Frammento n°2 Alba
Dice: “Si giunge al mattino soltanto attraverso le ombre della notte”.
“Ben svegliato,” lo salutò
l’ombra accanto a lui “Apollo-san”.
La voce rauca, il tono malizioso, quella reiatsu inquietante che l’avvolgeva:
la mente di Szayel collegò le cose e reagì
immediatamente, gridandogli che si trovava in una situazione di pericolo. Lui
avrebbe voluto spalancare gli occhi, alzarsi e prendere velocemente le distanze
da quell’essere, per poi esaminare meglio chi fosse; ma riuscì a malapena a cacciare
un gemito spezzato.
I suoi muscoli erano bloccati, le sue palpebre pesanti, sudava
freddo. L’aria che cercava di respirare invece di riempirgli i polmoni gli si
bloccava in gola, soffocandolo.
L’ombra gli aprì la bocca con la forza, ed
un istante dopo Szayel sentì il sapore vomitevole di
un liquido troppo caldo colargli giù nello stomaco. Senza più
aria, l’Arrancar non aveva neanche la forza di tossire; un brivido improvviso
gli percorse tutta la colonna vertebrale, e gli occhi gli si rovesciarono dal
dolore.
Il sapore del liquido appena bevuto gli impastava la
lingua. “E’ veleno?” si chiese debolmente. “Di nuovo…veleno…?”
Perse coscienza. Un vago ricordo lo perseguitò sotto forma
di incubo per molto tempo, fino a spegnersi in lui
come una debole fiammella.
Quando riaprì gli occhi, Szayel era
ancora senza forze. Intorno a lui non c’era luce ma una strana penombra, per
cui gli era meno faticoso tenere aperti gli occhi, ma
il mondo che vedeva era ancora senza contorni. Sforzandosi,
scorse intorno a lui, con la coda dell’occhio, alcune flebili fonti di luce che
però non riuscì ad identificare.
Sentiva il cuore battergli
lentamente, troppo lentamente, nel petto. Decise di farsi forza.
Con molta fatica sollevò una mano e se la portò al viso,
guardandola con interesse, come se su di essa mancasse qualcosa. Sollevò anche
l’altra e se la portò al viso, toccando i capelli, la fronte, ma quando arrivò gli occhi sentì che anche lì mancava qualcosa, una
parte di lui.
Ma cosa?
Si mise seduto, lasciando che se lenzuola del letto su cui
era steso gli scivolassero via, lasciando scoperto il petto nudo. I lunghi
capelli gli accarezzavano le spalle. Qualcosa dentro di lui lo spinse ad
analizzare la situazione, ma nonostante in lui ci
fosse il metodo di analisi, mancavano i dati di partenza da elaborare.
Aveva realizzato di essere vivo, ma non sapeva
nient’altro. Non sapeva dov’era, né come ci fosse arrivato. Non ricordava cosa
gli fosse successo… e neanche chi era.
Riprese a contemplarsi le mani, senza vederle realmente.
Cercò di ricordare qualcosa, ma era come se il suo passato fosse bloccato
all’interno di uno spesso strato di dolore, immondo ed
interminabile, che lo aveva tormentato per così tanto tempo da aver preso il
sopravvento su qualunque altra cosa. Troppo forte per essere sopportato, troppo
lungo per svanire. Appena lo sfiorò, ricominciò a tormentarlo. Senza capire più
nulla, Szayel strinse le mani alla testa, insieme ai
capelli, e gridò di terrore, con quanto fiato aveva in gola.
“Apollo-san!”
Al suo fianco, un essere comparso dal nulla si precipitò
su di lui, e senza dir nulla lo abbracciò. Quel contatto lo sconvolse più del
dolore, così smise di gridare; solo gli occhi rimasero sbarrati, e il respiro
affannato.
“Va tutto bene,” disse la persona che lo stava
abbracciando, con voce dolce e sommessa. “E’ tutto finito ora”.
Szayel, come se fosse sotto un
incantesimo, rimase fermo per molto tempo in quella posizione, riscaldato da un
piacevole calore, fino a che non si riaddormentò.
Quando si riprese, era mattina. La luce inondava la stanca
in cui si trovava. Lui aveva sempre la vista sfocata, ma gli occhi non gli
dolevano più. Se li strofinò, e si guardò intorno, sobbalzando nello scoprire che
c’era qualcosa che gli tratteneva debolmente una mano. La sfilò via subito,
spaventato, e la figura accasciata al bordo del suo letto, sentendolo, si mosse
e poi si sollevò.
“Chi sei?” chiese lui sospettoso, cercando di metterla a
fuoco.
