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Autore: Persej Combe    26/04/2015    1 recensioni
Negli ultimi mesi Sinnoh è stata colpita da un'anomala perturbazione che nel corso del tempo sembra continui a peggiorare sempre di più, mettendo a rischio l'intera popolazione della regione. In seguito, tuttavia, si scoprirà che la causa che ha generato il cataclisma sono in realtà i Pokémon Leggendari, il cui ordine è stato violato dal Team Galassia nel progetto di creazione di un nuovo universo.
Il Professor Platan, presa coscienza della pericolosità degli eventi, si precipiterà a Sabbiafine in cerca del suo mentore, il Professor Rowan, nella speranza di poterlo aiutare a sistemare le cose. Ad accompagnarlo ci sarà Elisio, diventato ormai una presenza costante, che nonostante le prime resistenze dell'uomo si ostinerà a volerlo seguire, per mantenere fede ad una richiesta fattagli dallo stesso Rowan.
Tra ricordi del passato, conoscenze abbandonate e ora ritrovate, incertezze e dubbi, riusciranno ad afferrare l'impalpabile ombra del vecchio Professore?
[Perfectworldshipping]
[Midquel della storia "Risplenderemo insieme nell'eternità di un mondo perfetto"]
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
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.Epilogo.

C’era silenzio. Uno di quei silenzi calmi, che ti riempiono la testa subito dopo aver sentito un enorme frastuono, uno di quei silenzi che ti vorrebbero consolare, che finalmente ti dicono: è finita. L’orologio appeso alla parete, sopra la sua testa, ne scandiva gli attimi. Ogni tanto qualche dottore passava, gli orli del camice dondolavano, lenti, oppure un gruppo di medici correva trasportando un corpo sulla barella, ansioso, gridava degli ordini e delle istruzioni con voce ferma a chi li precedeva lungo il corridoio bianco candido. Spesso vedeva un Chansey di passaggio che si spostava da una stanza all’altra da chi avesse avuto bisogno dei suoi poteri curativi, ma ancora più frequentemente c’erano due o tre infermiere che circolavano da quelle parti soltanto per vedere il bel Professore venuto da lontano, un po’ per curiosità, un po’ attratte dal fascino che la sua figura emanava. Lo guardavano di striscio mentre bisbigliavano fra loro, poi incontravano i suoi occhi e arrossivano. Platan ad ognuna di esse rivolgeva sempre un sorriso gentile e qualche volta le salutava anche, nella speranza che qualcuna lo chiamasse, che gli si avvicinasse per parlargli, per dirgli come stava. Ma nessuna l’aveva mai fatto, ancora. Così, dopo che s’erano allontanate, sospirava e inclinava indietro la testa.
«Ha soltanto bisogno di un po’ di riposo, nulla di più.»
Platan si alzò, riconoscendo la voce. Andò verso l’ala destra del corridoio e si fermò, vedendo che il medico non aveva ancora finito di parlare con Elisio.
«Lo sforzo compiuto ultimamente,» gli stava dicendo «adesso le si sta ritorcendo contro, perciò è normale che di tanto in tanto senta un leggero mal di testa. Si prenda qualche giorno di vacanza e cerchi di non affaticarsi, dorma qualche ora in più: vedrà che presto sarà di nuovo in forma.»
«Va bene. La ringrazio, dottore.»
«Grazie a lei.»
Il medico si voltò per rientrare nella propria stanza. Sorrise leggermente nel momento in cui, vedendo Platan lì in fondo, gli lesse nello sguardo l’impazienza che aveva di poter andare in contro al suo amico. Chiuse la porta e li lasciò soli. Elisio si girò e si sorprese nel momento in cui si accorse che lui era lì, fermo, che lo attendeva. Aspettava proprio lui, soltanto lui. Quel pensiero gli dava una bella sensazione, ma si sforzò di nasconderlo.
