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Autore: chiara_raose    22/04/2015    3 recensioni
«Come ci si sente da vincitori, Munakata?»
Gli occhi altrui gli trapassarono la schiena come mille lame ardenti, carezzando la sua carne prima di affondare, alla ricerca di un terreno morbido dove colpire. Nessuno ne era capace come lui. Anche quella volta ci riuscì.

SPOILER dall'Ep.13 e dal film Missing Kings
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mikoto Suoh, Reishi Munakata
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Come ci si sente da vincitori? Si dice che il petto si gonfi d'aria e di un respiro che sa di soddisfazione; l'espirare rende leggeri strappandoti la voglia di aprire le braccia e lasciarti cadere in un abbraccio. Ha sempre letto di storie, di racconti e tutti descrivevano il momento della vittoria, del successo in modi relativamente simili, per quanto soggettivi. Possibile che per lui fosse così tanto diverso?

Si sforzava di non voltare il capo, spingeva le proprie gambe in una lenta e dilaniante inerzia. Il respiro non sapeva di dolce, ma di salato; spezzato a metà tra il fondo della gola e la carotide, facendo vibrare tutto l'esofago. Mentre avanzava con la mano calda di un colore che non era il suo poteva percepire il peso di qualcosa di troppo grande, come se il filo che sosteneva la lama sopra la sua nuca si fosse improvvisamente indebolito. Si sentiva schiacciare da una pressa troppo grande per esser fermata. In fondo, neanche lui aveva più la forza di farlo. Che strana ironia la vita; che crudele bambino dispettoso il destino. Sentiva le orecchie invase da quelle urla di gioia ed acclamazioni di ogni sorta, senza riuscire a non pensare quanto fossero fastidiose, irritanti, terribili, dilanianti. Percepiva il proprio petto gonfiarsi e sgonfiarsi rapidamente, vibrante sotto il tessuto della divisa, scommettendo con se stesso che non era batticuore quello che gli comprimeva quel piccolo organo che, invece, percepiva fermo, irrigidito.

Si sforzava di rimanere come sempre era stato, intravedendo oltre le dita maculate di cremisi, quei sorrisi, quei respiri che sapevano di soddisfazione, quella leggerezza dovuta ai sospiri di sollievo e quegli abbracci. Eccola lì, la vittoria. Oltre le lenti appena sistemate a vedere per una volta quel che ha sempre e solo letto, consapevole ora come non mai, di quanto la vita sia davvero differente. Aveva passato una vita con uno scopo che non era davvero il suo; un destino che ora si prendeva beffa di lui. Gli veniva da ridere.
Il destino era così simile a lui, a loro, nel costante ed insistente battibeccare, troppo orgogliosi per lasciare o concedere all'altro la vittoria in una singola battaglia. Troppo stupidi in quel loro continuo giocare a fare i bambini, a compensare quegli svaghi che non si sarebbero mai potuti davvero concedere. Il destino era proprio uguale a lui: sbeffeggiante nei confronti di tutto il mondo e di chi cerca di tenergli testa e non permettergli la scelta di qualcosa di sgradevole; misterioso nei suoi piani, capace di illuderti di aver quasi raggiunto il tuo obbiettivo, prima di schiacciarti e non lasciarti scelta... perché così era stato deciso; perché così aveva deciso. Bambino orgoglioso, egoista e cocciuto.
Inutili le parole, inutili i tentativi, inutili i sospiri e vani i festeggiamenti di chi aveva dinanzi e che, in parte, rappresentava quella che poteva essere una famiglia. Sentiva le urla di una vera famiglia, mentre le loro gole si sforzavano nella disperazione delle lacrime a reclamare quell'inno tutto loro. Ancora il proprio respiro era soffocato, ancora sapeva di salato, ancora opprimeva pesantemente le spalle e la gola. Gli mancava il respiro, gli mancava battere le palpebre terrorizzate dall'idea di rivedere qualcosa che lo avrebbe definitivamente soffocato.

Si sforzava di respirare.
Si sentiva morire.



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