“Sei sveglio…” sì sentì dire
dalla stessa voce dolce di poche ore prima. “Come ti senti?”
“E’ alquanto disdicevole, sentirsi rispondere ad una domanda con un’altra domanda,” osservò lui
contrariato. “Di conseguenza dimmi, chi diavolo sei
tu?”
“Ah…” mormorò lei, spaesata. “Ki,” disse infine. “Chōshun Ki”.
Quel nome non gli diceva nulla. Desideroso di saperne di
più, Szayel portò una mano a quello che doveva essere
il collo della figura, così velocemente da strapparle un gridolino. La portò a
pochi centimetri dal suo viso, cercando di scorgerne i dettagli.
Sembrava un essere umano, femmina,
molto spaventata. Non ispirava pericolo.
La lasciò andare.
“S-Sarai affamato…” disse Chōshun,
visibilmente imbarazza. “Vado a prenderti da mangiare!” esclamò, e corse via a
grandi passi.
Szayel rimase lì, nel letto, pensieroso.
Si strofinò di nuovo gli occhi e poi si passò una mano
fra i capelli, un gesto che gli sembrava molto familiare.
In pochi minuti, la ragazza fu di ritorno. “Perdona
l’attesa!” gli disse. La sua voce suonava piena di imbarazzo.
Posò su un ripiano accanto al letto quello che dal rumore sembrava essere un
vassoio, poi gli mise fra le mani un oggetto morbido e caldo, dal profumo
invitante. “Mangia!” disse. “Sarai affamato, non hai mangiato per giorni”.
Lui lo assaggiò, incerto, ma non ne parve soddisfatto.
“Non ti piace?”
“Suppongo di essere stato abituato a mangiare qualcosa di
più…energetico,” constatò lui, con voce piatta.
“Mi dispiace,” ammise lei, triste.
Seguì un lungo silenzio.
“Che situazione fastidiosa,”
osservò infine Szayel.
“Cosa?”
“E’ una situazione fastidiosa,”
ripeté. Odiava doversi ripetere. “Detesto non sapere cosa sta
accadendo. Indagherei da solo, ma sono bloccato qui, nudo e quasi
cieco. Non capisco più di nulla di ciò
che sta succedendo e non so cosa mi sia accaduto. Ki-san,
dato che sei così gentile, mi spiegheresti perché
diavolo sono qui?!” sbottò.
“Beh…” la sentì mugolare in
risposta. “Io non ne so molto… Vedi, la nonna…ti ha trovato, alcuni giorni fa,
a terra in mezzo alla strada, svenuto.
Non avevi nulla con te, solo…degli occhiali. Lei ti ha portato qui. Non
sapevamo chi fossi, e nessuno del vicinato ti conosce. In TV non hanno detto
nulla riguardo una persona scomparsa. Così ci siamo prese cura di te aspettando che ti risvegliassi per
saperne qualcosa”.
Mentre parlava, Szayel la udì
girare per la stanza, come se stesse cercando qualcosa. Quando tornò da lui,
sentì che gli stava sistemando i suoi occhiali. La sua vista tornò
perfettamente.
“Tu ricordi chi sei?” gli chiese lei.
Lui la guardò fisso: dal comportamento ingenuo sembrava
una bambina, ma il corpo era quello di una giovane
donna. La squadrò in un attimo, ma ad attirare la sua attenzione furono solo i
suoi occhi, rosa pallido, ed i vestiti che indossava, completamente
neri, come i suoi lunghi capelli. “Sei
un essere umano?” le chiese a bruciapelo.
“Eh? S-Sì,” rispose lei.
Szayel si guardò le mani. E lui? Cos’era
lui? Qualcosa in lui gli diceva che quella ragazza apparteneva ad un mondo totalmente diverso dal suo.
“Tu non lo sei?” chiese lei piano.
“No, lui è un Dio, no?” osservò una voce roca ed inquietante alla loro destra, la stessa che Szayel aveva udito la prima volta che si era svegliato. Gli
vennero i brividi. “Lui è uno stupendo Dio caduto dal cielo,”
continuò la voce.
Szayel si voltò verso la porta: ferma
all’ingresso c’era una donna molto anziana, alta la metà di
lui, magrissima e con corti capelli grigi. Aveva il viso piagato dalle
rughe. Indossava uno strano vestito multicolore, molto voluminoso, ed un gran numero di gioielli. Si poggiava su un bastone di
legno.
Choushun arrossì.
“Un Dio…stupendo?” ripeté lui.
