Anime & Manga > Slayers
Segui la storia  |       
Autore: fren    22/04/2015    3 recensioni
'«Non l'ho presa perché la desideravo» mi aveva rivelato, tanti anni prima. «L'ho portata via perché stava avvelenando il cuore delle persone che amavo. Il potere logora l'anima degli uomini.»
Le sue parole mi avevano fatto rabbrividire. Sì, io lo sapevo. L'avevo provato sulla mia pelle.
Gourry, invece, sembrava estraneo a quel richiamo. Infatti non si era fatto problemi a cedere la Spada, quando gli era stato imposto come prezzo da pagare per riavere me.
La sua anima era incorruttibile. Il suo cuore era puro e trasparente come il vetro.
Solo lui poteva portare l'arma di luce senza restarne abbagliato. Questo, la sua famiglia, non lo aveva mai accettato.'
Seguito di una mia precedente fanfiction, 'The Borderline'. Mi vedo costretta, per ragioni di trama, a mettere l'avvertenza OOC. Lettori avvisati^^
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gourry Gabriev, Lina Inverse, Personaggio originale
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La lettera
La lettera



Mi chiedo spesso se tu sei
felice come me.
Se poi ti basta quello che ci unisce,
un po’ di amore e poche regole.
(Chiara, Straordinario)

Tre mesi prima
 
Il mare era una tavola piatta, liscia e trasparente. Le onde lambivano il bagnasciuga, per poi ritrarsi pigramente. Nel cielo del tardo pomeriggio i gabbiani  lanciavano rauchi richiami, le ali spiegate nel blu.
Quanta pace. Quanta stramaledetta quiete.
Mi ritrassi dalla finestra e gettai un'occhiata torva al mio adorabile marito, che dormiva della grossa tra lenzuola fresche e immacolate, nel grande letto a baldacchino che troneggiava al centro della stanza. Nulla sembrava turbare il suo sonno.
Tossicchiai, dapprima in maniera lieve, poi in modo sempre più insistente. Gourry mi ignorò.
Sollevai tra l’indice e il pollice il testo magico che stavo sfogliando, prima di annoiarmi anche di quello, e lo lasciai cadere a terra con un tonfo.
«Ops!»
Gourry non fece una piega.
Sconfortata, e anche un po’ irritata, tornai a rivolgere al mare il mio sguardo. Il sole iniziava a tramontare, rendendo l'orizzonte una linea infuocata.
Era la nostra luna di miele.
Benché fossero passati quattro anni dal matrimonio, non avevamo mai avuto un attimo di pace, da allora. Tra viaggi e missioni in cui, volente e nolente, ci eravamo trovati coinvolti, avevamo sempre rimandato il momento in cui ci saremmo lasciati ogni cosa alle spalle per rifugiarci in un paradiso tropicale.
Mare, sole, abiti leggeri, cocktail di frutta con gli ombrellini e tanto meritato relax. Questo era quello a cui pensavamo quando, più spesso di quello che avremmo voluto, passavamo le notti all'addiaccio, stretti l'una tra le braccia dell'altro. Quando ci sfilavamo gli abiti infangati e ricoperti di polvere, dopo aver passato tutto il giorno in viaggio, e ci amavamo in giacigli di fortuna, in vecchi materassi infestati di parassiti, braccia e gambe doloranti per le battaglie e le ferite che iniziavano appena a rimarginarsi, sognavamo sempre quel posto.
Quel paradiso perduto era il nostro rifugio segreto, il luogo in cui andavamo con la fantasia, immaginandoci felici e rilassati in riva a un mare cristallino; senza pensieri, senza preoccupazioni. Solo io e Gourry.
Avremmo mangiato aragosta grigliata, bevuto latte di cocco e dormito con le finestre spalancate, mentre il profumo del sale ci accarezzava la pelle nuda.
Per quattro anni, tuttavia, eravamo stati troppo presi dalla vita per realizzare quel sogno.
E poi era successo.