«Credevo fossi dal Professor Rowan.» disse, e gli si avvicinò.
L’altro scosse la testa facendo agitare in aria i boccoli scuri: «No.» fece «E a dire il vero non ci sono neanche passato, ancora. Ho incontrato Lucinda poco fa e mi ha detto che ancora non si può andare da lui. Lei non l’hanno fatta entrare.»
«Ho capito. Cosa intendi fare ora?»
«Sedermi e aspettare. Ti unisci a me?»
«D’accordo.»
Si sedettero e rimasero in attesa, silenziosi. Platan guardava Elisio e ogni tanto gli sbocciava un sorriso sulla bocca, impacciato ma di una tenerezza infinita. Non si curava più delle infermiere, né dei medici o dei Chansey che con la loro andatura goffa correvano di qui e di là. Elisio era di nuovo con lui.
«Nessuno veniva a dirmi niente... Se devo essere sincero, mi stavo preoccupando un po’.»
«Mi hanno fatto qualche controllo generale e un paio di analisi, è stato abbastanza lungo. Ma non hanno trovato nulla di pericoloso.»
Platan annuì e si accarezzò i capelli.
«È da molto che aspetti?»
«No, no. Sarà un’ora e mezza, due ore...» si accorse che effettivamente era passato un po’ di tempo «Beh, ma che importa!» esclamò «L’importante è che siamo di nuovo insieme! Giusto?»
«Giusto.» e si coprì le labbra per nascondere un sorriso: Platan era tornato il solito imbranato con un cuore grande quanto una casa, e questo bastava per risollevarlo almeno in parte da tutte le peripezie che avevano affrontato. Ai suoi piedi vide una valigetta, ma si accorse che non era la sua.
«È quella del Professor Rowan, infatti. Quando i soccorsi sono venuti a prendervi era rimasta sulla Vetta Lancia. Gliela sono venuta a riportare.» spiegò tirandola su e mettendosela sulle gambe. Ci passò la mano sopra. Com’era buffo che dopo tanto tempo ancora si ritrovasse a fare ciò che faceva a diciassette anni! Nulla pareva essere cambiato, eppure tutto era diverso, ora che era con Elisio, ora che... Lo guardò. Lasciò cadere la valigia e si strinse a lui, contro il suo braccio, poggiando la testa sulla sua spalla.
«Sono felice.» disse semplicemente.
Non parlarono molto. Ogni tanto si scambiavano qualche battuta, ma per il resto preferivano ascoltare la sensazione che sentivano nello stare insieme, finalmente liberi dopo quel travaglio.
«Il dottore ha detto che ho bisogno di prendermi qualche giorno di riposo. Mi piacerebbe approfittarne per vedere Sinnoh.»
«Certamente. Ci sono tantissimi posti da vedere... Potremmo andare a fare un pic-nic a Giardinfiorito, oppure visitare la chiesa di Cuoripoli o vedere i tre Laghi, ma ci sarebbero moltissime altre cose... Ti porterò ovunque, se vorrai.»
Le loro voci erano basse: stando così vicini non avevano bisogno di alzare il tono.
Gli occhi grigi di lui erano socchiusi con dolcezza mentre si immergevano in quelli dell’altro, azzurri e tenui come le acque di un lago.
«Abbiamo tutto il tempo, adesso.» sussurrò Platan incurvando le labbra in un sorriso. Il rosso lo osservò attentamente, lasciandosi contagiare dalla gioia che trasmetteva, una gioia leggera e meravigliosa.
«Abbiamo tutto il tempo.» ripeté facendogli l'eco. E ripetendolo, mentre si perdeva nel suo sguardo, fra le sue labbra, in mezzo ai suoi boccoli nero-blu, per un attimo si sentì come sopraffatto da un'emozione indescrivibile, che lo riempiva completamente, senza lasciare alcuno spazio vuoto nel suo animo. Infinito ed eterno. Ma nel toccare le sue dita cadde di nuovo coi piedi per terra, appesantito e incompleto.
