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Autore: syontai    22/04/2015    3 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 66
A un passo dalla meta

Era passata ormai una settimana dal giorno in cui si erano divisi, una settimana dalla morte di Emma, e Andres ancora non riusciva ad accettare che il Tempo fosse riuscito ad ingannarlo in quel modo. Fino all’ultimo aveva creduto di poterli salvare, era stato tanto presuntuoso da credere di poter cambiare il destino, ma adesso si rendeva conto solo della sua estrema stupidità. L’orgoglio l’aveva resa cieco, il desiderio di recuperare lo scudo aveva superato ogni altra aspirazione, e anche se fino all’ultimo aveva cercato di proteggere i suoi compagni era sicuro di non aver fatto abbastanza. Nessuno gliene avrebbe fatto una colpa, di questo era certo, ma rimaneva il fatto che per colpa sua la vita di Emma era stata consumata da quelle fiamme infernali. La rabbia che provava nei confronti di se stesso veniva alimentata dalla spada di Cuori, che teneva nel suo fodero, allacciata alla cintura. Maxi gli aveva descritto gli effetti che quell’arma aveva sulla psiche umana: faceva credere al possessore di poter fare qualunque cosa, annullava le paure, si nutriva di esse.
“Andres”. Libi si era affiancata a lui, mentre gli altri si trovavano indietro, parlottando del più e del meno per tenersi compagnia. Andres si voltò impercettibilmente dall’altro lato, continuando a guardare dritto davanti a sé. Ora più di prima sentiva di non poter stare con Libi, per quanto lo desiderasse ardentemente. “Non voglio che ti prenda la colpa di quello che è successo come hai fatto con Serdna. Credi che siano morti per colpa tua, mentre…”.
“Mentre non è così, è questo che vuoi dire? Ti sbagli di grosso”.
“Oh, beh, ovviamente fare l’eroe tormentato è una cosa che ti si addice alla perfezione, non c’è che dire!” sbottò Libi. Andres si indurì ancora di più a quelle parole, e Libi capì che forse aveva esagerato. Cercò di stargli dietro, poiché aveva accelerato il passo solo per chiudere quella conversazione. “Non intendevo parlare in quel modo, solo...Insomma, mi fa male vederti così”. Gli afferrò il braccio, costringendolo a fermarsi.
“Sai che puoi contare sempre su di noi”. Il ragazzo annuì, con aria assente. “Soprattutto su di me”. Bastò quella frase appena sussurrata e farlo voltare nella sua direzione. L’attrazione tra loro due era sempre stata forte e allo stesso tempo spesso confusa con un’amicizia molto stretta. Non riuscivano ad essere chiari l’uno con l’altro, o meglio, Libi in un certo senso aveva provato più volte a fargli capire che l’affetto che provava nei suoi confronti era molto più di quello di una semplice amica o di una sorella. Lo amava e nulla avrebbe potuto cambiare quella dura realtà. Non era stato solo colui che l’aveva salvata da un futuro senza alcuno scopo se non la sopravvivenza, Andres l’aveva accolta, le aveva fatto coraggio, le aveva insegnato a combattere. E in quegli attimi in cui i loro occhi si studiarono, nostalgici, le difese di Libi crollarono del tutto. Le bugie che si era raccontata in quel periodo perdevano forza, svanendo nel nulla. Perché era così difficile amare qualcuno che però si rifiutava di darle una possibilità per un motivo o per un altro?
“So di poter contare su di te. Sei la persona di cui più mi fido e a cui più tengo” mormorò Andres, accennando un sorriso impacciato. Libi arrossì, sentendo il viso avvampare. Prese coraggio e si sporse verso di lui, che reagì sgranando gli occhi, per poi deviare la direzione che puntava dritta alle sue labbra sulla guancia. Vi depose un debole bacio, reggendosi sulle sue forti spalle, quindi lo guardò con dolcezza.
“Adesso ti meriteresti un bello schiaffo. Te ne devo ancora far pagare tante” lo schernì con una faccia buffa. Andres scoppiò a ridere, e per la prima volta gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo, quando tra lui e Libi c’era una complicità incredibile, inferiore solo a quella che aveva con il fratello. Le era mancato tanto quel loro modo di scherzare e prendersi in giro, più di ogni altra cosa. Solo lei avrebbe potuto strappargli un sorriso in quel momento.
“Quando vuoi sono qui” ribatté frettolosamente, rimasto in silenzio a lungo, troppo preso a fissarla.
“Bene, ci conto, eh!” ridacchiò la ragazza, dandogli una pacca sulla spalla, imbarazzata. Non sapeva mai cosa pensasse Andres, e questo spesso la mandava in bestia, ma di una cosa era sicura: le era mancato essere al suo fianco.
“Non te l’ho mai detto prima, ma grazie per essere tornata. Ho bisogno di te” mormorò Andres, piegando la testa di lato.
