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Autore: theseeker64    03/05/2015    1 recensioni
Il cavaliere Lautrec si è imbattuto in una terribile rivelazione: Lordran è intrappolata in un ciclo di eroi "Prescelti". Ora il suo obiettivo è trovare un modo di mettere fine a questa follia con l'aiuto di Quelana, Madre della Piromanzia, Patches la Iena e altri per risolvere questo eterno conflitto - e rompere il Ciclo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

Persino da vuota, Abby poteva sentire il morso del freddo sulla pelle, il vento ghiacciato infilarsi tra i suoi vestiti, un gelo profondo depositarsi nelle sue ossa. Avvicinò le braccia al corpo e le ginocchia al busto. Il pavimento di pietra della cella era duro e la graffiava, ma priva di alcun tipo di letto, doveva accontentarsi; i suoi vestiti divennero la sua coperta, il suo cappello, il cuscino. C’era stato un momento nel quale la speranza dentro di lei era sembrata scaldarla, ma col passare dei giorni e il crescere del freddo, arrivò a una tremenda conclusione, e questa pareva estrarre tutto il calore dalla cella: sarebbe morta lì. Sola. E fredda; molto fredda.

 

Ad un certo punto si addormentò. Non fece alcun sogno perché, immaginava, quando si è vuoti, anche quella parte di te che sogna diventa vuota. Questo la rese triste. Dormire da non morti era sempre breve, senza riposo, e scarno, e quando si svegliava, si sentiva come se non avesse dormito affatto. Non era più nemmeno sicura che avesse ancora bisogno di dormire. Eppure lo faceva. Forse per abitudine, forse come ultima difesa contro il freddo, pungente e implacabile. Forse perché in una cella di dieci metri quadri, dormire era l’unica cosa che si potesse fare.

 

“È uno scricciolo, non trovi?”

 

Voci nell’oscurità; parole portate dal vento.

 

“È lei. La causa della nostra sofferenza.”

 

Abby aprì gli occhi. Non era il vento a parlare.

 

“Beh, prendiamola e usciamo fuori di qui. Fa un freddo cane.”

 

In una scarica d’adrenalina, Abby raggiunse i suoi vestiti, trovò l’elsa della sua mazza, e la afferrò. Rotolò da un lato, fendendo l’aria con l’arma in un arco difensivo e alzandosi in piedi con un unico movimento. Stette immobile, con l’angolo della cella alle spalle, e fissò, gli occhi spalancati, il corpo all’erta, il gruppo di persone in piedi lì, di fronte a lei. Quello più vicino era un uomo alto e calvo con uno starno sorriso stampato in volto. Dietro di lui si trovava un cavaliere in armatura dorata. Tuttavia, non indossava alcun elmo e Abby poté vedere che l’uomo era di bell’aspetto, ma i suoi occhi erano grigi e penetranti mentre la guardavano. Affianco a lui vi era una figura più bassa, avvolta completamente in vesti nere. C’erano corde annodate attorno al suo busto, alle braccia e ai polsi, e Abby sentì un brivido lungo la spina dorsale quando guardò nella fessura del cappuccio del prigioniero.

 

“Come mi chiamo?” Chiese il cavaliere dorato, facendo un passo avanti e spostando di lato l’uomo calvo cosicché potesse starle di fronte. “Rispondimi, ragazza. Come mi chiamo?”

 

Gli occhi di Abby saettarono da una figura all’altra, si leccò le labbra, deglutì. “Non capisco…chi siete voi? Siete qui per liberarmi, o…per uccidermi?”

 

“Rispondi alla mia domanda e lo scopriremo,” le disse il cavaliere dorato. “Chi sono? Dove ti trovi? Le sai queste cose? Dimmi la verità.”

 

“No!” Scattò Abby. “Non ha senso! Vi prego! Sono rinchiusa qui da…”

 

“Continua. Da quanto tempo?” chiese il cavaliere, avvicinandosi. “Ma soprattutto: come ci sei arrivata?”

 

Lei alzò la sua mazza con entrambe le mani e la inclinò di fronte a sé per difendersi da un eventuale attacco. “State lontano, signore, vi prego!”

 

“Rispondi,” ripeté. “Da dove vieni?”

