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Autore: Sara Saliman    29/04/2015    6 recensioni
Dopo un lungo silenzio, la fronte di Zeus si spianò.
-Sta bene, Ade. A me la Superficie, a Poseidone il Mare. A te, qualunque sia il motivo, il Sottosuolo.-
Così si ebbe la divisione del Mondo, come ancora lo conoscono gli umani.
E così ebbe inizio la mia storia, sebbene allora io non fossi ancora nata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Breve avviso per i lettori: nel secondo paragrafo mi concedo qualche piccola pennellata horror. Personalmente sono così assuefatta al genere che ormai non ci faccio caso, ma mi han fatto giustamente notare che qualcuno più sensibile di me potrebbe restarne turbato.

Siete avvisati! ;P

 

§§§§

 

La bocca di Ade si dischiuse contro la mia in un bacio avido e dolce, animato da una voracità trattenuta. Il sovrano dell'Averno catturò le mie labbra e le saggiò dolcemente tra i denti; le sfiorò con la punta della lingua, suggendole come un frutto maturo. Mentre sprofondavo nella sua ombra, sentivo la sua bramosia: era qualcosa di simile a una fame divorante o a una sete cocente. Eppure ogni suo movimento era cauto, come se il dio non fosse certo di poter percorrere la strada che aveva imboccato... o non fosse certo che potessi percorrerla io. Mi ero aspettata di provare terrore e repulsione per quel contatto, ma non ce ne furono: il ventre mi si sciolse in calore, sentii il mio fiato fermarsi in gola e subito dopo accelerare. Chiusi gli occhi, rapita; la mia bocca si dischiuse come i petali di un fiore. L’unico modo che il mio corpo suggerì per rispondere all’intrusione di Ade, fu lambire la sua lingua con la mia e ricambiare il bacio.

Il dio mi prese il viso fra le mani, reclinandomi il capo all'indietro. Le punte delle sue dita erano fredde, i palmi caldi contro la pelle serica delle mie guance.

Avevo caldo, mi sentivo bruciare.

Le mie ginocchia divennero molli e cercai a tentoni gli avambracci di Ade: affondai le dita nel velluto delle sue maniche, aggrappandomi a lui. Respiro dopo respiro, l'oscurità dietro le mie palpebre acquistava profondità: divenne un luogo in cui non ero mai stata, ma che conoscevo e mi conosceva.

Ebbi la sensazione che il buio mi aspettasse, che avesse innumerevoli volti e la voce gracchiante di tre vecchie signore.

(Benvenuta)

(Bentornata)

(Ti stavamo aspettando)

Spalancai gli occhi di scatto e mi staccai dalle labbra di Ade, vacillando. Ero ancora aggrappata ai suoi avambracci.

Sentivo le guance in fiamme, il corpo pervaso da un languore che non avevo mai provato. Ade indugiò con i pollici sugli angoli della mia bocca, poi mi staccò le mani dal viso. Le sue dita si chiusero sui miei gomiti, sostenendomi.

-Se mi guardi così, aspettare la notte di nozze sarà estremamente complicato.- disse con voce arrochita.

Sapevo cosa significasse andare in sposa a qualcuno, ma solo in quell’istante, con gli occhi neri di Ade piantati nei miei e le labbra ancora calde per i suoi baci, lo realizzai.

Lui è oscurità, pensai. Tutta l’oscurità del Mondo. Mi ha rapita e ora mi vuole mangiare.

La paura mi stritolò la gola.

-Hai parlato di simmetrie,- annaspai -ma un matrimonio serve anche a suggellare un patto.-

-È corretto.- disse Ade, staccandosi da me e facendo un passo indietro. Capii che mi aveva guidato nella comprensione dei suoi progetti, ma non si era aspettato che intuissi quella intenzione. Senza rendermene conto, feci un passo avanti.

-Ma se desideri un patto tra la Superficie e il Sottosuolo, perché prendere in moglie una figlia illegittima? Perché sposare me?-

Qualcosa di lancinante e famelico balenò nello sguardo del dio. Avrei dovuto essere terrorizzata, e finalmente lo ero. Ma mentre quel buio mi si dibatteva dinanzi, io lo fissai e riconobbi...