Una mattina mi ero svegliata con lo stomaco in subbuglio. Mi mancavano le forze. Mi ero trascinata fino al catino sentendomi uno straccio e maledicendo, in cuor mio, l'oste della locanda in cui alloggiavamo. La zuppa di pesce che ci aveva servito la sera prima era fin troppo speziata per non sembrare sospetta. Al ricordo della cena le mie viscere si erano contratte in uno spasmo e non avevo potuto fare altro che piegarmi sul catino e vomitare, fino a quando un sapore acre non mi aveva invaso il palato. Gourry si era sollevato dai cuscini, intontito dal sonno eppure stranamente vigile, come era sempre quando, in un modo che dopo tutti quegli anni non avevo compreso del tutto, avvertiva che qualcosa non andava.
«Lina!» aveva esclamato, scostando le coperte e precipitandosi a sorreggermi. Le ginocchia mi si erano piegate e sarei caduta a terra se lui non mi avesse afferrato al volo.
«Va tutto bene, Gourry» avevo mormorato qualche minuto dopo, seduta sul bordo del letto. Lui, al mio fianco, mi guardava con aria preoccupata.
«Sarà stata la zuppa di ieri a farmi male. Chissà che diamine c'era, là dentro.»
«Ho mangiato anche io quella zuppa, Lina, e non mi ha fatto niente.» Mi aveva portato una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi la sua mano, fresca e delicata, si era posata sulla mia fronte.
«Non scotti. Non hai la febbre.»
Mi ero stretta nelle spalle.
«Avrò preso freddo, tutto qua.»
Solo quando Gourry, dopo essersi vestito, era sceso a farmi preparare un infuso, mi ero portata le mani al ventre, deglutendo.
Da due mesi non perdevo sangue.
Non avrei dovuto stupirmene. Ero sposata da quasi quattro anni, amavo mio marito e lui amava me. Benché non avessimo mai affrontato l'argomento, sapevo che Gourry desiderava dei figli, e in fondo non avevamo mai fatto nulla per evitare che accadesse.
Tuttavia, era stato come ricevere una doccia gelata senza preavviso.
Un bambino.
Io, Lina Inverse, terrore dei banditi, sterminatrice di draghi, maga geniale... alle prese con pappe e pannolini?
Era troppo. Ero tornata al catino e avevo vomitato di nuovo.
Nei giorni successivi ci eravamo mossi entrambi come se avessimo del cristallo sotto i piedi. Non parlavamo di quel mio strano malessere che mi rivoltava lo stomaco e mi faceva avvertire sapori e odori in maniera del tutto diversa da come li avevo percepiti fino a poco tempo prima. Fingevo di avere una forma influenzale e ignoravo quel minuscolo essere, che immaginavo più minuto di un petalo di viola, che si era impossessato del mio corpo, iniziando a stravolgerlo. Avrebbe fatto lo stesso con la mia vita e io... non volevo. Ne ero terrorizzata.
Poi, una sera, Gourry mi aveva abbracciato, sul piccolo letto che condividevamo, e aveva posato una lieve carezza sul mio ventre ancora piatto.
«Io sono felice, schifosamente felice. Vorrei che lo fossi anche tu.»
Ero rimasta immobile, lo sguardo fisso nella notte.
Ero felice? Non lo sapevo.
Ero spaventata, arrabbiata, impreparata. E mi sentivo impotente, sopraffatta e un milione di altre cose. Ma felice?
La verità era che pensavo di non esserne in grado, di non essere all'altezza di quel compito che mi avrebbe tolto ogni libertà.
Come potevo prendermi cura di qualcuno che avrebbe dipeso completamente da me? Capirne i bisogni, anticiparli, fare in modo che non avesse mai fame, mai freddo, che non soffrisse?
Lo facevo con Gourry, è vero. Ma io e Gourry ci eravamo scelti.
Noi ci eravamo scelti.
Una lacrima era scesa silenziosa sulla mia guancia e io avevo sperato che Gourry non se ne rendesse conto.
Nei giorni successivi avevo finto un coraggio che non trovavo da nessuna parte, in me, e mi ero definita contenta. Ero una donna, ormai. E amavo un uomo che non mi aveva mai deluso. Non potevo essere io a deludere lui. Sarebbe stato un padre fantastico, Gourry, ne ero convinta.
