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Autore: AnyaTheThief    21/04/2015    3 recensioni
Viktoria è una ragazza giovane e bella. Abita a Vienna ed ogni giorno deve avere a che fare con gli orrori della guerra. Cos'ha a che fare tutto questo con i Moschettieri? Beh, vi dico solo che capisco che è una storia particolare e che non possa piacere a tutti, ma vi consiglio di concederle qualche capitolo prima di cassarmela! Spero che poi la troverete avvincente.
Attenzione agli spoiler, la fiction si colloca dopo l'episodio 8 della seconda stagione.
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aramis, Queen Anne
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Anne non ricordava nemmeno più di essere stata una Regina. Per quanto le riguardava, era nata per fare quello: essere una buona madre ed una buona moglie.

Quello che era sicura di non essere, invece, era una buona cuoca.

Si trovava in una piccola cucina, piena di pentole e pentolini e non aveva idea di cosa stesse preparando, ma un odore piuttosto sgradevole le faceva pizzicare le narici e venire voglia di buttare tutto. Era stanca, sudata, sporca e frustrata. In più, il bambino aveva preso a piangere e a nulla servì rassicurarlo dicendogli che suo papà sarebbe tornato presto. In realtà questo non rassicurava nemmeno lei, perché la cena non era per niente pronta e sentiva di non volerlo deludere in alcun modo. Tornò a leggere il librone di cucina accanto a lei, ma si ritrovò più confusa di prima, tra termini che non aveva mai sentito nominare e procedimenti troppo complicati da seguire. Le salì la rabbia alla testa e schiaffò a terra il pesante tomo, che ricadde con un tonfo. Non contenta gli assestò anche un calcio rabbioso, ma ciò che ottenne fu soltanto di spostarlo di pochi centimetri ed un mignolo dolorante.

Soffocò un urlo mantenendo un minimo di contegno, anche se ormai aveva la sua privacy e non era più circondata da decine di dame da compagnia che seguivano ogni suo movimento. Si prese il piede tra le mani e saltellò fino al più vicino sgabello, sfilandosi poi la scarpa. Una cosa che rimpiangeva erano proprio i suoi begli abiti... Indossava una semplice tunica – al momento sudicia ed unta, ma solitamente manteneva un minimo di decenza – e dei sandali un po' logori ma comodissimi.

Le salirono le lacrime agli occhi per il dolore, e fu quasi sul punto di andare a prendere a calci anche quello stupido paiolo pieno di una brodaglia indistinguibile, ma si trattenne. Sospirò guardandolo e scosse il capo. Il piccolo stava ancora piangendo ed ogni suo urlo le faceva salire il magone.

“Cosa c'è, Philippe?” rantolò, andando a prenderlo in braccio. In quel momento sentì la porta aprirsi e si voltò automaticamente verso l'ingresso.

Provò un moto di estremo affetto per l'uomo che aveva appena varcato la soglia e che le stava sorridendo amorevolmente. Lo vide guardarsi attorno e posare lo sguardo sul suo piede nudo, sul pentolone dal quale stava ora fuoriuscendo una schiuma marroncina poco appetibile e sul libro a terra.

“Allora, cosa c'è di buono stasera?” chiese comunque.

Anne si sentì sopraffare da una sensazione di inadeguatezza, mista al profondo amore che provava per il suo Moschettiere, anche se ora non indossava più l'uniforme. Quando le si avvicinò sentì un odore familiare di polvere da sparo e nella sua mente scorse l'immagine di Aramis nell'intento di montare e caricare un moschetto, mostrandolo ad un paio di uomini interessati.

“Mi dispiace... Io... Philippe...” balbettò esasperata, ma lui non si scompose.

Lui continuò a sorridere rassicurante, poi le prese il bambino dalle braccia. Questi subito parve calmarsi. Non poté far altro che pensare a quanto fosse meravigliosa la persona che amava. Con la manica si ripulì il viso da una lacrima, dalla fuliggine e da non sa cos'altro e stette a guardare; Aramis aveva gli occhi e i modi di un padre. E, si rese conto poco dopo, quando si voltò verso di lei, di un marito del tutto fedele e devoto.

La fece sorridere con il suo solo cenno, poi le prese una mano.

“Sei felice, Anne?” le chiese all'improvviso. Lei si commosse di nuovo ed annuì.

“Come non potrei?” rispose con un fil di voce.

Aramis portò il dorso della sua mano alla bocca e lo sfiorò con le labbra, senza mai smettere di ammirarla in adorazione.

 

Viktoria aprì gli occhi e si rese conto di star sorridendo.

Allora è così che finiva... Entrambi avevano ritrovato una nuova vita, felici, soddisfatti e innamorati. Sarebbe finita così anche per lei e Ben?

Oh, Santo Cielo! Ben! Improvvisamente tutto le tornò alla mente e il sorriso si allargò ancor di più. Lo sentiva accanto a lei, emanava un piacevole tepore ed il suo respiro profondo le ispirava tenerezza. Era successo veramente, quindi...

Si girò su un fianco e lo osservò per un po' mentre dormiva, resistendo alla tentazione di accarezzargli e baciargli il viso che ora appariva tanto innocente, ma che poche ore prima... Beh, era tutt'altro che candido. Ma gli piaceva quel suo lato che finora era rimasto nascosto. Aveva un non so che di risoluto che la faceva sentire al sicuro. Per un attimo si domandò se anche con sua moglie si comportasse in quel modo, ma poi ricacciò il pensiero. Esistevano solo loro due.