«Platan, ascolta,» voleva dirgli qualcosa, ma come poteva parlare, come poteva distruggere la speranza dipinta in quegli occhi da bambino? Quegli occhi fanciulleschi, eppure così maturi in quel frangente... Pareva essere cresciuto, in qualche modo. Forse era soltanto un'impressione.
Platan lo aspettava, paziente, senza costringerlo a terminare la frase. Gli diede il tempo di cui aveva bisogno per rimettere ordine fra i pensieri, fra le parole, fra le virgole e le pause che gli si erano mescolate tutte in testa e che non si distinguevano più. Certamente i suoi sentimenti per lui erano diversi da qualsiasi altri avesse mai provato in vita sua. Non era come per quella vecchia taccagna che per anni ed anni aveva risparmiato persino i baci e le carezze che più volte le aveva chiesto, di cui più volte aveva sentito il bisogno, poi represso malamente in qualche modo, fino a che se ne era uscito dalla porta di casa sbattendola forte per non riaprirla mai più.
Quello per Platan era un amore più vero, più vivo, lo sentiva scorrere nel sangue e riscaldargli l'animo.
Ma aveva paura, aveva tanta paura, lui che di solito era sempre così coraggioso e fiero. Si era riconosciuto dannatamente fragile davanti a lui. Era l'unica persona che lo avesse reso capace di una cosa del genere. Era speciale, Platan. Era una gemma preziosa. Bisognava averne cura.
«No. Nulla.» disse infine Elisio, quasi sospirando.
In quel momento uscì dall’ascensore Lucinda. Girò per il corridoio in cerca dello zio e lo vide teneramente rivolto verso Elisio, i due si guardavano amorevolmente. Poi Platan si era allontanato, aveva preso una scatolina dalla tasca e l’aveva aperta, vi aveva riposto l’anello sfilato dal dito.
«Che cosa ne farai?»
«Credo che lo terrò in un cassetto finché non avrò deciso che farmene. Ho parlato con Garchomp, non me la sento davvero di studiare la Megaevoluzione in questo modo. Le lotte Pokémon non fanno per me.»
«Eppure sei abbastanza bravo, invece. Penso solo che ti serva un po’ di esercizio.»
«Non cercare di tentarmi!» ridacchiò «È che proprio non è nella mia natura, vedi? Sai, mi ha colpito molto la violenza con cui tu e Gyarados attaccavate Saturno. Sembravi così infervorato. Io non ne sarei capace.»
«Oh, ma non sono sempre così. Si trattava di una situazione particolare, lo sai anche tu.»
«Ovviamente, capisco. Tuttavia non si può certo negare che tu sia un uomo animato da forti passioni... Però ti dirò, mi sono divertito a combattere insieme. Non mi dispiacerebbe farlo di nuovo, soltanto per gioco.»
«Allora potremmo andare al Maniero Lotta, ogni tanto, che ne dici? Magari nei fine settimana.»
Platan cominciò a sentirsi osservato. Alzò la testa e vide Lucinda che li guardava timidamente da lontano. Si alzò e le andò in contro, un poco ansioso nonostante fosse sicuro che le cose stessero andando per il verso giusto.
«Il Professore ti sta aspettando.» gli disse la ragazza dopo avergli fatto un riassunto generale delle sue condizioni. Poi si abbracciarono, come per sfogarsi di tutta la tensione che avevano vissuto. Platan le diede un bacio sulla testa e le accarezzò i capelli. Adesso poteva davvero stare tranquillo: lo scopo del suo viaggio si era finalmente compiuto. Lucinda si scostò. Rivolse un sorriso ad Elisio e inaspettatamente abbracciò anche lui.
«Grazie.» sussurrò premendo la bocca contro il suo cappotto.
 
