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Autore: AnyaTheThief    20/04/2015    3 recensioni
Viktoria è una ragazza giovane e bella. Abita a Vienna ed ogni giorno deve avere a che fare con gli orrori della guerra. Cos'ha a che fare tutto questo con i Moschettieri? Beh, vi dico solo che capisco che è una storia particolare e che non possa piacere a tutti, ma vi consiglio di concederle qualche capitolo prima di cassarmela! Spero che poi la troverete avvincente.
Attenzione agli spoiler, la fiction si colloca dopo l'episodio 8 della seconda stagione.
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aramis, Queen Anne
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si chiese per alcuni secondi se avesse sentito bene e ripassò quella frase nella sua testa parecchie volte prima di rendersi conto che l'aveva detta seriamente. Aveva detto che l'amava. Lui. Ben. Quell'uomo tanto affascinante, di cui non sapeva nemmeno l'età precisa, che era già stato sposato... Aveva detto di amare una ragazzina inesperta e confusa come lei.

Non poteva credere che tutto quello che le stesse accadendo fosse tanto perfetto e tanto idilliaco, al punto da farle dimenticare che il mondo era in guerra e che le loro vite erano costantemente in pericolo. Sorrise a quell'uomo che non sembrava nemmeno aspettarsi una risposta da lei, ma che la guardava con occhi sognanti, orgoglioso di ciò che le aveva appena detto.

Poi qualcosa strappò via il sorriso dalla faccia di entrambi. Ben sgranò gli occhi, la prese per mano e si affrettò a spegnere la lampada, senza prima farle segno di far silenzio, con l'indice premuto sulle labbra.

Allora non se lo era immaginato: aveva sentito veramente dei passi scricchiolare sulla ghiaia. C'era qualcuno nel cortile dell'edificio.

Viktoria fissò la finestrella con occhi pieni di lacrime e terrore, poi tornò a guardare Ben. Anche lui stava guardando in alto, terrorizzato. Ma nonostante tutto si voltò verso di lei e la strinse a sé.

I passi proseguivano, ma non sembrava l'andatura di un soldato. Pareva più un uomo zoppo che arrancava con incedere irregolare e, tendendo meglio le orecchie, potevano sentire anche i suoi lamenti. Versi gutturali che fecero supporre ad entrambi che si trattasse di un uomo ferito. Improvvisamente Viktoria guardò Ben con tutt'altro sguardo.

Avrebbe potuto trattarsi di un ebreo, di qualcuno che stavano inseguendo, forse aveva bisogno di aiuto, forse...

Ben non le diede tempo di pensare ad altro; iniziò a scuotere il capo fermamente, una volta che capì cosa aveva in mente. Ma nelle sue vene scorreva il sangue di sua madre e se c'era qualcuno per cui poteva fare qualcosa, non sarebbe stata lì ad aspettare senza far nulla. Sentì la presa di lui consolidarsi sulle sue braccia, ma quando temette di poterle far male, la lasciò andare e non poté far altro che stare a guardare mentre Viktoria si arrampicava sul tavolino instabile.

Si alzò in punta di piedi ed andò a sbirciare fuori dal vetro sporco di terra da cui riusciva a vedere ben poco. I passi però parevano essersi interrotti: ora sentiva soltanto dei gemiti sofferenti non molto lontani dal punto in cui la finestrella sbucava sul cortile. Eccolo: nell'angolo intravedette un uomo appoggiato al muro, ma era tutto troppo scuro per poter capire se si trattasse di un ebreo.

Si sentì toccare una gamba e nel momento in cui si voltò e vide Ben scuotere di nuovo il capo, allungandole una mano per invitarla a scendere. Il tavolino oscillò pericolosamente, quando un urlo risuonò nelle loro orecchie, facendole raggelare il sangue. “Da questa parte!” gridò qualcuno con un forte accento tedesco.

Soltanto in quel momento Viktoria si rese conto dell'effettivo pericolo che stavano correndo. Scese dal tavolo velocemente, quasi lanciandosi tra le braccia di Ben, che la prese al volo.

Nessuno dei due voleva più guardare in alto, verso la finestra. Entrambi cercavano conforto l'uno nell'altra, ma nei loro occhi leggevano soltanto una paura mai provata prima: ora correvano il rischio di perdere molto più della loro stessa vita.

