Dopo mille e una sorprese, e lasciamenti, e
sbaciucchiamenti,
e chi più ne ha più
ne metta, un capitolo di stallo
dove accadono piccole
cose all'apparenza inutili e omissibili.
Ma si sa...
Per finire un
puzzle, servono tutti i tasselli...
Capitolo 22: “Standby”
Ancora pioggia su di lui.
Un’atmosfera che sembrava volerlo perseguitare ogni istante della sua vita.
Vestiti fradici e saturi d’acqua, come i suoi capelli lisciati, rilucenti
di un nero surreale, dritti sino alle spalle, Crystal se ne stava
seduto a terra:
posato ad un tronco d’albero la cui corteccia indossava i segni
di una furiosa lotta avvenuta sino a pochi istanti prima tra lui e
quell’albero.
Un’ondata di rabbia che aveva chiesto di trovar sfogo, liberandosi in una
tempesta di pugni carichi di quella disperazione a lungo trattenuta.
Si passò una mano ai capelli, lo sguardo ora rivolto all’orizzonte dove non
poteva che scorgere nubi.
Era impazzito, nonostante i dubbi che ancora lo assalivano.
Dubbi legati al timore dell’essere tenuto all’oscuro di cose che sapeva
avrebbe dovuto conoscere. In quanto compagno.
In quanto… amante…?
Rise piano, incapace di definire un essere come lui sotto determinati
termini.
«…Povero albero…»
Davanti a lui, Sivade stava in piedi, completamente zuppa. Aveva addosso
ancora i suoi vecchi vestiti, non avendone altri. I piedi scalzi come spesso li
teneva.
« Saprà guarire le proprie ferite. Sua madre lavorerà per lui» spiegò
fissandola nervoso, rabbia che sormontava nuovamente
in lui; le braccia incrociate davanti al petto ancora
nudo.
La ragazza distolse lo sguardo, posandosi con la schiena ad un albero
ancora illeso dalla furia di Crystal. Si concentrò su un giacinto nato
all’ombra di un cespuglio, la mente altrove. Cercando di dimenticare quel peso
che la opprimeva.
« Vieni qui… per favore…» la supplicò lui, il
respiro quasi affannoso.
Nemmeno la pioggia riusciva a dissolvere quel profumo che tanto amava, un
profumo che circondava Sivade nella sua interezza.
Il profumo del suo sangue scarlatto.
Un fluido che garantiva la sua sopravvivenza oltre la sua morte apparente.
La guardò avvicinarsi di qualche passo, fermandosi a breve distanza da lui.
Non uno sguardo, non un accenno, non una parola. Aveva cercato il ragazzo in
lungo e in largo, volando rasente alle cime degli alberi fino a scorgerlo in
quel luogo uguale a molti altri nei dintorni. Eppure
ora stava lì e non sapeva che fare.
Lui allungò una mano verso di lei, gelida, bagnata e tesa:
«…per favore…» ripeté sempre più flebile, ben conscio che per il bene di
entrambi avrebbe dovuto tenerla a distanza, specialmente in quei momenti in cui
la fame lo attanagliava « poi ti lascio andare…» promise sospirando.
Sivade sollevò lo sguardo su di lui, mesta: «…Mi lasci andare…?» chiese tremante, per nulla sicura di quello che lui
intendeva. Le loro mani s’intrecciarono per volere della ragazza, un’altra
mossa a chiudere lo spazio tra loro.
Lui la strinse per un breve istante, sentendosi perduto, pesante, ignobile.
L’attirò verso di sé, facendola inginocchiare al suo livello, attento a non
usare troppa forza sul fragile corpo di lei. Sentiva che avrebbe potuto
spezzarla da un momento all’altro:
«…libera di fare ciò che ritieni giusto… non ti legherò a me…» la cinse per
la vita, smarrito in lei. Due ombre scure che si facevano spazio nei suoi
occhi.
Lei rimase in silenzio per un attimo, poi lasciò cadere la fronte sul petto
nudo di lui, le mani che andarono a prenderlo per le spalle. Strinse la presa
con tutta la forza che aveva in corpo, chiudendo gli occhi per decidere cosa
dire.
Si sentiva indecisa, a vederlo così...pronto a lasciarla.
Ma, dopotutto, Crystal sentiva che non poteva costringere a
lui una principessa il cui futuro non poteva che prospettarsi radioso.
Oltretutto sapeva d’essere una creatura malata, bisognosa di certe attenzioni,
di certi riti di routine.
