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Autore: tswizzle3    22/04/2015    0 recensioni
"Non era carino da parte mia leggere il suo diario. Ma erano le ultime parole che potevo sentire da lei, e tutto quello che stava succedendo mi sembrava una sorta di chiamata da parte sua a non dimenticare niente, era come se mi stesse dicendo che continuava a pensarmi, anche se non era più con me"
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Prologo

Quel giorno pioveva particolarmente forte. Lo intuivo dal gran rumore che proveniva dall’esterno, non potevo vederlo perchè le mie persiane erano perennemente chiuse, la mia stanza era completamente, sempre buia; non volevo la luce, non volevo che nessuno mi disturbasse, stavo tutto il giorno sul letto, mangiavo pochissimo, non volevo vedere nessuno. Mia madre ogni tanto mi portava qualcosa da mangiare, ma la mia fame non aumentava mai, e mi accontentavo di qualche cosa ogni tanto, il mio stomaco era chiuso. Quella non era la mia casa, o meglio, lo era stata, ma io poi ero andato a vivere in un’altra casa, più grande, con la mia nuova famiglia. Ma dopo quello che è successo, sono tornato da mia madre. Mia sorella si era trasferita a Londra per studiare, quindi in casa c’erano solo mia madre, io e mia figlia. Aveva quattro anni e si chiamava Delilah. Era meravigliosamente carina, bionda e con due bellissimi occhi verde-acqua, un misto armonico fra i miei e quelli di sua madre. Era tantissimo che non la vedevo, avevo chiesto a mia madre di non farla entrare, o meglio, gliel’avevo imposto. Erano mesi che io ero in quello stato, uscivo dalla stanza pochissimo, solo nelle ore in cui la casa era deserta, e poi tornavo sul letto. Delilah, che non sapeva che io non volevo vederla, si intrufolò in camera mia mentre, come al solito, stavo straiato sulle coperte a fissare il soffitto. Saltò sulla mia pancia scoppiando a ridere, e si aspettava da me la stessa reazione. Come una volta. Come quando giocavo con lei per tutto il giorno. Invece stessi zitto.
 –Papà, perchè non giochi più con me?- Domandò dispiaciuta.
-Vattene- Risposi io serio.
-Ma io vorrei giocare con te ...- Continuò lei, sempre più desolata, non comprendendo la mia tristezza.
-Vattene via, Delilah, vai di là a giocare- Nonostante le mie parole, rimase ferma seduta sul mio ventre, fissandomi in attesa di una mia risata, si aspettava che io, come sempre prima di allora, mettessi via il broncio e la stringessi forte a me facendole il solletico. Allora iniziai a urlare, irritato, non volevo vederla, lei scoppiò a piangere, io ero fuori di me, mia madre entrò preoccupata e portò via la bambina. Quando spense la luce, io scoppiai in un disperato e silenzioso pianto. Amavo mia figlia con tutto me stesso, ma vederla mi procurava un dolore maggiore che rinunciare alla sua presenza. Mi ricordava lei. Mi ricordava mia moglie, in tutti i suoi tratti, bellissima, e così simile alla nostra bambina. E questo mi faceva soffrire. Dopo qualche minuto entrò mia madre, e si sedette sul bordo del mio letto, mentre io ero girato di schiena e fissavo il muro, di modo che lei non potesse vedere il mio volto rigato dalle lacrime.
-Perchè devi fare così?- Chiese lei accarezzandomi la nuca. –Lei non ne può niente. Le fai solo del male, e ne fai altrettanto a te. Ti ricordi cos’ha detto la psicologa ...- Sussurrò prima della mia interruzione.
-Io non ho bisogno di essere curato, non voglio andare dalla psicologa, odio tutti voi che cercate di farmi dimenticare tutto e sperate che io torni come prima-
-Non voglio che tu ti dimentichi di lei, non è possibile, non è giusto. Noi vogliamo solo aiutarti a vivere diversamente questa cosa-
-Allora lasciatemi in pace-
-Vorrei chiederti una cosa ... lo so che non hai voglia di parlarne, ma mi servirebbero le foto di quando Delilah era piccola ... e anche quelle di sua madre ... Sai, all’asilo stanno facendo un album in cui mettono le foto dei bambini dal giorno della nascita ad adesso, per poi portarlo a casa e continuarlo, e Delilah vorrebbe le foto di sua madre. Se mi dici dove sono vado a prenderle io-
