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Autore: Nocturnia    28/04/2015    4 recensioni
"Sono un mostro."
Dita leggere, fredde.

"Mostro è solo il nome che diamo a ciò che non comprendiamo. A ciò che sfugge ai limiti della mente umana. A qualcosa di così straordinario da non poter neppure essere compreso."
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, Barry Burton, Claire Redfield
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Pray to God
Disclaimer: Albert Wesker, Alex Wesker e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. I personaggi di Elaine, Isaac, Nadia Yance, Cora Korn, Vincent Simmons sono invece un'idea dell'autrice stessa. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


"A first sign of the beginning of understanding is the wish to die."

- Franz Kafka -



Pray to God



Uno strappo.
Tutto era iniziato con uno strappo all'altezza dell'ombelico, uno snap per nulla rassicurante.
La voce della Regina Rossa Alpha ripeteva monotona la sua litania, i vetri del laboratorio scheggiarsi e poi esplodere.
Cosa...?
Quando la carne dell'addome aveva cominciato a squarciarsi le tue grida si erano unite a quelle degli infetti.


"Non temo la vecchiaia."
Una risata sinceramente divertita.
"Una donna vanitosa come te?"
"Non temo di vedere i miei capelli diventare grigi o la pelle scivolare via dalle mie ossa."
Mani forti tra i capelli, sulle spalle.
"No?"
"No."
Occhi rossi come l'inferno, pupilla dilatata.
"Allora cosa temi, Alexandra?"
Le confessioni sono veleno per l'orgoglio.


La sala comandi sta collassando, il mondo si sta rimpicciolendo.
Lo strappo è diventato adesso una lunga scissura, un taglio che slabbra la pelle come un guanto rivoltato.
Le urla sono così forti che nemmeno riconosci la tua voce, un insieme contorto di maledizioni e preghiere.

NonononononoNO.

Capisci che il peggio deve ancora venire quando scorgi le tue stessa interiora sul pavimento.


"Il Progenitore ci sta uccidendo."
"Lo so."
"L'Uroboros non è la risposta."
Silenzio.
"Questa vita stessa non lo è."
"Non c'è mai stata alcuna speranza, Alexandra."
Un sorriso triste, lineamenti durissimi e che non si piegano a nulla.
"Non per noi."


Sputi sangue e vomito, tra i denti il sapore amaro della bile.
Ti trascini sui gomiti, una patetica caricatura della divinità che avresti dovuto voluto essere.
Non hai il coraggio di guardarti indietro, perché se lo facessi scorgeresti solo una pozza scura di sangue e merda, le tue gambe grottescamente staccate (eppure così pervicacemente attaccate) dal resto del corpo.

Perché?

Le lacrime sono inarrestabili.


"Raccontamelo ancora."
Occhi da predatore, curiosità da ragazzina.
"Sarebbe la terza volta."
Fianchi spigolosi, dita pallide e nervose.
"Il tempo non è a nostro favore."
Labbra che lo sfiorano, braccia che gli cingono la vita - due serpenti che cercano il calore di una mattina ormai morta.
"Neppure la storia, Albert."
Sotto la roccia, due bambini che non hanno mai avuto altro destino se non quello già scritto.


Un suono umido, appiccicoso.
Uno risucchio acquoso, rivoltante.
La struttura si accartoccia su se stessa, imprigionandoti nella tua miseria.
Le palpebre si sono fatte pesanti, il cuore un ritmo asimmetrico e convulso.
Respiri, ed è polvere quella che ti brucia i polmoni.
Trovi la forza d'inclinare la testa, scorgendo i tuoi piedi a qualche metro di distanza.
Ridi, e l'ironia di un corpo immortale è amara come il veleno.

Quindi è così che finisce.

Il tuo DNA mormora una risposta completamente diversa.


Non era amore; o forse lo era ed entrambi erano stati troppo stupidi per capirlo.
Lo spiegavano come una forma di conforto, una reciproca comprensione; un richiamo tra simili, un gesto dettato dal sangue e da un legame condiviso.
"Gli dèi non cercano null'altro che la perfezione." le mormora sul collo "A niente di meno possono devono ambire."
"E io sarei perfetta, Albert?"

