicina cautamente e, con una delicatezza che il ragazzo non gli ha mai visto, inizia a spezzare la mollica. Lui rimane zitto sospeso in quella scena di materno affetto nei confronti di un uccello. Andrea si raddrizza lentamente, solo quando il piccione è sazio e torna a nascondersi sotto la macchina. Si spolvera i jeans e la maglietta e d’alza lo sguardo sull’amico. Si morde un labbro.
-Sono ridicola, vero? – Domanda timorosa e a Davide in quel momento sembra così simile a quell’esserino minuto e impaurita a cui è appena stato dato da mangiare.
-No, assolutamente no. – Continua per convincerla e gli sfugge un sorriso. Andrea, tranquillizzata, alza le spalle e tira fuori le chiavi del portone dalla tasca. Le infila nella toppa e, in un cigolio, la porta si apre.  
-Bene, so di non esserlo. – Prendono l’ascensore e stretti in quella cassa di legno Andrea si osserva attentamente le unghie rovinate. La ragazza respira profondamente un paio di volte e chiude gli occhi. Inizia a stropicciarsi la maglietta. Davide sta zitto e quando l’ascensore si ferma escono entrambi e la ragazza pare tranquillizzarsi rilassando le spalle.
-Claustrofobia? –
-Io non ho paura di certe sciocchezze! – Sbotta lei con un gesto di stizza. Lui rotea gli occhi, ma decide di lasciar cadere l’argomento.
-Che si mangi a di buono? – Domanda infine, pensando che il fattore cibo sia meno problematico di quelle delle paure. Che poi lui, di paure, ne ha tante non lo ammetterebbe mai.
-Pasta al ragù, l’ha preparato mio padre nel week end sapendo che venivi. – Andrea si passa una mano davanti alla bocca così da nascondere un leggero sorriso che ha fatto a gomitate per uscire fuori. E’ contenta che il padre abbia fatto il ragù, poiché così Davide mangerà bene.
 
Quando entrano in camera della ragazza dopo pranzo, Davide si toglie le scarpe e si siede, le gambe incrociate, sul letto dell’altra. Quella arrossisce, nessuno è mai salito su quel letto se non lei o il padre e la cosa la mette a disagio.
-Perché ser rossa? – Chiede, in un ghigno divertito, il giovane. Lei scuote la testa e si siede alla scrivania poggiando il mento sul pugno.
-Non stavo arrossendo. – Le folte sopracciglia si aggrottano formando un intricato labirinto di rughe sulla giovane fronte della ragazza. Sono tante per una ragazza della sua età, ma Davide pensa sia dovuto al tempo che lei passa sui libri. Annuisce un paio di volte a quella affermazione indispettita e, poiché si diverte troppo ad indispettirla, si piega leggermente in avanti e domanda:
-Quindi posso studiare sul tuo letto? – Lei sgrana gli occhi sorpresa e il labirinto sulla fronte lascia posto ad un’espressione sorpresa ed imbarazzata. Lui ride soddisfatto del fatto che, finalmente, è riuscita a toglierle le parole di bocca. E’ sempre stata con la battuta pronta, eppure non parlava quasi con nessuno.
-Cos-? Certo! Che problemi ci sarebbero, scusa? – La voce le esce esageratamente acuta dalle labbra sottile, vorrebbe riacchiapparla quella frase e non renderla così ridicola, ma non è in un libro e, le frasi, non le può certo cancellare. Lo sente ridere, ma si è già girata verso la finestra così da non mostrare il rossore che ha raggiunto anche la punta delle orecchie.
-Ok, ora studiamo! – Ringhia sbattendo un libro sulla scrivania, Davide sobbalza, ma non si lascia intimorire. Andrea si gira il viso rosso nascosto da una finta rabbia che le aggroviglia lo stomaco. Il giovane tira fuori il libro di geostoria e inizia a leggere a bassa voce.
 
