Anime & Manga > Slayers
Segui la storia  |       
Autore: fren    02/05/2015    3 recensioni
'«Non l'ho presa perché la desideravo» mi aveva rivelato, tanti anni prima. «L'ho portata via perché stava avvelenando il cuore delle persone che amavo. Il potere logora l'anima degli uomini.»
Le sue parole mi avevano fatto rabbrividire. Sì, io lo sapevo. L'avevo provato sulla mia pelle.
Gourry, invece, sembrava estraneo a quel richiamo. Infatti non si era fatto problemi a cedere la Spada, quando gli era stato imposto come prezzo da pagare per riavere me.
La sua anima era incorruttibile. Il suo cuore era puro e trasparente come il vetro.
Solo lui poteva portare l'arma di luce senza restarne abbagliato. Questo, la sua famiglia, non lo aveva mai accettato.'
Seguito di una mia precedente fanfiction, 'The Borderline'. Mi vedo costretta, per ragioni di trama, a mettere l'avvertenza OOC. Lettori avvisati^^
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gourry Gabriev, Lina Inverse, Personaggio originale
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La spada di Ombra
La Spada di Ombra



Tutto ciò che esiste, getta un’ombra.
(Neil Gaiman)


Arrivammo a Elmekia stanchi e infreddoliti. Gli alberi apparivano già spogli, salvo qualcuno che conservava una spruzzata di foglie color zafferano sui rami nodosi. Risalimmo a piedi una collina, dopo aver approfittato del passaggio offertoci da un contadino con un calesse, e ci fermammo a guardare la vallata che si estendeva sotto di noi. Il maniero dei Gabriev appariva imponente e fortificato, circondato com'era da alte mura oltre cui si allargavano, come una macchia d'olio, le abitazioni del villaggio.
Guardai le torri merlate e il mastio che svettava contro il cielo livido del tardo pomeriggio. Grosse nubi color albicocca sfumavano nel blu della sera ormai imminente. Quel posto non mi parlava di Gourry. Sembrava ostile, altero, freddo. Tutto ciò che Gourry non era. Mi strinsi le braccia al corpo, sentendo un brivido percorrermi la schiena, e lanciai un'occhiata a mio marito. Il suo sguardo era puntato su quella che un tempo, tanti anni prima, era stata la sua casa. L'espressione era tesa, velata di preoccupazione. Non trovavo strano che se ne fosse andato. Anche da quell’altezza riuscivo a percepire il vento gelido che spirava dalla pianura. Ti entrava nei vestiti e ti prendeva alla gola, ti frantumava le ossa. Era un vento cattivo, che rendeva aride le persone e la terra su cui camminavano.
Stavo per stemperare quell’inquietante silenzio con qualche battuta, ma Gourry mi anticipò: «Andiamo» disse solo. Sembrava nervoso, e io non potevo dargli torto. Non aveva parlato molto, nell'ultima parte del viaggio. L'avevo lasciato in pace, senza assillarlo di chiacchiere, anche se mi sarebbe piaciuto smorzare quella gravosa assenza di parole tra di noi. Non ci ero abituata. Ma era pur vero che si trattava di una situazione nuova: non mi aveva mai portato a Elmekia, in tutti quegli anni. Non avevo mai conosciuto nessun membro della sua famiglia, il che, anche se odiavo ammetterlo, mi rendeva sottilmente agitata.
Scendemmo dal pendio tenendo i cappucci con le mani, il vento che ci sferzava le guance e ci faceva lacrimare gli occhi.
A metà strada ci venne incontro un araldo su un cavallo grigio. Dovevano averci avvistato dalla torre.
«Sir Gabriev» disse, quando Gourry scostò il cappuccio. «Bentornato.»
Mi fece uno strano effetto vedere con quanta riverenza quell’uomo si rivolgeva a mio marito, il mio squattrinato compagno di viaggio. Gourry lanciò un’occhiata al castello che svettava alle spalle del servitore.
«Non è un ritorno lieto. Mio padre…?» Non ebbe il coraggio di chiederlo e le parole gli morirono sulle labbra.
«Siete in tempo, signore» disse il servitore, intuendo il suo disagio.
