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Autore: Sea    22/04/2015    0 recensioni
Si sa, il blocco dello scrittore può farti impazzire ed Ed Sheeran stava cominciando a perdere colpi. Non voleva partire, per fuggire dai suoi problemi gli bastava il suo appartamento, non aveva bisogno di vacanze. Eppure si trovava lì, intrappolato dal suo manager, senza poter gestire la sua vita come una qualsiasi persona.
Non voleva che qualcuno interrompesse la sua solitudine, ma successe. Quell'incontro avrebbe trasformato la sua gabbia dorata in una via d'uscita, ma ancora non lo sapeva. Il suo deserto stava per trasformarsi in una florida oasi. Così, visse.
ATTENZIONE: IL CAPITOLO "TERZO GIORNO - PT II" è STATO MODIFICATO IN QUANTO MANCANTE DI UNA PARTE DELLA NARRAZIONE, ORA REINTEGRATA NELLO SCRITTO.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo Giorno
 
Ecco fatto. E non avrebbe mai, mai e poi mai chiamato J per avvertirlo. Probabilmente lo avrebbe trovato comunque, ma non dargli conto era più divertente.
Qualche minuto dopo aprì la porta ad un cameriere corredato da vino di benvenuto e biglietto. Era un ragazzo molto giovane, forse aveva la sua età. Aveva quasi vergogna a lamentarsi con sé stesso e ne aveva ancora di più quando decise di lasciare la mancia al ragazzo, ma voleva proprio farlo.
Assaggiò il vino freddo. Era abbastanza corposo da lasciarlo interdetto, poi si ricordò che erano le 9.00 del mattino ed era Luglio. Non esattamente il momento più giusto della giornata per bere vino. Aprì la busta del biglietto e controllò il numero della carrozza e del posto. L’altro biglietto era un affarino blu, forse un biglietto della metropolitana. In effetti non era informato sul posto in cui stava andando.
Fece un paio di ricerche sulla metropolitana e sugli hotel della città, ne prenotò uno on-line.
In fondo sapeva che se la sarebbe cavata. Poteva affrontare un’arena piena di gente, figuriamoci un week end nel sud del bel paese. Ora era abbastanza curioso di vedere Napoli, sicuramente in hotel avrebbero saputo indicargli cosa visitare.
Si alzò dalla sedia e andò sul terrazzino ombreggiato. La ringhierà non esposta al sole era fredda. Osservò a lungo Piazza di Spagna, poi alle 10.00 chiamò un taxi, fece caricare i suoi bagagli e si lasciò trasportare alla stazione per prendere quel treno ad alta velocità.
Il telefono squillò e rispose a J cercando di simulare un tono indifferente. Non era per niente il suo forte.
  • Si, J, sto facendo una passeggiata. Si, l’Hotel è bellissimo, grazie. Certo, non preoccuparti, a presto.
Ripose il cellulare in tasca ed entrò nel vagone. Davanti a lui era seduto un bambino che leggeva un libro, mentre sua madre flirtava col passeggero della fila accanto.
Anche a lui piaceva leggere, da bambino.
  • Ciao – lo salutò, visto che sarebbe stato la sua unica compagnia durante quell’ora di viaggio.
  • Ciao, io mi chiamo Davide.
  • Io mi chiamo Ed – quelle lezioni di italiano erano state molto efficaci su di lui. Certo, sono durate un anno, qualche volta le ha odiate, ma ora stava ringraziando mentalmente il suo insegnate.
  • Vai anche tu a Napoli?
  • Si. Come mai tu ci stai andando?
  • Vado a trovare la nonna. Speriamo che mi abbia preparato il gelato.
  • Deve essere brava, tua nonna, coi gelati.
  • Se vuoi te lo faccio assaggiare, quando me lo da.
Un’ora e dieci minuti dopo stavano parlando di Harry Potter e Ron Weasley che entravano nella Camera dei Segreti.
Non si era accorto che il treno fosse fermo fin quando il bambino fu invitato dalla madre a seguirla. Si alzò anche lui, prese il suo bagaglio e la chitarra e scese dal treno. In quel posto c’era afa, il calore che saliva dai binari era insopportabile, così si allontanò. Salutò il bambino soltanto con un cenno della mano, ormai erano troppo lontani.