Sentirono più persone correre nel cortile. Urlavano, urlavano tutti, e un uomo piangeva. A Viktoria non venne in mente altro se non tirare fuori il crocefisso che portava al collo e stringerlo tra le mani, il cuore in gola, le lacrime che le facevano bruciare gli occhi. Ben non osava muovere un muscolo, quasi non sbatteva le palpebre.

Sembrava quasi che la stesse guardando per l'ultima volta in vita sua.

Le urla crescevano, sembravano quasi avvicinarsi sempre di più e poi un istante di silenzio venne squarciato da uno sparo improvviso. Viktoria sussultò appena, ma Ben le premette comunque una mano sulla bocca. La sentì bagnarsi di lacrime, ma la spostò non appena capì che nonostante fosse visibilmente scossa, non avrebbe mai fatto nulla per attirare l'attenzione dei tedeschi.

Dopo che sentirono i soldati trascinare il corpo fuori dal cortile, non osarono parlare ancora per lunghissimi minuti. Rimasero soltanto a guardarsi negli occhi: Viktoria con il crocefisso intrecciato tra le dita, strette tra di loro in una silente preghiera; Ben che pareva aver appena ricevuto una dozzina di schiaffi.

Finalmente parve convincersi di essere al sicuro ed abbassò lo sguardo sulle mani della ragazza. Poteva intuire cosa nascondesse tra di esse, ma volle comunque spingerla ad aprirle, come guidato da un istinto che non riusciva a sopprimere. La accarezzò gentilmente e lei gli mostrò il ciondolo argentato.

Inizialmente ne restò quasi indifferente, ma non appena lo sfiorò dovette lasciarlo andare per portarsi le mani alla testa.

“Ben!” esclamò Viktoria, mantenendo sempre la voce bassa. “Stai bene?”

“E'... Un po' di emicrania...” mormorò, massaggiandosi le tempie.

“Sdraiati.” gli suggerì, accompagnandolo verso il letto. Riaccese la lampada, mantenendo però la luce molto bassa ed appoggiandola per terra come ulteriore precauzione, in modo da illuminare soltanto l'area sotto la finestra.

Tutto quello che era successo l'aveva lasciata con la testa piena di preoccupazioni. Le possibilità che suo padre scoprisse la sua fuga notturna erano aumentate esponenzialmente. Anche se non c'era più un cadavere da spostare, qualcuno lo avrebbe avvisato dell'accaduto: sperava soltanto che avvenisse il giorno seguente, quando lei fosse stata già a casa. Ma soprattutto, sentiva la vita di quell'uomo pesarle sulle spalle, anche se non avrebbe comunque potuto fare niente per lui. La persona per cui poteva fare qualcosa, invece, era lì accanto a lei.

Nonostante Ben avesse quell'angelica creatura seduta accanto a carezzargli la fronte amorevolmente, non poteva fare a meno di continuare a guardare il crocefisso che gli penzolava davanti alla faccia. Quell'oggetto lo attraeva in maniera inspiegabile. Si trovò persino a desiderare ardentemente che Viktoria si proponesse di donarglielo, perché voleva metterselo al collo a tutti i costi. Eppure non era nemmeno un simbolo della sua religione, né gli piaceva poi tanto come stile... Lo sfiorò nuovamente. Questa volta riuscì a rigirarselo tra le dita per qualche secondo, prima che un altro attacco di emicrania lo distolse di nuovo dal suo proposito di ammirare l'oggetto.

Sibilò, costretto a serrare gli occhi dal dolore.

“Non ti preoccupare.” lo rassicurò Viktoria, mantenendo il controllo della situazione. “E' probabilmente un po' di stress. Sono... successe molte cose.” quasi aveva dimenticato il perché si fosse recata lì in primo luogo. Ma di certo non si era dimenticata ciò che lui le aveva confessato.

“Ben, io...” fece per dire. Dopotutto gli doveva una risposta.

“Dove... Dove hai preso quel crocefisso?” domandò invece lui con aria tormentata. Viktoria si drizzò sulla schiena, prendendo il ciondolo tra le mani ed osservandolo.