Poi, una sera, mi aveva lasciato del tutto spiazzata.
«Forse dovremmo fermarci» aveva detto, cercando la mia mano attraverso il tavolo su cui stavamo cenando. «Per un periodo. Sei così pallida, ti stanchi facilmente…»
«Non sono malata, Gourry» avevo ribattuto, piccata, sottraendo le dita dalla sua stretta. Avevo ricominciato a mangiare, ignorando il suo sguardo colmo di apprensione.
Sì, ero stanca. Ed era vero, la nausea non mi dava tregua. Ma non glie l’avrei data vinta, non mi sarei fermata. Non potevo lasciare che quella nuova condizione mi limitasse. Che mi vincolasse, sottraendomi alla vita che avevo sempre vissuto.
«Stavo pensando che potremmo…»
«No.»
«Lina, cerca di essere ragionevole. Non siamo più solo io e te, non si tratta più solo di noi…»
Quella frase mi aveva turbato più di quanto, in seguito, sarei riuscita ad ammettere. Quella frase aveva ribaltato il mio mondo,
Non volevo che quel bambino cambiasse ciò che eravamo. Non volevo che cambiasse me.
Mi ero sollevata e, lasciando il piatto quasi pieno, ero uscita dalla locanda. Avevo bisogno di aria, mi sentivo soffocare.
In seguito, quando lo avevo perso, quel bambino che avevo avvertito come una minaccia, finché era esistito, Gourry non mi aveva rimproverato niente di quello che avevo detto o fatto.
Gourry mi era rimasto accanto, in silenzio. Comprensivo, paziente, premuroso.
Gourry.
Era stata sua l’idea di concederci quella luna di miele tardiva, quella che non avevamo mai fatto, perché eravamo troppo impegnati a inseguire la vita.
Avevamo bisogno di allontanarci da tutto, forse persino da noi stessi. Ricucire una ferita invisibile era molto più difficile che sanare una ferita reale, per cui sarebbe bastato un Recovery.
Mi ero stretta nelle spalle, quando me ne aveva parlato una notte, tenendomi stretta a lui, ma non mi ero opposta.
Se Gourry sentiva di non riuscire più ad andare avanti, mi sarei fermata anch’io, anche se non ne avevo bisogno. Ero forte, più di lui. Ero Lina Inverse, per tutti i diavoli.
 
Così, da due settimane abitavamo quell’isola pressoché deserta. Dormivamo di giorno e di notte ci concedevamo lunghe passeggiate al chiaro di luna. Andavamo in giro mezzi svestiti, disarmati, senza preoccuparci di nulla.
E ci annoiavamo, a dismisura.
Mi chinai a raccogliere da terra il libro che avevo lasciato cadere solo pochi minuti prima e lo lanciai verso di lui, colpendolo a una spalla. Si tirò su di scatto, i capelli arruffati e un velo di barba che gli sporcava le guance. Avevamo smesso di pettinarci, a volte persino di lavarci. Non potevamo andare avanti così, o nel giro di poco saremmo diventati due selvaggi.
«Che diamine…?»
«Avevi una zanzara sul braccio.»
Gourry aggrottò le sopracciglia, sollevando il libro. Doveva avere circa settecento pagine.
«Sei sicura che fosse una zanzara? A giudicare dalla mole, sembrava che volessi sterminare un intero esercito di zanzare.»
«Beh, era una zanzara molto grossa» specificai, facendo spallucce.
Gourry decise che era più saggio lasciar perdere. Si stropicciò gli occhi con il dorso della mano, sbadigliando.
«Usciamo a fare due passi?»
«Sono stufa, Gourry.»
«Allora restiamo qua.»
«Sono stufa anche di quello.»
«Ahi, ahi… qualcuno fa i capricci?»
Incrociai le braccia al petto, guardandolo storto. La sua pelle, solitamente chiara, aveva assunto una sfumatura dorata che lo rendeva, se possibile, ancora più bello. Anche i capelli si erano schiariti con il sole e il mare. Sembrava un Dio caduto, per sbaglio, nel mio letto.
