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Autore: Melian    22/04/2015    8 recensioni
"Poi c'era l'altro occhio: quello che si era strappato volontariamente e offriva ad Itachi con il sorriso dalla piega amara di chi non ha null'altro da offrire. L'occhio che era un dono."
[Storia partecipante all' "Uchiha Angst Contest" indetto da Ayumu_7 sul Forum di EFP]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Shisui Uchiha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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COME UNA FOGLIA CHE SCIVOLA SULL'ACQUA

 

 

 

 

«Tutto quello che è necessario, va fatto senza ripensamenti, Itachi».
«Anche se significa sacrificare la nostra felicità e la nostra stessa vita, lo so, Shisui».

«Siamo shinobi, la nostra esistenza è votata al sacrificio».


Un occhio. Qualcosa di così piccolo e fragile, capace di scatenare i più oscuri desideri e indurre all'omicidio; Shisui quasi non riusciva a capacitarsene.
Il riflesso della sagoma di Itachi era rimasto marchiato a fuoco contro la retina: il ricordo della sua silhouette, sbozzata contro lo sfondo del cielo notturno e il frullo d'ali di uno stormo di corvi, si era distorto, sfrigolando in un'immagine in bianco e nero, cancellato non appena il nervo ottico era stato reciso da uno strappo brutale.
Solo la sera prima avevano discusso sommessamente, fissando i severi volti di pietra degli Hokage. Itachi era stato il primo, immediato pensiero che gli era balzato nella mente, ma il suo migliore amico era in missione e aveva temuto che non avrebbe nemmeno potuto dirgli addio.
Il bulbo – Shisui lo aveva contemplato con l'occhio sano – troneggiava sul palmo di una mano come un reperto macabro: perfetto e lucido, l'iride talmente nera da confondersi con la pupilla. La densa melassa dell'umor vitreo si appiccicava alla pelle di chi glielo aveva rubato con un sorriso compiaciuto.
Quell'uomo, che doveva essere stato uno dei suoi maestri, voleva davvero il bene del Villaggio come asseriva, o la sua era la scusa subdola che si ripeteva egoisticamente, per poter giustificare le proprie azioni?
Il suo occhio destro, dove il chakra di Shisui di solito fluiva e modellava le illusioni più contorte in cui una mente possa restare intrappolata, non gli apparteneva più, perché Danzo lo aveva trattenuto tra le dita lerce di sangue.
Allora Shisui la Scheggia era fuggito.
 

«Shisui, da dove prendi la tua forza?»
«È la stessa forza che cova dentro di te, Itachi».
«Temo, però, mi manchi la tua abnegazione».
«Non dire sciocchezze! Fratello, nel tuo cuore brucia la Volontà del Fuoco».

 


Shisui non smetteva di pensare a Danzo, animato da una rabbia cocente, una delusione mista a incredulità che soffiava sulle braci della sua ira. Brancolava, sospeso sul baratro dell'anima oltre cui scopriva l'amara verità della morte dove tutto trovava compimento e, forse, acquistava un senso. Se non si potevano scegliere il tempo e le circostanze in cui venire al mondo, si poteva decidere almeno della propria morte.
Tutto scivolava via, come le foglie degli alberi strappate dal vento, inghiottite dalla corrente del fiume Nakano che ruggiva insaziabile, incassato tra le anse di quel dirupo su cui tante volte si erano allenati senza sosta, sfiancandosi.
«Devi proteggere il Villaggio e il nome degli Uchiha».
Il sangue gli rigava le guance, impigliandosi nelle ciglia scure che orlavano le palpebre ostinatamente chiuse. Si era strappato volontariamente l'altro occhio e lo aveva offerto ad Itachi, con un sorriso dalla piega amara. Quell'occhio era un dono.
Eppure, nonostante la cecità, Shisui sentiva il mondo attorno a sé con una dolorosa intensità, una intensità persino più feroce della sofferenza che lo attanagliava: poteva persino intuire le rughe che increspavano la fronte di Itachi e gli incurvavano gli angoli delle labbra, indovinarne i pensieri.
Morire braccato come una bestia dalla squadra ANBU, invece dell'onore di cadere in battaglia, come un guerriero del suo calibro avrebbe meritato... no, lui era un'ombra, uno shinobi e la sua vita era costellata di segreti, di rinunce per il bene del Villaggio, delle persone che amava e voleva proteggere. Così decise che pure la sua fine avrebbe ubbidito a quelle leggi spietate, per trarre qualcosa di utile dall'imboscata in cui era stupidamente caduto; la sua morte si sarebbe piegata a una realtà distorta e di comodo, parte di un disegno più elaborato di cui sia lui che Itachi intravedevano l'elaborato ordito.
La vita di uno shinobi, in fondo, è fatta di inganno, e dell'arte dell'illusione Shisui era maestro.
Itachi era l'unica speranza che gli restava.
 