“Ci sarò sempre, Andres, non ti...non vi lascerò più” si corresse Libi, stringendo nervosamente l’impugnatura dell’arco, che si era caricata su una spalla. Era vero, non l’avrebbe lasciato più, qualunque cose fosse successa. Non le importava più se non avrebbe mai corrisposto i suoi sentimenti, ciò che la rendeva felice più di ogni altra cosa era il merito di aver fatto scomparire l’ombra cupa triste e affranta che da troppo tempo ormai impediva agli occhi di Andres di brillare.
 
Camilla sapeva bene che se mai avesse avuto la sfortuna di imbattersi nuovamente in Sebastian, non avrebbe potuto evitare lo scontro come l’ultima volta. Continuava a ripetersi che quello non era lo stesso ragazzo di umili origini conosciuto per sbaglio in un pomeriggio afoso d’estate, eppure non riusciva ad ignorare la fitta che provava solo pensando allo sguardo freddo e inespressivo della persona che amava. Provava una grande pena al pensiero che Violetta avrebbe dovuto attraversare un dolore simile, se non peggiore. L’Autore aveva ormai fatto la sua mossa, le pedine erano ciascuna al posto giusto, e l’adempimento della profezia era sempre più vicino. Violetta avrebbe dovuto fare la sua scelta, certo era che non ci sarebbe più potuto essere un mondo per entrambi, il principe di Cuori e la Prescelta. Se anche la ragazza si fosse rifiutata di ucciderla, Leon sicuramente l’avrebbe sconfitta, facendo sprofondare il Paese delle Meraviglie nell’abisso. Uno schiocco di dita e dal ramo d’albero in cui si trovava atterrò leggiadramente sul pavimento di una stanza immersa nel caos.
“Ma che piacevolissima sorpresa” strillò Beto, correndo a prendere una sedia per accogliere l’inattesa ospite. Lo Stregatto si limitò a fissarlo con la solita espressione enigmatica, quindi si accomodò al tavolo, osservando l’altro capo, dove non sedeva nessuno.
“Oh, il Brucaliffo non lo vedremo per un po’” esclamò il Cappellaio Matto, estraendo dal taschino della giacca color prugna un cipollotto d’oro, che aprì con uno scatto. “Sarà già alle prese con Violetta, immagino...”. Inaspettatamente richiuse l’orologio e lo intinse nel tè, per poi lanciarlo in aria con noncuranza.
“Ho seguito il consigliere di Quadri a Telhalla. Ha preso l’arma”.
“Oh, beh, c’era da aspettarselo, ma ancora non dovrebbe essere in grado di usarla, no?”.
Camilla scosse la testa, mentre osservava quasi indispettita Beto sorseggiare il suo tè. “E’ stato al Tridente e si è portato con sé un manoscritto, sicuramente ha trovato il modo di usarla. E questo non era esattamente nei piani”.
Il Cappellaio Matto fece schioccare la lingua sul palato, sorpreso per quella notizia, ma affatto spaventato. “Giustamente la regina di Quadri può muoversi liberamente in questa partita; se non sbaglio anche lei sa. Ma non dobbiamo preoccuparci: l’Autore non faticherà tanto a rimetterla al suo posto, nonostante la trama stia notevolmente cambiando”.
“O forse era nei piani dell’Autore che lei sapesse! Fin da subito si è servito di lei, ingannandoci tutti” si azzardò a dire lo Stregatto, osservando poi la mensola di fronte a lei, stracarica di tazze di porcellana e piattini abbinati. Era chiaro ormai che Ludmilla era a conoscenza della natura del Paese delle Meraviglie, ma ancora non erano riusciti a capire quali fossero le sue reali intenzioni. Il secondo libro doveva essere comunque nella sue mani. Una copia l’aveva bruciata Alice, ma l’altra era stata trafugata tantissimi anni fa. Non le era troppo difficile credere che gli antenati dei sovrano di Quadri l’avessero preso, credendo si trattasse di un potente artefatto magico.
“Forse. O forse Ludmilla Ferro è effettivamente sfuggita alle grinfie dell’Autore, e questo potrebbe essere un problema”. Camilla rimase stupita di fronte a quell’affermazione di Beto, che lasciava intravedere un’ombra di dubbio nei suoi intricati ragionamenti. Finora avevano sempre agito come se fossero gli unici a conoscere la verità, ma ora avevano un compagno, che a differenza loro non aveva abbracciato la follia, o almeno questo era quello che dava a vedere. In ogni caso sentiva di dover tentare qualcosa per aiutare Violetta ad affrontare l’ardua sfida che la attendeva. Non le interessava se questa sua folle azione fosse stata decisa da una volontà superiore oppure no, voleva credere fino all’ultimo che Violetta avrebbe sconfitto un futuro già deciso. Beto sembrò comprenderla subito, perché alzò un sopracciglio, divertito. “Immagino che la tua visita di cortesia sia già finita. Peccato, la prossima volta ti farò assaggiare qualche biscotto che ha preparato il Ghiro, vero?” disse rivolgendosi all’animale addormentato su una sedia, che si limitò a sonnecchiare, borbottando qualcosa e girandosi dall’altra parte.
Camilla annuì, quindi fece roteare dolcemente la sua coda. Quando essa finì di compiere un giro, dove prima era seduto lo Stregatto adesso si levava un sottile filo di fumo violaceo.