La lasciò crogiolarsi a lui, il respiro puntualmente bloccato, per non
saggiare il profumo che urlava di essere catturato dalle sue labbra violacee.
«…ho perso il senno per gelosia » commentò fra sé e sé, scuotendo il capo
con mestizia, un ciuffo di capelli neri che andò a coprirgli un occhio nella
sua interezza.
Sivade sollevò lo sguardo su di lui, cercando di carpire qualcosa: «…Di
già…?» chiese perplessa, un sorrisetto tirato sulle labbra.
Non capiva bene perché, ma trovava ridicola quella situazione. Ridicola al
punto da far star male.
«…di già…» ripeté lui, rivivendo la scena con oppressione crescente, gli
occhi serrati, il fiato mozzo nel pronunciare quelle semplici e dolorose parole.
Dolorose poiché specchio della pura, sbagliata verità.
« Mi fa piacere…» le sentì dire, flebile. Le labbra che si arricciarono per
trattenere l’emozione che la portò ad arrossire violentemente.
Un rossore che altro non fece se non aumentare la circolazione sanguigna
che il vampiro percepì all’istante, sentendosela addosso.
Deglutì pesantemente, gli occhi ancora chiusi, concentrando il tatto a
percepire i lineamenti del viso di lei; pronto a
trattenere i suoi istinti più primitivi.
Sempre più pressanti.
La ragazza gli permise ogni libertà d’agire, massaggiandogli gli avambracci
con leggeri cerchi immaginari disegnati con i pollici. Scosse improvvisamente
il capo, ridendo e gemendo al contempo. Gli bloccò le mani, incapace di
ragionare dovutamente. Si sentiva completamente confusa.
A quella reazione pressoché disordinata, Crystal le prese il viso fra le
mani, fissandola dritto negli occhi: «…a cosa stai pensando…?» chiese seriamente stuzzicato da tutte quelle movenze
compiute da lei.
Dentro di sé un turbine di sensazioni inscindibili.
Lei era completamente in imbarazzo, tanto che l’impaccio si poteva vedere
nei suoi occhi: «…che mi piaci…» borbottò, non riuscendo a guardarlo negli
occhi.
« Ma davvero…? » chiese con tono leggermente
sadico, la fame che montava in lui, tornando a respirare regolarmente. Come attratto inesorabilmente da un qualcosa a cui non sapeva
rinunciare. A costo di patire la fame.
Lei sbuffò sonoramente, tornando a guardarlo con
decisione: « Eh, già, sono proprio malata d’amore…» ribatté, facendogli
di lingua.
«…che malattia grave…» soffiò lui, passandole un dito sul collo, estremamente lascivo e condizionato dai suoi stessi pensieri
ora poco attenti ai pericoli.
« Mortale…» sospirò lei, andando a baciargli il pollice. Lo sguardo fisso
inesorabilmente in quello di lui: « Ma spero che il dottore mi sappia curare…O
sarò perduta…».
Crystal abbozzò un sorriso compiaciuto, passandole il pollice lungo quelle
labbra calde e accoglienti. Sempre più bramoso del suo sangue, sempre più disinibito e malizioso. Sempre più combattuto in una lotta
interiore fra la voglia del suo sangue e la ragione che gridava la sua pietà,
conscia che se ne sarebbe presto pentito.
Sivade prese ad osservarlo con attenzione, cercando di
trovare in lui i pensieri che sembrava
voler celare a tutti i costi. Baciandogli con labbra umide il pollice, lo guardò dal
basso verso l’alto, accattivante.
« Cosa desideri di più in questo momento…?» chiuse
gli occhi; le ciglia che incontrarono le gote per un breve attimo, prima di
tornare a schiudere lo sguardo su di lui. « Essere Crystal…o essere un
vampiro…?»
Il giovane moro la fissò criptico, lasciandosi sfuggire un
sospiro angosciato: il vero riflesso di ciò che celava dentro « Crystal oggi ha
già ricevuto ciò che più bramava…» spiegò quasi tristemente, un lampo rossiccio
brillare nei suoi occhi color dell’onice.
« Crystal è tanto buono con il vampiro…che sangue vuole dargli oggi?»
chiese la ragazza accarezzandogli le guance. Le mani calde e gentili. Lo
sguardo tranquillo, un sorriso sereno sul viso.
Il tempo attorno a loro aveva smesso di piangere le sue fini lacrime,
rimanendo come in stasi, trattenendo il fiato ad osservare ciò che succedeva
tra quei due granelli di sabbia. Lì, sotto il cielo.