“Questo? Me lo ha dato mia nonna.” rispose, stranita. In un momento come quello, perché gli importava così tanto di un oggetto che non aveva mai visto prima d'ora?

Lui scosse il capo.

“Ho idea che venga da molto più lontano.” affermò con sicurezza.

“Beh, nemmeno io so esattamente da dove venga, ma...”

“Mi faresti un favore?” domandò, interrompendola di nuovo. Viktoria si morse la lingua per non far scorrere il fiume di parole che avrebbe voluto riversare su di lui riguardo i suoi dubbi sul crocefisso. Annuì.

“Toglitelo e sdraiati con me.” le sorrise un po' malizioso, stringendole una mano.

La ragazza arrossì di colpo. Non pensava che quell'uomo potesse essere tanto sfacciato e soprattutto non aveva mai visto quell'espressione sul suo viso, ma la cosa stranamente non le provocava nessun fastidio, anzi. Sentì un'eccitazione mai provata prima di allora. Stava forse per succedere qualcosa? Nonostante tutto, non riusciva a trovare nulla di sbagliato in quella situazione.

Si sfilò il crocefisso lentamente, andandolo a posare sul tavolo, poi si accoccolò accanto a lui. Cercò di mantenere le distanze, non voleva che pensasse che fosse abituata a fare certe cose con i ragazzi. Si tenne sull'orlo del letto, ma la scena pareva un po' ridicola e anche Ben se ne accorse. Ridacchiò e le cinse la vita con un braccio, avvicinandola a sé.

Le si avvicinò per baciarla, ma non lo fece. Era lì, sul punto di posare le labbra su quelle di lei, ma si limitava a guardarla con gli occhi socchiusi a pochi centimetri dal suo viso e questo portò Viktoria a desiderare quel bacio come se fosse acqua nel deserto, tanto che pensò di impazzire nell'attesa. Si domandò se la stesse facendo soffrire di proposito, se fosse semplicemente un gioco, un esperimento per vedere quanto avrebbe resistito... E la risposta in ogni caso sarebbe stata: molto poco.

Dopo alcuni secondi interminabili, fu lei a scattare in avanti e a baciarlo, assaporando finalmente quella sensazione che tanto agognava. Non avrebbe mai pensato che a desiderarla così tanto, poi se la sarebbe goduta di più. Lui la prese tra le proprie braccia e con un'abile mossa la fece rotolare sotto di sé.

Dalla bocca di lei passò all'orecchio, le mordicchiò il lobo facendola mugolare di piacere, poi scese sul collo. Per agevolarsi l'impresa, le slacciò i primi bottoni della camicetta in un istante, tanto che Viktoria non si rese nemmeno conto che vi stava armeggiando finché non sentì la sua barba sfregare contro la pelle del suo petto. Il suo ansimare si trasformò in un fremito quando si rese conto di ciò che stava per accadere.

“Ben!” mormorò allontanandolo gentilmente.

Lui la guardò perso, e lei ricambiò la stessa occhiata confuso. Non era più lui. Lo sguardo, il modo di fare, quei gesti così risoluti... Non riconosceva l'uomo che pensava che fosse. Se lo era immaginato come un romantico passionale, sì, ma non credeva che sarebbe potuto essere così deciso e audace.

Poi lo vide come tornare in sé. Scosse il capo, sbigottito, passandosi una mano tra i capelli.

“Mi dispiace, io... Io non lo so cosa...” farfugliò, lasciandosi ricadere sul letto e fissando il soffitto.

Viktoria sorrise. Non avrebbe dovuto farlo, ma un istinto prese il sopravvento, e si ritrovò a provare un'attrazione incredibile per quel ragazzo ora sperduto, ma che poco fa le aveva fatto provare cose che non sarebbe stata in grado di descrivere. E che non avrebbe mai descritto a nessuno, dopotutto.

Era un segreto tra loro due, uno dei tanti. Era una cosa che sarebbe rimasta in quello scantinato. Per una volta poteva essere un'altra persona.

“Non ti ho detto di smettere.” sussurrò. Lui si voltò di scatto, sorpreso.

“Ma...” cercò di replicare.

“Ti ho fermato per dirti che anche io ti amo.”  

  
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