 
Dj mosse il palmo della mano, evocando una flebile fiammella. La magia stava lentamente tornando a scorrere nelle sue vene, nonostante fosse rimasto per settimane quasi privo di poteri. Alcuni avevano attribuito la sua inibizione al dolore provocato dalla perdita di Emma, ma lui sapeva che non si trattava di quello. Le mura del palazzo di Quadri erano intrise di un misterioso potere che aveva completamente neutralizzato i suoi poteri, rendendolo pressoché inutile durante il recupero dello scudo. Nel periodo in cui si era ristabilito avevano dovuto prestare molta più attenzione a dove si fermavano per le soste, per timore di essere scoperti. Quel giorno per la prima volta, con la coda nell’occhio, aveva visto Andres sorridere a Libi, mentre camminavano, ed era bastato quel semplice e naturale gesto a fargli capire che la vita poteva riservargli ancora tante bellissime sorprese e che non doveva perdersele per nulla al mondo. Ammirava molto tutti quelli con cui viaggiava: il coraggio di Andres, la sincerità di Libi, l’intuito di Maxi, la vivacità di Lena e l’umiltà di Tomas, la determinazione di Marcela. Di quest’ultima l’aveva particolarmente colpito la speranza che la donna continuava a nutrire, nonostante quel lungo periodo di prigionia. Era sicura che prima o poi avrebbe rincontrato il suo Matias e la capitale di Picche era un buon posto per cominciare la sue ricerche, essendo ormai l’unico baluardo in cui si rifugiavano tutte le vittime della guerra.
“Posso?”. Dj alzò lo sguardo e vide Marcela con una ciotola che lo guardava con premura. Guardò accanto a sé e vide che si era isolato dal resto del gruppo, intorno al fuoco; fece un cenno di assenso a la donna si accomodò affianco a lui.
“Avete scoperto che poteri ha?” chiese, dopo una cucchiaiata di zuppa, risultato del ritorno acclamato di Libi ai fornelli, indicando infine lo scudo che il mago stringeva al petto. Dj scosse la testa, sospirando: “Non ne ho proprio idea. La spada ha degli influssi che possono essere negativi o positivi sul carattere e sul modo di percepire le cose di chi la possiede, oltre ad avere un incredibile potere d’attacco. L’elmo invece è più tattico, o almeno così potremmo definirlo: indossandolo non solo si può vedere cosa succede anche nell’angolo più remoto del Paese delle Meraviglie, ma si può anche viaggiare attraverso lo spazio. L’arrivo a destinazione non è sempre sicuro, penso dipenda dalla chiarezza che si ha sulla posizione in cui si intende effettivamente finire. Lo scudo da questo punto di vista rimane ancora un’incognita” spiegò il mago, cercando di essere il più dettagliato e il meno noioso possibile. Marcela seguì con molto interesse quel discorso, quindi rivolse la sua attenzione alla superficie liscia di bronzo dell’arma. Allungò un dito per toccarla, ma poi lo ritrasse, quasi avesse paura che si scatenasse qualcosa di terribile al solo contatto. Una scritta in piccolo era stata appena incisa su un lato dello scudo: fortitudo.
“Che cosa farai una volta che avrai raggiunto la capitale di Picche?” chiese il mago per cambiare argomento e allo stesso tempo fare un po’ di conversazione. In fondo non sapeva in che modo la donna avrebbe trovato Matias. Lo avevano lasciato in un villaggio al confine tra Cuori e Fiori, che però avevano saputo essere stato evacuato per la guerra. Quindi ritrovare l’uomo non era affatto facile, avrebbe potuto essere ovunque. Avevano anche pensato di provare a usare l’elmo, ma Maxi non ricordava ogni dettaglio fisico di Matias, e Marcela non sapeva usare l’oggetto.
“Cercherò notizie sul suo conto, sperando di trovarlo lì, altrimenti dovrò intraprendere un viaggio...” cominciò a raccontare Marcela, ma venne interrotta da un urlo graffiante che lacerò l’aria. Il mago scattò subito in piedi, tendendo la mano davanti a sé e pronunciando una breve formula. Il fuoco che avevano acceso si spense all’istante e tutti si misero in posizione: Libi puntò subito l’arco verso l’alto, dopo aver estratto una delle sue letali frecce, Andres estrasse la spada di Cuori, guardandosi intorno, mentre Maxi indossò rapidamente l’elmo e sfoderò un pugnale dalla lama ricurva, che aveva rimediato nell’ultimo villaggio in cui si erano fermati. Tomas e Lena corsero verso Marcela, sotto la folta chioma dell’albero, mentre Dj tentò di visualizzare il tipo di nemico che era in procinto di attaccarli. Di nuovo le grida rabbiose del mostro risuonarono, facendogli accapponare la pelle. La creatura, favorita dalla notte, scese in picchiata, ma Andres lo scacciò con un fendente dato alla cieca. Libi scoccò la freccia che centrò fortunatamente il bersaglio, ma essa finì in pezzi non appena toccò il corpo del mostro con un frastruono.