Il Professor Rowan era disteso sul letto, gli occhi chiusi e i capelli bianchi scompigliati sul cuscino. Stava riposando. Non appena sentì il cigolio della porta si svegliò, guardò Platan con il viso provato. Lo chiamò, la voce rauca e bassa. Lo aveva aspettato così tanto. Il giovane Professore si avvicinò, gli fece cenno di rimanere in silenzio per non affaticarsi troppo. Gli prese una mano e gliela accarezzò. Elisio rimase in disparte ad osservarli, a lui non era mai successo di ritrovarsi in una situazione simile. Presto nella vita aveva visto che la gentilezza che le persone gli avevano rivolto si era sempre rivelata una scorciatoia per giungere ad un secondo fine. Aveva deciso di opporsi a questa cosa e aveva cominciato a fare affidamento soltanto su se stesso. Non c’era stato nessuno che fosse stato per lui una guida, un punto d’appoggio. Aveva imparato a fare tutto con le proprie forze. Sotto sotto gli mancava quel quadretto familiare.
«Elisio, avvicinati.» Rowan lo stava invitando ad unirsi a loro. Accontentò la richiesta del Professore e si accostò al letto, vicino a Platan.
Erano giovani, belli e innamorati. Agli occhi del vecchio Professore parevano una tenera coppia sul punto di fiorire: era felice che si fossero trovati. Sorrideva sotto i baffi folti, un po’ a fatica in verità, ma dal suo viso solcato di rughe si percepiva chiaramente quanto fosse contento.
«Grazie per aver mantenuto fede alla mia richiesta e per aver accompagnato Platan fin qui.»
«Non deve ringraziarmi. Non avrei mai lasciato Platan andare da solo.»
«Certo, lo so. Ma te ne sono comunque sinceramente grato.»
Elisio e il compagno si scambiarono un’occhiata. Anche Platan avrebbe voluto dirgli grazie per tutto ciò che aveva fatto per lui, per averlo sopportato nei momenti difficili, ma era cosciente del fatto che le parole non sarebbero servite a molto.
«Professore,» si girò verso Rowan «le ho riportato la sua valigia. E volevo anche scusarmi con lei per aver dubitato delle sue intenzioni ad un certo punto.»
Il Professore annuì. Allungò le dita verso il manico della valigetta e la tirò a sé. La strinse al petto accarezzandola con le mani. Stava sussurrando qualcosa, ma né il suo assistente di una volta, né Elisio, riuscirono a sentire le sue parole. Reclinò la testa sul cuscino e sorrise, ricordando la prima volta in cui il giovane gli era corso dietro per riportargli il bagaglio e i loro sguardi si erano incrociati. Aveva voluto tanto bene a quel ragazzo, ci si era affezionato fin da subito. Se doveva dire la verità, qualche volta, mentre studiava in Laboratorio, si sbagliava ancora, e invece di chiamare Lucinda, Edwin o Rosabella, cercava Platan. Si aspettava di vederlo sbucare dalla porta scuotendo quei boccoli scombinati oppure di alzare il viso e di riflettersi nel vetro dei suoi occhiali. Invece rimaneva  solo. Era la vecchiaia, diceva. Dopo i sessant’anni uno cominciava a perdere colpi.
«Platan,» disse con voce fioca. L’uomo si avvicinò al suo viso per poterlo sentire meglio. Qualcosa si era posata sulla sua testa e il Professor Rowan sorrideva. Anche lui sorrise. Gli mancavano quei momenti in cui per avere la sua attenzione gli poggiava la valigetta sui capelli. Quel gesto era per loro come una sorta di abbraccio. Platan si commosse un po’, si coprì gli occhi con le mani mentre dalla bocca risuonava una risata allegra. Spinse la testa contro di lui e Rowan gli accarezzò la schiena affettuosamente.
«Ti voglio bene, figliolo.»
 