Un sospiro gli uscì dal petto prima di cominciare a camminare lungo la banchina. Si sentiva molto osservato ed effettivamente era l’unico con dei capelli così arancioni. Mise gli occhiali da sole e camminò fino al bar più vicino. Comprò una bottiglietta d’acqua e mentre ne beveva qualche sorso, prese il biglietto blu della metro. Al centro informazioni lo indirizzarono al piano sotterraneo della stazione, “Segua le indicazioni per la Circumvesuviana” avevano detto. Seguiva quella scritta cercando di non farsi distrarre da ciò che lo circondava, non voleva perdersi. Alla fine, arrivò davanti a dei tornelli, ma prima di oltrepassarli chiese all’uomo dietro al vetro della biglietteria quale treno dovesse prendere, visto che sul display luminoso ce n’erano diversi.
Scese al binario 3 come aveva detto quell’uomo e attese in un punto indistinto della banchina, fissando la scritta “Sorrento – 12.27 – In partenza” sul monitor che contraddistingueva il binario. La folla si accalcava alle sue spalle mentre un alto parlante recitava “beware the pickpockets”, attenzione ai borseggiatori. Poi vide il treno arrivare e si preparò ad entrare. Non gli sembrava molto grande, ci sarebbe entrata tutta quella gente? Il fato volle che la porta si fermasse davanti a lui, così entrò nel vagone e si infilò nel corridoio del treno afoso. Subito fu circondato da altre persone in cerca dell’aria che sarebbe dovuta entrare dai finestrini. Posò la chitarra sul portabagagli e infilò il borsone tra le gambe. Non appena afferrò una maniglia, il treno partì annunciando la stazione successiva.
 
Per fortuna quando il treno era in movimento passava un po’ d’aria attraverso quei pochi finestrini che non erano rotti. Guardandosi intorno notava che quel treno era davvero mal ridotto, pieno di graffiti fatti male, le luci fulminate, i sediolini scarabocchiati, la carta da parati scollata e la vernice consumata. Stava attraversando la periferia di Napoli e guardava le persone intorno a lui, c’erano ragazzi carichi di libri, uomini con la 24h, donne col le buste della spesa, vecchietti che discutevano in un linguaggio a lui sconosciuto. Il chiacchiericcio era continuo, ma capiva ben poco. Forse era il dialetto quello che stava ascoltando. Ogni tanto sorprendeva qualcuno ad osservarlo, forse era per i suoi capelli o per il braccio pieno di tatuaggi che spiccava tra le braccia pulite degli altri giovani. Cercò di non farci caso, anche se era difficile ignorare tutta quella gente. Il treno era saturo fino all’inverosimile e ad ogni frenata quella massa oscillava rischiando di far male a qualcuno.
Next stop Torre del Greco.
Sentì l’altoparlante forse per caso, infatti si era incantato guardando il panorama che scivolava via dal finestrino, quella che vedeva doveva essere Napoli. Sperava che quello stesso scenario fosse visibile anche da quella città.
Prese la chitarra e con qualche difficoltà arrivò fino all’uscita, scavalcando quelli che dovevano rimanere dentro e quelli che stavano aspettando fuori. Certo, erano molto affollati quei treni.
Seguì la folla salire su un sovrapassaggio, oltrepassò il tornello e si ritrovò fuori dalla stazione.
Erano le 12.50 di un lunedì di Luglio ed era arrivato a Torre del Greco.
 
Prese un sorso d’acqua dalla bottiglia e si avviò verso un taxi. Il tassista stava parlando con un altro uomo, non si era accorto di lui, finché il suo amico lo indicò e il tassista si girò. Vide i suoi occhi correre prima sui tatuaggi e poi sulla chitarra.
  • Hai bisogno del taxi?
  • Si, per favore.
L’uomo sorrise all’amico e lo salutò stringendogli affabilmente la mano, poi prese il suo bagaglio e quasi lo scaraventò nel portabagagli. Per fortuna dentro non c’era niente di delicato. Tolse la chitarra dalle spalle e la fece accomodare accanto a lui sui sedili posteriori di quella Mercedes.
  • Sei straniero?- chiese l’uomo mentre metteva in moto l’auto.
  • Sì – aveva un accento così marcato che persino Davide aveva capito che era “straniero”.
  • Da dove vieni? Sei americano?
  • No, sono inglese.
Gli occhi dell’uomo fecero un piccolo movimento, come se fosse sorpreso. Forse non ci venivano molti turisti a Torre del Greco.
  • E cosa ci fa un inglese qui? Vuoi visitare la città?
  • Ecco, no.
  • Amici?
Ed si era trovato improvvisamente ammutolito. Doveva ammettere a se stesso che non aveva un motivo per essere lì, ma come poteva spiegarlo a quell’uomo? Dunque rispose.
  • Si.
  • Ah, bene! Dove devo portarti?
