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Autore: Biszderdrix    30/04/2015    2 recensioni
Come possiamo sapere se siamo pronti per le sfide del mondo? Come possiamo sapere se saremo all'altezza di ogni nemico? Ma soprattutto... se fossi tu stesso il tuo nemico?
L'intera saga di Dragon Ball e degli eroi che tutti amiamo riscritta dalle origini del suo stesso universo, per intrecciarsi a quella di un giovane guerriero, che porta dentro sé un potere tanto grande quanto terribile, dai suoi esordi fino alle sfide con i più grandi nemici, e la sua continua lotta contro... sé stesso.
Se non vi piace, non fatevi alcun problema a muovere critiche: ogni recensione è gradita, e se avete critiche/consigli mi farebbe piacere leggerli, siate comunque educati nel farlo.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO VENTICINQUESIMO- AMORE

«Un altro brindisi per la nostra nuova coppia di sposi…» alzai il mio calice prima che Yamcha potesse finire « e per il nostro amico ritrovato!»

A quel punto, mi sentii profondamente in imbarazzo, con tutti gli occhi che improvvisamente si erano voltati verso di me dai diversi tavoli.

Poi sentii una leggera gomitata, e un flebile sussurro all’orecchio: «Rialza il calice, cretino…»

Pamela parlava quasi con la bocca chiusa, ma riuscii comunque a farsi sentire: risollevai immediatamente il mio calice e tutti brindarono allegramente, soprattutto Yamcha, che al tavolo con gli sposi non faceva niente per diminuire la sua sbornia, anche se ora non era più il solo che si stava lasciando andare, guardando le condizioni del maestro Muten e dello Stregone del Toro.

Tutti, a parte Vegeta e Piccolo, freddi e isolati come loro solito, si stavano divertendo un mondo: Kreed aveva rischiato di mandare tutto a monte, ma fortunatamente me ne ero liberato piuttosto in fretta, e ora stavamo proseguendo il ricevimento. Avevo ancora addosso la mia tuta da combattimento, non proprio l’abito consono all’occasione, ma a chi importava dopo quello che era successo.

«Ehi fenomeno, qui c’è qualcuno che vorrebbe conoscerti!»

Mi voltai verso Pamela: chi è che non potevo conoscere tra i presenti? Mi sopresi quando vidi che sulle sue ginocchia si era seduto Trunks, fresco di terzo compleanno.

«Ciao! Io sono Trunks! Tu sei l’amico della zia?»

A quell’appellativo guardai Pamela scherzosamente, poi tornai a guardare il piccolo.

«Si, io sono Daniel Trunks: noi due ci siamo già conosciuti, quando eri appena nato. Ma non te lo ricordi, eri ancora un neonato…»

Mi guardò con una faccia incuriosita: «E perché non sei venuto al mio compleanno?»

A quella domanda, ebbi un sussulto. “Avessi perso solo il tuo compleanno, cucciolo…” pensai, sul volto di Trunks la stessa grande espressione di curiosità.

«Eh… ero impegnato, Trunks: importantissimi impegni…» gli dissi, esagerando scherzosamente il tono della mia voce. In fondo era ancora un bambino, nonostante si dimostrasse anch’egli molto intelligente.

Cosa che avrà sicuramente ereditato dalla madre.

«Quindi tu combatti come il mio papà? Sei forte come lui?» mi chiese nuovamente, fremendo dall’entusiasmo.

«AH! Meno male che lo hai chiesto a me e non a tuo papà, piccolo… comunque, diciamo che me la cavo. Ma sii orgoglioso del tuo papà, che è uno dei combattenti più forti dell’universo!»

Ero sincero: Vegeta era un grandissimo guerriero, era un dato di fatto. Non avrei di certo detto ad un bambino, i cui occhi erano ora ricolmi di ammirazione, che suo padre sapeva essere anche un grandissimo stronzo: ma anche quello, si poteva sopportare.

«WOW! Un giorno voglio diventare forte come tutti voi!»

«Confido che ce la farai, Trunks…»

Anche questa volta, ci credevo davvero: in fondo si trattava di un saiyan, aveva la lotta nel dna. Poi il piccolo scese dalla gambe di Pamela e fece per andarsene, quando all’improvviso fece qualche passo indietro e mi afferrò il braccio.