L’espressione di Gourry si adombrò. In quel momento, con un po’ di sgomento, mi resi conto che per tutto il viaggio aveva creduto di non riuscire a dire addio a suo padre. Ora, invece, l’idea di doverlo affrontare lo terrorizzava.
Varcammo il ponte levatoio. L’araldo era sceso da cavallo e teneva l’animale per le briglie. Il rumore degli zoccoli sul selciato era l’unico suono a riempire il silenzio. Mi avvicinai a Gourry, mentre i muri del maniero ci inghiottivano al loro interno, e sfiorai la sua mano con la mia. Lui la strinse, voltandosi verso di me, e mi rivolse uno sguardo pieno di angoscia.
«Grazie per essere qui.»
«Non dirlo neanche.»

Quando fummo all’interno delle mura sollevai lo sguardo e deglutii.
Per la miseria.
Avevo sempre saputo che Gourry proveniva da una famiglia nobile. Ma saperlo e vederlo con i miei occhi erano due cose molto differenti.
Il mastio ci sovrastava, solido e imponente. C’erano più finestre di quelle che sarei mai riuscita a immaginare sulla facciata di un palazzo, ed erano tutte alte e strette, fatte di vetri colorati. Dai balconi che si affacciavano sul cortile interno pendevano drappi neri. La fine di lord Gabriev doveva essere prossima.
Un uomo apparve in cima all’ampia scalinata di ingresso e io dovetti trattenere il fiato per lo stupore: era identico a Gourry.
«William.»
«Gourry.»
I due fratelli arrivarono uno davanti all’altro, soppesandosi con lo sguardo, studiandosi.
«Ne sono passati, di anni» mormorò William, che aveva gli stessi capelli biondi di mio marito, ma più corti, e occhi identici ai suoi, ma freddi e ostili. «Eri solo un ragazzino quando te ne sei andato.»
«Anche tu eri un ragazzo» rispose mio marito, le labbra tese a una linea sottile.
Non ci furono sorrisi, tra di loro, né abbracci. Il tempo e le incomprensioni avevano tracciato un solco difficile da superare.
«Lei è Lina Inverse, mia moglie» disse Gourry, voltandosi verso di me.
William mi guardò con aria di sufficienza. Sembrava che una paralisi gli impedisse di atteggiare le labbra in una qualsiasi espressione che non fosse la smorfia di disgusto che aveva dipinta sul volto.
«Avevo sentito dire che avevi sposato la sterminatrice di draghi.»
«È solo uno dei miei tanti soprannomi, e non è nemmeno il mio preferito. Non è che renda poi così bene l’idea» dissi, con aria noncurante, sorridendogli come si sorride a un serpente. Mio cognato, che personcina adorabile. Ero pronta a scommettere che gli rodesse ancora per la Spada di Luce. Aveva proprio l’aria del rosicone, in effetti.
«Nostro padre ti sta aspettando» tagliò corto William, dandoci le spalle e sparendo oltre l’ampio portale. Non ci restò altra scelta che seguirlo.

L’interno del palazzo era ancora più cupo dell’esterno; il che era bizzarro, considerando le numerose finestre. Ma sembrava che attraverso quelle feritoie alte e strette la luce non trovasse un varco per farsi strada. Percorremmo lunghi corridoi rivestiti di preziosi tappeti. Le torce appese alle pareti emanavano un chiarore spettrale, da cui scaturivano ombre scure che danzavano sui muri di pietra. L’aria era umida e fredda.
Con la coda dell’occhio sbirciai Gourry, cercando di capire quali sentimenti risvegliasse in lui il fatto di trovarsi nella dimora in cui era cresciuto. Quali ricordi si stavano affacciando nella sua mente in quel momento? Erano tutti dolorosi o ce n’era qualcuno dolce, su cui valesse la pena soffermarsi? Com’era stata la sua infanzia tra quelle pareti grigie, in quel castello che sembrava aver bandito la luce e il calore?
Mi si strinse il cuore immaginando il bambino che era stato. Avrei voluto stringerlo a me e confortarlo.
Poi, quasi che i miei pensieri si fossero concretizzati, un bambino sbucò davvero da una porta aperta, correndo a perdifiato nel corridoio. Non poteva avere più di tre anni, indossava solo una leggera camicia di cotone e i suoi capelli erano una nuvola d’oro.