 

“Vinheim! Ok? I miei genitori mi mandarono alla Scuola del Drago per stregoni. Ho…fallito. Non ero portata per la magia. Ho preso la via delle arti bianche, iniziando ad allenarmi con i miracoli. Sono una semplice sacerdotessa! Non c’è alcun bisogno di farmi del male! Io-”

 

“Non ti ho chiesto la dannata storia della tua vita, ragazza,” disse il cavaliere, che ora si era portato a tiro. “Come sei arrivata in questa cella? Come sei diventata vuota?”

 

“Io…” Iniziò Abby, ma non riuscì a trovare le parole. Aggrottò la fronte mentre ci pensava, ma più cercava di ricordare, più lontana pareva farsi ogni traccia di risposta. Deglutì, scosse la testa, e posò di nuovo il suo sguardo sul cavaliere. “Non lo so.”

 

"Bene, non dovresti. Ora rispondi all'altra domanda. Chi sono? Pensaci. Guarda la mia armatura. Un'armatura dorata. Chi sono?"

 

"Io…io…" Balbettò Abby.

 

Il cavaliere balzò in avanti. Abby urlò e cercò di colpirlo con la mazza, ma non era mai stata molto brava in quello, e il cavaliere era chiaramente addestrato al combattimento. L'uomo alzò il suo guanto dorato, le afferrò il polso in movimento, e le torse la mano verso il basso. Con l'altra mano la spinse indietro contro l'angolo della cella, e prima che lei si accorgesse di quello che stava succedendo, lui aveva sguainato una lunga lama ricurva e la stava premendo contro il suo petto…

 

"Vi  prego!" Urlò Abby, chiudendo gli occhi.

 

"Sei vuota, ragazza. Quanta paura può farti la morte?"

 

Abby ci pensò. Immaginò che l'uomo avesse ragione.

 

"Un'ultima volta: chi sono?"

 

Si sforzò di aprire gli occhi e di studiare i lineamenti del volto dell'uomo. Non le dicevano niente. Le aveva detto di concentrarsi sull'armatura dorata e così fece, ma senza alcun risultato. "Lo giuro: non lo so."

 

Gli occhi freddi e grigi dell'uomo si fissarono su di lei, e dopo un attimo di tensione, lui annuì, rinfoderò la lama, e la lasciò. "È nuova," disse ai suoi compagni. "Non so se è una buona o una cattiva notizia. Ma almeno sta dicendo la verità."

 

Abby portò una mano tremolante alla fronte e fece un respiro profondo per calmarsi. "Chi siete voi?"

 

"Sono il Cavalier Lautrec, di Carim," disse l'uomo attraente, piegando leggermente la testa in un inchino. "L'uomo calvo dietro di me è Patches. È abbastanza stupido e non c'è da fidarsi di lui. Io lo eviterei nei nostri viaggi."

 

"Ehi!" Protestò Patches.

 

"Beh è così, no?"

 

Patches ci pensò su, alzò le spalle, e annuì.

 

"Chi è il tuo prigioniero? Mi fa paura," ammise Abby, stringendo gli occhi sulle cascanti pieghe di stoffa nera che era la terza persona.

 

Il cavaliere si mise a fianco della figura e, nonostante i deboli tentativi di divincolarsi della persona, afferrò il retro del suo cappuccio. "Questa è la nostra strega. Figlia del Caos, Quelana."

 

"Strega!?" Gli fece eco Abby, arretrando di un passo nel suo angolo.

 

Il cavaliere tirò indietro il cappuccio. Abby fissò la donna che vi si trovava sotto, stupefatta. Si aspettava un qualche mostro uscito direttamente dalle storie che i suoi genitori le leggevano da bambina. Naso arcuato e contorto, pelle verde, verruche, denti gialli e rotti. Fortunatamente, non vide niente di tutto ciò. La strega era giovane - o almeno sembrava giovane. La sua pelle era pallida, pulita e liscia alla vista. I suoi occhi erano di una bella sfumatura di verde, e ciocche libere dei suoi capelli color ebano pendevano affianco a essi. Un bavaglio era stato legato attorno alla sua bocca; le sue labbra sottili strette attorno al nodo centrale.

 

"È…bellissima," disse Abby. Gli occhi della strega si posarono su di lei.