«Posso chiamarti zio Daniel?»

Sgranai gli occhi: in quel momento mi sentivo veramente molto, molto in imbarazzo. “Io zio?! Ho 18 anni, per la miseria!” pensai, sul momento. Ma quando poi guardi i suoi occhi vispi, pieni di entusiasmo, mi addolcii: in fondo, non c’era niente di male.

«Ma certo, Trunks!» gli risposi, accarezzandogli affettuosamente la testa, scompigliando un po’ i suoi capelli viola.

Lui allora se ne andò, prendendo la direzione della madre, che era seduta vicino a suoi genitori: notai che tutti gli altri si erano invece radunati vicino al tavolo degli sposi, e pare stessero facendo una bella chiacchierata, tutti insieme: non c’era C-17, che se n’era praticamente andato immediatamente dopo Kreed, dicendo che “si era divertito a sufficienza”.

Io e Pamela eravamo seduti da soli: la nonna si era offerta di sistemare lei i piatti e le stoviglie, lasciando a Chichi qualche istante di riposo. Mi voltai, giocoso, verso di lei: «Zia Pamela, eh? Spero non ti tocchi intrepretare il ruolo della vecchia zia acida e zitella, anche se ti si addice…»

Lei mi colpì con un buffetto sulla spalla: «Cretino! Sei un cretino! E comunque non sarò sola, ZIO Daniel…»

«Touché.»

Una cosa, di sicuro, non sarebbe mai cambiata: il fatto che l’ultima parola capitasse sempre a lei.

«Adesso, seriamente, come mai?» le chiesi.

«Sei uscito per due anni dalle nostre vite, ma pensavo ti rendessi conto che nella vita può succedere di tutto, no?» mi rispose, sorseggiando dal suo calice.

Una risposta che comunque non mi aveva soddisfatto: sapeva che volevo più che una risposta al perché la chiamasse “zia”.

Sbuffò. «E va bene…» disse, sospirando «Quando ti isolasti, io e tu nonna abbiamo dovuto affrontare diverse problematiche, tra cui quelle economiche: Bulma fu comunque molto generosa ad offrirmi un posto di lavoro alla Capsule. La nostra amicizia si è fatta più salda, e quindi abbiamo iniziato a vederci spesso anche fuori dal lavoro, quindi ho potuto vedere spesso anche Trunks. Ti basta?»

«E… il lavoro, com’è?»

«Tosto: l’assistenza clienti della Capsule è un inferno, e a me spettano anche i turni più lunghi, fai te… Bulma su questo non ha potuto fare nulla, è il regolamento aziendale per i neo assunti: ma almeno la paga è buona.»

E in quel momento prese nuovamente un sorso dal suo bicchiere. Io girai lo sguardo, quasi imbarazzato: a cosa l’avevo costretta? Magari, se ci fossi stato anche io, non si sarebbe dovuta ridurre a sgobbare così…

«Ehi, sei tornato nel tuo mondo?»

La sua voce mi fece sobbalzare un istante: effettivamente si, mi ero straniato per un istante.

«No, eh, perché devi anche tu rispondere alle mie doman-»

«EHI RAGAZZI! Che fate lì da soli? So che non sto interrompendo niente, quindi dai, unitevi a noi!» disse un evidentemente sbronzo Yamcha, dal tavolo degli sposi.

Pamela mi guardò, quasi scherzosamente: «Li hai sentiti? Ora avrai anche un pubblico più vasto… andiamo?»

Ricambiai il suo sguardò di superiorità.

«Prima le signore.»

Così la feci alzare prima di me, e la seguii alla tavolata dove si erano radunati praticamente tutti.

«Che vi raccontavate, ragazzi?» chiese Crilin.

«Oh, stavo giusto per chiedere a Daniel dei chiarimenti su questi suoi due anni ne suo magico mondo…» disse Pamela.

Ovviamente sapevo che scherzava, vista come si era risolta la cosa: sapeva benissimo anche lei della pericolosità dell’esperienza che ho vissuto. Ma non era il momento di controbattere: bisognava rispondere con lo stile che loro rivolevano.