«Signorino! Tornate subito qui!»
Una donna si precipitò fuori dalla stessa stanza da cui era scappato il bambino, inseguendolo. Quando ci vide, tuttavia, cercò di darsi un contegno.
«Signore, io…» balbettò, guardando il fratello di Gourry.
William mi apparve ancora più corrucciato di quanto non mi forse sembrato fino a quel momento. Il che aveva dell’incredibile. Il bambino corse verso di lui e gli si aggrappò alle gambe.
«Non voglio fare il bagno, papà!» esclamò, con una vocina sottile e piagnucolosa.
«Cosa sono questi capricci, Gael?» Il tono di William avrebbe gelato un vulcano in eruzione.
Io e Gourry ci rivolgemmo una breve occhiata, poi tornammo a guardare il bambino, che si teneva aggrappato ai calzoni del padre con ostinazione, indifferente ai suoi rimproveri. Doveva avere l’acqua proprio in antipatia per preferire le occhiate minacciose di William.
«Non sapevo che avessi avuto un figlio» disse Gourry, con una traccia di amarezza nella voce.
«Non sai tante cose» ribatté William, cercando lo sguardo della balia di suo figlio e intimandole di riprendersi il bambino.
Gourry si piegò sui talloni, arrivando all’altezza di Gael. Era suo nipote, quello, e lui fino a quel momento ne aveva ignorata l’esistenza.
Beh, in teoria era nostro nipote. Ma io non avevo così voglia di mettermi alla prova come zia, contrariamente a Gourry. Sentii qualcosa stringermi la gola quando vidi mio marito allungare una mano verso quel piccolo diavoletto, e posargli una delicata carezza sui capelli.
«Gael…» mormorò. «Sei proprio un bel bambino.»
Gael si voltò, puntando su Gourry due sospettosi occhioni azzurri. Avrebbe potuto essere suo figlio, tanta era la somiglianza che li legava. Fui costretta a distogliere lo sguardo.
«Avete poco polso con lui» stava dicendo William alla balia, che si fece avanti con passo spedito e sollevò il bambino da terra. Gael si mise a strillare e le lacrime iniziarono subito a scorrere sulle sue guance rotonde.
«Papà, papà!» gridò, tendendo verso il padre le braccia cicciotte. William lo ignorò.
«Non ti sembra di essere un po’ troppo severo, con lui? È così piccolo…» tentò di dire Gourry, rialzandosi. Suo fratello lo fulminò con un’occhiataccia.
«Se nostro padre fosse stato, con te, severo almeno la metà di quanto io sono con Gael, ci saremmo evitati tutti un sacco di problemi. Non voglio che mio figlio prenda una brutta strada. Ha bisogno di disciplina.»
Gourry incassò il colpo e non fiatò. Qualcosa, nella sua espressione, catturò l’attenzione di William; suo fratello lo studiò alcuni secondi, prima di domandare: «Tu non hai figli, vero?»
«No.»
A rispondere ero stata io. William mi osservò con gli occhi socchiusi.
«Beh, allora evitate di immischiarvi in cose che non sapete. Andiamo adesso.»
Ci superò, incamminandosi nel corridoio. Io e Gourry evitammo di guardarci. Da dietro la porta chiusa arrivava il pianto disperato del piccolo Gael, che stava per essere immerso nella vasca e strofinato fino a diventare rosso vivo.

Davanti alla stanza di lord Gabriev rivolsi a Gourry un’occhiata preoccupata.
«Ti aspetto qui…» mormorai, incerta. Non avevo idea di quale fosse il comportamento da tenere in una simile circostanza.
«No, ti prego, entra con me. Da solo non ce la faccio» confessò lui, prendendomi la mano.
Aspettavo solo che me lo chiedesse.
Entrammo e subito fummo avvolti da un odore acre e penetrante. I due bracieri di incenso che ardevano nella camera lo coprivano a malapena: era l’odore della morte.
Lo riconobbi immediatamente, disgustata, e il passato tornò a tormentarmi.
Non avevo mai dimenticato quello che mi era successo. Come avrei potuto, del resto? Per mesi ero stata in bilico su una linea di confine, né viva, né morta. Sospesa.