 

"Già, purtroppo lo è," ammise Lautrec. "È un peccato che sia così pericolosa."

 

"Perché l'hai imbavagliata?"

 

La strega riportò lo sguardo sul cavaliere, ma Lautrec le rimise il cappuccio in testa. "Questa nostra piccola strega qui ha la lingua di un serpente. Ha il potere di sottomettere la tua mente con niente più di un paio di sussurri nel tuo orecchio. Il mio calvo compagno ha quasi perso la vita a causa di questo trucchetto."

 

Patches fece una smorfia e si massaggiò il collo. "Schifosa cagn-ehm, strega."

 

"Quanto potere…" sussurrò Abby, affascinata.

 

"Già," concordò Lautrec, mettendosi tra di loro cosicché Abby non la fissasse. "È una prigioniera potente, ma non la più collaborativa. Per questo è legata."

 

"Dove la stai portando?"

 

"Nello stesso posto dove porterò te. Lontano da questa maledetta prigione. Torneremo a Lordran."

 

Abby si accigliò. "Tu vuoi liberarmi, allora, ma…cosa ci aspetta a Lordran?"

 

Il cavaliere alzò le spalle. "Tutto? Niente? Chi lo sa. Siamo in un viaggio di cambiamento. Un cambiamento che è già iniziato." La sua bocca si aprì in un sorriso e alzò le mani indicando la cella. "Sicuramente lo senti questo freddo così aspro."

 

Abby annuì.

 

L'abbiamo creato noi. Vieni fuori con me. Guarda che magnifico cambiamento abbiamo già portato."

 

Il cavaliere allungò la mano. Abby deglutì nervosamente, il suo sguardo si posò sopra la mano, e poi sul cavaliere. Sentiva che afferrarla avrebbe sancito una sorta di patto col cavaliere e i suoi accompagnatori, divenendone parte, e l’idea la spaventava. Sembravano tutti così…forti. Così esperti. Lei era una maga fallita e un chierico novizio: cos’avrebbe mai potuto offrire loro?

 

“Non mordo,” la rassicurò il cavaliere, con un altro sorriso.

 

Lei si sforzò di sorridergli e, dato che non aveva altra scelta, afferrò la sua mano. Lui s'inchinò e la condusse fuori dalla cella mentre l’uomo calvo prendeva le corde della strega per un capo e la trascinava con sé. Il corridoio all’esterno della cella era buio, delle torce piantate su sostegni a intervalli regolari lo illuminavano, e sembrava persino più freddo di quanto fosse la sua cella. Strinse le braccia attorno al proprio corpo mentre avanzavano, il cavaliere vicino a lei che la teneva per i fianchi. Dalle crepe sul muro alla loro destra s'intravedeva un’enorme stanza. Era vuota. Alla fine del corridoio, li attendeva una stanza cilindrica; una lunga scala di acciaio spuntava dalla parete e conduceva di sopra. Abby piegò la testa all’indietro e vide un vortice bianco nel mondo che li aspettava all’esterno.

 

“Nevica,” disse.

 

“Sì. Una vera tormenta,” annuì Lautrec. “Ha iniziato proprio appena siamo arrivati.”

 

“Sembra che agli Dei non vadano a genio i cambiamenti,” soggiunse Patches da dietro, facendo quella sua strana risatina.

 

“Non capisco, signore,” disse Abby, voltandosi verso Lautrec. “Cos’è questo ‘cambiamento’ del quale voi e i vostri compagni continuate a parlare?”

 

“Non pensarci adesso. Sali e basta. Capirai poi.”

 

Abby tornò a fissare la scala, il mondo sopra di essa, la sua piccola cella dietro di lei e provò una scarica di eccitazione. Il suo piede si appoggiò sul piolo, la sua mano ne afferrò uno più in alto, e quando stava per salire, si girò verso il cavaliere. “Io…vi ringrazio, signor cavaliere. Per avermi liberato. Temevo che avrei passato il resto dei miei giorni in quella prigione.”

 

Lautrec gli posò una mano sulla spalla e annuì. Lei sorrise, e iniziò la salita.