Era tornato il bel tempo. L’aria si era riscaldata e adesso i cappotti erano stati riposti sui sedili posteriori della macchina. Con le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti e le braccia incrociate dietro la testa, Platan osservava la strada di fronte a loro, libera e sconfinata, mentre dal finestrino entrava una piacevole brezza. Elisio accarezzava Litleo che dopo aver mangiato sonnecchiava sulle sue gambe. Il sole luminoso si frantumava in tante schegge d’oro sul fiume che avevano accanto. Intorno si udiva solamente il cicaleccio dei Pokémon Coleottero nascosti in mezzo all’erba alta. Ogni tanto qualche Starly si poggiava sul cofano e inclinava la testa di lato guardando incuriosito i due uomini all’interno dell’auto, oppure un Chatot di passaggio si metteva a cantare. Platan sospirò mentre si sgranchiva la schiena. Si girò verso Elisio e si accucciò contro il sedile. Lo osservò silenziosamente, poi quello alzò lo sguardo e vide i suoi occhi.
«Grazie per avermi permesso di venire con te, Platan.»
«Grazie a te per avermi costretto a farlo.»
Ormai non si sforzava più di trattenere i sorrisi. Allungò la mano verso la parte posteriore della macchina e afferrò la borsa. Prese la Mappa Città e la stese sul cruscotto.
«Dove vogliamo andare adesso?» chiese.
«Potresti per piacere ricordarmi dove siamo?»
«Siamo qui.» mise il dito su un Percorso «Abbiamo già fatto questa strada,» lo fece scorrere a ritroso fino al punto da cui erano partiti.
Elisio studiò la cartina e con la mano indicò tutte le direzioni che avrebbero potuto percorrere. Guardò la strada che avevano davanti. Era vuota e aspettava soltanto che loro ci camminassero sopra. L’avrebbero attraversata tutta. Insieme. Chiuse la mappa e la infilò di nuovo nella borsa.
«Ho una proposta da farti.» annunciò gettando dietro il bagaglio.
«Cioè?» Platan lo scrutava intrigato: non sapeva di cosa si trattasse, ma già era sicuro che gli sarebbe piaciuto da matti.
«Proviamo a fare a meno della cartina. Andiamo senza meta e vediamo dove arriviamo. Alors? Tu es d’accord
«Mais oui, c’est genial! D’accord. On y va, alors
Platan mise in moto la macchina e partirono alla volta di Percorsi che ancora non conosceva neppure lui. Ogni volta che arrivavano in qualche città si fermavano a visitarla e sostavano qualche ora in giro per i caffè a bere qualcosa, a chiacchierare con le persone che incontravano, a scattarsi un paio di foto da tenere per ricordo. In quel momento si erano fermati in un bar di Cuoripoli ad assaggiare una fetta di Dolce Gateau e si scambiavano opinioni sui posti che avevano appena visto.
«Ti va di andare a vedere le Gare Pokémon? Dovrebbe essercene una in programma più tardi.»
Trovavano subito qualche altra cosa che li avrebbe interessati, così dopo aver pagato il conto uscivano di corsa per recarvisi. Mentre oltrepassavano il bancone, sul televisore dietro di loro c’era una donna con una bambina:
«E così questa è tua figlia, Primula?»
«Sì, si chiama Serena! Coraggio, saluta!»
«Ciao a tutti!»
Fra una Gara Pokémon, una passeggiata nel parco e una visita in qualche luogo particolare, le giornate scorrevano lente. Pranzavano e cenavano con quello che trovavano, cibo di strada, al ristorante o in qualche locale che serviva piatti tipici del posto. Mangiavano, bevevano, scherzavano, si divertivano. La sera tornavano alla macchina sempre un po’ brilli, si addormentavano sui sedili cullati dal suono delle loro voci che farneticavano discorsi di dubbio senso, per certi versi assurdi e sciocchi, ma era il loro momento e non volevano risparmiarsi neanche quelle piccole cretinate. Erano felici del tempo che stavano trascorrendo insieme e che non sarebbe più tornato. Vivevano ogni cosa nel pieno dei sensi, persino la più semplice e banale diventava importante.
 