“Impossibile” sibilò Libi, sconcertata.
“Non riesco a distinguerne nemmeno i contorni, certo è che è molto veloce e arrabbiato” mormorò il mago, stringendo con forza lo scudo. Non capiva in ogni caso perché ce l’avesse con loro, di qualunque cosa si trattasse. Non ebbe il tempo di pensarci perché fu costretto a lanciare una sfera azzurra di fronte a sé, per evitare un attacco a Maxi, il quale in ogni caso riuscì a schivarlo grazie al potere dell’elmo. Due occhi di fuoco per un attimo illuminarono le tenebre, per poi fondersi nuovamente con esse. La creatura tornò in volo con dei colpi possenti di ali, quindi artigliò un ramo d’albero, che si trovava proprio sopra le testa di Dj, il quale alzò lo scudo per proteggersi. Il ramo però lo schiacciò col suo peso facendolo finire a terra e ruzzolare qualche passo più in là.
“Non possono farcela in questo modo!” disse Lena, rimanendo ancorata con la schiena al tronco con la paura di muovere anche solo un passo. Tomas non disse nulla, ma non appena vide che il mago era a terra dolorante e che stava per subire un altro attacco, con uno scatto uscì dal loro rifugio e scattò verso l’amico, frapponendosi tra lui e il colpo. Gli artigli affilati affondarono nella carne del braccio che aveva sollevato, lacerandola. Fiotti di sangue schizzarono da tutte le parti, macchiando la superficie brillante dello scudo. Tomas finì scaraventato a terra, con il sangue che continuava a scorrergli.
“Non vuole noi” constatò Libi, guardando verso l’alto, alla disperata ricerca del nemico. Fin da piccola aveva avuto sempre una vista eccellente, ma era impossibile distinguere qualcosa in quel buio fitto. “Vuole lo scudo” esclamò infine. Andres annuì, quindi con un ringhio si precipitò ad accorrere il mago, seguito da Maxi. Il giovane si preparò a colpire ancora una volta, ma la lama della spada incontrò un ostacolo ben più resistente, sbalzandolo. “Ma di che cosa diamine è fatto? Respinge tutti gli attacchi” imprecò, rimettendosi subito in posizione di difesa. Continuare a proteggere Dj e lo scudo a lungo sarebbe stato impossibile, ma non sapevano come riuscire a colpire. 
“Se continueranno così, moriranno” strillò Lena con le lacrime agli occhi, mentre lo sguardo correva verso il corpo ancora inerme di Tomas. Il Bianconiglio l’aveva aiutata a superare la sua paura sull’isola Riflesso e per questo sentiva di avere un debito nei suoi confronti, ma cercare di aiutarlo avrebbe intralciato gli altri, per cui non poteva far altro che rimanere lì a guardare, immobile.
Marcela era stranamente calma. Analizzò la situazione per qualche altro secondo, facendo saettare i suoi occhi astuti dalle ferite che aveva Tomas, al punto in cui si udiva il battito delle ali. Se non ricordava male poteva trattarsi di una sola creatura, ma aveva bisogno di un’altra prova per poterlo affermare con certezza.
“Dj, puoi illuminare la radura per qualche secondo?” urlò la donna, sperando con tutto il cuore che il mago non avesse perso i sensi. Il viso preoccupato di Dj fece capolino dallo scudo. “Anche più di qualche secondo, spero...Lux aeterna!”.
Una piccolo globo luminoso gli comparve sul palmo della mano e il mago lo scaraventò in aria. Quando ebbe raggiunto qualche metro di altezza il globo esplose, illuminando tutto l’ambiente circostante con una luce bluastra. Il mostro si riparò con un braccio, e quando lo ritirò mostro le fauci acuminate con uno stridio.
“Come immaginavo...è un gargoyle!”. Lena si voltò verso Marcela, sgranando gli occhi, chiaramente sorpresa dal fatto che la donna conoscesse quella creatura. “Il corpo di pietra respinge ogni attacco e solitamente è legato a un padrone, che può evocarlo quando ne ha bisogno. Inoltre non si arrende fino a che non ha portato a termine il suo compito”. Il gargoyle sollevò le braccia tozze ruggendo, mostrando gli artigli ancora sporchi del sangue di Tomas.
“Immagino che la magia gli faccia il solletico” borbottò il mago, ottenendo un cenno di assenso.
“E’ una creatura antica, forgiata prima ancora che la magia approdasse in questo mondo”. Il gargoyle attaccò e Libi mise l’arco davanti a sé per proteggersi. Bastò un solo colpo a ridurlo in pezzi.
“Ci serve un punto debole!” strillò Andres, parandosi davanti a Libi per difenderla da attacchi successivi. La ragazza lo scostò con il braccio, tirando fuori il pugnale. “Non ho bisogno di essere salvata, grazie per il pensiero” esclamò rivolgendogli un sorrisetto. Andres scoppiò a ridere, senza però smettere di osservare i movimenti del nemico. Lentamente intanto la luce evocata dal mago veniva meno, quindi gli rimaneva poco tempo. “Sempre la solita. Il giorno in cui ammetterai che hai un disperato bisogno di me probabilmente a Maxi crescerà la barba”.