Tormento.

Fu tale lo sconcerto, che il mio cuore mancò un battito e quasi dimenticai la mia paura.

Il tormento di un seme stanco di attendere, ormai impaziente di germogliare.

Sollevai una mano verso il viso di Ade, cercando, credo, di sfiorargli uno zigomo. Il dio si ritrasse prima che arrivassi a toccarlo e chiuse una mano bianca sulla mia.

-Ti tratterò bene.- disse, portandosi le mie dita alle labbra.

La paura tornò ad afferrarmi, e con essa la disperazione.

-Ti prego, riportami a casa!-

Ade scivolò via da me, come un’ombra che si ritraesse. Mi passò accanto e si allontanò in direzione della porta.

-Il castello è a tua disposizione, e così tutti coloro che lo abitano.- Parlò in tono impersonale, non mi guardò nemmeno. Solo molto tempo dopo mi sarebbe venuto in mente che forse, in un modo obliquo, con quelle parole stesse cercando di ripagarmi per ciò che mi aveva strappato.

Mi voltai verso di lui, stringendo i bordi del tavolo fino a provare dolore.

-Ade, aspetta! Ti chiedo un dono! Un dono di nozze!-

Mi gettò uno sguardo da sopra la spalla, immobile, le dita appoggiate sulla maniglia.

-Non ti riporterò in Superficie. Perciò smetti di chiederlo.-

-Allora dammi del tempo! Ho bisogno di abituarmi a questo posto… all’idea di vivere qui!-

Ho bisogno di abituarmi a te!

Non osai confessare la mia paura e sperai davvero, ingenuamente, di riuscire a nasconderla. Ora so che me la lesse negli occhi al pari di tutto il resto, sebbene evitasse accuratamente di mostrarlo.

Per un istante parve esitare, e osai sperare nella sua compassione. Poi le sue labbra si dischiusero e le sue parole fendettero l’aria in un sussurro.

-Non occorre che ti dia del tempo. Avrai tutta l’eternità per abituarti.-

Mi nascosi la faccia tra le mani, chiudendo gli occhi.

Udii lo scatto sommesso di una serratura e seppi che Ade aveva lasciato la stanza, abbandonando dietro di sé le macerie e la polvere di troppe certezze sgretolate, e un tenue profumo agrumato sui miei polpastrelli, dopo che glieli avevo poggiati sul petto.

 

§§§§

 

Non so per quanto tempo rimasi in quella stanza.

Mi rannicchiai sul pavimento in posizione fetale, premetti la tempia contro le venature fredde del marmo, cercandovi il profumo confortante del seno di mia madre, il calore della terra bruna baciata dal Sole, ma non lo trovai, e allora piansi in silenzio. Mi chiesi dove fosse in quel momento Demetra: se fosse stata avvertita della mia sparizione, se mi stesse già cercando per i boschi e le valli, gridando il mio nome verso il cielo azzurro, se già disperasse di trovarmi.

Pensai a Leucippe e al nostro litigio: non le avevo chiesto scusa per il mio comportamento, e adesso non l'avrei più rivista.

Mio padre mi troverà, mi ripetevo per confortarmi, stringendomi le braccia attorno al corpo. Lui è lampo e folgore: ha squarciato il ventre di Crono, ha guidato l’esercito che ha soggiogato i Titani. Mi cercherà in lungo e in largo sulla Superficie, calcherà i fondali sabbiosi del Mare chiamando il mio nome. E quando non mi troverà nemmeno lì, allora capirà chi mi ha rapita, e…

Un suono improvviso mi fece sollevare la testa. Iniziò come un uggiolio monocorde, tremante, e crebbe lentamente di intensità. Si gonfiò nella sala come una bolla, sempre più sgradevole, infine esplose in un frastuono insopportabile, un latrare e ululare di innumerevoli cani, che mi costrinse a tapparmi le orecchie con le mani e mi ricoprì le braccia di pelle d’oca.

Poi, improvviso com’era esploso, il frastuono si spense. Aprii gli occhi, rendendomi conto solo in quell’istante di averli serrati: due fuochi azzurri erano comparsi dal nulla e ondeggiavano nell'aria, avanzando nella mia direzione.