Io? In questo involucro che sta morendo un po' alla volta, ogni giorno di più.
Io? Una donna vissuta all'ombra di un vecchio delirante e che ha sempre giocato con un mazzo di carte truccato e perdente.
Io? Che ti ho visto morire e poi rinascere. Che ti ho pianto - ti ho invidiato.
Io?

Albert respira sulla sua pelle ed è come essere avvolti dal ghiaccio più freddo - più puro.
"Sì."
Alexandra sorride senza alcuna vergogna.


Riassemblamento.
Così puoi chiamare quello che  ti sta succedendo.
Il virus ruggisce e allunga i suoi tentacoli, striscia tra le macerie e ricostruisce un corpo ormai distrutto - spezzato.
Chiudi gli occhi, rifiuti la verità.
La prima metamorfosi è appena avvenuta.


"La ucciderai?"
"Sì."
"Perché?"
Albert inclina il mento, la fissa da sopra il bordo degli occhiali.
"Che domanda è?"
Alex si riflette in quelle lenti scure, una donna bianca come la neve - fredda come le sue mani.
"Aheri è un bel nome."
Il silenzio ha sempre raccontato più delle parole.


Vertebre in titanio, interiora in acciaio.
Sorvegli un corpo non tuo, custodisci un viso rovinato dall'ambizione.
Seni svuotati, labbra bruciate.
Abiti un incubo che avevi chiamato immortalità, dimori tra ricordi pungenti e affamati.
Denti scoperti, inguine indefinibile.

Chissà cosa direbbe se mi vedesse ora.

Copri quella mostruosità con un mantello pesante quanto la tua stessa disperazione.


"Non hai mai avuto paura, Albert?"
"No."
"Questo farebbe di te il mio candidato perfetto."
"Vuoi forse occupare la mia mente invece che quella della ragazzina?"
"L'ho già fatto, Albert; l'ho già fatto."


Il cielo è sempre dello stesso colore, la terra ha sempre lo stesso sapore.
Di te è rimasto solo uno spicchio candido, una falce di luna in cui i tuoi lineamenti sono ancora riconoscibili - labbra piene, occhi affilati, capelli biondissimi.
L'altra - il mostro - il fratello che hai perduto nel fuoco della sconfitta.

Mi sento così sola.

Mostro è solo come chiamiamo ciò che non possiamo comprendere.


Sangue sulle mani, sangue sulle lenzuola.
Sangue sulle loro bocche, sangue sotto le unghie.
Sangue a raccontare una storia già scritta, sangue a tracciare i loro profili.
Sangue a chiamare altro sangue, sangue che ha lo stesso colore di quello degli altri - vittime, infetti, nemici, eroi.

"Questa è quasi una sorpresa."

Sangue rosso come i suoi occhi.


La torre è crollata e con lei la regina cattiva.
Sotto le macerie, tra i ricordi, una sola cosa è sopravvissuta.

La morte è stata la tua fuga; perché non ha potuto essere anche la mia?

Albert Wesker ti fissa da una foto nella quale stringeva ancora il mondo nel pugno.


I laboratori della Tricell sono quieti, polverosi riflessi di un vecchio fasto.
Alex li percorre scandendo bene ogni passo, un incedere elegante e predatorio.
Esplodono le celle di contenimento, si cancellano i filmati di sicurezza.
Si rincorrono le immagini di Jill, una nebbia confusa di rumore bianco ed energia elettrostatica.
Alexandra allarga le braccia, i capelli una nube dorata attorno al viso e il corpo teso verso l'alto, un arco perfetto e pallido.
Per un attimo il tempo rallenta - si dilata.
Le immagini continuano a scorrere - il desiderio di Excella, la rabbia di Sheva, lo sconforto di Chris, il delirio di Albert - confessioni e segreti, torture ed esperimenti, ordini e suppliche.

"Il Progetto Uroboros sarà rilasciato la prossima settimana."

Alex apre gli occhi e osserva  la sua una vita perduta.


Delle tue belle unghie sono rimaste solo schegge rovinate.
Della tua bocca, un ammasso di pelle cicatrizzata.
Del tuo corpo, una misera struttura organica in grado solo di respirare.