“Ehi, non tiratemi in mezzo” si lamentò il più basso del gruppo, sbuffando.
“Questo perché non ho bisogno di nessuno, tanto meno di te” ribattè Libi orgogliosa. Prima che Andres potesse rispondere, il gargoyle si lanciò nuovamente in picchiata.
“Ripeto: un punto debole!” ripeté Andres, disperato.
“Dj, ripeti dopo di me: Argeftis Otrois Not
Il mago la squadrò perplesso, non riconoscendo la lingua in cui Marcela gli aveva formulato l’incantesimo da usare, ma decise di fidarsi, in fondo tentare non costava nulla. Ripetè quella strane parole e un suono sordo scaturì nell’aria. Il gargoyle si fermò a mezz’aria, completamente immobile. Un cerchio dorato lo intrappolò, stringendogli le ali, quindi il mostro sparì risucchiato da esso.
Per un po’ calò il silenzio, mentre Lena era accorsa ad aiutare Tomas, il quale per fortuna aveva solo perso i sensi.
“Quella formula...mai sentita, in nessuno libro. Come facevi a sapere tutte quelle cose?” chiese Dj a Marcela, facendosi portatrice di un quesito che in effetti tutti si stavano ponendo. La donna sorrise imbarazzata: “Mio padre era il guaritore del nostro villaggio, per questo conosceva tutte le creature magiche che hanno popolato il Paese delle Meraviglie fino ad oggi. Diciamo che non amavo molto le faccende domestiche e preferivo consultare i suoi libri. Sono unici nel loro genere, non ci sono copie esistenti, neppure al Tridente. I gargoyle fanno parte delle Evocazioni. Molto difficili da fare, serviva una particolare pozione e un particolare oggetto a seconda del tipo di creatura che si voleva richiamare. Ma per ognuna di esse esiste anche una sorta di frase-chiave che serve per riportarli al sonno; le conoscono in pochi proprio perché altrimenti le Evocazioni non sarebbero di grande utilità...”.
“Per fortuna che non amavi le faccende domestiche, allora!” disse Dj, per poi cadere sulle ginocchia e scoppiare a ridere. Maxi anche si sciolse in un sorriso rilassato, ora che il pericolo era passato, mentre Libi osservava con dispiacere i resti del suo arco. La ragazza si piegò a raccoglierli con cura, pezzo dopo pezzo, affiancata da Andres, che decise di aiutarla in quell’arduo compito. Inavvertitamente le loro mani si sfiorarono e rimasero per qualche secondo ad osservarsi, incantati, prima che Libi ritraesse la sua, arrossendo. Si rimise in piedi, borbottando un ‘grazie’, e si avvicinò agli altri.
Andres non riusciva ancora a capire che cosa provasse realmente per Libi. La considerava solo un’amica a cui doveva tanto, oppure c’era dell’altro? Forse era il dolore dettato dalla morte di Emma a distorcere i suoi sentimenti, ma l’attaccamento che sentiva nei confronti di Libi stava diventando troppo forte per essere ignorato nuovamente. Osservò i frammenti di legno che aveva raccolto, squadrandoli pensieroso. Sentiva di dover provare a ricucire il suo rapporto con Libi; e forse aveva anche una mezza idea su come iniziare a farlo.
 
Leon gettò la spada insanguinata a terra, il viso sporco di terra e polvere. Un’altra vittoria che non faceva altro che allargare il vuoto che sentiva nel petto. Quando combatteva smetteva di provare emozioni e avvertiva l’ebbrezza di essere tornato lo stesso di un tempo, ma quando posava la spada, quando lo scontro finiva, si sentiva sempre più amareggiato e svuotato. Un catino era stato fatto preparare per il suo arrivo e lui vi immerse le mani per sciacquarsi poi vigorosamente il viso. Ora che un altro villaggio era stato preso rimaneva solo da conquistare il forte di Assopigliatutto e poi avrebbero avuto strada libera fino alla capitale del regno di Picche. L’unico pensiero che lo animava in quel periodo era la speranza di poter vendicare la morte del padre restituendo a Pablo lo stesso favore. I ricordi legati a Violetta si stavano pian piano affievolendo, o almeno questo era quello di cui si era convino. Ma la reazione al vederla nuovamente davanti a sé in carne ed ossa, quella non riusciva a prevederla in alcun modo. Se una parte di lui l’avrebbe perdonata anche solo per essere tornata da lui, l’altra parte, quella orgogliosa e testarda, nutriva ancora disprezzo per il modo in cui si era presa gioco dei suoi sentimenti.
“Tic, toc, c’è qualcuno in casa?”. Leon si voltò di scatto verso dove proveniva la voce, portando istintivamente la mano alla cintura. Si maledì mentalmente per aver lanciato la spada a terra, fuori dalla tenda, ed essere così indifeso.
“Immagino tu sappia chi sono” ghignò la voce, lasciandolo interdetto. Di fronte a lui comparì prima una coda, poi il corpo di una ragazza e infine un paio di buffe orecchie viola da gatta.