Mi levai in ginocchio e mi asciugai in fretta le lacrime con i palmi delle mani.

Le due fiamme fluttuarono verso di me, illuminando il mio incarnato dorato di freddi riflessi spettrali.

-Eccola qui,- esclamò una voce soave e pastosa, proveniente dal cuore pulsante di una delle fiamme. -La figlia dell'Olimpo di cui Minta ci ha parlato!-

-Tanto lontana da casssa.- fece eco il secondo fuoco. Scivolò alle mie spalle e, nel farlo, mi passò vicino alla faccia: una vampa si staccò dal suo nucleo azzurro e crepitò vicino alla mia guancia. Lanciai un grido, prima di rendermi conto che la fiamma non mi aveva ferita, perchè non emanava alcun calore.

-Chi siete?- gridai.

-Che insssolenza.- squittì il fuoco fatuo alle mie spalle. -Minta ha ragione: sssei molto maleducata!-

-Cosa…?-

-Ha detto sei un’insolente.- spiegò l'altro fuoco fatuo, con voce dolce come miele di timo. -Non capisci la nostra lingua, carina?-

Guardandolo fisso, mi accorsi che fra le fiamme azzurrine si nascondeva un volto sogghignante.

-Smettete di prendermi in giro! Mostratevi per ciò che siete!-

Come molti anni prima di fronte a una porta di quercia sbarrata, avevo parlato senza riflettere e senza consapevolezza, eppure la realtà mi ubbidì: le fiamme davanti a me vacillarono e tremarono come investite da un vento fortissimo. La luce azzurra si ingigantì, quindi si attenuò fino a svanire, svelando al suo interno una bimba bianchissima: bianca la pelle, bianchi i capelli, bianca la veste che le arrivava fino ai piedini nudi. Al posto degli occhi, la bimba aveva due vesciche piene di sangue; le sgranò verso di me così tanto che temetti potessero scoppiarmi in faccia.

-Sei così piccola,- esclamò con quella voce incantevole. -Assai più piccola di Minta!-

Protese verso il mio viso le piccole mani, munite di tre dita ciascuna. I palmi erano lisci, argentei come il ventre di un pesce.

Istintivamente mi ritrassi.

-Piccola quasssi quanto noi.- fece eco una voce alle mie spalle. Al posto dell'altro fuoco fatuo, c'era adesso una bimba dai capelli ricciuti. Aveva un colorito cinereo e tra le sue labbra rosee intravidi una lingua lunga e biforcuta, da rettile. -Ma hai occhi più belli dei nossstri. E capelli più sssoffici.-

-Adesso te li strappiamo, così sarai proprio come noi!- esclamò la bambina bianca, avventandosi verso di me.

Urlai e mi lanciai contro la porta, cercando la maniglia a tentoni. Le due bimbe avanzavano verso di me tendendo le braccia: avevano passi barcollanti e si muovevano a scatti, come se il mio occhio non riuscisse a cogliere tutti i loro movimenti, o avessero articolazioni sbagliate. Trovai la maniglia e spalancai la porta, ritrovandomi nell'oscurità del corridoio. Corsi in mezzo alle ombre, sotto lo sguardo di occhi nascosti e l'incessante macinare di denti che si levava dall'oscurità negli angoli.

Trovai le scale di marmo e feci i gradini a rotta di collo, le statue bianchissime che mi fissavano con occhi ciechi, le cariatidi che mi deridevano. Mi tappai le orecchie per non udire le loro risate. Con la coda dell'occhio vedevo fiamme azzurrine riflettersi sulle pareti di marmo nero: adesso, a mente fredda, mi rendo conto che tutti i bracieri disseminati per il castello avevano quel colore, ma allora ebbi la certezza che le due Empuse mi stessero inseguendo per strapparmi la faccia.

Vidi Minta prendere forma nell'oscurità dell'ingresso. Scorsi nei suoi occhi scuri il mio viso rigato di lacrime, la mia espressione sconvolta.

Mi sorrise, un sorriso freddo e ostile: aveva compreso al volo che stavo fuggendo, e per un terribile istante pensai che mi avrebbe afferrata per un polso e scaraventata contro il muro, dando l'allarme.