«Si, ma prima ci sono da recuperare due anni di vero Daniel Ryder: ora vi darò una dimostrazione di come farlo in pochi istanti.» dissi, alzando l’indice, a darmi un aria da sapientone.

«Mi sembra giusto iniziare dagli sposi.» dissi, camminando dietro le loro sedie, mettendomi in mezzo a loro, e posando una mano sulla spalla di ciascuno.

«Tanti, tanti, auguri ad entrambi, e scusate se feci lo stronzo, tempo fa: mi potete perdonare?» dissi, arricciando le labbra ed esibendo la più pietosa espressione possibile.

«Aha! Ma ti pare!» disse immediatamente Crilin, al che diedi rapidamente ad entrambi un bacino sulle guancia.

«Grazie grazie grazie! Allora, devo comunque dirti che la scelta di farti crescere i capelli l’hai davvero azzeccata, amico.»

«Visto?!» disse Yamcha.

«Beh, tu quelle cicatrici non le nascondi con alcun taglio!» gli dissi, muovendomi improvvisamente al suo fianco, mettendogli il gomito sulla spalla.

«Ehi, guarda che ho *hic!* avuto un sciacco di donne, io… *hic!*» mi rispose, biascicando.

«Ovvio… spera solo che non iniziamo a giocare a baseball anche noi, però! AHA!»

Lui parve avvilito, allora strinsi il suo collo nel mio braccio, e gli dissi: «Dai, lo sai che scherzo!»

«Sei ubriaco?» mi chiese Pamela.

«No, sto solo cercando di recuperare due anni di VERO Daniel Ryder ora che siamo tutti qui. Appunto, alla meravigliosa sposa…» dissi verso C-18, facendole il baciamano «volevo fare un appello: tienitelo stretto, anche perché certe sue vecchie frequentazioni mi spingerebbero ad un altro isolamento.»

Il cyborg parve piuttosto imbarazzata, mentre gli altri risero per il chiaro riferimento a Marion: si girò verso Pamela, che però aveva il palmo della mano sul viso, in chiaro segno di resa.

«Sei ubriaco.» disse, con fermezza.

«Ma cosa dici! Anche se, mi sentò un po’ uno schifo a tirare in ballo le ex dello sposo il giorno del suo matrimonio: credo sia il caso di tornare seri!»

«La vedo dura…» disse Gohan, ridacchiando.

«Ehi, io sono fatto così! Che a proposito, qui c’è un’altra persona che mi dovete presentare! Come va piccolo?» dissi, volgendomi verso il piccolo Goten, tra le braccia di Chichi «Tu devi essere Goten! Giusto? Giusto?» feci qualche smorfia, mentre mi piegavo su di lui.

Il piccolo si mise a ridere, mentre lo stuzzicavo con l’indice, che fu lesto ad afferrare.

«Gli piaci.» mi disse Chichi, Goten che ancora rideva di gusto tra le sue braccia.

«Direi! Non vuole staccarsi più! Mi sembra che somigli a qualcuno… o no, gente? Sono sicuro di vedere una certa somiglianza…» dissi, facendo un chiaro riferimento a Goku, del quale il bambino era una copia spudorata.

«Non sei l’unico, figliolo.» intervenne il maestro Muten «E fidati se ti dico che lui come tutti noi sarebbe felice di rivederti così.»

«Io sinceramente ti preferivo silenzioso e meno pagliaccio.» tuonò improvvisamente la reazione di Vegeta, comparso alle mie spalle «Ma comunque, devo accettare che non tutti siano dello stesso parere, per quanto me ne importi: tu però, ragazzo, ci devi delle spiegazioni.»

A quel punto mi zittii, mentre gli occhi di tutti conversero su di me, accomunati dalla stessa espressione di curiosità.

«No, dai, ragazzi, non è una storia interessante…»

«Invece credo proprio che lo sia.» disse all’improvviso la voce di Piccolo «Come hai fatto a controllare quel mostro?»

A quel punto non c’era più via d’uscita: con anche il namecciano che aveva raggiunto il tavolo, presi una sedia e mi sedetti.

Mi resi conto che ricordare quei momenti mi pesava, e parecchio: mi misi comodo sulla sedia, e presi un profondo respiro.