Leon annuì, confuso. Era la prima volta che si trovava al cospetto dello Stregatto, ma era una personalità talmente conosciuta nel Paese delle Meraviglie insieme al Brucaliffo che era impossibile non averne mai neppure sentito parlare.
“A cosa devo questo onore?” chiese il principe con voce incolore, facendo saettare lo sguardo nella tenda in cerca di qualcosa che potesse fargli da arma. Non sapeva che intenzioni avesse lo Stregatto, ma non appoggiava quella guerra né Jade, e questo bastava a renderlo un suo nemico.
“Se avessi potuto farti fuori, mio caro, credimi, lo avrei fatto tanti anni fa insieme a tua madre. Purtroppo i miei poteri sono limitati ed esiste un divieto che mi impedisce di privare il Paese delle Meraviglie di un qualsivoglia essere vivente. Grandi poteri, grandi limitazioni” sorrise Camilla, sorniona.
Leon incrociò le braccia al petto, improvvisamente più rilassato, ma non ancora tranquillo. “E allora cosa ti spinge a presentarti al mio cospetto?” chiese con una punta di arroganza. Camilla allargò il suo sorriso e si sedette sul tavolo di legno, mentre passava il dito sulla superficie dell’acqua che poco prima aveva usato per ripulirsi.
“E’ il contrario. Sei tu ad avere la fortuna di trovarti in mia presenza” ghignò lo Stregatto, passandosi lentamente la lingua sulle labbra.
“E a cosa devo quest’onore?” chiese il principe, sprezzante. Non accettava che nessuno lo facesse sentire inferiore, neppure lo Stregatto in persona. Non ottenendo alcuna risposta, sbuffò irritato e fece per uscire dalla tenda.
“Sono qui per raccontarti una storia...parla di una ragazza che tanto tempo fa, ma non troppo, è arrivata nel Paese delle Meraviglie da un’altra dimensione. Non vuoi sapere come si chiama?”.
Leon si bloccò sul posto proprio quando ormai lo spiraglio di sole dell’uscita gli illuminava il volto con una striscia di luce tremolante. Aveva un orribile presentimento; era certo che di qualsiasi cosa si trattasse di lì in poi le cose non sarebbero affatto migliorate. Allargò le braccia e si voltò con un’espressione beffarda: “Non lo so e non mi interessa! Soprattutto non capisco perché lo stai venendo a dire a me!”.
“Si chiama Violetta”. Quelle tre parole spezzarono ancora di più la tenacia di Leon, che da sicuro di sé divenne allibito. Violetta non era del Paese delle Meraviglie? Da dove veniva? Perché non gliene aveva mai parlato? Si rafforzava ancora di più in lui la convinzione che la sua storia con quella ragazza fosse stata solo un’enorme menzogna.
“E io dovrei crederti?” chiese con la voce che vibrava dalla rabbia.
“Sei libero di non farlo, ma sarà lei stessa a spiegarti quando vi rincontrerete...”.
“Quando ci rincontreremo sarò felice di accoglierla con la mia spada”.
“Sei stato ingannato e sei talmente cieco da non rendertene conto...Non allontanare l’unica persona che dovresti avere vicino in tempi come questi”. Camilla si addolcì, parlando con compassione, come farebbe una madre col proprio figlio. Ma Leon quell’amore materno non l’aveva mai conosciuto e non riconobbe nulla di esso nel consiglio che le stava dando lo Stregatto. Perdonare Violetta gli era ancora più difficile dopo aver scoperto che gli aveva mentito due volte. Non solo sul loro amore, persino sulla fiducia che avevano promesso di riporre l’uno nell’altro. A lei aveva aperto il suo cuore, mentre Violetta aveva conservato per sé i propri segreti.
“Non sono io che l’ho allontanata, è lei che mi ha abbandonato!” sbottò con rabbia il principe, stringendo i pugni fino a quando le nocche non diventarono bianche. Avrebbe voluto fare tutto a pezzi, tagliare la lingua a quel gatto, proprio come avevano fatto con Humpty. Il pensiero dell’amico gli procurò un’ulteriore fitta alla testa.
“Il destino vi ha volutamente separati per mettervi alla prova...” provò a intervenire Camilla, ma Leon ormai non l’ascoltava più. Le scintille d’ira che balenavano nei suoi occhi erano una risposta sufficiente alle sue parole, che riteneva vuote e prive di sincerità.
“Sei venuta da parte sua?”. La freddezza del suo tuono era solo sintomo di una relativa quiete prima che la tempesta si scatenasse in quella tenda. Gli puntò contro il dito, minaccioso. “RISPONDI!”.
Camilla rimase a fissarlo, sgranando gli occhi. Probabilmente non si aspettava quella reazione, o che la conversazione andasse in quel modo. Leon era talmente accecato dall’odio da non riuscire più a distinguere la verità, e sapeva bene che la colpa fosse soprattutto della madre, la regina di Cuori. Schiocco le dita un attimo prima che Leon provasse a metterle le mani addosso, sparendo nel nulla, non sapendo che quello che aveva fatto con le migliori intenzioni, aveva solo acuito l’odio del principe. Quel disastroso odio che avrebbe portato il Paese delle Meraviglie alla rovina.
