CAPITOLO
14:
Una
nuova vita ( Parte 2 )
La luna stava cedendo lentamente il posto al
sole; le stelle, incastonate nel roseo cielo, si spegnevano una ad una.
I
primi raggi del nostro luminoso astro illuminavano il cielo scacciando
via le
tenebre della notte e creando tonalità rosate dolci, fonti
di tranquillità e
serenità. L’unico rumore che si udiva era il dolce
canto delle cascate e il
cinguettio degli uccelli ormai svegli.
Il
terrore provato durante la notte mi stava finalmente abbandonando
lasciando il
posto a una certa serenità.
Erano
ormai mesi che incubi e visioni non mi tormentavano, almeno fino a
quella
notte.
La
sera prima ero andata a letto presto, stanca per la dura giornata
all’insegna
di spade e lance; subito mi ero addormentata.
Ero
nuovamente caduta nella profonda e gelida oscurità e lingue
di fuoco mi avevano
circondato avvolgendosi al mio corpo e procurandomi un dolore
accecante. Ogni
centimetro della mia pelle bruciava trasformandosi in puro e nero
carbone. Al
culmine del dolore avevo sentito il mio corpo sbriciolarsi. Non vidi
più niente
fino a quando una voce terrificante pronunciò tre parole,
tre semplici parole
impregnate di malvagità: “Io ti
vedo”
Quello
che si era presentato poi davanti a me era una landa desolata,
circondata da
grandi catene montuose che si disperdevano all’orizzonte. Non
vi era alcun
cenno di vita, come se tutta la natura fosse stata bruciata, spazzata
via. Una
montagna vulcanica e una torre nera si stagliavano verso il cielo rosso
sangue.
Sopra la torre un grande occhio di fuoco sovrastava quelle terre. Mi
osservava.
“Io
ti
vedo”
Un
urlo terrificante nacque dentro di me e proruppe dalle mie labbra. Un
terrore
doloroso, una paura mai provata prima.
Successivamente
mi ero svegliata sudata nel mio letto, ancora dominata da
quell’orrore e nel
buio continuavo a vedere quell’occhio infuocato. Ero poi
uscita all’aria
aperta, erano le prime ore del mattino.
Una
dolce brezza accarezzò il mio viso. Quanto avrei voluto che
Gandalf fosse lì
con me. Erano ormai passati mesi da quando mi aveva lasciato in quel
luogo
incantato, senza tempo. Nessuna notizia ci era arrivata e questo
più volte mi
aveva intimorita; non sapevamo se stesse bene o se fosse in pericolo.
Aveva
detto di dover compiere importanti faccende, ma non ci aveva rivelato
quali.
Sentivo
un forte bisogno di averlo accanto, avevo un forte bisogno di non
sentirmi più
smarrita e in balia della paura. Lui per me rappresentava
l’unico punto di
riferimento in quel mondo sconosciuto, l’unico scoglio a cui
appigliarmi.
Si,
al
mio fianco c’era Max, più vicino che mai, ma non
era la stessa cosa.
Massimilian rappresentava il mio rifugio, potevo contare su di lui, era
sempre
pronto ad aiutarmi ma non poteva darmi delle risposte. Anche lui si
trovava
nella mia situazione, un mondo sconosciuto, tra persone sconosciute. Ma
lui non
aveva bisogno di risposte, lui non aveva il peso del mio destino sulle
spalle.
Gandalf
era l’unico a poter placare i miei dubbi, le mie
preoccupazioni. Neanche re
Elrond ne aveva le capacità, solo lo Stregone aveva visto i
miei avi per
l’ultima volta ed era a lui che Iluvatar aveva rivelato i
segreti del mio
preannunciato fato. E lui non era lì accanto a me.
Voci
cristalline si librarono nell’aria creando una meravigliosa
sinfonia, gli elfi.
Ispirai profondamente l’aria fresca e incontaminata di
Imladris e, ormai in
pace, ritornai nella mia stanza.
*
“Hmbriuctia”
Una
lingua di fuoco simile a un bocciolo si materializzò sul
palmo della mia mano.
Emanava un calore piacevole e delicato. Il bocciolo di fuoco si
librò nell’aria
arrivando all’altezza dei miei occhi. Lentamente iniziai a
compiere con le mani
i movimenti indicati dall’arcaico libro. Realizzavo piccoli
cerchi intorno alla
fiamma che poco a poco si ingrandiva raggiungendo le dimensioni di una
palla da
pallavolo. Con l’indice sfiorai
l’estremità superiore del bocciolo che si
trasformò in un fiore infuocato. Quelli che assomigliavano a
rossi petali si
allungarono avvolgendo il mio corpo e sollevandomi dal terreno. Ero
sospesa a
pochi metri di altezza e con le braccia spalancate giravo su me stessa
accarezzata dal dolce calore del fuoco. Ogni preoccupazione era svanita
dalla
mia mente, ciò che provavo era un senso di calma e
sicurezza; mi sentivo al
sicuro, a mio totale agio.