Quando Andrea ha finalmente finito i compiti sono le sei e mezza. Sposta cautamente la sedia così da non disturbare l’altro che studia. Però, girandosi a guardarlo, nota che la testa è leggermente reclinata sul lato destro e le mani non sono più strette sul libro, il quale è caduto tra le gambe incrociate. Il respiro regolare riempie la stanza e Andrea si rende conto che, tanto era presa dallo studio, che non si era accorta che l’amico si era addormentato.
Va in bagno con passo felpato e poi in cucina, dove mette su il tè. Quando il bollitore inizia a fischiare la giovane si sbriga a toglierlo dal fuoco, non vuole svegliare Davide. Versa il tè in due tazze, l’una ornata dalla figura di una foca paffuta e l’altra decorata da scritte di tutti i colori. Poggia entrambe le tazze su un vassoio, su cui prima aveva riposto anche i biscotti e porta il tutto nella sua stanza.
Poggia delicatamente il vassoio sulla scrivania di legno aspettando che si raffreddi. O meglio, aspettando che Davide si svegli. Poggia la testa tra le braccia appoggiate sul tavolo e respira profondamente, a dirla tutta dormire non le pare una brutta idea.
Il buio si trasforma in frammenti di immagini, Andrea vede una donna i cui lineamenti duri rispecchiano i propri, vede suo padre la schiena china su milioni di fogli e vede Davide che le sorride dolcemente, invitandola a seguirla. Alza la testa di scatto e si rende conto che tutto era solo un sogno, prende il cellulare e vede l’ora: le sette. Si gira a guardare Davide il cui corpo è ancora rilassato dal sonno. Si alza chinandosi a sfiorargli la fronte con la proprie e allunga una mano a toccare la spalla del ragazzo. Al solo tocco il giovane sobbalza strabuzzando gli occhi sporchi di sonno. Andrea invece fa un balzo indietro andando a scontrare contro la propria sedia e cadendoci sopra. Lui si passa una mano sul viso sbadigliando prima biascicare:
-Che ore sono? – Il ragazzo si alza barcollando e ricade subito sul libro, solo ora Andrea nota due profonde occhiaie circondare scuse gli occhi chiari come il cielo dell’altro.
-Le 19. – Risponde perplessa la giovane, scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi. Gli porge una mano aiutandolo ad alzarsi e il contatto, per quanto ormai famigliare, la fa trasalire.
-Cazzo. – Impreca lui.
-Devi tornare a casa? – Chiede dispiaciuta lei.
-Devo chiamare mia madre, tuo padre a che ora torna? – Un brivido le percorre la schiena e rimane zitta per qualche istante, quando decide di rispondere sul viso ha un sorriso tirato.
-Verso le undici. – L’altro tira fuori il cellulare dalla tasca e digita un numero, se lo porta all’orecchio e quando la madre risponde lui dice:
-Rimango a cena dall’amica, il padre torna tardi. – E dopo poco mette giù, sorridendo all’altra.
-Allora, che aspettiamo a preparare la cena? – Domanda rimboccandosi le maniche e uscendo dalla stanza va in cucina. Andrea lo segue stupita e prima di uscire torna indietro a prendere il vassoio.
-Avevo preparato il tè! – Gli urla dietro apparendo sull’uscio della cucina. Davide le va incontro e prende la tazza dalle scritte colorate bevendone il contenuto tutto d’un sorso. La ripoggia sul vassoio e torna al lavabo in cui i piatti del pranzo riposano sporchi. Prende una spugnetta e, versandoci troppo sapone, comincia a strofinare i piatti. Andrea lo osserva stupita, ma non muove un muscolo.
-Io penso a questo, tu intanto metti su qualcosa. Ti faccio compagnia fino alle nove. – Andrea sorride riconoscente e questa volta non lo nasconde. Annuisce un paio di volte e tira fuori un paio di padelle e della carne e delle verdure.
-sì, signore! – E fa un cenno con la mano. Scoppiano entrambi a ridere.
Nell’altra stanza il cellulare di Andrea squilla e la suoneria Nature boy parte, ma sovrastata dalle risate e dai piatti, nessuno dei due non la sente.
 
   
 
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