Dei, nostro figlio sarebbe stato bellissimo, se solo…
Scossi la testa, per scacciare quel pensiero.
«Temo che la mia pazienza sia stata messa fin troppo alla prova» replicai, sbuffando.
Anche io ero abbronzata. E stavo bene.
«Vorrei rimettermi in viaggio, Gourry. Ormai conosco ogni singolo sasso di questa benedetta isola.» Lui restò a guardarmi per un periodo che mi parve lunghissimo e nei suoi occhi lessi il timore che stessi bleffando. Era da me, in effetti. Però ero davvero stanca; era stato fantastico staccare da tutto e tutti, ma io volevo tornare a viaggiare, a inseguire ambizioni. Volevo tornare a essere me stessa.
«D'accordo, Lina. Possiamo ripartire domani, se vuoi.»
Mi lanciai verso di lui e gli riempii il volto di baci.
«Sì!»

La luna, quella notte, era un disco perfetto. Sospesa sopra il mare lanciava riflessi d'argento sull'acqua scura e immobile. Seduti sulla spiaggia, la mia guancia posata sulla spalla di Gourry e la sua mano che mi accarezzava dolcemente i capelli, restammo a osservare il paziente rincorrersi delle onde che si infrangevano sul bagnasciuga, in un gioco che andava avanti da millenni.
Il mare, così profondo, insondabile.
Guardarlo mi faceva rabbrividire. Sarei stata sua, se l'ostinazione di un uomo non mi avesse strappato a quegli abissi scuri, riportandomi alla vita. Per un breve istante il volto di Joy si fece strada tra i miei pensieri. I ricci scuri, gli occhi grigi, l'espressione cinica volta a nascondere ogni fragilità.
Mi mancava, Joy. Non lo avevo più rivisto, dopo il matrimonio. Ma avrei mentito dicendo che non lo avevo pensato. Più di una volta avevo steso una pergamena davanti a me, intingendo il pennino nell'inchiostro. Ma la mia mano si era bloccata dopo le prime, superficiali, parole. Cosa avrei dovuto scrivergli, esattamente? Cosa si scrivevano due persone che avevano condiviso un'esperienza unica e indescrivibile come quella di compenetrarsi completamente, fondendosi l'una nell'altra? Non c'erano parole che sarebbero risuonate abbastanza forti. Accartocciavo il foglio e lo gettavo via quasi intonso. Uno spreco che in altre circostanze mi avrebbe fatto rabbrividire, ma non in quel caso. Le lettere che iniziavo per Joy non potevano essere riciclate in nessun modo.
Nemmeno lui mi aveva mai scritto, in fondo. Forse mi aveva dimenticata, assorbito dalla sua nuova vita. Ma, più probabilmente, la verità era che nemmeno lui sapeva cosa dirmi.
Sollevai il viso, guardando il volto liscio e perfetto di Gourry. Si era fatto fatto la barba, prima di uscire. Posai una lieve carezza sulla sua mascella forte, scendendo verso le linea più sinuosa del collo.
Mio marito. Dopo quattro anni quel pensiero continuava a incantarmi. Amavo quell'uomo più di qualsiasi altra cosa, non mi ero mai pentita di averlo scelto per il resto della vita.
«Ti mancherà questo posto?» mormorò lui, continuando a guardare il mare. Il rumore delle onde era l'unico suono a riempire il silenzio.
«Probabilmente sì.»
«Ora, però, non vedi l'ora di andartene.» Scosse la testa e io capii che avrebbe voluto aggiungere dell'altro. Attesi qualche secondo, ma Gourry rimase in silenzio. Mi scostai da lui, guardandolo accigliata.
«C'è qualche problema, Gourry?»
«No. Beh... è solo che...»
«Che?»
«Non lo so, Lina. A volte ho l'impressione che tu non riesca a essere felice in nessun posto.»
«Di che diavolo stai parlando, Gourry? Io sono felice quando sono con te, dove siamo non conta nulla. Non ha mai contato nulla.»
