Bleeding
Love
Capitolo
-11-
Da
quando nella mia scuola
introdussero lezioni di filosofia capii la differenza fra l’
innamoramento e
amore. Mi spiegarono che l’ innamoramento è quel
sentimento che precede l’
amore vero, quello reale. L’ amore era quella sensazione di
stasi che ti
rendeva inerme, inutile di fronte a cotanta potenza. E noi, umani,
niente
potevamo e niente ci era concesso di fare. Non potevamo decidere per la
nostra
anime poiché questa è libera e
non vuole
comandi. E allora
la domanda che mi
ponevo frequentemente era se io fossi innamorata o se stessi provando
amore per
Ville e, anche se passò un anno e mezzo dalla nostra prima e
casta notte
insieme, non sapevo darmi una risposta. Nel corso di quel tempo mi fece
sperimentare sentimenti sempre nuovi dei quali non sapevo nemmeno
l’ esistenza.
Producevo quadri a non finire e ritrassi anche il mio amore in un
quadro ad
opera d’ arte appeso ora, nella hall della scuola.
Ah…La mia scuola. Fu l’
unica cosa, oltre alla danza, che non riuscii a tenermi alle spalle:
c’ erano i
miei professori, Erika e Marion, le opere d’ arti e il letto
mio e di Ville.
Ormai le mie compagnie di stanza passavano tutta la notte fuori,
rischiando
anche di perdere l’ anno oltretutto ma poco aveva importanza
vista che anche
loro, nel giro di un anno, avevano trovato un buon impiego in una
galleria d’
arte e forse se ne sarebbero andate per sempre. Avevo timore che
accadesse
perché sarei tornata nuovamente sola e, anche se il mio
vampiro sarebbe
rimasto, non c’ era nessuno a cui potessi parlare liberamente
senza giri di
parole. Perché ormai mi ero abituato alla nostra convivenza
e non avrei potuto
farne a meno. Poi c’ era la danza. Bhè per quanto
riguarda questa ,posso
solamente dire che rinunciai ad un contratto da 300 mila dollari. Mio
dio…Ecco,
è da questo che ti rendi conto della potenza dell’
amore. Mi era stato proposto
da un famoso teatro italiano e se proprio volete saperlo, questa era
soltanto
una piccola parte della ricompensa che avrei ottenuto. Da quel saggio,
un anno
fa, il mio nome fu conosciuto sempre più e, ovviamente a mio
disaccordo, la mia
insegnante non faceva altro che trovarmi appuntamenti ai quali per un
motivo o
per un altro non potevo presentarmi.
Il
perché stavo buttando via in questo modo il mio futuro
nemmeno io so stabilirlo
però mi accontentavo dei piccoli saggi che facevamo per
esempio a Natale oppure
in primavera. Ero troppo piccola, troppo piccola per intraprendere una
carriera
e troppo fragile per lasciare Ville. La
nostra storia può soltanto tradursi con una poesia. Era
qualcosa di così alto e
di così astratto che soltanto una forma d’ arte
poteva esserne all’ altezza.
Ormai la notte era sempre nel mio letto con me. Io non potevo dormire
senza
qualcosa di freddo, duro ma così dolce e pieno
d’amore e mistero accanto.
Ascoltava i miei sogni e talvolta mi diceva che si addormentava con me
ma mai,
mi disse, se fosse capace di sognare. Mentre la mia mano era aperta sul
suo
petto gelido sognavo la mia vita da ballerina, i miei genitori, mia zia
ed
infine il mio mondo che se pur apparendo privo lo sentivo ricco
d’ amore. Il
cielo era giallo, i fori azzurri, l’ acqua era persino rosa e
noi eravamo color
arcobaleno. *L’ essere è e non può non
essere. Il non essere non è e non può
essere*. Bhè,Parmenide poteva aver anche ragione
all’ epoca ma noi, noi eravamo
il collegamento fra il reale e l’ irreale, il bianco e il
nero, l’ ingenerato e
l’ imperituro, il finito e l’
infinito….La totalità assoluta.
*Bene
ragazze potete andare. Ricordate che la lezione
domani è stata spostata un ora prima perché le
piccole hanno la prova costume.
Anya?* Erika, la mia insegnante, domandò di me.
*Si,
dimmi Erika…*
*Domani
dovrai restare qui fino alle 10 mi raccomando* La
guardai con sospetto mentre giocherellavo con la punta delle mie
scarpette.