Io non morirò così. Io... non posso. Non voglio.

Kafka è stato un profeta un spietato.


Claire Redfield.
Un nome che scivola sulla lingua - che la impasta di vendetta e malinconia.
Alex ne studia i lineamenti, cercando una qualche somiglianza con il fratello, ma nota solo i fianchi un po' troppo larghi e gli occhi un po' troppo azzurri - come il cielo.
Sospira, e il nodo che ha nel petto arrotola un altro filo spinato sul cuore.

Verde.

La paura non è ancora venuta a farle visita.


La solitudine non è silenzio.
Silenzio era quello che condividevi con Albert, raggomitolata contro il suo fianco e tra lenzuola che sapevano di sangue e morte.
Silenzio era il suono del suo respiro tra i capelli, la consapevolezza di non essere più sola - di non esserlo mai stata.

Plic, plic.

La creatura ti fissa e tu osservi lei, un gigante sventrato e senza alcuna grazia.
L'occhio del passato affonda in tutto quel nero, quello del presente un reticolo grottesco di capillari esplosi e bianco rappreso.

Plic, plic.

Uno scarafaggio ti corre sui piedi, attraversando dita ridicolmente grandi.

Plic, plic.

La tua risata è un suono folle che graffia le pareti della grotta.


La Morte è causa, la Morte è conseguenza.
La presenza di Claire Redfield qui e ora è conseguenza, la tua decisione sarà causa.
La fine di Albert è stata una causa, la tua mutazione una terribile conseguenza.
L'ascesa sarà una conseguenza, il dolore è stato una causa.

Tud.

Cadi, e la libertà non ti è mai sembrata così vicina.

"Protocollo di autodistruzione iniziato."

Rimani immobile, uno straccio bianco e oro.

"Cinque minuti alla detonazione."

La pistola è pesante tra le tue dita e il mondo sta diventando sempre più scuro - sempre più confuso.

"Quattro minuti alla detonazione."

Abbassi le palpebre e...

No.

Adrenalina.

No.

Una corrente sotterranea, una scossa metallica che risveglia istinti sopiti - addormentati da anni passati ad ammaestrare la paura e il suo corollario.

No.

Il Progenitore ruggisce - urla - e lo senti scorrere nel tuo cervello, tra le sinapsi divelte e i neuroni necrotizzati.

No.

Il virus T - Phobos si attiva, verde arancione rosso.

No.

Uno strappo.
Tutto inizia con uno strappo.


"Non guardarmi."
"Alexandra."
"No." tremi - supplichi.
"Alexandra."
Ti porti le mani al volto, soffocando un gemito.
"Sono un mostro."
Dita leggere, fredde.
"Mostro è solo il nome che diamo a ciò che non comprendiamo. A ciò che sfugge ai limiti della mente umana. A qualcosa di così straordinario da non poter neppure essere compreso."
Occhi artici, labbra sottili.
"Non me li ricordavo più." ammetti, sfiorandogli gli zigomi, il naso, la linea dura della mandibola "Trasparenti come il ghiaccio." Bellissimi come lo erano i miei.
Un sorriso sincero - strano nella sua singolarità.
"Non è ancora finita."
Lacrime trattenute, vergogne nascoste.
"Natalia è viva."
Gli stringi più forte la mano, incidendoti il tuo stesso palmo.
"Puoi ancora essere immortale."
Il cuore in gola e la tristezza una rabbia malcelata.
"Puoi ancora essere una dea."
"E tu?"
Un altro sorriso, denti bianchissimi e affilati.
"Io sono già un dio, Alexandra."
Le sue labbra sfiorano le tue senza alcuna paura.


"Chi sei tu?"
"Puoi chiamarmi Overseer."
"Cosa vuoi?"
"Fuggire."

La libertà a volte ha lo stesso sapore di una sconfitta.



Note dell'autrice: Albert Wesker e Alex Wesker non sono fratello e sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono stati cresciuti nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben diverse e distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda l'avvertimento incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di selezione genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello" e "sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione di comportarsi come tali.
Secondo la legge italiana non sono né discendenti né ascendenti, e neppure affini in linea retta, per cui il reato d'incesto non sussiste.
   
 
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