Avrei mentito dicendo che gli incubi avevano smesso di perseguitarmi, che il dolore che avevo provato, morendo, era stato cancellato dalla vita che era tornata a rianimarmi. La verità era che non potevo liberarmi da quei ricordi, dall’ombra scura che mi si era impressa addosso come un marchio.
La morte mi aveva afferrata e aveva lasciato dei lividi sulla mia pelle, lividi che non scolorivano. Che non guarivano.
La morte continuava a braccarmi.
Inconsciamente portai le mani al ventre, un riflesso involontario che mi turbò più di tutto il resto. Mi affrettai a lasciarle ricadere lungo i fianchi, stringendo le dita in un pugno.
Gourry non si era accorto di niente. Il suo sguardo era concentrato sul grande letto a baldacchino che troneggiava al centro della stanza. Lì, illuminato da alti candelabri, giaceva suo padre. Un uomo che un tempo doveva essere stato temibile, ma che il vento imperioso di Elmekia aveva consumato fino a rendere un guscio fragile, minato dalla malattia.
I capelli, che immaginavo biondi come quelli di tutti i Gabriev, erano ora radi e candidi. Le mani due artigli bianchi, che emergevano dalle coperte. Il volto appariva emaciato, ma gli occhi erano vigili e splendevano di un azzurro tanto intenso da lasciare senza fiato. Per un breve istante mi chiesi se stessi guardando il futuro di mio marito, poi scacciai con forza quel pensiero. Era spaventoso e inquietante.
«Gourry? Sei tu?» chiese lord Gabriev, con voce roca.
Sentii Gourry, al mio fianco, emettere un flebile sospiro.
«Sì, padre. Sono io. Sono tornato.»
Gli costò ammetterlo, lo percepii nel suo tono trattenuto. Era una sfumatura impercettibile, che sarebbe sfuggita a chiunque, ma non a me. Era mio marito, lo conoscevo meglio di chiunque.
«Avvicinati.»
Gourry serrò la mascella. Io mi feci più vicina e gli posai una mano sul braccio, stringendolo per incoraggiarlo.
Quando arrivammo al suo fianco lord Gabriev lo scrutò alcuni secondi con quella che mi parve una curiosa aspettativa.
«Sei proprio tu. La mia spina nel fianco» sputò fuori le parole con un colpo di tosse. Gli spasmi lo scossero per alcuni secondi e vidi Gourry mordersi un labbro, fino a quando il silenzio non calò nuovamente sulla stanza.
«Sto morendo, Gourry» biascicò suo padre. Il suo sguardo si spostò su di me e vi rimase il tempo necessario a imprimersi le mie fattezze nella memoria. «È lei la donna per cui hai gettato tutto quanto alle ortiche? Non è nemmeno bella.»
Gourry scosse la testa. Non lo avevo mai visto così pallido.
«Sapevo che sarebbe stato un errore tornare. Andiamocene, Lina.» Si voltò, pronto a lasciare la stanza a grandi passi.
«Non sei cambiato» gridò suo padre. «Credi sempre di saperne più degli altri.»
Gourry si bloccò, voltandosi di scatto.
«Su questo vi sbagliate. Non ho mai preteso di saperne più di voi, o di William, o…»
«Però hai rubato la spada.»
Gourry sospirò. Un sospiro profondo, pesante.
«Non me lo perdonerete mai, vero? Del resto, ho smesso di cercarlo tanti anni fa, il vostro perdono.»
Gli occhi del vecchio Gabriev si fissarono in quelli del figlio.
«Credi che non sarebbe stato in mio potere riprendermela? Credi che non avrei potuto farti tornare a casa, in tutti questi anni, con o senza la tua volontà? Se non lo ho fatto è perché…» lasciò passare qualche secondo. «La Spada ha scelto te. Non avrei potuto impedirti di tenerla, in nessun modo. Allo stesso modo in cui non avrei potuto impedirti di disporne come meglio credevi.» Tossì forte, contro la mano stretta a pugno, poi tornò a rivolgere la sua attenzione al figlio. «Tuo fratello, questo, non lo ha mai capito. Pensa che tu gli abbia portato via qualcosa che gli spettava di diritto in quanto figlio maggiore. Non lo sa che quella dannata spada aveva una volontà propria. È l’arma a scegliere il suo portatore, non il contrario. Doveva essere tua.»
