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Autore: Baldr    20/04/2015    0 recensioni
Realgar è un esploratore mercenario, uno dei pochi temerari, o forse folli, disposti a sfidare l'inospitale superficie marziana per accontentare le più disparate richieste dei clienti, che si tratti di recuperare oggetti rubati o consegnare materie pregiate tra i vari avamposti disseminati sul pianeta rosso, colonizzato quasi due secoli prima.
Quando verrà ingaggiato per consegnare un'eredità a un'anonima ragazzina, si troverà suo malgrado coinvolto in uno spregevole gioco di potere che potrebbe portare alla distruzione delle città cupola e all'annientamento della vita sul pianeta Marte.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Kamar







-2-

 
 

 

    Realgar, seduto su una panchina di metallo arrugginito, osservava il piccolo parco cittadino, costruito sulla sommità di uno dei palazzi. Alberi, arbusti, persino l’erba aveva un insalubre colore giallognolo per colpa dell’inquinamento.

    Lo sguardo indugiava soprattutto sui passanti, ne scrutava i volti, cercando di intuire le intenzioni di quelle figure estranee a lui. Era all’erta, voleva evitare che qualcuno gli facesse saltare l’affare, soprattutto ora che era così vicino a riscuotere il suo compenso.

    Le iridi azzurre si posarono sulla figura di un uomo, avvolto in un pesante soprabito scuro, che non aveva nemmeno un granello di polvere, sibolo che non avesse mai messo piede all’esterno della cupola, o anche nelle zone di decompressione.
    Lockart ricambiò l’occhiata per un solo istante, per poi incamminarsi verso una delle passerelle sospese, che univa il parco a uno dei palazzi vicini. La parte superficiale di Herschel era un fitto intrico di ponti veicolari e pedonali, per poter estendere la superficie calpestabile.

    Realgar si alzò e lo raggiunse a metà del viadotto. Lockhart era appoggiato alla ringhiera, con lo sguardo perso sulla ragnatela che si estendeva sotto di loro per venti piani sotto di loro. «Lo hai con te?» gli domandò. Impossibile dire se lo stesse fissando, visto che gli occhi erano celati dietro le lenti scure della maschera, che proteggeva le mucose dall’aria venefica.

    Realgar scostò lo spolverino, portò una mano alla cintura e recuperò il cilindretto, svitò il coperchio e lasciò cadere il chip sul palmo della mano che Lockart gli aveva teso.
    L’industriale lo afferrò tra le dita e lo inserì nel dispositivo incorporato nell’orologio da polso, che proiettò il documento sull’avambraccio. Sospirò di sollievo, constatando che si trattava proprio del documento che gli era stato rubato. Spense il display e prese il contenitore che Realgar gli offrì, infilandovi il chip, facendolo poi sparir in una tasca interna del cappotto. Sfilò dall’altra il portafoglio di pelle sintetica, strofinò le mani intirizzite contro la gomma, simile a quella usate per le mute da sub, con cui era realizzato il cappotto e si tastò la sciarpa di pile, che proteggeva la gola. Estrasse  dal portafoglio una carta magnetica e la diede al mercenario.

    Realgar la prese, la passò vicino al polso sinistro e lo scanner rivelò la quantità di tael in essa contenuti. Alzò i limpidi e sorridenti occhi azzurri sul proprio cliente e gli rivolse un cenno del capo. «Grazie e buona giornata.» Non indugiò oltre, ritornò al parco, che lasciò, dirigendosi al proprio ufficio.

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    Il palazzo di ventitré piani era silenzioso e buio: era un edificio per uffici e a quell’ora erano tutti chiusi. Realgar era l’unico essere vivente che si muoveva lungo i corridoi disadorni, dall’aria decadente. Raggiunse il diciassettesimo livello, costretto a usare le scale, poiché la corrente elettrica era razionata e gli spazi comuni rimanevano inoperativi sino all’ora prima della riapertura degli studi dei professionisti.

    Il largo corridoio metallico si restrinse improvvisamente e l’uomo si ritrovò in un cunicolo largo appena un metro, male illuminato, con porte disposte in maniera irregolare sui due lati e a distanze maggiori rispetto al corpo principale dell’edificio. Il suo ufficio si trovava infatti in uno dei bozzi, così la gente comune chiamava le sporgenze metalliche che gli architetti aggiungevano lungo ai fianchi dei palazzi. La gravità marziana permetteva diverse licenze e i bozzi erano una di queste.

    Herschel, come molte altre città che si affacciavano sulla superficie, non conosceva equilibrio e simmetria, si sviluppava come un cancro, occupando qualsiasi spazio disponibile all’interno della cupola che, di anno in anno, si faceva sempre più stretta di fronte alla crescita demografica.

    I locali costruiti nei bozzi erano più grandi degli altri e costavano meno, perché erano instabili e il metallo, a causa dell’elevata escursione termica a cui era sottoposto, si deformava e, così, la sporgenza finiva inesorabilmente per crollare sui livelli sottostanti, prima o poi.