 
Jackie non sapeva del motivo per cui era stata convocata da Jade. Certo era che dalla partenza di Leon la regina di Cuori si era notevolmente tranquillizzata, nonostante continuasse ad essere vittima del potere mandragola. Ma qualcosa in quegli ultimi tempi era cambiato, era come se Jade fosse lentamente diventata immune all’effetto del siero che le somministrava giornalmente. Mancava poco tempo e sarebbe trascorso esattamente un mese da quando aveva ricevuto la minaccia di Lara. Quella serva la aveva in pugno, ma contava di riuscire a liberarsene non appena Jade avesse raggiunto la pazzia completa. La sentinelle che controllavano l’accesso alla sala del trono la guardarono appena prima di aprire le porte e abbassare le lance. In un angolo c’era sempre il solito tavolino di Tomas, occupato ormai da un uomo esile che però dimostrava di essere particolarmente veloce a scrivere. Riempiva fogli su fogli con diligenza: proclami della regina, annunci di taglie per la cattura di fuorilegge del paese di Cuori. Non batteva ciglio un momento e non alzava lo sguardo dal foglio se non per prendere una nuova pergamena e ricominciare a scrivere.
Jade, seduta sul trono con un atteggiamento posato, quel giorno aveva deciso di sfoggiare uno dei suoi abiti migliori, di velluto rosso, abbinato ad un collier di diamanti talmente splendenti da abbagliare. Indossava poi un anello con un rubino grande quanto una pietra, i capelli raccolti in una crocchia e acconciati egregiamente. Non appena la vide fare il suo ingresso nella sala del Trono alzò appena un sopracciglio, stringendo le mani sui braccioli, prima di sorridere indulgentemente. Jackie si inginocchiò, aspettando che la regina gli facesse cenno di rialzarsi, cosa che non avvenne prima di qualche minuto. Odiava mostrare la dovuta sottomissione alla corona, che riteneva degna di stare solo sul suo capo; in particolare attendeva con ansia che la regina non fosse più capace di intendere e di volere, così da poterla manovrare a suo piacimento.
“Mi avete fatto chiamare, mia signora?” chiese con lo sguardo basso Jackie. Le guardie che si trovavano ai lati del trono rimanevano ferme come statue, il che rendeva quell’atmosfera ancora più cupa e lugubre.
“Così è stato. Ora che Leon è finalmente intento a eseguire gli ordini della sua regina, ho avuto modo di pensare parecchio...” cominciò Jade con molta tranquillità.
Pensare...come se sapessi cosa significa, brutta strega, pensò Jackie, sospirando interiormente di sollievo in ogni caso poiché il tono della regina non era adirato.
“E sono arrivata alla conclusione che sicuramente la malattia che mi ha gravato per tanto tempo dovesse essere il risultato di una qualche maledizione” proseguì la regina con un sorriso mellifluo. A Jackie si gelò il sangue nelle vene. Non voleva dire nulla, non aveva alcuna prova di accusarla. Di cosa, poi? Si era sempre occupata personalmente di pulire con attenzione i calici usati per somministrarle la pozione, non c’era nulla che potesse lasciar intendere la sua colpevolezza.
“Mia regina, è chiaro che qualcuno aveva intenzione di minare la solidità di questo Regno. Una qualche spia di Picche, infiltratasi abilmente tra queste mura, senza dubbio” rispose Jackie, fingendo un sincero stupore e una preoccupazione che non aveva mai mostrato per nessuno.
Jade aprì la bocca, assecondando l’espressione sorpresa della domestica, quindi scosse la testa con snervante lentezza. “L’avevo pensato anche io, ma poi sono giunta a una conclusione diversa. Per questo in queste ultime sere non bevo ciò che mi somministri e ne mando invece il contenuto nel laboratorio, dove hanno fatto una curiosissima scoperta".
Il cuore di Jackie le si fermò in gola, gli occhi furono presi da uno scatto di nervosismo. Non poteva averlo fatto, lei era sicura che la regina non si fosse accorta di nulla e aveva abbassato momentanamente la guardia, presa anche dalle pressioni che continuava a farle Lara. “Q-quale? Sempre se posso chiederlo, mia signora” balbettò la donna, tradendosi ormai del tutto. Il suo piano era stato scoperto, la corona che portava Jade sul capo sarebbe rimasto per sempre un pallido miraggio.
“Certo che ti è concesso domandarlo. Hanno trovato della mandragola. Inutile che ti spieghi le proprietà di questa prodigiosa pianta, credo che tu le conosca molto meglio di me. La cosa ancora più buffa e divertente è che sono riusciti a risalire al venditore di queste mandragole, che ha confermato, sotto mio gentile invito, di avere una sorta di ‘accordo’ con una donna, la cui descrizione corrisponde a...a chi corrisponde secondo te?” chiese gentilmente la regina, con un lampo maligno negli occhi.