«Lo so. Scusa, era solo un pensiero così» si affrettò a dire lui, cingendomi le spalle con un braccio. Ma io sentivo che dentro covava qualcosa, qualcosa che non era ancora riuscito ad esternare. Di certo doveva avere a che fare con quella piccola scintilla di vita che, per un breve istante, aveva riempito il suo cuore di gioia e colmato il mio di terrore. Non ne avevamo più parlato. Forse avremmo dovuto, ma per dire che cosa?
«Torniamo a casa» disse Gourry, sciogliendo il nostro abbraccio e sollevandosi.
«Non è la nostra casa, quella» ci tenni a puntualizzare. Le mie parole si persero nella notte. Gourry si era già allontanato.

Quando mi stesi sul materasso, dopo aver spento la candela, Gourry mi attirò a sé. La sua bocca si impadronì della mia, mentre con le mani mi accarezzava le cosce, risalendo fino ai fianchi. C'era irruenza nei suoi gesti, non la delicatezza con cui mi aveva preso dopo quello che era successo, quando temeva che fossi fragile come vetro e che sarebbe bastato un nulla per mandarmi in pezzi. Se voleva la guerra, avrebbe avuto pane per i suoi denti. Mi sottrassi alla sua presa, invertendo le nostre posizioni, e mi misi a cavalcioni su di lui. Gourry abbassò con uno strattone le sottili spalline della camicia da notte, prendendo tra le mani i miei seni. Affondai le dita tra i suoi capelli, stringendo le ciocche dorate nei pugni e schiusi le labbra con un gemito quando la sua lingua lambì i miei capezzoli.
Facemmo l'amore pervasi da una passione rabbiosa, stringendoci l'uno all'altra come se non avessimo altri appigli per non affondare. Facemmo l'amore con gli occhi chiusi, per non scorgere ciò che non ci andava di vedere. Quando era ormai al limite, Gourry mi afferrò il volto con le mani. Avvertii il suo fiato caldo sul lobo dell'orecchio.
«Dammi un figlio» sussurrò. «Con i tuoi occhi, con i tuoi capelli. Non desidero altro.» Il suo non era un ordine, ma una richiesta che risuonò come una supplica. Avrei voluto scostarmi, invece lui mi tenne su di sé fino alla fine, impedendomi di sottrarmi.
Dopo, con il piacere che risaliva a ondate lungo il mio corpo, spandendosi come un'eco tra i miei confusi pensieri, rimasi con gli occhi aperti nel buio, fino a quando il respiro di Gourry non divenne pesante e regolare. Attesi ancora qualche minuto, per sicurezza, poi mi sollevai e, senza darmi il disturbo di rivestirmi, mi avvicinai al baule dove avevo riposto i miei abiti e tutti i miei orpelli. Il mio mantello magico giaceva arrotolato e impolverato. Lo sollevai, scrollandolo, e infilai la mano in una delle numerose tasche segrete che avevo creato con la magia. Non ci misi molto a trovare quello che cercavo: stramonio. Un'erba che, se usata nelle giuste dosi, costituiva un rimedio pressoché infallibile contro una gravidanza indesiderata.
Quando l'infuso fu pronto gettai solo una breve occhiata a Gourry, che dormiva inconsapevole a pochi passi da me.
Gli stavo mentendo, e avevo giurato di non farlo mai. Ma non ero tagliata per fare la madre, come poteva non rendersene conto?
Avevo già fallito una volta, non potevo permettere che accadesse di nuovo.
Sollevai il bicchiere e me lo portai alle labbra.
Era egoista, da parte mia, ne convenivo. Tuttavia, non avevo mai preteso di essere una brava persona. Gourry pensava che lo fossi, e questo mi lusingava. Ma, di fatto, non lo ero.
Trangugiai il liquido scuro e amaro prima di riporre ogni cosa ordinatamente. Poi tornai a letto e mi stesi accanto a lui, sentendomi uno schifo.
«Mi dispiace» mormorai, nel silenzio della notte. «Ti amo, ma non posso darti ciò che mi chiedi, Proprio non posso.»