“Perché credi che questa qui ti abbia chiamato Apollo?”
sbuffò la vecchietta, indicando Choushun con il
bastone. Zoppicando, raggiunse la ragazza accanto al letto, e le schiacciò un
pugno sulla testa.
Lei cominciò a piagnucolare,
mugolando frasi del tipo: “Oh, nonna, perché glielo hai detto? Ah, mi fai male! Sei cattiva…no, nonna, ahi!”
Lui guardò le due, senza dir nulla. L’anziana smise per un
attimo di schiacciare la testa alla ragazza e lo fissò. “Il mio nome é Rei Ki. Riguardo al tuo soprannome, tu non sai nulla di questa
stupida roba occidentale, ma Apollo è…”
“Il dio greco che unisce l’arte alla ragione,” completò Szayel. “E’ il dio del
Sole, un ideale di bellezza,” concluse con garbo.
Rei si bloccò, sorpresa: “Bravo,”
annuì. Poi riprese il suo lavoro.
“Sì, ma non è vero!” piagnucolò Chōshun,
“Non sono stata io a dire questo, oh, davvero, io non…”
“Peccato che non l’hai detto davvero,”
commentò Szayel, sorridendo malizioso. “Perché il mio
nome è proprio questo,” disse. “Credo…” osservò poi a
bassa voce.
Le due lo guardarono, stupite.
“Vi ringrazio per la vostra gentilezza,”
esordì Szayel con il suo tono un po’ strascicato,
ritornando in sé. “Ora, so che potrei sembrare maleducato, ma vi dispiacerebbe
uscire? Sapete, vorrei indossare qualcosa”.
“Ma certamente!” gracchiò Rei
allegra e, con una forza che Szayel non avrebbe mai
creduto avesse, prese la nipote per il colletto del vestito e la trascinò via,
ancora piagnucolante.
“Ti ho raccattato degli stracci in giro, sono lì sulla
sedia,” disse, uscendo. “Ho pensato che ti sarebbero
serviti, dato che mentre eri svenuto ti hanno rubato
persino le mutande”.
“Ma che anziana premurosa,”
mormorò lui fra i denti, a metà fra l’imbarazzo e l’irritazione. Si risistemò gli occhiali come per nascondere gli occhi.
“Bene, quando hai finito
chiamaci, signor Dio Apollo,” disse
sogghignando Rei. Buttò fuori Choushun, prima di
sbattersi la porta alle spalle.
Szayel si mise subito in piedi. Percorse
in due passi la piccola stanza in cui si trovava, affrettandosi verso i
vestiti, poggiati sull’unica sedia di una vecchia scrivania. Se li infilò
velocemente. Quella situazione lo aveva messo in imbarazzo. Quelle stolte lo avevano messo in imbarazzo. A
quanto pareva, avevano avuto opportunità di ammirarlo,
ridotto in quello stato, per un bel
po’ di tempo.
Mentre raccoglieva gli indumenti, sentì la vocetta di Chōshun
farfugliare, fuori dalla porta, “Ma
perché glielo hai detto, ora non riuscirò più a
guardarlo in faccia…”
“Dolcezza mia, e tu
vorresti farmi credere che hai guardato solo la sua faccia? Io no”.
Szayel arrossì di rabbia. “Vecchia maniaca!”
gridò internamente. “Ma tu guarda in che razza di situazione…”
“E’ che… è così bello
che non sembra di questo mondo…”
“Oh, oh, tesoro, ho sentito
un rumore dentro, scommetto che ti ha sentito!”.
“Oh, NO! Oh, no, no, no! ORA NON RIUSCIRO’ PIU’ DAVVERO A GUARDARLO IN FACCIA!”
Quando Chōshun ebbe finito
di gridare, sospirando, Szayel si tolse le mani dalle
orecchie e finì di sistemarsi il paio di jeans e la vecchia maglia grigia, a
righe, che gli erano stati assegnati. Notò nell’angolo
opposto della stanza, accanto ad una finestra molto piccola, uno specchio. Si
fermò davanti ad esso, e guardando il suo riflesso ammise che quella ragazza
aveva ragione: persino quei vestiti scadenti riuscivano a risaltare il suo fisico, asciutto ma
perfetto; i lunghi capelli lisci, rosei, gli incorniciavano il volto dai
lineamenti decisi e al contempo delicati, mentre lo sguardo, accattivante e
sveglio, da intellettuale, era sottolineato dai suoi occhiali.
Sorrise, un sorrisetto malizioso che gli illuminò le iridi
del colore del Sole. Anche se aveva perso parte dei suoi ricordi, si fidava
delle sue capacità e della sua fortuna: non appena avesse avuto la possibilità,
sarebbe tornato quello di prima, ne era convinto.