*Ma hai appena
detto che la lezione è stata spostata. Non capisco*
*
Non dovresti fare domande. Sono ancora la tua
insegnante ed esigo di essere ascoltata. Ho paura di averti coccolato
fin
troppo…* Forse nemmeno Erika credeva alle parole che stava
pronunciando. Non
era mai stata cattiva con me e per via delle mia capacità mi
aveva sempre messa
sul piedistallo. Quindi con degli occhietti dolci, gli posi nuovamente
la
domanda.
*
Bhè, io volevo solo sapere se dovevo prepararmi in modo
particolare tutto qui…Dai Eika per favore!* Implorai.
*
E vabbene. Ho chiamato per te una persona che potrebbe
insegnarti molte cose nuove…insomma un professionista.*
*
Chi è il fortunato?*
*Eric
Rodrigez. Dovresti conoscere il suo nome*. Non
riuscivo a credere alle mie orecchie: Il signor Rodrigez sarebbe venuto
dalla
Spagna fin qui per ballare con me? È stato sempre la punta
massima del balletto
classico e io mi sentivo così onorata da questa notizia. Si,
domani sarebbe
stata una giornata speciale. Abbracciai forte Erika che quasi piangeva
a vedere
il mio entusiasmo. Dopo tutti quei no che gli dissi quando mi procurava
un
appuntamento questo mio sentimento le creava tanta gioia.
*Mi
raccomando principessa, domani niente ritardi e
niente lamentele! Ti voglio in forma smagliante…Non mangiare
troppo!*
*Non
so nemmeno se riuscirò a toccare cibo!*
*
Bene così avrai il pancino più piatto* La guardai
ridendo come per dire –stai dicendo che sono grassa?- ma
ovviamente stavo
scherzando, non si sarebbe mai permessa.
*
Vado a cambiarmi!*
*
A domani!*. Ci salutammo molto amichevolmente e poi,
come d’ abitudine, mi feci una doccia e indossai i vestiti
per ritornare a
casa. Salutai il guardiano, chiusi piano la porta e, con le mie
scarpette al
collo, uscii saltellando per la felicità. Ormai non avevo
altro nella testa:
ballare con Eric Rodrigez era stato da anni il mio sogno e lo avrei
presto
realizzato e in più non avrei dovuto rinunciare a niente
perché era lui che
veniva da me. Camminando incominciavo ad immaginare i passi che avremmo
fatto,
le sue possenti, ma sempre umane, mani sui miei fianchi per sollevarmi
su e
tutti i suoi consigli che sarebbero stati per me oro colato. La strada
per il
College stava man mano avvicinandosi: vedevo gli alberi che iniziavano
a fare
da contorno insieme a dei deliziosi lampioni, il tipico venticello e
una voce
che mi sembrava molto e troppo familiare. Avanzai piano verso il
cancello, rendendomi
invisibile grazie ad un grande albero e vidi due figure così
simili sebbene la
grande differenza esteriore. Riuscii a riconoscere subito Ville che
stava
discutendo ansioso con…bè non avrei saputo dire
chi fosse ma splendeva nella
notte, sembrava così perfetto, era fin troppo immobile e
vestiva in modo buffo:
portava un mantello rosso e aveva dei pantaloni attillati stile
‘500. A
differenza di Ville sembrava riuscire a mantenere meglio la calma,
quasi come
fosse una divinità. Il fatto è che, a mio
discapito, quella figura mi strava
attraendo a se in modo assolutistico e io lo volevo, lo volevo come lui
voleva
me. Stava lento risucchiando la mia anima e il mio corpo
accompagnandomi con
una musica frastornante, piena di rabbia anche se sensuale. Stavo
perdendo
tutte le mie capacità razionali come in un lungo sogno
agonizzante dal quale
non desideravo altro avere il massimo. * Vieni da me…Vieni
da me…Viene da me…* Era
un dolce sussurro che carezzava leggero il
mio orecchio. Tentai di rispondere e mi accorsi che stavo quasi per
urlare dal
piacere quando questo, fu interrotto da un suono che mi
riportò alla realtà
facendomi spalancare gli occhi svegliandomi da quello che era, in
realtà, un
incubo.
*
Lasciala stare mostro!* Non capii di chi fossero quelle
parole fino a quando mi trovai fra la stretta presa di Ville. Non
riuscii del
tutto a riprendermi: sudavo freddo e non riuscivo a spostare lo sguardo
che era
fisso nel vuoto. Ville tentò di scuotermi mentre io tentai
di pronunciare * Ho
paura Ville*