Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Dolce Naufragar    01/05/2015    1 recensioni
"L’unica cosa di cui sono certo è che ho intenzione di lasciarmi logorare dal desiderio, sebbene sappia a cosa porterà tutto ciò: diventerà una dipendenza, un’assuefazione totale da me, dal mio modo di darmi piacere."
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sento caldo, terribilmente caldo.
Ma appena mi scopro, appena sollevo il piumone che copre le mie gambe nude e villose, il freddo mi penetra, lasciandomi una spiacevole sensazione di gelo ed isolamento. Di fatto sono isolato… dalla mia vita, dalle mie amicizie, dal mio mondo.
Non penso a niente, se non che ho caldo, poi freddo. E poi caldo.
Cosa mi sta succedendo? Mi tasto la fronte imperlata di sudore.
Il mio corpo è preda di sbalzi di temperatura che mi disorientano, che mi piegano al loro volere. E questa sensazione di sottomissione, d’inevitabile sottomissione, mi fa giungere ad un improvviso stato di eccitazione di cui non mi capacito. Ma poco importa, ciò che conta è che ci sia. L’importante è soddisfare questo impellente bisogno fisico che mi attanaglia e che mi fa vibrare come una corda tesa appena sollecitata. E la verità è che voglio vibrare.
Anzi, voglio che qualcuno mi faccia vibrare; voglio che mi si sodomizzi, che mi s’impongano delle regole, regole di un gioco più grande di me.
In realtà nemmeno io so quello che voglio.
L’unica cosa di cui sono certo è che ho intenzione di lasciarmi logorare dal desiderio, sebbene sappia a cosa porterà tutto ciò: diventerà una dipendenza, un’assuefazione totale da me, dal mio modo di darmi piacere.
Sì, il mio. Il mio modo di afferrarmi la lunghezza e di lasciare che le dita scorrano su di essa, cinque contro uno, in una lotta di cui già, con immenso piacere, conosco l’esito.
E adesso che sono nel letto, adesso che, complice questa febbre estenuante, la salivazione è aumentata, non esito a lasciare che il mio indice mi schiuda le labbra per intrufolarsi impertinente tra di esse.
La mia lingua inizia a riversare sul dito la saliva che produco. D’un tratto me lo sfilo di bocca e rifletto: il dito incarna il mio essere, il mio morboso desiderio di attenzioni, che pretendo di ricevere senza dar nulla in cambio; proprio come esso si scalda nella mia bocca, passivamente, godendosi le coccole che gli dedico attraverso le stoccate di lingua con cui lo umetto.
Probabilmente rappresenta la parte più oscura di me, quella celata agli occhi di tutti: egoista, egocentrica, egolatra.
Ma dov’è il ragazzo generoso e magnanimo che tutti conoscono? Dov’è, ora?
Assorto in questi pensieri che m’incupiscono, abbasso lo sguardo sulle mie gambe divaricate e mi soffermo sull’evidente costrizione che i boxer impongono al loro contenuto. È lui il mio carceriere.
Ora è libero, posso dedicargli la parte più malata di me.
L’indice che prima avevo in bocca  è stato sostituito dal pollice dell’altra mano, il quale si affretta ad inumidirsi. Poi, con un gesto fulmineo, la pelle di là sotto si ritrae ed il pollice comincia a sfregare convulsamente la punta dell’eccitazione.
Godo.
Quello che sto facendo mi dà un piacere immenso, soddisfa il mio corpo, all’interno del quale, ora, il calore si è concentrato tra le gambe.
Per scacciare i vari pensieri che tentano nuovamente di assalirmi, accelero il movimento della mano attorno all’erezione, mentre l’indice dell’altra, reduce dal calore della mia saliva, reclama la sua partecipazione al mio insano stato d’euforia.
M’inginocchio sul letto, voltandomi verso la testata affinché possa trovarmi innanzi il crocefisso che si erge statuario sopra di essa.
Abbandono un attimo il mio trastullante lavoro manuale ed osservo l’espressione sofferente, dilaniata dal dolore, del Cristo in croce; quella stessa espressione che mi porto dentro, perennemente schermata da una maschera costituita da sorrisi di circostanza e perpetua cortesia.
Mi avvicino all’oggetto in legno e continuo a contemplarlo con estremo timor di Dio e desiderio di pietà, grazia, assoluzione.
“Perdonami”, sussurro, avvicinandomi ancora di più al volto di Gesù, contratto in una smorfia di dolore.
Accosto le mie labbra al legno, sfiorandolo con esse nel punto in cui è dipinta la bocca del Salvatore.
Dopodiché mi giro, con vergogna, a completare quanto ho disgraziatamente iniziato poc’anzi. La vergogna, però, non tarda a dileguarsi: mi basta lasciar ricadere lo sguardo sul membro ancora voglioso di mia dedizione per animarmi di nuova passione.
E così, mentre riprendo il movimento sistematico della mano sinistra, l’indice dell’altra può finalmente concorrere al piacere che provo, avvicinandosi al mio punto erogeno più intimo, più segreto.
Il calore dei muscoli interni accoglie il dito ed io mi trovo a dover fare i conti, ad un passo dal raggiungimento dell’apice del godimento, con le molteplici sensazioni che si alternano in me e con la miriade di pensieri che mi affollano caoticamente la testa. Ma ormai tutto è così fosco, lontano, irreale.
L’orgasmo mi prende ed io faccio sì che i pensieri confluiscano tutti lì, vi si concentrino ed escano zampillando con esso.
Socchiudo stancamente gli occhi, pensando che, se sono arrivato a sentire il bisogno di darmi piacere in continuazione, necessito affetto, comprensione. Tanto affetto, tanta comprensione: sono in difetto di entrambi.
Anzi, sono proprio vuoto, ora.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Dolce Naufragar