Guardai Gourry. Era incredulo. Lo ero anch’io, in effetti.
«Io…»
Suo padre agitò l’aria con la mano, liquidando la questione con gesto secco, che denotava la sua abitudine al comando.
«Non mi resta molto tempo, e c’è una cosa che ho bisogno di dirti…» mi rivolse una breve occhiata colma di disapprovazione. «Da solo.»
Mio marito si irrigidì.
«Lina è mia moglie, non ho segreti per lei.»
«Che idiozia, ci sono sempre dei segreti in un matrimonio.»
«Non nel nostro.» La sicurezza con cui Gourry fece quell’affermazione mi costrinse ad abbassare lo sguardo, nella speranza che nessuno scorgesse il mio bruciante senso di colpa. Tuttavia, quando lo sollevai, dopo alcuni secondi, vidi che il vecchio Gabriev mi fissava con le sopracciglia aggrottate.
«Lei sarà la tua rovina, figlio mio. Le donne lo sono sempre.»
«Non sono tornato per permettervi di insultare mia moglie» sussurrò Gourry. «Se avete qualcosa da dirmi, fatelo e basta.»
Lord Gabriev mi parve interdetto davanti a quello che doveva sembrargli un atteggiamento inusuale da parte del suo figlio minore.
Forse si ricordava un ragazzino dolce e remissivo. Gourry lo era ancora, dolce e remissivo, ma adesso era un uomo e, quando occorreva, sapeva farsi valere.
«Ho sentito dire che sei diventato uno spadaccino molto esperto.»
«Me la cavo.»
«Se fossi rimasto a Elmekia avrei potuto insegnarti molte cose…»
«Ho imparato comunque molte cose. E continuo a impararle, ogni giorno.» Si voltò verso di me, rivolgendomi un sorriso appena accennato, che mi riscaldò il cuore.
«Non ti penti mai delle scelte che hai compiuto? Di quello che ti sei lasciato alle spalle?»
Gourry lasciò passare qualche secondo.
«Ho seguito il mio destino.»
«Già.» Suo padre chiuse gli occhi, sospirando. «Doveva andare così. Voglio che tu sappia una cosa, Gourry: non ti biasimo per aver preso la spada, anche se apparteneva a questa famiglia da generazioni. Come ti ho già detto, è lei ad averti scelto. Ora, però, è giusto che tu ti assuma le responsabilità di quel gesto. Come puoi ben immaginare, c’è sempre un prezzo da pagare. Io ho pagato la mia parte, credimi. E adesso che la mia fine è prossima, ti chiedo di fare altrettanto.»
«Perdonatemi, ma non capisco le vostre parole. Cosa volete che faccia?» Gourry sembrava confuso.
«Non c’è luce senza ombra, Gourry. Esiste l’oscurità, che può essere più nera della notte. Ma ovunque ci sia luce, c’è sempre un’ombra che la segue.»
«Cosa state cercando di dirmi?»
Gli occhi di lord Gabriev si spostarono verso una massiccia madia accostata alla parete.
«Apri quell’anta. Troverai un astuccio di velluto nero: prendilo.»
Dopo un attimo di incertezza Gourry fece quello che suo padre gli chiedeva. Io ero rimasta in disparte e osservavo la scena in silenzio. Sentivo che stava per accadere qualcosa di importante.
Gourry trovò quello che lord Gabriev gli aveva chiesto e tornò verso il letto tenendolo tra le mani.
Suo padre gli rivolse un’occhiata penetrante.
«Ora aprilo. Ma stai attento a non toccare in nessun modo ciò che contiene, è della massima importanza.»
La custodia si aprì con uno scatto. Mi avvicinai per scrutare al suo interno e rimasi senza fiato.
Conteneva l’elsa di una spada, uguale in tutto e per tutto alla Gornova. Solo che al posto dei rubini, che ricordavo incastonati nella guardia della Spada di Luce, c’era una sola pietra, montata sul pomolo alla base dell’impugnatura, ed era trasparente come il vetro. Guardando con più attenzione mi resi conto che ricordava vagamente la forma di un cuore.
«Cosa significa?» mormorò Gourry.