    Realgar arrivò alla porta del proprio ufficio, sbloccò ciascuna delle serrature che ornavano la porta blindata e scivolò all’interno, ritrovandosi in una stanza buia; la parete opposta era composta da un’ampia vetrata che si affacciava su Herschel e prendeva luce dalla città stessa, sebbene molti lampioni a quell’ora fossero spenti.
    Le città cupole erano energeticamente dipendenti dalla più estesa colonia di Marte, la Olympus, costruita all’interno del più imponente vulcano dell’intero sistema solare. Distribuire l’energia, l’ossigeno, l’acqua e moltissimi altri beni, era compito della Fratellanza Nergal, l’unica a possedere ancora la tecnologia per lasciare Marte alla volta della Terra o che potesse anche solo comunicare con il pianeta madre. Ogni città cupola pagava pesanti dazi alla Fratellanza per poter sopravvivere. A Herschel, tutto sommato, si stava bene, la miseria non si sentiva troppo.

    Tirò il chiavistello e si incamminò verso la scrivania posta a un metro dalla vetrata. Svuotò le tasche dello spolverino, sfilò il cinturone svuotando ogni vano, sganciò lo scanner dal polso, finalmente si liberò della maschera e degli occhiali protettivi. Infine, si denudò, poi raccolse i vestiti e li infilò nella lavatrice ad anidride carbonica liquida, avviando il programma di pulitura.

    Tornò al tavolo, si sedette sulla poltroncina, aprì un cassetto e prese una barretta energetica, la scartò e iniziò a sgranocchiarla svogliatamente. Ruotò la sedia, in modo da guardare il panorama che la città offriva. Abbassò poi lo sguardo sulle braccia e quindi sul petto, tastandosi la pelle. Lo strato di crema protettiva che lo rendeva apparentemente pallido si era pericolosamente assottigliato ma, visto che era solo come sempre, non se ne preoccupava.

    Finì il suo equilibrato, quanto sintetico pasto, e si alzò in piedi, stiracchiandosi la schiena e le braccia. Poi aggrottò la fronte, quando vide il bussolotto nella canalina della posta pneumatica.

    «Ma che diamine» bofonchiò sommessamente, incamminandosi il tubo. «Le tasse le ho pagate da meno di un mese, la fornitura energetica scade tra due...» ringhiò, prendendo il bussolotto e aprendolo. Le dita si strinsero sulla carta e aggrottò la fronte, incredulo. Si avvicinò al tavolo e accese la lampada.

    Stirò sul ripiano la busta, osservandola ammirato. Era proprio carta, un materiale così raro e prezioso che veniva usato solo per importanti comunicazioni.

    Girò la lettera e lesse il mittente:

STUDIO NOTARILE

LI BAO E CHEN SHU

    Senza soffermarsi sull’indirizzo aprì il plico con cura, non voleva rovinarlo, visto che era la prima volta in vita sua che riceveva una lettera di carta vera e propria. Conteneva un solo, candido foglio, che lo invitava a presentarsi presso lo studio, non appena avesse ricevuto il messaggio. Controllò gli orari stampati sulla carta e afferrò lo scanner. Lo assicurò al polso, in modo che la biochimica del corpo lo alimentasse, e si collegò alla rete informatica di Herschel per inviare una comunicazione dove avvertiva che la mattina successiva si sarebbe presentato dai notai.

    Appoggiò lo scanner sul tavolo e andò nella stanza attigua dove c’era una doccia con sistema di ricircolo dell’acqua. Si lavò e lasciò che il flusso d’aria lo asciugasse, riportando le particelle del prezioso liquido dentro ai serbatoi, facendolo passare attraverso gli appositi filtri. Uscito dalla doccia, abbassò una leva e la parete dove il box sorgeva, assieme agli altri sanitari, ruotò sull’asse verticale; la parete mostrò così una nuova faccia, sulla cui superficie vi erano quattro mensole di metallo. Sopra ciascuna di esse vi erano carillon di variate fogge e dimensioni, pezzi di antiquariato provenienti dalla Terra. Era una piccola collezione di cui andava molto fiero e, grazie a quello che il lavoro per Lockart aveva fruttato, avrebbe potuto comprare qualche altro carillon interessante al prossimo viaggio a Pavonis, la città mercato. Aggrottò la fronte e tormentò il labbro inferiore con gli incisivi: era un piano realizzabile a patto che i notai non volessero spillargli dei soldi.

    Afferrò una maniglia sul muro alle sue spalle e abbassò il pianale del letto. Fece il giro del piccolo ufficio, che usava anche come abitazione,  e spense le luci. Tornò nell’angusta stanzetta e  si sdraiò sul sottile materassino di gommapiuma, infilandosi sotto le coperte di pile. Ricordò la morbidezza della coperta di lana che usava da bambino e la malinconia lo colse. Le persone che lo avevano cresciuto erano morte da anni e non aveva più legato con nessuno da allora. Era come se con la scomparsa delle fibre naturali, anche i suoi sentimenti avessero abbandonata quel pianeta arido. Osservò il soffitto per lunghi minuti, poi sbuffò, quasi volesse scacciare i pensieri e si addormentò.



 
Non sapevo come rendere l'idea di cosa è Herschel. Mi sono immaginata una grande città, piena di mezzi con vecchi motori diesel (il petrosene nella mia testa fa una fumana nera da paura), messa sotto vetro. E mi sono immaginata che l'aria non dovesse essere molto salubre. E poi cercare di capire che le cose organiche sono rarissime e costose, perché vengono dalla Terra, però non volevo ammorbare il lettore, ma credo di averlo fatto comunque.

Non mi pare ci sia bisogno di note, ma se qualcuno avesse un qualsiasi dubbio, chieda pure U.U


Grazie a tutti i lettori.
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Daniela

 

   
 
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