«…Se potesse, non vorrebbe versare alcuna goccia
di Sangue…» spiegò, posando una mano su quella di lei, il viso ora posato alla
spalla della ragazza quasi del tutto abbandonato.
La vide sorridere, e subito amò quel gesto.
Sivade era del tutto tranquilla, del tutto al suo
agio con lui accanto. Non c’era paura sul suo volto, solo un calore che la
pervadeva in ogni singola parte.
Fissava il soffitto, senza muovere un muscolo, osservando il riverbero di
una qualche pozza d’acqua proiettare un gioco di luci al centro della stanza.
Chiuse appena gli occhi, sollevandosi a sedere sul letto. Guardò il ragazzo
dormire profondamente accanto a lei, e non le riuscì di
reprimere un sospiro.
Si vestì in silenzio, prendendo in
mano le scarpe per non fare rumore sul pavimento di legno. Poi uscì dalla
porta, senza guardare indietro.
Il fatto che proprio in quel momento apparve Ren, quasi dal nulla, sapeva
di non essere affatto una coincidenza.
Lui, così tranquillo, pacato e sorridente al cui
occhio non sembrava sfuggire nulla.
Forse merito di un suo qualche potere, o qualcos’altro a
cui non sapeva dare un nome che chiarisse il suo essere “onnipresente”.
«Passato una bella serata?» chiese quello, con un ombra
d’ilarità nella voce quieta.
Goito lo guardò male, chinando appena il capo in cenno di saluto: « Ne ho
passate di migliori, grazie. Cosa la porta qui? »
chiese di rimando, per niente stupita.
«Passeggiata di routine» rispose con un sorrisetto che svelava ogni suo
pensiero che, a conti fatti, non intendeva nascondere per nessun motivo.
«Tom? Come sta?» chiese poi, deviando appena il discorso.
Goito indossò con disinvoltura le scarpe, limitandosi a
un: « Dorme…».
Rialzò lo sguardo, sistemandosi la maglia: « Posso avere una tazza di te?»
«Certamente, seguitemi» disse con estrema cortesia, com’era solito fare,
nonostante tutto.
Prese a camminare con piccoli passi rapidi, conducendola
sino a salone dove soltanto pochi giorni prima avevano discusso circa la
principessa ed il suo essere “emanazione”.
La rossa lo seguiva con sguardo fisso a terra, la camminata che andava
adeguandosi a quella del bonzo. Per quanto fastidiosa potesse
risultare la curiosità di quell’uomo, Goito non riusciva a non provare rispetto
per lui, per la sua scelta di vita, per le sue maniere. Entrando nella sala, emise
un lungo sospiro, chiudendo per un attimo gli occhi.
«Come lo preferisce il the?» chiese allora il bonzo, muovendosi per
preparare tutto il necessario. Dalle tazze accompagnate dai piattini, lo
zucchero con i cucchiaini e l’acqua che mise a bollire sul fuoco.
Goito si sedette silenziosamente, per poi guardarlo preparare il tutto: «
Direi forte…» commentò solamente, portando le mani al grembo.
«Il gusto?» chiese ancora, andando a vedere le bustine di cui disponeva.
Lei guardò il tavolo, per poi andare a sfiorarsi le labbra con l’indice:
«…Pesca?» propose vacua.
«Ottimo» disse Ren soltanto, pescando dal piccolo cesto rosso due bustine
del the, quello da lei scelto.
Dopodiché andò a sedersi al suo fianco osservandola con fare divertito ed
indagatore al contempo.
Lei incrociò il suo sguardo, prendendo tra le dita una delle bustine.
L’aprì, mettendola con l’acqua calda nel recipiente datole da Ren.
« Chiedete.» lo invitò, spostando la tazza davanti
alle sue mani.
«Cercavo di comprendere se qualcosa fosse cambiato» rispose come se nulla
fosse, accarezzando il bordo della propria tazza, con fare quasi pensoso.
«Perché così è».
Goito si lasciò sfuggire un sorrisetto sarcastico:
« Crystal e la mia padrona si sono ben chiariti, sì…» rispose, prendendo la propria
tazza tra le dita.
«Mi riferivo a ben altro» ribatté rigirando la tazza sul piattino per tre
volte, prima di compiere un mezzo giro al contrario.
Si versò dell’acqua calda.
La rossa fissò con un sospiro il liquido nella tazza: « Che dovrebbe cambiare,
a parte il fatto che mi deve due tazze di te?» chiese
sprezzante, una smorfia sul volto.