«Vi dico solo, che è dura ricordare quei momenti, ma visto che siete così interessati…»

Allora iniziai a raccontare, partendo dal sogno che avevo avuto durante il coma, proseguendo descrivendo la sua voce che ogni giorno mi tormentava.

«Minava le mie sicurezze: ho perso fiducia persino nelle affermazioni di mio padre, e lui viveva di questo, ogni giorno mi corrodeva l’animo. Ma poi, ieri sera, ho avuto un’illuminazione, e ho rialzato la testa: in ogni caso, nonostante ora domi completamente il suo potere, non sono potente come lo era quel mostro che mi faceva diventare. Ma la cosa importante è che se ne sia andato, per sempre…»

Ci fu qualche istante di silenzio, i loro sguardi ancora fissi su di me.

«E come lo avresti affrontato?» mi domandò Tensing.

«È stato strano: quando liberai il suo potere, cercando comunque di mantenere il controllo, mi sono ritrovato come fuori dal mio corpo. Da quel che ho capito, eravamo all’interno della mia testa: una grande area bianca, che lui provò a ricoprire di oscurità…» gli risposi, senza però concludere.

Presi un altro profondo respiro e proseguii: «Nel momento in cui mi stava per prendere, pensai a quello che vi avrebbe fatto se lo avessi lasciato vincere, e a come avrei deluso tutti voi: lì ho trovato la forza per reagire… e per vincere.»

Nel gruppo calò nuovamente il silenzio: io mi strinsi le mani e li guardai, a mia volta.

«Vi basta?» gli chiesi.

Rimasero ancora in silenzio, finché non fu proprio il maestro Muten a romperlo: «Come mio ex allievo, io non posso che essere orgoglioso di questa cosa: hai sconfitto i tuoi demoni e ora sei diventato un guerriero potente come un super saiyan…»

«Ah, gli piacerebbe!» sbottò Vegeta.

«Eh dai Vegeta, lo ha appena dimostrato! Hai visto anche tu come ha umiliato Kreed!» gli rispose Crilin.

«Solo perché quell’ammasso di sputo spaziale ha ricorso ai suoi soliti trucchetti! Altrimenti avrebbe assaggiato il vero potere di un super saiyan!» rispose, a sua volta, un irritato principe dei saiyan. «Ma quantomeno mi ha dimostrato di non essere un verme arrendevole.» disse, poi, dandomi quasi la soddisfazione di averlo stupito.

«Beh, se permettete, ora credo sia il caso di continuare a festeggiare, no? A parte lo spettacolino di prima, ho seriamente due anni da recuperare con voi, gente, e non adesso che ne ho la possibilità, non voglio sprecarla ricordando ciò che è ormai il passato…» dissi, cercando di stemperare la tensione.

Anche se era effettivamente quello che volevo.

«Giusto! E visto che ci hai raccontato di un tuo grande successo, questo ci dà un altro motivo per festeggiare!» disse Yamcha, stappando una nuova bottiglia, che chissà da dove avesse recuperato.

Ma non gli detti molta importanza, come tutti in quel momento: proseguimmo nei festeggiamenti, senza più alcun pensiero per la testa, cosa che mi mancava da parecchio tempo.

Ogni sorriso, ogni abbraccio, ogni parola che venne scambiata quel giorno, acquisii per me un significato più forte: era finalmente, tornato tutto alla normalità.

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Pamela guidava concentrata, gli occhi fissi sulla strada: poiché la nonna non sapeva volare, eravamo stati costretti a muoverci con la macchina.

Era un viaggio piuttosto lungo, dal monte Paoz all’Ovest in macchina: fortunatamente, le auto della Capsule erano parecchio veloci, e i collegamenti stradali con Satan City, molti.

Mi venne in mente quanto mi dava fastidio doverla chiamare così, ora: tutto per colpa di quel buffone di Mr. Satan, e la sua capacità di prendersi il merito. Se non fossimo costretti a mantenere un profilo basso, si sarebbe già ritirato dal mondo dei combattimenti…

Mi accorsi che era ormai notte inoltrata, mentre mi colpirono quei pensieri: non ero neanche troppo assonnato, forse perché mi ero abituato a quantità di alcolici molto maggiore di quella che bevvi alla festa.