-Domani te lo dirò, ora lasciami dormire in pace-
Mia madre si alzò e mi lasciò nuovamente solo. Guardai l’orologio. Erano le 8 passate. Non avevo fame. La richiesta di mia madre mi aveva chiuso lo stomaco più di quanto già lo fosse. Ero sollevato dal fatto che lei si fosse offerta di togliermi l’amaro compito di andare a cercare foto di mia moglie, perchè era l’ultima cosa che mi andava di fare.
Mi svegliai nel cuore della notte, come sempre, dopo il solito sogno che mi tormentava, come sempre. Io Delilah e mia moglie su una spiaggia dal mare cristallino e la spiaggia bianchissima, a ridere e scherzare, come una famiglia. A un certo punto mia moglie si alzava, e noi le chiedevamo dove stesse andando.
-Devo andare- diceva lei sorridente, nel suo leggero vestito bianco. Sembrava una dea. Continuava a sorridere, dandoci le spalle, e poi voltava la testa verso di noi, per continuare a guardarci mentre camminava verso il mare. Io provavo ad alzarmi, ma non riuscivo a staccarmi dalla sabbia. Delilah scoppiava a piangere, e quella meravigliosa spiaggia si trasformava in luogo oscuro e orribile, il cielo si copriva di nuvole e inizia a diluviare, tuoni e fulmini, freddo e vento, io prendevo Delilah terrorizzata fra le braccia, e guardavo verso la riva. Non vedevo più mia moglie, o forse c’era, ma la pioggia offuscava la mia vista. Il sogno poi si spostava sul divano della nostra casa, c’eravamo solo io e lei. Prendeva il mio volto fra le mani e con un sorriso angelico e sereno sussurrava: -Devo andare- E il sogno si interrompeva, e io mi svegliavo, senza mai sapere la destinazione del suo viaggio.
E così anche quella notte. Dove dovevi andare, Sophie, dove dovevi andare? Mi chiedevo in preda alla disperazione, ma soprattutto, perchè dovevi andartene?
Mi misi seduto, passandomi una mano fra i capelli. Erano decisamente un po’ troppo lunghi, era tanto che non li tagilavo. Anche la barba l’avevo un po’ troppo lunga, ma non me ne curavo affatto, l’aspetto non era il mio problema principale. Con l’immagine di Sophie sorridente in testa, decisi che dovevo andare io a prendere le foto per mia figlia. Non l’avrei mai fatto prima, ma quella notte, non so cosa, qualcosa mi condusse fino alla soffitta impolverata. Il cielo si era completamente rasserenato, e una luminosissima luna piena inondava la stanza dalla finestra sul tetto. Mi ricordai che Sophie aveva un bauletto in cui riponeva le sue cose, qualcuno doveva per forza averlo portato a casa di mia madre, perchè era lì su uno scaffale, e sembrava quasi chiamarmi. Lo presi in mano facendo un respiro profondo e mi sistemai nel rettangolo di luce sul pavimento. Era di legno rosso, con le sue iniziali incise sul coperchio. Passai la mano sulle lettere, e prima che potessi accorgermene, avevo già gli occhi pieni di lacrime. Non era uno sforzo da poco per me andare volontariamente a ripescare ricordi che avevo cercato di soffocare. In qualche modo avevo cercato di dimenticarla, ma finchè ci provavo era davvero impossibile riuscirci, perchè il pensiero di lei invadeva la mia mente ogni secondo. Dopo un altro profondo respiro, aprii il bauletto e abbassai lo sguardo per osservarne il contenuto. Lo sapevo, erano cose sue private, ma ... in qualche modo sapevo che potevo farlo. Al suo interno, per quello che potevo vedere attraverso gli occhi completamente bagnati, c’era un blocco di foto tenuto insieme da uno spago, e altre decine di fogli. Dopo essermi asciugato le lacrime, presi le foto, sfilandole dallo spago. La prima era una foto di me e Sophie il giorno del nostro matrimonio. 






 Spazio autrice
Ho ritrovato questo capitolo per caso in una cartella del pc, ed è un'idea che ho in testa da tantissimo, quindi penso che sia ora di pubblicarla, sperando che a qualcuno interessi! Ovviamente continuerò anche l'altra, ma questa è davvero troppo che circola fra i miei file, e ora voglio svilupparla; ditemi voi se pensate ne valga la pena.
Ovviamente, le recensioni sono graditissime, ditemi che ne pensate di questo breve prologo!
Grazie : )
   
 
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