Con mia sorpresa, la ninfa infernale tese una mano pallida verso una porta.

-Se vai da quella parte,- sussurrò -troverai delle scale. Percorrile, e arriverai nelle stalle. Una volta lì, corri verso il Cocito: sulle rive del lago ghiacciato si nasconde un passaggio per la Superficie.-

Sbattei le palpebre, fissandola ottusamente.

Minta si accigliò.

-Che cosa aspetti, stupida! Vai!- sibilò in un'espressione così malevola che mi fece trasalire.

Balbettando un ringraziamento, imboccai la porta che mi aveva indicato e da lì delle scale di pietra grezza, che discesi fino a trovarmi in un ambiente dal basso soffitto a volta, e dal pavimento di terra battuta.

Senza smettere di avanzare, volsi uno sguardo sopra di me, per essere certa che nessuno mi seguisse... e andai a sbattere contro un petto sconosciuto.

Due mani mi sostennero, impedendomi di cadere.

-Persefone?! Che cosa ci fai qui?-

Sollevai lo sguardo e incontrai il volto glabro e tondo di Ipno, le sopracciglia scure sollevate per la sorpresa. Il Sonno mi sorrise con indulgenza; due fossette fecero capolino sulle sue guance.

-Sembri sconvolta, cara! Ti sei persa? Ti riaccompagno.-

Oh, somigliava così tanto a Ermes!

Stessa bassa statura, stessa corporatura snella, stesso sorriso dolce e impenitente.

Mi aggrappai alla sua casacca con lo stesso trasporto con cui avrei abbracciato mio fratello.

-Oh, Ipno, mi dispiace! Mi dispiace tanto!-

Il dio mi fissò senza capire: le ali che gli circondavano il capo si aprirono e si richiusero inquiete.

-In che senso ti dispiace? Di che cosa?-

-Io voglio solo tornare a casa!-

Sentivo le palpebre appesantirsi, gli occhi pizzicare per il desiderio di chiudersi.

No, no, no!

Non potevo cedere al suo potere.

-Persefone...?-

Qualunque cosa Ipno stesse per dire, non ebbe il tempo di finire la frase. Rami eruppero dal suolo dell'Averno, si strinsero attorno alle sue caviglie, facendolo cadere.

-PERS...!- rami e foglie si attorcigliarono intorno al suo viso: la sua voce si trasformò in un suono soffocato che rimbombò contro i soffitti a volta delle scuderie, facendo scalpitare i cavalli.

Le piante non possono dormire, pensai con un misto di esultanza e di angoscia.

Attraversai di corsa le stalle, passando in mezzo ai recinti. Gli arbusti nascevano incontrollati al mio passaggio, erompendo dal suolo sterile al ritmo forsennato del mio cuore, facendo nitrire e impennare i destrieri.

Mi voltai indietro una sola volta: la figura di Ipno era appena distinguibile; si dibatteva sempre più piano tra i rami sottili dei rampicanti.

Non fategli male! implorai, per niente certa che le piante mi avrebbero ascoltato.

Poi varcai le porte delle scuderie e mi ritrovai all'esterno.

 

§§§§

 

La non-luce livida di Erebo mi circondava da ogni parte, sfumando i contorni delle cose e celandomi agli sguardi dei figli dell'Averno.

Le porte delle scuderie si aprivano nel fossato che circondava il Castello: corsi verso il pendio, affondando le dita nella terra dell'Orco fino a spezzarmi le unghie, aggrappandomi agli arbusti per scalare il canale. Sotto di me udivo voci scomposte levarsi nel buio: qualcuno aveva trovato Ipno e stava dando l'allarme. Una sagoma alata che mi parve Thanatos planò dall'alto verso il fondo del fossato: mi rannicchiai istintivamente con le mani sopra la testa, terrorizzata all'idea che la Morte mi trovasse.

Quando la scalata finì mi ritrovai all'aperto, sul fianco di una collina erbosa, punteggiata di pochi alberi. In fondo al pendio, scorsi il riflesso lucido del Cocito: la superficie del lago rifletteva e assorbiva l'oscurità informe di Erebo, estendendosi a perdita d'occhio come un'unica lastra di ossidiana.

