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Autore: Akrois    26/12/2008    2 recensioni
Click.
Sbam.

E l’amico, il parete, il dottore, chiunque sia, rimane sulla porta, chiamandomi, dicendo che non c’è niente di cui aver paura.
Lo so che è amore questo e ringrazio.
Ma non posso.
Non voglio uscire di casa.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La donna che non voleva uscire di casa

La donna che non voleva uscire di casa.

 

 

 

 

C’è un mondo freddo, là fuori.

Lo vedo nel vento, nelle persone.

Volti grigi, sempre uguali, che si alternano alla finestra da cui guardo questo mondo.

Mi fa paura.

Troppo lontano, diverso.

La grandezza di questo mondo mi porta a perdermi ad abbandonare ogni scoglio sicuro ad aver paura.

Quando sono fuori, tra quelle facce grigie, tutte uguali, tutte distanti, ho paura.

Ho paura che quella massa di grigiume d’inghiotta e mi trascini con lei, ho paura che la notte cali senza che io trovi la via di casa.

Ho paura che da quella massa grigia emerga una lama, che luccicherà solo per un istante prima di sparire dentro di me.

Ho paura di cadere nel buio, ho paura di annegare anche dove non c’è acqua.

 

Mi dicono che non c’è nulla di cui aver paura al mondo, ma io non sono stupida e non credo in simili stupide storie.

Mi basta guardare il telegiornale per capire che ci sono miriadi di cose di cui aver paura.

E lo spazio si contrae, si contorce e quello che loro vedono come piano per me diventa uno scivolo per l’oblio.

Quando esco di casa ho la sensazione che il cielo mi cada addosso e una pressione pazzesca ,mi schiaccia al suolo.

La maniglia, la maniglia, la maniglia della porta, solo questo è il mio pensiero, e mi slancio verso essa.

Click. E sono salva.

E la mia casa, il  mio angolo di salvezza immutabile nello scorrere del tempo, dove tutto è lì come l’ho lasciato.

 

Gli amici e i parenti vogliono farmi uscire fuori.

Io li prego, gli dico che no, non voglio, che il mondo fuori non mi vuole e che io non voglio il mondo fuori.

Ma loro mi tirano, mi fanno uscire.

 

Clak.

 

La porta si chiude dietro di me.

E il cielo sembra farsi più vicino, sempre di più.

 

Tap.

 

Uno scalino.

E la strada si allunga si stringe, diventa uno scivolo sul cui fondo brillando fiamme e acque nere.

 

Tap.

 

Un altro scalino. Ci sono tre scalini tra la mia porta e il mondo esterno.

Eppure la massa si unisce, si fonde, sempre più grigia, sempre più spaventosa e mi sembra che ogni occhio di quella massa mi squadri, mi studi, voglia uccidermi.

 

Tap.

 

Al terzo scalino decido che non posso.

Mi volto, corro.

 

Click.

Sbam.

 

E l’amico, il parete, il dottore, chiunque sia, rimane sulla porta, chiamandomi, dicendo che non c’è niente di cui aver paura.

Lo so che è amore questo, e ringrazio.

Ma non posso.

Non voglio uscire di casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A.Corner___

 

Pensavo all’agorafobia. Peggio della claustrofobia, non trovate? Avere paura dell’immensità che ci circonda, di una piazza aperta, di un centro commerciale…

La donna di questo racconto probabilmente è anche un po’ antropofobica.

 

 

 

 

 

   
 
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