«È il prezzo che dovrai pagare per essere diventato il portatore dell’arma di luce. Ho cercato di evitartelo, figlio mio, credimi. Ma ora sto morendo e questa… non posso lasciarla ad altri che a te. È la gemella della Spada che hai portato via da qui. La sua gemella cattiva. Si chiama Spada di Ombra.»
Aggrottai le sopracciglia, continuando a guardare l’arma con un misto di timore e fascinazione. Non ne avevo mai sentito parlare, il che era strano, perché conoscevo quasi tutti i grandi oggetti magici sparsi per la Penisola. Se non altro, almeno di fama. La Gornova era un’arma leggendaria. Ma non avevo idea che avesse una gemella malvagia.
La cupidigia fece brillare il mio sguardo.
Dei, doveva essere stata forgiata con i più potenti incantesimi di magia nera. Dovevo sapere cosa poteva essere in grado di fare.  
«Voi… volete che la tenga io?»
«Sì, è la tua eredità, Gourry. A William andrà il palazzo. A te le spade. Era così che doveva andare.»
«E cosa dovrei farne?» domandò mio marito, corrucciato.
«Non usarla, mai. Tienila nascosta, custodiscila, sorvegliala. Ma non mettere mai mano all’elsa di questa spada, giuramelo.»
«Io…»
«Giuramelo, Gourry!»
Lord Gabriev sembrava ormai allo stremo delle forze. Ero pronta a scommettere che avesse resistito fino a quel momento solo per passare quella spinosa eredità nelle mani del figlio. Ora era pronto ad accomiatarsi.
«Ve lo giuro, padre. Solo… non capisco…»
«Non c’è niente da capire, Gourry. L’ombra segue la luce, le permette di esistere. Ora sono davvero stanco…»
Gourry chiuse la custodia della sua nuova spada. Una spada che non poteva usare e che andava tenuta nascosta. Che affare.
«Vi lasciamo risposare.»
«Sì, lasciatemi risposare. Ho proprio bisogno di riposare…» mormorò Lord Gabriev, chiudendo gli occhi.
Solo quando eravamo alla porta sentimmo la voce del vecchio Gabriev, come un sussurro.
«Hai fatto tutto a modo tuo, figlio mio. Non ho potuto fare altro che guardarti da lontano, senza poterti guidare. Senza proteggerti. Non posso farlo nemmeno adesso. Non potrò farlo mai più, perciò… Stai attento… stai molto attento.»

Lord Gabriev morì quella notte. Sentimmo bussare alla porta della nostra stanza, venne un servitore a dircelo. William non si era sprecato a informare di persona suo fratello.
Gourry non pianse. Rimase seduto sul letto con lo sguardo vacuo. Ci rimase tanto a lungo che non potei fare altro che stringerlo a me, accarezzando i suoi capelli e baciandogli una tempia.
Il suo dolore fu sordo e silenzioso. Se avesse esternato ciò che provava avrei potuto fare qualcosa per lui, ma Gourry non fiatò.
«Ci saranno un sacco di cose di cui occuparsi…» balbettò, rivolgendo un’occhiata all’alba che si faceva strada tra le tenebre.
«Se ne occuperà William.»
«Non posso lasciare tutto sulle sue spalle. L’ho fatto per troppi anni…»
Impotente rimasi a guardarlo alzarsi e vestirsi con movimenti meccanici.
«Posso fare qualcosa per te, Gourry? Qualsiasi cosa. Mi si spezza il cuore a vederti così…»
Solo a quel punto lui si avvicinò a me, che sedevo sul letto tra le lenzuola sfatte, posandomi un delicato bacio tra i capelli.
«Quello che fai è già moltissimo.»
«Non sto facendo niente, Gourry. Niente di concreto…»
Lui si era piegato su di me, guardandomi negli occhi.
«Sei qui. Sei tu. È più di quanto potessi chiedere» aveva mormorato, prima di lasciare la stanza.

Avevo passato il giorno a ciondolare per la camera. Non osavo uscire per non dovermi imbattere nei famigliari di Gourry e nei molti ospiti che stavano sopraggiungendo da tutta la Penisola, per il monumentale funerale che si sarebbe tenuto il giorno dopo.