«Tu ed io, insieme, faremo grandi cose, Itachi».

 

Shisui si sentiva lacerato, intrappolato in una ragnatela che serrava la propria morsa sempre più: da una parte il dovere verso il Villaggio e l'Hokage, dall'altro il feroce e conturbante richiamo del suo stesso sangue. Un clan maledetto, gravato da una sorte nefasta e beffarda, dicevano.
Lasciava ad Itachi l'ingrato compito di compiere un destino che sarebbe dovuto essere suo e di nessun altro. Come poteva cedergli quel peso? Tuttavia, Shisui sapeva che era inevitabile.
La Scheggia rimase immobile. Il vento gli accarezzò il viso e sgretolò il sangue che si era seccato sulla sua pelle, due lacrime che rievocavano la muta, grottesca maschera della squadra ANBU, indossata fin troppe volte. Spiava per loro, torturava per loro, uccideva per loro.
 

Sii come il vento, sii come un'ombra, mantieni il segreto a costo della vita, agisci per il bene del Villaggio”, glielo aveva insegnato tanti anni fa lo stesso Danzo.
Era stato il suo credo, fino a quel momento.

 

Ormai restava solo la voce del fiume, il fragore dell'acqua che impattava contro le rocce e, ostinata, correva a gettarsi chissà dove.
«Tutti penseranno che i miei occhi sono stati distrutti, ma quello voglio che lo abbia tu. Ti lascio un nuovo potere, Itachi. Avrei voluto poter salvare il nostro clan e proteggere te e Sasuke. Perdonami, se puoi».
La presenza muta e discreta di Itachi, così familiare nei suoi silenzi che non avevano bisogno di parole, era un balsamo.
«Non c'è nulla da perdonare, fratello», gli disse l'amico.
«È scesa la sera», commentò infine Shisui, in un fil di voce colmo di malinconia e consapevolezza.
«Il buio non è stato mai così fondo come adesso», gli rispose Itachi con lo stesso tono con cui si canta l'ultima elegia. Chiuse gli occhi: sapeva di dover lasciarlo andare, eppure il dolore gli impediva di muoversi. La mano gli tremava impercettibilmente attorno al viscido bulbo oculare. E ad Itachi la mano non tremava mai.
Shisui si spinse fino al ciglio della scarpata, contemplando il nulla oltre le palpebre serrate: quell'altezza gli portava una misteriosa vertigine. Il mondo senza il senso della vista era immerso in uno sgradevole chiaroscuro: per un Uchiha gli occhi erano tutto, la fonte di ogni abilità e grandezza, ma anche di ogni sventura. Percepiva, tuttavia, una libertà che non aveva mai sperimentato prima, senza il fardello dei suoi stessi occhi e del loro potere.
Sorrise ad Itachi con un'improvvisa consapevolezza: «Il mio cammino diventa il tuo cammino, fratello. Proteggi il Villaggio e il nostro clan. Proteggi Sasuke».
Non vi fu altro che silenzio. Le labbra di Itachi divennero una linea dritta e sigillata, contratta e severa.
Quando impattò contro l'acqua, a Shisui parve che il gelo si conficcasse nella carne come una miriade di spilli; lentamente la sensazione divenne quasi dolce, come tornare nell'utero materno. Forse aveva mulinato le braccia per cercare di vincere la corrente in un ultimo, istintivo anelito di vita, ma il fiume non volle lasciarselo sfuggire.

 

«Chi deve morire è già morto. E chi è morto non è più niente», glielo aveva ricordato Danzo una notte di anni fa, consegnandogli la maschera degli ANBU. «Voi siete quelli che devono morire per la patria se necessario. Questo è il vostro destino».