Continuai
ad alzarmi fino a raggiungere l’altezza giusta per vedere
tutta Imladris. Aprii
gli occhi che fino a quel momento avevo tenuto chiusi. Il sole ardeva
sulla mia
testa sorridendomi. Sotto di me l’incantata foresta dalle
centinaia sfumature
di verde ricopriva l’intera valle mentre la roccia su cui
sorgevano le case
elfiche sovrastava tutto. Era una visione stupefacente, mistica,
magica. Il
cielo era di un azzurro intenso senza macchie, senza nuvole. Era da
molto che
non provavo quella sensazione di pace con il mondo intero, con me
stessa.
Nessuna preoccupazione, nessuna paura, nessuna ansia. La mia mente era
libera,
sgombera da qualsiasi cosa. Mi sentivo realmente me stessa.
Ma
non
potevo provare tutto ciò per sempre. Appena i miei piedi
toccarono terra e il
fuoco si fu estinto tutto ciò che in quei pochi minuti mi
aveva abbandonato mi
investì nuovamente, soffocandomi.
*
“Dai,
dai Ery! Ce la puoi fare!”
Le
urla di incitamento di mio fratello arrivavano deboli alle mie
orecchie. Il
rumore del cozzare della mia spada contro quella del maestoso elfo
sovrastava
ogni cosa. Il sudore rigava il mio volto affaticato mentre le mie
braccia e le
mie gambe lottavano contro il dolore. Non avevo idea di quanto tempo
fosse
passato dall’inizio dell’incontro,
l’unica cosa che sapevo era la forza del mio
avversario. Era molto agile e veloce, schivava i miei colpi senza
alcuna
difficoltà. Era un elfo dai lineamenti duri e bellissimi,
grandi occhi azzurri
e capelli d’orati che scintillavano sotto i raggi del sole.
Il suo corpo
dimostrava venti anni ma i suoi occhi millenni.
Mi
ero
trovata in difficoltà fin dall’inizio, i miei
movimenti non erano ancora del
tutto fluidi e facevo fatica a schivare i suoi colpi.
Sei
figlia degli Helvat, grandi guerrieri. Forza dimostralo!
Quelle
parole si ripetevano nella mia mente. Sapevo che l’unica cosa
che mi mancava
era la convinzione, era la volontà, era la fiducia nelle mie
capacità. Fino a
quando non fossi stata sicura di me stessa sapevo che non avrei avuto
alcuna
possibilità di vincere.
“Eryn
credici, solo quello ti divide dal trionfo” continuava a
ripetermi Elladan.
E
aveva ragione.
Caddi
a terra a causa di un potente colpo subito, l’elfo mi
aspettava in piedi pronto
a ricominciare. Chiusi gli occhi per qualche secondo e provai a
ripensare alle
sensazioni che il fuoco mi aveva fatto provare. Pace,
tranquillità, sicurezza.
Improvvisamente una forza innaturale mi invase. Riaprii gli occhi come
mai
fatto prima. Percepivo l’aria di sfida che emanavano. Mi
rialzai velocemente posizionandomi
saldamente sulle gambe. Un grande ardore avvolse il mio cuore e il
coraggio
prese il sopravvento sul timore.
Mi
scagliai contro l’avversario con tutta la grinta che avevo in
corpo. Movimenti
fluidi e veloci si rigettavano sul biondo elfo costringendolo ad
indietreggiare.
Nonostante la stanchezza continuavo ad attaccare, schivando agilmente
ogni
colpo inflitto da Dreinis. Dalle mie labbra sgorgavano parole
nell’antico
linguaggio helvico conferendomi ancora più farza.
“Jsei
thigleia Helvat. Dwimnojstalaio”
“Jsei
thigleia Helvat. Dwimnojstalaio”
“Jsei
thigleia Helvat. Dwimnojstalaio”
“Jsei
thigleia Helvat. Dwimnojstalaio”
Prima
che me ne fossi accorta il bell’elfo giaceva a terra, il mio
piede sul suo
perfetto petto, la sua spada a pochi metri dal suo braccio, la mia
puntata al
collo.
Ci
ero
riuscita, avevo dimostrato di essere figli di quei grandi guerrieri.
*
Io
e
Massimilian ridevamo con gusto alla vista dei due elfi gemelli che
cercavano
con scarso successo di capire come funzionassero i gesti della lingua
italiana.
Era ormai un’ora che cercavamo di spiegarli ai due principi
che ci guardavano
con aria smarrita ma molto incuriosita.
Max
proponeva loro delle parole o frasi che dovevano riprodurre con gesti.
Il
risultato erano due elfi straordinariamente e stranamente impacciati
che si
impegnavano al massimo fallendo miseramente. Si lo so, è
strano sentire le
parole “Elfi” e “impacciati”
nella stessa frase, ma credetemi sto dicendo la
verità. Ovviamente impacciati è molto lontana
dall’idea che si crea nella
nostra mente. Erano comunque eleganti e solenni,ma meno del solito. Era
una
piccola differenza che naturalmente saltava subito all’occhio
se eri abituato
alla vista di tali regali creature.