“N-non saprei”.
“Alla tua, Jaqueline. Alla tua” sentenziò freddamente Jade. Il silenzio calò nella stanza, rotto unicamente dallo scribacchiare che proveniva dal fondo.
“Deve trattarsi di un errore, io...”.
“BASTA NEGARE!” esplose la regina, scattando in piedi, piena d’ira.
Jackie si zittì subito, trattenendo a stento le lacrime. Aveva sempre saputo che il suo piano avrebbe comportato tanti, troppi, rischi, ma solo ora che si trovava lì, con la vita che ormai aspettava solo di essere stroncata dal colpo d’ascia di un’esecuzione, che si rendeva conto di quanto grande fosse stata la posta in palio. Era stata accecata dal desiderio di poter indossare una corona, e proprio quel pezzo di metallo aveva decretato la sua fine.
“Ti accuso di tradimento nei confronti della tua regina, e per questo verrai portata in cella fino a quando non stabilirò che ti venga tagliata la testa”. A nulla valsero i singhiozzi disperati della donna, che venne portata via dalla sala tra lamenti e preghiere, le quali non toccarono minimamente Jade, rimasta immobile a osservare con selvaggia gioia i deboli tentativi di Jackie di divincolarsi dalla presa delle guardie.
Lara si affacciò da una stanzetta con lo straccio in mano, attirata come altri membri della servitù dalle urla che si propoagavano per il corridoio. Quando poi vide passare di fronte a sé Jackie, scortata dalle guardie, si rese conto subito dell’accaduto. Rimase completamente paralizzata al pensiero che avrebbe potuto fare la stessa fine dell’ormai passata alleata. Quando Jackie la vide i suoi occhi si colmarono d’ira, tanto che diede uno strattone a una guardia, per tentare di aggredirla. “TU! MALEDETTA! E’ COLPA TUA! SE IO CADO TU DEVI CADERE CON ME!” strillò come un’ossessa, tentando di afferrarla. Lara arretrò con un’espressione inorridita.
“Non ho idea di cosa stia parlando” mormorò con un filo di voce a mo’ di scusa alle guardie e agli spettatori che erano accorsi per osservare la scena.
“ME LA PAGHERAI!”. Jackie venne di nuovo afferrata e resa innocua, e quasi Lara fu sollevata di sapere che tra loro ci sarebbero state delle grate a separarle. Nessuno prestava fede a un traditore, quindi con ogni probabilità se la sarebbe cavata, anche se Jade era imprevedibile. “TU E I TUOI RICATTI! NON AVRAI MAI CIO’ CHE DESIDERI, SCHIFOSA SERVA!”. Le urla continuavano a seguirla, persino nella stanza in cui si era nuovamente rintanata. Si sedette e guardò il mucchio di argenteria che quel giorno le spettava di lucidare. Prese una caraffa d’argento e vi passò il panno. Quando ebbe finito osservò il suo riflesso, pallido e ancora scosso. Forse Jackie aveva ragione:era solo una serva e pensare di poter sposare Leon era stata una follia, che l’aveva fatta spingere troppo in là. Jackie non sarebbe più stata una minaccia per nessuno, e per quanto le potesse dispiacere della sorte dell’amica, non poté fare a meno di ripetersi che al posto della donna avrebbe potuto esserci lei. “Mi dispiace...sapevi a cosa andavi incontro” sussurrò la ragazza, tamponandosi il sudore sulla fronte con il palmo della mano. Posò la caraffa e afferrò un candelabro per poi strofinarlo con vigore. Il giorno dopo la quotidianità l’avrebbe completamente assorbita di nuovo e per quanto odiasse il suo stile di vita, almeno poteva dire di viverne ancora una, cosa che a breve Jackie non avrebbe più potuto dire. 











NOTA AUTORE: Buonsalve! Capitolo pieno di novità e di personaggi, e anche il prossimo avrà alcune sorpresine...in ogni caso, tornando a noi. Avvicinamenti tra Libi e Andres, aw. Libi non l'ha ancora perdonato del tutto e Andres ancora fa fatica ad ammettere i suoi sentimenti, ma ci stiamo arrivando, dai :3 Nel frattempo grazie all'indispinsabile Marcela il gruppo riesce a neutralizzare il gargoyle, mandato da Ludmilla. Invece abbiamo un primo dialogo tra Camilla e Leon, che però finisce nel peggiore dei modi :( Infine il piano di Jackie è stato scoperto e la donna viene rinchiusa in prigione, accusata di tradimento, mentre Lara capisce che a rischiare troppo si finisce per fare la fine di Jackie...spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie a tutti voi che seguite, leggete, e...se lasciate una piccola recensione è sempre un piacere :3 A tal proposito ringrazio tantissimo Dulcevoz e Sweet Trilly e mi scuso se non riesco sempre a rispondere (diciamo quasi mai), ma purtroppo il tempo è poco...in ogni caso le leggo sempre con tantissima gioia, mi rallegrano tantissimo! :3 Alla prossima, e buona lettura! Con affetto,
syontai 
  
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