Gli pose l’indirizzo scritto su un foglietto e l’auto partì. Presero una strada in salita e dopo qualche minuto chiese al tassista se l’hotel fosse ancora lontano. L’uomo gli spiegò che l’alloggio che aveva scelto non era esattamente centrale, visto che si trovava alle pendici del Vesuvio.
  • Allora sa consigliarmi un posto dove noleggiare un’auto o una moto?
  • Certo, vuoi che ti ci porti?
Giunsero all’autonoleggio più vicino e pagò il tassista.
Noleggiò una moto di media cilindrata per una settimana.
  • Vuole uno o due caschi?
Uno o due? Beh, lui era solo, perché mai avrebbe dovuto prenderne due? Stava per rispondere che l’altro non gli serviva ma poi, senza neanche riuscire a fermarsi, rispose che due erano perfetti.
Ora aveva la moto e aveva il casco, doveva solo trovare l’albergo. Impostò il navigatore sul suo telefono, fissò i bagagli sulla parte posteriore della moto e montò in sella. Il rombo del motore fece voltare i passanti, mentre sentiva il manubrio vibrare sotto le mani. Gli piacevano le moto, da sempre, guidarle gli faceva percepire un certo senso di libertà. A volte gli sembrava di volare. Con un movimento della mano diede gas e cercando di guardare il navigatore, si immise nel traffico. Doveva solo concentrarsi per guidare dal lato giusto della strada.
Era proprio una città di provincia, con le strade perlopiù piccole, i palazzi a 5 o 6 piani, i vicoli stretti, l’asfalto trascurato. Dopo un paio di chilometri si ritrovò sulla stessa strada in salita che stava percorrendo il tassista poco tempo prima. In effetti avrebbe dovuto capirlo prima che l’albergo fosse fuori mano, in quella zona c’erano solo pini, abeti e villette.
Alla sua sinistra vide l’entrata dell’hotel, la superò e lasciò la moto in un garage al coperto.
Una grande fontana affiancava l’entrata e la vista di una coppia di mezza età che pranzava all’ombra di un grande gazebo, gli fece capire di avere molta fame.
Fece il check-in molto velocemente, forse lì erano più abituati ad accogliere turisti.
Entrò nella sua camera, sempre all’ultimo piano, e per la seconda volta in quella giornata si lasciò cadere sul letto, sfilandosi le scarpe.
  • E adesso che faccio? – disse al soffitto.
Non sapeva esattamente dove fosse, né perché, ma ormai era lì. Solo. E aveva fame.
Mentre l’acqua fresca della doccia gli scorreva lungo la schiena, cantava cercando di non pensare a niente, anche se non aveva niente a cui pensare. Era lì solo per colpa di J e si sentiva più spaesato di quando era partito alla ricerca di quel qualcosa.
In realtà, ne era sicuro, nemmeno J sapeva cosa lo aveva mandato a cercare. Il testo di una canzone di certo non lo trovi in un aereo o in una città. Quello che il suo manager non capiva era che la sua ispirazione partiva da se stesso, non aveva una musa a cui ispirarsi. Eppure lo aveva spedito lì e ora stava facendo una doccia fredda in un hotel alle pendici del vulcano dormiente più pericoloso del mondo. Per un attimo aveva sperato che esplodesse, ma cambiò subito idea. Gli sarebbe dispiaciuto per Davide.
I capelli sottili si asciugarono in pochi minuti al sole di quella giornata, mentre lui era alla finestra a godere dell’aria pulita.
Ed si rivestì, riprese le chiavi e il casco e tornò alla moto. Cercò sul navigatore il centro della città e rimontò in sella. L’odore di resina dei pini gli sfiorava le narici mentre ripercorreva quella strada in discesa, ma poco dopo lo smog prese il suo posto. Le strade del centro erano più curate, i lampioni verdi erano decorati con dei ciclamini, al posto dell’asfalto c’erano grosse lastre di pietra e gli edifici erano dipinti di colori più accesi.
Lasciò la moto in un parcheggio ad ore e cominciò a camminare sul marciapiede di una certa via Roma, cercando qualcosa da mangiare. Mentre passava davanti a un negozio di scarpe, successe l’inevitabile.
  • Oh mio Dio, ma quello è Ed Sheeran!
Oh, oh. Forse doveva scegliere un posto ancora più isolato.
Fece finta di non sentire, ma la ragazza che aveva parlato si avvicinò e picchiettò sulla sua spalla. Era costretto a girarsi.
  • È proprio lui! Guarda i tatuaggi!