 

Il mondo era un turbinio bianco, freddo e bagnato sopra di lei. Abby uscì dal buco e si dovette subito schermare gli occhi a causa della feroce bufera. Con grande fatica, fece un passo nella distesa alta fino al ginocchio e lasciò che la neve le toccasse i capelli, la faccia, la lingua. Sorrise; era meraviglioso. Guardò il cielo pallido sopra di lei e spalancò le braccia, in una libertà che non aveva mai sentito prima.

 

La freccia trapassò la carne vuota del suo petto in modo così netto e con tanta facilità, che Abby non aveva nemmeno capito cos’era successo finché non si ritrovò a fissare il bastoncino di legno che spuntava dal suo corpo. “Oh no,” sussurrò, barcollò, e cadde sulla neve.

 

Il respiro le si bloccò in petto e poteva sentire il sangue dietro ai denti. Emise un gorgoglio che sarebbe potuto essere un grido d’aiuto, ma nemmeno lei ne era sicura. La neve stava impregnando i suoi vestiti. Sì sentì bagnata e fredda e…sola.

 

Il viso del cavaliere apparve sopra di lei un attimo dopo. “Che diavolo…” disse, vide la freccia, capì cos’era successo e si spostò rapidamente da un lato.

 

Appena lo fece, una seconda freccia si conficcò nella neve dove si era inginocchiato solo un secondo prima.

 

“Maledetti gli Dei,” sibilò, tornando di corsa da Abby, e afferrando i vestiti sulle spalle. La trascinò dietro l’arco di pietra che conduceva al buco della scala. Riuscì a tirarla lì dietro proprio mentre una freccia si piantava a terra vicino alle sue caviglie.

 

“S-secondo…piano…” gracchiò Abby, uno sforzo doloroso a ogni parola. “L’ho visto…lui è…come me. Vuoto…”

 

“Non è possibile,” le disse Lautrec, togliendosi l’armatura dorata dalle braccia. “Nessun essere vuoto è tanto preciso.” Si voltò verso la scala. “Occhio, Patches. C’è un arciere quassù.”

 

“Un arciere?!” gli fece eco la voce di Patches da dentro il buco. “Beh, che cavolo vuoi che faccia, Lautrec? Sto portando la dannata strega in spalla!”

“Lo ucciderò,” spiegò semplicemente Lautrec. Si era levato guanti e stivali e cercava di levarsi la cotta. “Dagli un attimo e poi corri su e mettiti al riparo.”

 

Abby si toccò la ferita, ma le sue dita causarono una fitta di dolore. Strinse i denti e chiuse gli occhi finché non fu passata.

 

“Non toccarla. Torno subito,” disse il cavaliere.

 

Abby lo guardò. Era sembrato così robusto e imponente nella sua armatura dorata, ma senza di questa aveva il fisico di un normale uomo; una tunica scura e dei pantaloni avvolgevano la sua figura. “Sto…per morire…”

 

“Non puoi morire,” le spiegò Lautrec. Prese la sua cotta, si accostò all’arco, e la tese fuori con uno scatto del polso. Un secondo dopo, il suono di una freccia che tintinnò sull’oro riempì l’aria. Lautrec scivolò fuori, divenne una figura sfocata nella tormenta, e poi sparì completamente.

 

Patches uscì dal buco con la strega sulla spalla un attimo dopo. Si affannò verso il muro di pietra appena in tempo; un’altra freccia venne scoccata e attaccò la parete dietro di lui.

 

“Bastardo!” ruggì Patches, sistemando la strega affianco ad Abby. “Spara a me!?” Mise le mani attorno alla bocca e uscì appena dall’arco. “Ammazza quello stronzo codardo, Lautrec! Ammazzalo per bene!

 

“…muoio…” riuscì a sussurrare Abby tra i colpi strozzati di tosse. “Mi…ha…colpito…”

 

“Zitta, ragazza, non muori mica,” spiegò Patches. “Sei la dannata Prescelta.”

 

La strega s’inginocchiò accanto a Abby e la osservò da sotto il cappuccio. Abby rabbrividì, anche se non era sicura se fosse per il freddo, la ferita, o lo sguardo della strega. La strega cercò di raggiungerla al meglio che poteva con le braccia legate e prese la mano sinistra di Abby nella sua. Abby era meravigliata da quanto calda fosse la sua pelle mentre la strega strofinava le dita sul suo palmo. Chiuse gli occhi e si rilassò, non trovando più tanto difficile farlo.