Ebbi un tuffo al cuore: il Cocito era più grande di come lo avevo immaginato. Minta aveva parlato di un passaggio per la Superficie, ma non mi aveva dato alcun punto di riferimento che mi aiutasse a trovarlo.

Le voci alle mie spalle crescevano di intensità: adesso non sembravano più così scomposte: qualcuno stava dando degli ordini e forse la mia sparizione era già stata notata.

Afferrai le vesti per sollevarle dal suolo, e ripresi a correre verso il lago.

Man mano che mi avvicinavo, sentivo il suolo farsi sempre più freddo e duro. Presto incontrai fili d'erba coperti di brina, che crepitavano sotto i miei piedi intirizziti, e alberi imbiancati di una sostanza vitrea e gelida, che non avevo mai visto. Man mano che mi avvicinavo al lago, la temperatura si abbassava e la sostanza vitrea si raccoglieva in cumuli sempre più ampi, seppellendo le zolle sotto una soffice coltre bianca.

Quando arrivai sulla riva del Cocito e ne contemplai la superficie ghiacciata, mi era ormai chiaro che era il lago stesso a irradiare quel gelo abnorme.

Mi strinsi le braccia attorno al corpo, il fiato che si rapprendeva in vapore. Non riuscivo più a sentire le gambe né i piedi, e un dolore urticante mi inghiottiva le mani fino ai polsi.

Il passaggio: devo trovare il passaggio!

Una parte piccolissima e lontana di me, rimasta miracolosamente lucida, mi gridò un avvertimento, ma io la udii appena.

Le parole di Ade galleggiavano disordinate nella mia memoria, in mezzo ad altri pensieri urgenti e convulsi.

...la collina sotterranea su cui dimoriamo noi dèi inferi...

La sua voce era un suono lontano, che si componeva e si scomponeva sotto il fischio del vento.

...e il lago ghiacciato del Cocito, sotto il quale si spalanca...

C'erano delle creature attorno a me. Si protendevano dai tronchi gelati degli alberi, scrutandomi con volti alieni, gli occhi simili a fiori di papavero.

Ninfe avernali, pensai, ma non ne ero sicura né mi importava.

Corsi goffamente lungo la riva, con la coltre bianca che ingoiava le mie gambe ad ogni passo e la veste troppo leggera, che non mi riparava dal gelo e si impigliava dappertutto.

Il suolo franò sotto i miei piedi sanguinanti e crollai sulla superficie ghiacciata del lago, ruzzolando e slittando lontano dalla riva. Cercai di rialzarmi, ma i miei piedi nudi scivolarono e mi ritrovai ancora più distante dalla costa, sotto raffiche di vento sempre più gelido, sempre più forte.

Come in un incubo, il ghiaccio sotto di me cominciò a scricchiolare.

Abbassai lo sguardo, terrorizzata, e li vidi: due occhi giganteschi mi fissavano dalle profondità del lago, oscure quanto Erebo stesso.

...il lago ghiacciato del Cocito, sotto il quale si spalanca la voragine del Tartaro.

Finalmente la mia mente riuscì ad afferrare le parole che inseguiva da un'infinità di minuti.

Minosse ha scoperto tre nuove crepe sulla superficie ghiacciata del Cocito.

Ebbi giusto il tempo di capire cosa significasse.

Quando, un istante dopo, la crepa si allargò, io stavo già gridando.

 

§§§§

 

Note dell'autrice:

Sono in ritardo e me ne scuso, posso solo sperare che la lettura sia valsa l'attesa! Questo capitolo ha allegramente deragliato sui binari della Bella e Bestia (*Saliman spolvera l'altarino*): dalle cariatidi animate presenti nel fim di Cocteau, alla fuga di Belle presente nell'adattamento Disney e ripresa nella versione di Gans, non ci siamo fatti mancare nulla!

Ultimo ma non ultimo: un Grazie a Viola, che con i suoi suggerimenti mi ha aiutato a venur fuori da un'impasse e a completare il capitolo nel modo più funzionale alle esigenze della trama (a buon rendere, sweetie!)

E insomma, un abbraccio a tutti!

Saliman

   
 
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