 

Si abbandonò alla gelida corrente rabbiosa, i polmoni si riempirono di acqua; una sensazione di beatitudine ovattata lo invase, un ultimo sprazzo di luce immensa prima di annullarsi.
Shisui la Scheggia venne trascinato via, come una foglia che scivola sull'acqua.

 

*

 

Itachi rimase a fissare la linea dell'orizzonte, stringendo tra le mani tutto ciò che gli restava del suo migliore amico: quel fragile occhio dalla pupilla nera.
Il potere del Mangekyō Sharingan lo investì, un'onda di chakra nuova e inarrestabile: i suoi occhi non furono mai più gli stessi.
Di tutti i pensieri che si affastellavano nella sua mente, del groviglio insanabile di ricordi strazianti che gli premevano rapaci contro il cranio, Itachi scelse l'unica strada che gli era rimasta da percorrere.
Con quell'ultimo lucidissimo gesto, Shisui gli aveva ricordato che il mondo di uno shinobi aveva l'acre sentore del dovere e del rigore, dinanzi a cui persino l'onore era niente. Tutto diveniva sacrificabile per un fine superiore che trascendeva il singolo.
C'era bisogno di qualcuno che avesse il coraggio di lordarsi la coscienza e di convivere con il tormento della propria anima. Qualcuno per potare il peso della condanna insita in un solo nome: nukenin, traditore. Qualcuno che inscenasse la più grande illusione mai perpetrata da un Uchiha a danno della sua stessa gente. Quel qualcuno non poteva che essere Itachi.
Shisui gli aveva lasciato un'eredità e Itachi la raccoglieva con abnegazione, rabbia e dolore cocente.
“Non può essere altrimenti. Non può esserci redenzione una volta che sarò andato fino in fondo”.
In quel momento, Itachi scelse di divorare se stesso e vide davvero.
«Salverò il mio fratellino e gli Uchiha. E, per farlo, camminerò nell'oscurità con questi occhi».
Itachi si abbandonò al suo destino, trascinato come una foglia che scivola sull'acqua.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

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Note:

 

Questa storia è stata scritta per il contest indetto da Ayumu7 sul forum di EFP: “Uchiha Angst Contest”.
Il pacchetto utilizzato è “Amaterasu” e prevedeva che il protagonista della storia fosse un Uchiha morto, oltre all'uso di una citazione tratta dall'Alcesti di Euripide: "Chi deve morire è già morto. E chi è morto non è più niente."

Ho deciso di raccontare di Shisui, ma anche di Itachi perchè le loro vite sono indissolubilmente legate. Per quanto mi riguarda, il loro rapporto era quello di due fratelli, non solo di due amici. Shisui era il modello cui Itachi si ispirava, così come Sasuke si ispirava al fratello.
Mi piaceva l'idea di questo passaggio di testimone della missione sul clan Uchiha tra di loro.
Questo missing moment riprende, quindi, esattamente il momento della morte di Shisui, subito dopo che Danzo gli ha sottratto uno dei suoi occhi. Forse la scelta può essere ovvia, può essere fin troppo poco originale, ma mi piaceva fermare l'attimo e indagarlo.
Mi sono ispirata, comunque, alle scene narrate nel videogioco “Naruto Shippuden UNS Revolution”, dove viene in effetti mostrata l'intera vicenda che, nel resto dell'anime, avevamo potuto ricucire dai racconti di certi personaggi. L'ultima frase della storia, infatti, è tratta dal videogioco in questione: mi piaceva talmente tanto che ho voluto usarla come chiusura anche qua.

La storia ha una struttura abbastanza lineare e, di per sé, è una lunga introspettiva. Non volevo né azione, né innovazione, volevo semplicemente soffermarmi sui pensieri, le angosce, le sensazioni.
Le frasi in corsivo sono null'altro che ricordi di Shisui, ricordi potenti che si inframmezzano agli attimi che sta vivendo, battute significative che cercano di creare una tridimensionalità nel racconto, laddove appunto la trama fila via liscia, senza increspature dovute a mirabolanti colpi di scena. Ma, sopratutto, dovrebbero conferire una più forte carica emotiva. Spero. XD

Ad essere proprio sincera, questa storia non è la migliore che abbia sfornato nel fandom di Naruto e nemmeno mi soddisfa molto, tuttavia ci tenevo a partecipare al contest e a scrivere qualcosa su Shisui, sperando di aver colto il suo carattere e i suoi pensieri al meglio.
 

 

Melian

   
 
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