La custodia della Spada di Ombra, che Gourry aveva riposto nell’armadio, mi chiamava a sé, e io stavo facendo di tutto per non cedere a quel richiamo. Ma era dannatamente difficile.
Tuttavia, non volevo causare a Gourry più problemi di quanti già non ne avesse in quel momento. Avrei fatto la brava, anche se....
Più di una volta avevo passato le dita sul velluto dell’astuccio. Mi incuriosiva il fatto che, proprio come la Gornova, ci fosse la sola elsa. Mi chiedevo cosa sarebbe apparso al posto della lama. Supponevo un fascio di oscurità. Ero maledettamente curiosa di scoprirlo.
Mi tormentai con quei dubbi fino alla sera, quando Gourry tornò trascinando i piedi. Aveva ombre scure sotto agli occhi e il suo volto era bianco come il gesso. Si stese a letto, coprendosi gli occhi con i palmi. Sembrava distrutto, contrariamente a me che mi ero sentita un leone in gabbia per tutto il giorno e friggevo di impazienza. Le dita mi prudevano per il desiderio che avevo di studiare quell’arma da vicino, e a nulla serviva ricordare a me stessa che la situazione era drammatica.
Mio marito aveva appena perso suo padre. Un padre con cui era sempre stato in conflitto. Ma davanti alla morte ogni cosa cambiava prospettiva e, in fondo, Gourry aveva scoperto che lord Gabriev lo aveva sempre capito meglio di quanto lui potesse immaginare. Suo padre lo aveva guardato da lontano, senza mai interferire nelle sue scelte. Era amore anche questo.
Mi avvicinai a mio marito, stendendomi al suo fianco, e passai un braccio attorno alla sua vita, posando la testa contro la sua schiena.
Dovevo smettere di pensare a quella spada. Gourry era più importante.
Restammo così fino a quando non sentii il suo respiro diventare pesante e regolare. Aveva bisogno di dormire. Io, però, non avevo sonno. Non potevo sopportare l’idea di stare in quella stanza un secondo di più. Infilai la vestaglia sulla camicia da notte e mi chiusi l’uscio alle spalle.

Il corridoio era insopportabilmente freddo. Mi chiesi dove diavolo stessi andando; non conoscevo il palazzo, né i suoi abitanti. Avrei preferito avere a che fare con una schiera di lumache piuttosto che imbattermi in William, che in quanto a viscidità non aveva nulla da invidiare a una lumaca.
Camminai rapida, la vestaglia che si gonfiava attorno alle mie gambe nude come una nuvola. Doveva esserci una porta aperta, perché il vento soffiava impetuoso nel corridoio e aveva spento tutte le torce. Non avevo un lume e non mi andava di castare un lighting, che mi avrebbe esposto ancora di più. A un certo punto mi parve di udire delle voci, poco distante. Mi appiattii contro la parete, trattenendo il respiro. Un servitore stava facendo strada a un ospite. La luce della candela che aveva in mano illuminava la strada davanti a lui, rendendo difficile scorgere chi lo stesse seguendo. Spalancò una porta, invitando lo sconosciuto a entrarvi, poi si accomiatò.
Deglutii, aspettando che il nuovo arrivato scivolasse oltre l’uscio della sua stanza. Era già molto tardi. Passarono alcuni secondi, in cui il silenzio fu assoluto. Aguzzando la vista tra le ombre del corridoio non distinguevo più la sagoma dell’uomo. Mi staccai dalla parete, facendo qualche cauto passo, prima di irrigidirmi di colpo.
Sentivo il suo respiro agitare l’aria. All’improvviso il buio mi faceva paura, non riuscivo più a sopportarlo.
«Lighting» sussurrai, tendendo la mano davanti a me.
Il fiato mi si congelò sulle labbra.
Il volto di Joy apparve tra le ombre della notte. I riccioli scuri erano più lunghi, gli sfioravano le spalle. Un filo di barba sporcava le sue guance. Ma era Joy, non potevano esserci dubbi.
I suoi occhi si fissarono nei miei e il tempo si arrotolò su se stesso. Non erano passati quattro anni, ma pochi istanti. Lasciai morire l’incantesimo nel palmo della mano e, nell'oscurità, sentii che lui si avvicinava, stringendomi a sé.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slayers / Vai alla pagina dell'autore: fren