Tornarono a Kalos dopo qualche settimana, in tarda serata. Avevano cenato in aeroporto e adesso stavano imboccando la via di casa. Platan raggiunse il cancello del palazzo di Elisio, vi fermò la macchina davanti. Il rosso scese dall’auto, lentamente, stancato dal lungo viaggio in aereo. Recuperò la valigia e fece il giro, si arrestò di fronte a Platan con la testa sporta fuori dal finestrino, il braccio penzolava sullo sportello.
E quindi era finita, dunque.
Questa evidenza si faceva mano a mano sempre più chiara nelle loro menti, e un po’ se ne rattristavano. Avevano passato davvero delle belle giornate, insieme. Ora toccava tornare a casa, tornare al proprio lavoro, riprendere la monotona vita di tutti i giorni. Platan sospirò. Elisio indugiava là davanti con la valigia in mano.
Nessuno dei due ne aveva voglia.
Però bisognava decidersi, fare una scelta.
Elisio si passò una mano sulla nuca, si accarezzò i capelli. Sorrise a Platan un po’ mestamente, ma in fondo soddisfatto dell’avventura che avevano passato insieme.
«Sono stato bene.» disse «Si potrebbe rifare. Magari in circostanze diverse...»
«...Senza Pokémon Leggendari che tramano di distruggere tutto, forse?» rise «Certo, mi farebbe piacere.»
«D’accordo.»
«Allora lo rifacciamo.»
«Sì.»
«Ci conto.»
«Ci conto anch’io.»
Elisio si chinò su Platan, all’ultimo momento lo assalì il dubbio del perché lo avesse fatto. Mentre ci pensava gli accarezzò una guancia con la mano. Avvicinò il suo viso e lo pose fianco a fianco con il proprio. Lo voleva ancora vicino. Platan strofinò la guancia contro la sua, ruvida di barba. Aveva capito le sue sensazioni, che un po’ erano anche le sue. Avvolse le braccia sulle sue spalle e lo strinse a sé. Tanto in giro non c’era nessuno. Nessuno avrebbe potuto pensarlo.
«Buonanotte, Platan. E grazie per il passaggio.» gli sussurrò Elisio nell’orecchio nel momento in cui convenne che era durato abbastanza.
«Buonanotte, Elisio.» e lo baciò a lungo sulla tempia «Dormi bene.»
Scivolarono via l’uno dall’altro e rimasero ad osservarsi per un po’. Basta, era finita. Eppure non ci credevano, non volevano accettarlo. Elisio infine si decise.
Platan lo guardò in silenzio girarsi e fare per allontanarsi. Capiva le sue intenzioni, capiva tutto, ma non aveva alcuna voglia di lasciarlo andare. Il cielo era bellissimo quella sera.
Si spinse in avanti e gli afferrò una mano.
«Conosco un posto fuori Luminopoli dove si riesce a vedere bene il cielo.» disse «Vuoi venire con me a guardare le stelle?»
 


 

Ed eccoci qui. È finita.

Dopo gli avvenimenti turbolenti dei capitoli precedenti, volevo riportare un po' di tranquillità. Alla fine si è tutto risolto per il meglio, quindi (almeno per ora) !

A questo punto non posso far altro che ringraziarvi: grazie a tutti per aver letto e aver seguito questa storia! Spero tanto che vi sia piaciuta!

Alla prossima avventura! (?) ~ 


la vostra Persღ

 


~ L'angolo del francese ~
 

*"Alor? Tu es d'accord?" = "Allora? Sei d'accordo?"
*"Mais oui, c'est genial! D'accord. On y va, alors!" = "Certo, è un'idea fantastica! D'accordo. Allora andiamo!"



 

  
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