Alla fine ero anche riuscito a complimentarmi, seriamente, con Crilin e C-18: notai che anche la cyborg sembrava apprezzare la mia compagnia, nonostante la sua attitudine fredda.

«Ahhhh, ho una dote più potente di qualunque tecnica: io piaccio a tutti!» dissi, stranamente, ad alta voce.

«Fai piano! Sveglierai tua nonna!» mi rispose Pamela, irritata.

«Tranquilla, in questo stato non la sveglierebbe neanche un cannone…» dissi, abbassando comunque il tono di voce, nonostante dietro di noi, nonna Amy fosse caduta in un sonno profondissimo.

«E comunque, credo che in realtà ti compatiscano, perché sei un gran pagliaccio…»

«Hai iniziato a frequentare anche Vegeta?»

Lei mi fece la linguaccia, voltandosi per un secondo: «Sai che mi piace prenderti in giro, scemo: alla fine, è stato bello rivederti così scherzoso, oggi…»

«E a me invece è piaciuto vederti in un vestito così elegante: questa volta sembravi perfino una donna…» dissi, ridacchiando, e ricevendo uno schiaffetto sulla spalla.

«Guarda la strada! E poi, seriamente, mi piaci tanto, vestita così elegante…»

«Ah, grazie…»

Calò per un istante il silenzio tra noi, finché non vedemmo il cartello che indicava l’uscita per Pepper Town.

Era ormai notte fonda quando arrivammo in città: in giro non c’era nessuno. Svegliammo nonna Amy, e insieme rientrammo in casa, percorrendo in silenzio le scale del condominio.

Una volta che la nonna fu a letto, Pamela andò in cucina, probabilmente per bersi un bicchiere d’acqua, non lo sapevo.

Io mi sedetti sul divano: mi fermai un attimo a guardare il soffitto, e pensai. Pensai a tutto quello che era successo, e come ieri sera, notai come la vita fosse ripresa senza scossoni particolari, nonostante avessi passato la bellezza di due anni fuori dalle vite delle persone a cui tenevo.

Mi alzai, pronto per andare a letto: decisi comunque di farmi un bicchiere d’acqua. Andai in cucina, e vidi che Pamela stava ordinando le stoviglie lasciate sul bancone dell’ultimo lavaggio, proprio vicino al lavandino.

«Non ti fermi proprio mai, eh?» le dissi.

«Beh, adesso ci sei anche tu, non credere che non toccherà anche a te svolgere qualche lavoretto.» disse, chiudendo un cassetto.

Io sorrisi: sapevo che non avrei potuto obbiettare, se le voleva una cosa, l’avrebbe ottenuta. E questa volta, avrei obbedito con piacere.

Mi avvicinai al bancone, per prendere un bicchiere pulito, quando per sbaglio, le nostre mani si sfiorarono. La allontanai bruscamente, per darle spazio.

Mi voltai, e la sua reazione mi sorprese: anche lei aveva ritratto a sua volta la mano. Ci guardammo, sorridendo, pensando che da un momento all’altro avremmo ripreso a fare quello che stavamo facendo normalmente.

Invece, entrambi non riuscivamo a distogliere lo sguardo l’uno dall’altra.

Mi persi in quegli occhi scuri, il suo sorriso che era ormai una sfumatura.

Finché non lo vidi più.

Fu molto rapido: i nostri volti si avvicinarono improvvisamente, le nostre labbra si incontrarono automaticamente, in un bacio appassionato.

In quel momento, persi completamente la concezione del tempo: mi persi nel movimento delle nostre labbra che si cercavano con foga.

Misi la mano tra i suoi morbidi capelli rossi, le sue mani che stringevano le mie guance.

Finché non ci separammo: io la guardavo, quasi sorpreso. Lei, invece, aveva un’espressione carica d’affetto in viso: il sorriso più bello che avessi mai visto.

Strinse le sue braccia attorno al mio collo, e mi sussurrò all’orecchio: «Ti ho sempre aspettato.»

Fu allora che ci baciammo nuovamente: questa volta fu delicato, affettuoso. E alla fine, le sorrisi a mia volta.

«Vieni.» mi sussurrò nuovamente, prendendomi per mano.