Lo
stomaco e la gola mi facevano male a causa delle risate. Da tempo non
ridevo
così.
*
Era
ormai la terza volta che finivo di leggere l’antico testo.
Ogni parola scritta
era stampata nella mia mente, indimenticabile, al sicuro. Le mie
capacità
magiche erano migliorate notevolmente. Potevo controllare senza
difficoltà ogni
cosa formata da uno dei quattro elementi. Passavo intere giornate ad
esercitarmi all’aria aperta, in una piccola radura al centro
della valle. Mi
tenevano compagnia le creature di quel bellissimo luogo e qualche volta
uno o
due elfi mi osservavano con interesse senza disturbarmi.
Nei
momenti di noia mi divertivo a compiere piccoli scherzi a mio fratello
che però
non si arrabbiava, anzi, ne era entusiasta.
Non
avevo ancora raggiungere l’apice dei miei poteri, ne ero
consapevole, mancava
qualcosa che nel libro non c’era. Certo, controllavo gli
elementi ma non avevo
ancora idea di come utilizzarli per difendermi e combattere.
Più e più volte
avevo provato a realizzare gli incantesimi di maggior livello riportati
nel
libro, ma con scarso successo. Qualcosa mancava, una conoscenza, una
chiave.
Avevo passato ore a cercarla, ma dentro di me sapevo che solo con
l’arrivo di
Gandalf l’avrei trovata.
Ma
lui
non arrivava, le settimane passavano velocemente tra allenamenti con
ogni sorta
di arma e intenso studio di quel mondo, tra incantesimi e scoperte.
Dalla
notte in cui avevo sognato quel desolato luogo gli incubi continuavano
a
tormentarmi. Vedevo morte, distruzione, disperazione, terrore, sangue,
lacrime,
fuoco. Alla fine di ogni visione si materializzava davanti a me il mio
volto,
come se mi dicesse che se avessi fallito avrei causato tutto quello. La
paura
di non essere all’altezza del mio compito mi assillava. Ogni
notte dopo essermi
svegliata dagli incubi uscivo all’aria aperta ma nessuna pace
mi abbracciava
più. I miei occhi divennero sempre più stanchi,
la mia anima sempre più fragile.
Occhi preoccupati mi osservavano, ma senza sapere come fare.
Massimilian
cercava di starmi accanto silenziosamente il più possibile
senza sapere cosa
fare per aiutarmi. Apprezzavo questo anche se non mi dava alcun
sollievo. Il
polso aveva ricominciato a bruciarmi senza pace, aumentando sempre di
più.
Ricordo
che mi trovavo nella radura ad esercitarmi quando un dolore lacerante
colpì il
mio polso e la mia testa. Non capii più niente e caddi a
terra priva di sensi.
Successivamente mi ricordo di aver visto tutto quello che avevo sognato
da
quando avevo scoperto di appartenere a una razza estinta.
Quando
aprii nuovamente gli occhi una luce bianca e accecante mi
investì. Poco a poco
l’ambiente circostante si delineò mostrandomi la
mia stanza. Al mio fianco
sedeva Massimilian addormentato, sul suo volto i segni di stanchezza
causati
dall’attesa del mio risveglio.
Lentamente
cercai di mettermi seduta nonostante le forti fitte che provavo alla
testa. Il
mio polso era fasciato da una candida benda che però
presentava una grossa
macchia bluastra proprio nel punto in cui si trovava il marchio degli
Helvat. Avevo
la testa avvolta da un’altra fascia e pesanti coperte
coprivano le mie gambe.
Avevo passato interi giorni in coma senza dare alcun segno di vita.
Arwen si
era presa costantemente cura di me mentre Max non mi aveva abbandonato
neanche
per un attimo. Mi sentivo distrutta, come se un camion mi fosse passato
sopra,
cosa alquanto impossibile visto che ancora no esistevano.
Mi
strofinai gli occhi e osservai più attentamente la mia
stanza. Seduto davanti
alla mia finestra c’era una grigia figura che osservava le
cascate scintillanti.
Un cappello a punta era poggiato a terra e del fumo usciva da una
grande pipa.
“Gandalf…”
Lo
dissi in un sussurro ma lo Stregone lo sentì e si giro verso
di me
sorridendomi, appariva molto stanco.
“Ciao
Eryn, finalmente ti sei svegliata!”
Angolo
dell’Autrice:
E
finalmente Gandalf è tornato. Adesso inizia la vera e
propria storia.
Spero
che anche questo capitolo, anche se corto, vi sia piaciuto. Scusate la
lunga
attesa, cercherò di aggiornare più velocemente.
Fatemi
sapere cosa pensate J
AnnaJ