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Autore: chiara_raose    23/04/2015    1 recensioni
«Come ci si sente da vincitori, Munakata?»
Gli occhi altrui gli trapassarono la schiena come mille lame ardenti, carezzando la sua carne prima di affondare, alla ricerca di un terreno morbido dove colpire. Nessuno ne era capace come lui. Anche quella volta ci riuscì.

SPOILER dall'Ep.13 e dal film Missing Kings
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mikoto Suoh, Reishi Munakata
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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«Come ci si sente da vincitori, Munakata?»
Gli occhi altrui gli trapassarono la schiena come mille lame ardenti, carezzando la sua carne prima di affondare, alla ricerca di un terreno morbido dove colpire. Nessuno ne era capace come lui. Anche quella volta ci riuscì. Si sentì quasi costretto a voltarsi, sul confine della soglia di quella cella; a metà tra la via d'uscita dalle catene dell'amico di una vita e la gabbia del nemico di un'esistenza. Quel che si suonava dire
“miglior nemico”.
«La risposta a cui sto pensando sarebbe troppo scontata per uno come te»
Il rosso tese un angolo delle labbra in un sogghigno vago, divertito. Un sorriso ed un atteggiamento familiare, mentre prese un sospiro, ad occhi chiusi. «Non sei proprio cambiato» mormorò schiudendo le palpebre ed incatenando nuovamente l'anima a quella cella. A chi voleva darla a bere? Non glielo aveva concesso: c'era semplicemente riuscito. Eppure chiedeva a lui cosa volesse dire esser vittoriosi e come ci si sentisse. Stava accadendo tutto come aveva programmato.
«Sei un infido bastardo, Suoh» ringhiò voltandosi per uscire mentre il rosso si fece sfuggire uno sbuffo divertito, di pura soddisfazione. Quello era l'essere vittoriosi. Mikoto lo sapeva.



Non si accorse della penna che gli era caduta di mano. Il sonno l'aveva colto di sorpresa sui documenti e, quando se ne accorse, sollevandosi di colpo dalla scrivania, non poté non esser sbalordito di se stesso. La mano scivolò sul viso, sfiorando la fronte con le dita prima che affondassero alla radice dei capelli. Il profondo respiro che conseguì al risveglio non gli fu sufficiente per cacciare quella sorta di nervosismo che aleggiava nel suo ufficio. Si costrinse a regolarizzare il respiro, mordendosi le labbra, impallidendole per un momento mentre ringraziava il cielo che nessuno fosse entrato nel momento sbagliato. Non si sarebbe mai perdonato una tale figura dinanzi ad uno dei propri subordinati. Probabilmente fu proprio quel pensiero che lo portò ad allontanare la mano dalla propria nuca, intento a sporgersi d'un lato, oltre il bracciolo della sedia per recuperare la penna. Ebbe il tempo di afferrarla, prima di raddrizzare la schiena; percepiva ancora la compressione sulla costola per quanto fu veloce l'istante in cui le palpebre aiutarono a dilatare lo sguardo.
Rosso.
Lasciò la penna di colpo con il cuore che non comprese neanche se perse un battito o accelerò di colpo. La fitta che lo colpì in quel preciso punto che lui stesso aveva trafitto lo fece sobbalzare; le spalle che si premettero contro lo schienale morbido ma gelido. Si scoprì ad ansimare a labbra schiuse, con le iridi puntate sulle proprie dita tremanti. Di nuovo, la penna abbandonata sulla scrivania rotolò sul foglio fino a cadere e il suo ticchettare sul pavimento decretò il momento in cui la sua mente si staccò dal mondo terreno. Sentì una goccia cadere sulla nuca, scivolare tra i capelli, carezzare quelle ciocche scure fino a rigargli la guancia e macchiare la divisa. Alzò lo sguardo osservando la propria Spada di Democle lì, dinanzi a sé, ad un soffio dal proprio stesso respiro, pronto a colpirlo, dilaniarlo. La osservò in tutto il suo splendore ed impallidì a vederne una crepa, a vedere ancora quel rosso macchiarla e gocciolare sin sul proprio mento. Sentì l'ennesima goccia puntellargli la guancia, scivolare lungo il mento, passando oltre il pomo d'Adamo e raggiungendo la camicia, la clavicola...
«Capitano?» Sobbalzò riportando lo sguardo sulla giovane che aveva dinanzi. Osservò di nuovo le proprie mani, ora limpide, l'ufficio come sempre era stato. Lanciò un'occhiata al calendario e condusse la punta delle dita a coprirsi il volto, sistemare la montatura degli occhiali e tornare a porre attenzione a lei. Lei che come tutti gli altri non parevano esser rimasti particolarmente toccati da quel che era successo quel giorno, troppo impegnati a festeggiare per la vittoria del loro Re. Un Re che si alzava ogni mattina ripetendosi di aver fatto la cosa giusta, di aver evitato un altro Cratere e centinaia di migliaia di morti: aveva semplicemente fatto quel che il suo predecessore non aveva fatto. Non era passato neanche un mese e lui già sognava i loro momenti, ripensando a come sia stato stupido a non averlo capito prima. Come poteva definirsi vincitore, se era Mikoto ad aver vinto sin dall'inizio? Aveva la vittoria tra le mani prima ancora di pensarla e quello acclamato come vittorioso non era stato lui. Più ci pensava, più la cosa lo faceva uscire di testa. Un misto tra l'irritazione e la disperazione: la consapevolezza di essersi sentito preso in giro ed averglielo concesso e la perdita di quello che poteva essere l'unico vero amico di un Re come lui. Un amico che ora non c'era più, un nemico che non poteva più affrontare e che ora lo ossessionava nei sogni.


«Perchè non vuoi darmi retta, Suoh? Preferisci caricarti dell'omicidio di innocenti? Della tua gente? Di me e di te come i nostri predecessori?»
«Parli troppo, Munakata»
«Maledizione, Suoh! Vuoi dar retta a chi ti vuole aiutare una volta tanto?!»
«Mi consideri davvero un amico, Munakata?» aveva risposto lui osservandolo seriamente mentre il tessuto candido della sua maglietta faceva più male sulle dita più della stretta stessa. «o sono la distrazione da te stesso?»



Aveva ragione. Ora che non c'era più, doveva fare i conti con se stesso, da solo. Congedò Awashima come al solito, in quella sfiancante e disarmante routine e tornò a guardare il calendario. Neanche un mese e stava già impazzendo sognando i loro ultimi incontri, nella speranza vana di trovare una via d'uscita per evitare quel che era successo.


«Munakata?»
«Cosa c'è ancora?»
«Non hai ancora risposto»
«A che cosa avrei dovuto rispondere?»
«Come ci si sente da vincitori?»
   
 
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