Szayel si attardò qualche altro secondo
allo specchio, sistemandosi la riga laterale dei capelli con un vecchio pettine
gettato sulla scrivania. Poi si avviò, con i suoi passi veloci e felpati, alla
porta della stanza. La aprì sovrappensiero, e questa scivolò via con tale
facilità da fargli perdere l’equilibrio; ciò avvenne perché era già stata aperta
da quella che riconobbe essere Chōshun,
che gli precipitò letteralmente addosso.
Non caddero perché lui la sostenne, ma lei gli finì praticamente fra le braccia.
“Che situazione banale,” pensò
lui, indignato. “Questa persona è stata sicuramente gentile con me, per cui
dovrei comportarmi in modo educato con lei. Ma i suoi
sentimenti sono fin troppo comprensibili. Lei è fin troppo comprensibile. Non è per nulla interessante”.
La ragazza rimase immobile contro il suo petto, stretta
nella sua presa forte.
Lui la sentì tremare, così abbassò lo sguardo, cercando di
essere cortese: “Ti sei spaventata?” le chiese.
“Ti dispiacerebbe…” rispose lei, in tono gelido, “…levarmi
le mani di dosso, Casanova?”.
“Cosa?” Szayel restò di sasso.
Nello stesso istante, sentì dei passi fermarsi davanti
alla porta: si voltò, vedendo Chōshun. La sua
espressione terrorizzata superava solo quella che aveva appena assunto lui. La
ragazza alla porta indietreggiò, portandosi le mani al petto, pallida. Szayel guardò prima
lei, poi quella che stringeva fra le braccia, poi di nuovo la prima e si staccò
di scattò dall’altra. Alla Chōshun
alla porta vennero gli occhi lucidi, come se stesse per scoppiare a piangere;
ciò infuse in Szayel una sensazione di puro terrore. Portò una mano verso di lei
dicendo: “Aspetta!”, ma lei scappò via in lacrime.
Mentre sentiva i suoi passi di corsa far scricchiolare le
scale di legno, Szayel fece qualche passo in avanti,
imbambolato. Poi si rese conto che la ragazza dietro di lei stava ancora
tremando come prima: ma come prima, non era per paura, bensì per la rabbia.
“Lo sapevo…” la sentì mormorare alle sue spalle, la voce
così fredda da essere un sussurro, i pugni stretti. “L’avevo detto io alla
vecchia che avevi una faccia da schiaffi…ma Cho ha
cominciato a fare, ‘No, ti prego, aiutiamolo, sta male, è carino, non può essere cattivo…
’ …COL CAZZO!” Alzò la testa, lui si voltò verso di lei, e vide l’inferno. “LO SAPEVO CHE AVREI DOVUTO LASCIARTI CREPARE LI’, STRONZO!”
gridò. Grazie al suo acuto senso d’osservazione, Szayel
realizzò che non era del tutto uguale a Chōshun: i suoi occhi erano castani. Ma per notare questo dettaglio, non vide il calcio che lei
gli stava sferrando, che lo prese dritto allo stomaco, seguito da un secondo,
al fianco destro, che lo stese a terra dolorante.
“Cho-chan,
aspetta! Non è come sembra!” strillò la ragazza, scappando fuori dalla
stanza.
Szayel si rotolò a terra, dolorante.
“Dove…diavolo…sono finito?” mormorò. “A-Aizen-sama…”
disse, per istinto. Ma non riuscì a ricordare chi
fosse Aizen.
___
Ecco qui! Capitolo 2 di 6! E’ molto “statico”, lo so,
ma ho cercato di renderlo più snello possibile. Ho voluto soffermarmi sul
passaggio di…Pollo?XD…dall’agonia infinita alla vita, e sulla presentazione di
questi 3 nuovi personaggi: Choushun,
Rei e Choujizome. Nel prossimo, ci sarà anche un
ritorno di Ichigo e Rukia,
insieme ad un bel colpo di scena.
Vi avverto, o incauti
lettori! Per quanto le cose possano sembrare
mettersi male (in molti sensi), nei prossimi capitoli, non pensate che in
questa storia sia tutto scontato! Vi siete messi nelle mie mani iniziando a leggerla;
per cui, se volete, continuate a leggere fino alla fine e lasciate fare a me:
non resterete delusi!*-*;
Grazie a renge_no_hana e millissima, che mi han fatto venire voglia di scrivere subito
il seguito!*.*; E’ sempre esaltante trovare altri fan
del mio Arrancar preferito! :°
JunJun