Il giorno dopo eravamo, finalmente, in viaggio. Lasciare l'isola mi aveva un po' immalinconito. In fondo, eravamo stati bene. Ora, però, potevamo ripartire, avevamo le energie per farlo. Raggiungemmo la costa su un'imbarcazione piuttosto precaria e a piedi ci incamminammo lungo la strada che portava alla locanda delle Tre Arance. Avevamo lasciato quel recapito per chiunque avesse voluto scriverci nel periodo che avremmo trascorso sull'isola, ma in tutta onestà dubitavo di trovare delle missive. Di solito, chi aveva bisogno di contattarci usava ben altri stratagemmi, tipo apparire all'improvviso in uno sbuffo di fumo o altre cose del genere.
Invece, contro ogni previsione, c'era una busta ad aspettarci e, a giudicare dalla grana della carta e dagli svolazzi dell'inchiostro, doveva essere qualcosa di importante.
L'oste fece spallucce quando gli chiedemmo chi la aveva consegnata: non riusciva proprio a ricordarselo. Sulla busta c'era solo il nome di Gourry.
Gourry Gabriev. Non 'Signori Gabriev' o 'Famiglia Gabriev'. Chiunque gli avesse scritto non mi aveva tenuto in nessuna considerazione.
Gourry si girò la missiva tra le mani per qualche istante, incerto. Forse aveva riconosciuto la calligrafia, o lo stemma sul sigillo in ceralacca, che ruppe dopo una breve esitazione.
Dalla busta cadde fuori un foglio. Mio marito aggrottò le sopracciglia e io mi sollevai in punta di piedi, cercando di scorgere il testo.
Non erano che poche parole:

Nostro padre sta morendo. Ha chiesto di te.
Torna a casa, se puoi.
William

Sollevai lo sguardo su di lui. Non sapevo cosa dire, né tantomeno cosa fare. La sua famiglia era sempre stato un argomento spinoso. Gourry non amava parlarne e io, dopo aver posto qualche cauta domanda, all'inizio della nostra amicizia, avevo capito che non avrei ottenuto nulla di più di qualche nebulosa informazione. Sua madre era morta quando era ancora un bambino in fasce e a crescerlo era stata la nonna, una figura quasi mitica della sua infanzia. Quanto al padre e al fratello, che dovevano essere fatti della stessa pasta, non gli avevano mai perdonato di essere fuggito portando con sé la leggendaria Spada di Luce, una preziosa eredità che la famiglia Gabriev si trasmetteva di generazione in generazione.
«Non l'ho presa perché la desideravo» mi aveva rivelato, tanti anni prima. «L'ho portata via perché stava avvelenando il cuore delle persone che amavo. Il potere logora l'anima degli uomini.»
Le sue parole mi avevano fatto rabbrividire. Sì, io lo sapevo. L'avevo provato sulla mia pelle.
Gourry, invece, sembrava estraneo a quel richiamo. Infatti non si era fatto problemi a cedere la Spada, quando gli era stato imposto come prezzo da pagare per riavere me.
La sua anima era incorruttibile. Il suo cuore era puro e trasparente come il vetro.
Solo lui poteva portare l'arma di luce senza restarne abbagliato. Questo, la sua famiglia, non lo aveva mai accettato.
E ora suo padre stava morendo, e voleva la resa dei conti.
«Cosa pensi di fare?» gli domandai, aggrottando le sopracciglia. In fondo, non avevo nessun bisogno di chiederglielo.
«Devo andare. Non posso sottrarmi ai miei doveri.»
«Già.»
«Non sei obbligata a venire con me. Non sarà una cosa... allegra.»
«Elmekia dista tre giorni di cammino, da qua. Se ci mettiamo in viaggio adesso, entro domani saremo già a buon punto.»
«Lina...»
Allungai una mano, stringendo le sue dita tra le mie. Erano calde, leggermente sudate. Più sopra, legato al polso, portava il braccialetto con il ciondolo di smeraldo che ci eravamo scambiati il giorno delle nozze. Il simbolo della nostra unione.
«Non ti lascio andare da solo, Gourry. Io non ti lascio.»

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slayers / Vai alla pagina dell'autore: fren