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Autore: Insomniacs_Lullaby    28/04/2015    0 recensioni
"Un giorno capirai il motivo delle mie scelte. Magari tra una vita, magari tra un anno, magari domani...
Capirai e perdonerai. Ma ti prego, ora lasciami andare. Non dovrei essere qui, non dovresti essere con me. In realtà, non dovresti nemmeno essere viva. Ma se tu morissi, di me non sarebbe che un corpo vuoto."
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Chapter 1 – The train
Caldo.
Caldo afoso e aria viziata.
Ormai il vagone è invaso dal silenzio, rotto solo da qualche colpo di tosse.
So che dovrei essere grata di essere a bordo. So che molta gente è morta nel tentativo di salire.
So perfettamente che sono l’unica della mia famiglia ad esserci riuscita, ma se provo ad immaginare l’inferno, in questo momento, lo vedo esattamente così: un enorme treno merci, pieno zeppo di alcuni dei sopravvissuti ai bombardamenti. Niente ossigeno, niente spazio.
Ho i polmoni che fanno male, fatico a respirare, sono in piedi da ore, attaccata allo sportellone.
Non posso sapere da quanto sono esattamente schiacciata qui in mezzo. Il mio bellissimo orologio è andato perso tra le macerie di quella che un tempo era la mia casa, la mia bellissima villa. In quanto al cellulare, non ne ho uno da anni. Le linee telefoniche sono state chiuse o distrutte, internet ormai è solo un ricordo.
Penso e ripenso a quello che ho passato nell’ultimo periodo, gli amici che ho perso.
Ho 17 anni, ma sono già stanca di questa vita.
Mi sento di nuovo incredibilmente egoista, c’è chi una vita non l’ha più.
Decido di smettere di pensare, provoca solo altro dolore. La musica è ciò che mi servirebbe ora.
Nella mia mente compaiono le parole di una vecchia canzone, la mia preferita. Le ripercorro con il pensiero, le sento attraversarmi il cuore.
“I was a quick, wet boy, diving too deep for coins
All of your street light eyes wide on my plastic toys…”
Una piccola lacrima va a rimarcare i segni già tracciati dalle altre. Non sono lacrime di dolore o di paura, quelle credo di averle già versate tutte. Sono lacrime di malinconia, di una profonda e cupa tristezza.
Nonostante sia ferma in quest’angolo da moltissimo tempo, non mi sono ancora preoccupata di osservare i visi e le espressioni delle persone vicine a me.
Alzo lo sguardo, e subito un orribile ritratto di miseria mi si apre davanti.
Donne, uomini e bambini di ogni età si ammassano nel vagone. Molti sono seduti, alcuni in piedi.
I volti sono segnati dal dolore e dall’immensa stanchezza, ma nessuno piange. Sanno di essere quasi arrivati in quella che dovrebbe essere una città che potrà offrire loro un luogo più sicuro.
Io non ne sono convinta.
Certo, la situazione da noi era insostenibile: morti per le strade, bestie randagie che bazzicavano qua e la, poco cibo per troppe persone.
Se non si moriva per le bombe e le sparatorie, si rischiava di morire di fame.
In molti, quindi, ogni giorno cercavano di salire su un treno, per cercare fortuna.
Tendenzialmente chi partiva si lasciava tutto alle spalle. Altri invece facevano avanti e indietro, tra la campagna e Blauvil, per portare il poco cibo che avanzava a coloro che non riuscivano a salire sul treno.
Erano chiamati Angeli Neri, a causa della sporcizia incrostata ai loro vestiti e ai loro visi. Salvavano molte vite, o almeno ci provavano.
Prima di questa notte mi sono sempre chiesta il motivo per cui in molti non volevano provare a salire sul treno, mia madre compresa.
Ora ho capito. La folla è talmente tanta che si rischia di morire schiacciati, e se si riesce a montare a bordo, finche non si chiudono i portelloni, si rischia di cadere sui fili ad alta tensione. L’ho visto succedere a molte persone nel giro di pochi minuti. Orribile.
Di nuovo mi vengono le lacrime agli occhi.
Canta Christina, canta.
“Then when the cops closed the fair, I cut my long baby hair
Stole me a dog-eared map and called for you everywhere
Have I found you
Flightless bird, jealous, weeping
Or lost you, Americ…”
Un rumore assordante blocca il ritmo dei miei pensieri, poi uno scossone. Il treno si è fermato.
Ho il cuore che batte a mille.
Siamo arrivati. Sono viva. Sono salva.
Provo a prendere un respiro profondo, ma l’aria ormai sembra di fuoco. Ho i polmoni che bruciano e sembrano scoppiare.
Siamo tutti ancora in silenzio, ma gli sguardi si sono animati, le teste si sono sollevate e in molti si alzano in piedi.
Sentiamo voci, grida e passi provenire da fuori.
-Sono arrivati, cosa aspetti ad aprire, muoviti!- La voce di una donna riecheggia nel vagone.
E poi, finalmente le porte si aprono.

 

 
   
 
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