«Se per questo, data la mia ospitalità, lei mi
deve ben più di due tazze di the» sussurrò criptico, aprendosi la bustina e
mettendola a riposo nell’acqua.
Goito per poco non sbiancò, guardandolo con aria smarrita: « Io non vado
con voi bonzi!» si giustificò scioccata.
«Ma che pensieri le passano per la testa?» chiese
quello, con cipiglio perplesso posando la sua tazzina sul tavolo.
Lei arrossì leggermente, nervosa: « Io so solo pagare in natura, mi
dispiace.» cercò di spiegare
con nervosismo.
Ren rise appena, cercando di non peggiorare il nervosismo della ragazza:
«In natura» ripeté portandosi una mano a coprire il ghigno che non gli
riuscì di trattenere.
Goito sprofondò la testa tra le braccia piegate sul tavolo, cercando di
darsi una calmata: « Potrebbe sorvolare il discorso…?»
«Ma è lei, signorina, che si è addentrata in queste funeste vie di dialogo...
non può addossarmi colpa alcuna» sorrise
con fare quasi complice prima di abbassare lo sguardo sul the ora pronto nella
sua tazza preferita.
La rossa cercò di non tirargli un pugno in faccia, guardandolo con un
sorriso fin troppo eloquente stampato in volto: « Ma quando mai...» commentò a voce bassa, iniziando
a bere per non reagire in malo modo.
In risposta, Ren si limitò a sorridere a sua volta.
Prese a bere il suo the in silenzio, socchiudendo gli
occhi quasi fosse stato in contemplazione. Fu solo dopo qualche minuto di
silenzio che vide Goito posare la sua tazza ed alzarsi in piedi, senza
rivolgergli alcuna parola.
Prese una borsa da terra che lui prima non aveva scorto, lo guardò e fece
un lieve inchino: « Sono stata bene con voi. La prego di porgere i miei omaggi
alle persone che qui ancora sosteranno. Io devo tornare al mio padiglione, o
perderò il mio lavoro, creando non pochi problemi sia alla mia signora che al
mio datore di lavoro....Arrivederci.» disse con aria annoiata, incamminandosi verso l'uscita
dell'edificio. Non ottenne risposta e questo non la stupì. Aprì la porta che
dava sul viale alberato, scorgendo il sole fare capolino dalle nuvole. Chinò il
capo a terra, diretta alla scalinata che l'avrebbe
condotta fuori da quel luogo carico di religiosità. Non sapeva il perchè, ma
sentiva una sorta di malinconia all'idea di allontanarsi da lì. Inconsciamente,
si era affezionata a quel posto.
Fu a quel punto che, sollevando lo sguardo, lo vide:
alto, capelli ramati di media lunghezza; vestiva con
pantaloni neri che s'intravedevano dallo spolverino bianco che giungeva fin
quasi alle caviglie; calzava stivali neri
striati di bianco. Un espressione tra le più
pacifiche stampate sul suo viso perlaceo. Strane farfalle rosse che seguivano
la sua scia.
A guardarlo, la rossa si sentì percorrere da un brivido per niente
piacevole. Quel giovane non le dava alcuna buona impressione.
In particolare, le sue farfalle puzzavano di sangue non loro. E nemmeno del loro presunto padrone.
Poco incline ai convenevoli, lo superò senza nemmeno rivolgergli un cenno
di saluto.
Haleck non si fece impressionare, mentre con i suoi occhi
dorati scrutava la zona con fare non troppo deciso; un cenno delle dita bastò a
far si che qualche suo insetto scattasse in
avanscoperta a studiare il tempio.
Attese solo qualche istante e gli venne suggerita
la soluzione.
Ren era poco lontano.
Sorrise enigmatico prima d'incamminarsi a testa china, mani in tasca.
Avevano trovato sua madre.
Forse non era esattamente una buona notizia...
Fine 22° capitolo
Grazie ancora a Marianna,il suo fanatismo per Tom
non lo batte nessuno!
Grazie a Miyavi, sempre pronta a stupirmi con le
sue tecniche di elogio XD
Grazie a Nashan, i cui commenti
sono davvero azzeccati…( a causa del Natale ho sempre la panza
piena XD). Mi fa piacere che ti piaccia Goito…Anche perché
ho iniziato a scrivere uno speciale su di lei…anzi, c’è già! Ma siccome è post 25esimo
capitolo, dovrai aspettare qualche giorno ^^
Grazie anche a tutti voi lettori, lettrici, gente di passaggio o che so io.
Fate richieste, non verrete ignorati!