Sospirò profondamente, cercando di rivivere sulla pelle quelle sensazioni che mai nessuno le aveva fatto provare, senza vergognarsi minimamente di ciò che era successo.

Attese ancora un po' il suo risveglio, ma doveva essere veramente esausto, perché non si destò nemmeno quando lei si alzò dal letto senza curarsi molto di farlo piano. Da una parte voleva che si svegliasse per potergli raccontare del suo sogno, ma dall'altra non voleva farlo direttamente per non sembrare troppo impaziente. Il sole non era ancora sorto, ma la lampada era rimasta accesa: nessuno dei due aveva avuto la forza di compiere il semplice gesto di spegnerla, erano semplicemente crollati per la stanchezza.

Viktoria si rivestì, dandogli le spalle ed immaginandosi che lui avesse aperto gli occhi e la stesse ammirando, ma quando si voltò lo trovò nella stessa posizione di prima. Un po' delusa, iniziò a guardarsi attorno. Trovò il crocefisso appoggiato sul tavolo e se lo mise al collo. Ma dove era sparito quel blocco su cui l'aveva ritratta? Da alcuni giorni desiderava dargli un'altra occhiata più approfondita e vedere magari se avesse fatto dei disegni anche che raffiguravano sua madre.

Il tavolino aveva un cassetto. Esitò un po' prima di farlo, chiedendosi se fosse giusto o meno, ma poi sollevò le spalle. Dopotutto non stava facendo nulla di male, voleva solo vedere i suoi disegni, non avrebbe certo frugato tra le altre cose.

Ma non appena iniziò a tirare il pomello del cassetto, sentì Ben muoversi nel letto. Si stava stiracchiando, ma aveva ancora gli occhi chiusi; Viktoria richiuse il cassetto e gli si rivolse con un sorriso.

“Ben!” esclamò entusiasta come una bambina che vede una persona a lei cara dopo molto tempo. Si rituffò nel letto travolgendolo col suo impeto e senza dargli nemmeno il tempo di connettere, lo baciò. Lui trasalì all'inizio, ma poi la cinse con le braccia, ricambiando il bacio mentre si tirava su a sedere. Da subito Viktoria si accorse che c'era qualcosa di diverso.
Non era più quell'uomo esperto e provocante che l'aveva sedotta con uno sguardo poche ore prima. Era di nuovo... Ben. E questa cosa la faceva diventare matta, perché non riusciva a capire come due atteggiamenti così distanti tra di loro potessero attrarla alla stessa maniera.

Lo guardò negli occhi beata e all'improvviso si ricordò.

“Oh, ho fatto di nuovo un sogno!” esclamò elettrizzata, per poi iniziare a raccontarglielo per filo e per segno tutto d'un fiato. Lui ascoltava ancora mezzo addormentato e mezzo attonito, finché Viktoria non smise di parlare. A quel punto prese parola, commentando semplicemente: “Un bambino?!” mentre sgranava gli occhi.

Oh già. Aveva saltato deliberatamente quella parte quando gli aveva raccontato dei sogni precedenti, ma ora se l'era fatta sfuggire. E non riuscendo a capire se Ben fosse incollerito o lieto della notizia, si limitò ad annuire, serrando le labbra. Ma quando lo vide ridere, anche lei si lasciò andare.

“Un bambino... Eravamo felici... E avevamo un bambino.” sospirò lui, passandosi le mani tra i capelli. Senza smettere di sorridere, Viktoria divenne leggermente pensierosa.

“Cosa significa ciò che hai detto?”

Lui la scrutò per un attimo, come se fosse indeciso se parlare o meno, ma alla fine l'insistenza delle occhiate di Viktoria lo convinsero. Le prese una mano e la baciò nel suo solito rituale.

“Lo so che è difficile da comprendere. Ma è l'unica spiegazione che chiarisca ciò che ci sta succedendo... E penso che dovresti accettarla anche tu, anche se le nostre religioni non la prevedono.”

La ragazza si scostò i capelli dietro l'orecchio ed il suo sorriso si trasformò in un'espressione concentrata a focalizzare ogni singola parola pronunciata da Ben.

Cosa stava cercando di dirle? Tutto ciò aveva davvero un senso? Non era soltanto frutto della sua fantasia e del... Beh, del caso?

E' vero, c'era qualcosa di veramente strano nel fatto che lui conoscesse il suo viso ancora prima di incontrarla, e quel neo che entrambi avevano... Lo aveva spiegato semplicemente come un segno del destino, o un segno dal cielo. Pensava che fosse Dio che cercava di far capire loro che dovevano stare assieme e che non importavano le loro età o la loro religione... Ma mentre pensava a tutto questo, Viktoria si rese conto da sé di quanto suonasse ridicolo, una volta messi assieme tutti i pezzi del puzzle. Stava soltanto cercando di spiegarsi qualcosa di incomprensibile ed arcano, giustificandolo come un miracolo. Ma ai miracoli aveva smesso di credere il giorno in cui sua madre era morta.

“Che vuoi dire?” domandò, determinata ad aprire i propri pensieri a qualsiasi assurda spiegazione le avesse fornito Ben. Dopotutto, di lui si fidava profondamente.

“Penso che questi siano i ricordi di una vita precedente.”

  
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