Io mi lasciai guidare, perso completamente nel momento: probabilmente, avevo in faccia il sorriso più ebete che potessi mai assumere.

Ogni cosa di lei, ora, mi sembrava angelica: vedevo una donna, dal fisico perfetto, ben allenato, graziosa ed affettuosa, e non più quel maschiaccio con cui ero cresciuto.

Mi guidò in camera mia, e mi lasciò sedere sul letto, mentre lei chiuse la porta con la schiena, appoggiandovisi.

«Secondo te sto bene con questo vestito, no?» mi chiese, la voce bassa.

«Oh, eccome.»

«Perché sai, io non mi ci sento molto a mio agio…»

E in quel momento se lo tolse, con un movimento rapido, rimanendo in intimo.

Io la contemplai, come davanti ad un’opera d’arte: non avevo mai notato come fosse bella. Gli anni d’allenamento le avevano concesso un fisico invidiabile, ben scolpito, ma allo stesso tempo aggraziato, in una perfetta forma a clessidra che ne esaltava le curve.

«Beh, se ti senti meglio così… io non mi oppongo.»

Lei mi raggiunse, sorridendo amorevolmente, e ci sdraiammo insieme sul letto, avvolti uno nelle braccia dell’altro, nell’ennesimo bacio appassionato.

Che durò finché non decisi anch’io di liberarmi dei miei abiti.

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Il mattino seguente…

Mi svegliai quando i raggi del sole colpirono i miei occhi.

Indolenzito, alzai il braccio sinistro, sciogliendo i muscoli indolenziti, e me lo passai sugli occhi ancora non abituati alla forte luce.

“Mi sono dimenticato di chiudere le persiane, cazzo…” pensai, irritato.

Il motivo però, mi fu immediatamente chiaro, quando provai a muovere anche l’altro braccio, trovandolo bloccato: e immediatamente l’irritazione passò.

Addormentata sulla mia spalla destra, in un’espressione di grande serenità, c’era Pamela: i capelli rossi in disordine, i suoi seni che mi sfioravano la pelle, mentre dormiva beatamente accanto a me.

Era una visione meravigliosa, che non volevo rovinare: ma purtroppo, un suo mugugno mi fece capire che si era svegliata anche lei.

Aprì pigramente gli occhi, e mi guardò: sul suo volto comparve un sorriso affettuoso. Si portò un po’ più in alto, e mi diede un piccolo bacino sulla guancia.

«Buongiorno…» mi sussurrò, prima di accoccolarsi nuovamente sulla mia spalla.

«Oggi non vai al lavoro?» le sussurrai, dopo qualche istante di silenzio.

«Bulma mi ha dato il giorno libero…»

«Ah, ok…»

E lì calò nuovamente il silenzio, mentre anch’io posai nuovamente la testa sul cuscino.

«Lo sai che ti amo, fenomeno?» mi sussurrò nuovamente.

«Lo avevo sospettato…»

«Cretino…» disse, prima di risistemarsi sulla mia spalla, chiudendo nuovamente gli occhi.

Faticavo a credere che quella donna, la donna che mi resi conto di amare con tutto me stesso, era stata per anni davanti a me: forse ora, potevo veramente ricominciare alla grande.

Continuai a guardarla mentre sonnecchiava beatamente, girandomi qualche volta verso la finestra, contemplando, da entrambi i lati, il sorgere di un nuovo giorno.


NOTE DELL’AUTORE
Ok, prima vera scena d’amore in questa storia: doveva accadere, me ne rendo conto. Ma per me è stato di una difficoltà enorme scriverla… spero sia uscita bene! Comunque, questa è un’altra svolta nella vita del nostro protagonista! Le cose sembrano aver preso, finalmente, la piega giusta… durerà?

Pamela e Daniel erano destinati a mettersi insieme, quando li ho ideati: anche se la cosa credo si sia dedotto già dai primi capitoli… no? Tanto meglio!

Lasciate una recensione, se volete: le accetto tutte, giuro! Anzi, se avete critiche e suggerimenti costruttivi io sono ancora più contento! Non so se la totale assenza di recensioni critiche sia dovuto al fatto che la storia piace o la gente ha paura a scrivere cose negative… bah.

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!
   
 
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