Se anche avesse risposto di no, avrebbero sentito il suo accento. Sicuramente non l’avrebbero preso per un napoletano, quindi rimase in silenzio aspettando qualcosa.
Altre ragazze si fermarono intorno a lui, ormai aveva attirato l’attenzione dei più e in pochi secondi si ritrovò circondato da ragazze e ragazzi che strepitavano per foto e autografi. Così, fece come faceva sempre, assecondò il momento, scattò foto con i fan, firmò qualche pezzo di carta e attese che la pressione calasse. Tuttavia, non aveva fatto bene i suoi conti e ben presto arrivarono altre persone. Maledetto whatsapp. Prima era più difficile senza quell’applicazione.
Pensò che non avesse altra scelta che chiedere scusa e andare via.
  • Sorry, I have to go.
Lo ripeteva ad intervalli regolari mentre con le spalle cercava di farsi spazio tra la gente e un po’ alla volta si creò un varco. Uscito da quel girone infernale, continuò dritto per la sua strada, senza voltarsi e senza guardare nessuno, faceva finta di osservare le vetrine invitanti e lucide, ma l’ostentare normalità lo distrasse e andò a sbattere contro qualcuno. Istintivamente disse Sorry, senza pensare che avrebbe dovuto evitare di parlare inglese. Alzò lo sguardo sulla persona che aveva involontariamente urtato e vide una ragazza. Alta, converse al piede, pantaloncini di jeans e una banale maglietta nera, capelli castani corti e ricci, occhi…aveva gli occhiali da sole.
  • Scusa, non ti avevo visto.
  • Non preoccuparti, è colpa mia – disse lei – non guardavo dove andavo.
Abbassò lo sguardo e vide una schermata con dei messaggi e quando lo rialzò la vide togliersi gli occhiali. Occhi: azzurri. Tolse anche l’altra cuffietta e lo guardò con aria accigliata.
  • Mi ricordi qualcuno.
Le sopracciglia di lui si alzavano in una mancata simulazione di sorpresa, quelle di lei tendevano ad unirsi in un’espressione curiosa. Ed manteneva il silenzio.
Quando lei tirò indietro il collo che aveva allungato per osservarlo meglio, li vide. Quei maledetti tatuaggi. Ed portò gli occhi al suo braccio e istintivamente lo nascose. Si era tradito, accidenti. Doveva rimanere immobile e simulare.
  • Sei Ed Sheeran? Sul serio?
La bocca era secca e se anche avesse voluto dire qualcosa, non uscì dalle sue labbra. Aveva decisamente sbagliato paese.
  • Che ci fai da queste parti?
  • Io…
Cosa le avrebbe detto? Almeno non era una di quelle ragazzine strepitanti, forse poteva rilassarsi. Lei lo guardava, aspettando che terminasse la frase.
  • …sto facendo una passeggiata.
  • Davvero? – alzò un sopracciglio per sottolineare il tono ironico della risposta. – A Torre del Greco?
  • Mi sembrava un posto poco affollato. – sorrise ripensando al modo in cui aveva scelto quella città.
  • Credo tu abbia sbagliato posto, allora.
Rispose ridacchiando lei. Ed apprezzava davvero la sua disinvoltura. Aveva incontrato Ed Sheeran, eppure non gli aveva chiesto né una foto, né un autografo e tantomeno stava attirando l’attenzione su di lui. Lei intanto sorrideva e abbassava lo sguardo. Proprio in quell’attimo di silenzio, il suo stomaco emise un gorgoglio direttamente proporzionale alla sua fame. Lei si portò una mano alla bocca per coprire una risata.
  • Sheeran, non arrossire.
  • Non sono arrossito – e invece le sue guance chiare erano diventate fucsia. – sai indicarmi un fast food o un pub? – dopotutto non c’era nulla di male a chiedere informazioni a una ragazza. Sembrava gentile.
  • Fast food? Qui non ci sono Mc Donald’s, ma se vuoi posso dirti dove mangiare qualcosa.
  • Volentieri.
  • Io sto andando a mangiare un trancio di pizza, se vuoi, seguimi. – disse indicando col dito un luogo indefinito alle sue spalle.
Ci pensò un attimo prima di accettare. Non voleva che la ragazza si attaccasse al suo braccio, come era già successo. Mentre rifletteva su questa possibilità, lei richiamò la sua attenzione prendendo di nuovo la parola.
  • Non preoccuparti, non sono una maniaca. Dopo ti lascerò andare.
Sorrisero spontaneamente.
  • Va bene. Ti seguo.
  
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