 

Da qualche parte all’esterno, un urlo risuonò. Non era del cavaliere.

 

“Ha-ha! Ha preso il bastardo!” esultò Patches.

 

Un paio di minuti dopo, Lautrec tornò. Abby vide, sforzando gli occhi, che trascinava un corpo dietro di sé.

 

Gli occhi di Patches caddero sul corpo e la sua bocca si spalancò. “Che diavolo…com’è possibile?”

 

Abby guardò. L’arciere era vuoto. Aveva avuto ragione. Era vuoto e vestito di pelle ben oliata, stivali ai piedi, guanti sulle mani, una faretra di frecce sulla schiena. Soprattutto, però, era vivo.

 

Lautrec scosse il capo. “Ce ne sono due.”

 

Due Prescelti?” scattò Patches. “Non ti sembra un po’ buffo?”

 

“Guardalo!” disse Lautrec. “È vestito come un uomo. Era molto più preciso con quell’arco di quanto ogni normale essere vuoto potrebbe mai sognare di diventare. È un Prescelto. O forse…lui è il Prescelto.” Gli occhi del cavaliere andarono ad Abby. “E lei no.”

 

Abby ebbe un sussulto e portò una mano alla ferita. Gli occhi di Patches si posarono su di lei, sull’arciere, e poi ancora su di lei.

“Non…non ha senso.”

 

“Lo avrà presto,” spiegò il cavaliere. “Lei sta morendo per quella ferita, e lui sta morendo per la mia ferita. Portiamoli entrambi al falò. Allora scopriremo chi vive…e chi muore.”

 

Così, l’uomo calvo prese Abby tra le sue braccia, la sollevò, e la portò oltre l’arco di pietra nella bufera. Lautrec trascinò il morente essere vuoto con sé per il colletto della sua tunica. La strega li seguì lentamente, e Abby vide con grande stupore che dove i piedi della strega si posavano, la neve iniziava a sciogliersi attorno a lei.

 

Percorsero la breve distanza fino a un falò spento, che giaceva misero e dimenticato in mezzo al turbinante bianco caos della tormenta. Abby fu posta vicino ad esso, l’altro essere vuoto venne buttato affianco a lei, e Lautrec andò a prendere la strega per le corde.

 

“Accendilo,” ordinò, portandola affianco al falò.

 

Il viso della strega si voltò verso di lui, ma Abby poteva vedere che gli occhi grigi dell’uomo erano fissi sul legno spento posto davanti a lui. La strega guardò il legno, alzò le sue pallide mani quanto le corde le lo rendessero possibile, e girò i palmi al falò, le dita tese.

 

“Aspetta,” la fermò Lautrec, si abbassò e prese due rametti dal falò.  “Va bene, strega. Avanti.”

 

La visuale di Abby si era ridotta a uno stretto, buio, tunnel a quel punto, ma ciò che vide non smise di sorprenderla. Fiamme rosse e arancioni nacquero dalle mani della donna, si dimenarono nell’aria, e toccarono il falò, accendendolo immediatamente. La tiepida luce era rassicurante sulle guance vuote di Abby.

 

“Ecco,” disse Lautrec, accucciandosi affianco a lei. Mise uno dei pezzetti di legno nella sua fragile, debole mano. Lei lo strinse più che poteva e chiuse gli occhi. “No. Sveglia, ragazza. Lancialo nelle fiamme.”

 

“…fiamme…” gracchiò Abby.

 

“Ora!” insistette Lautrec, e spinta solo dalla paura delle sue grida, lanciò docilmente il rametto nel fuoco con le sue ultime forze. “Bene,” disse il cavaliere, alzandosi. “Ora tu, ragazzo. Se mi puoi ancora sentire, tieni.”

 

Abby ascoltò mentre l’atro essere vuoto sussurrò alcune parole sottovoce. Non era sicura se avesse preso o no il legno, perché non aveva più la forza di tenere gli occhi aperti. Sentiva la neve sul suo volto, sulle sue guance, e non sapeva se il bagnato fosse la neve o le sue stesse lacrime. La strega dovette averle preso la mano di nuovo, perché la sentiva calda. Ci fu un momento in cui ad Abby divenne evidente che stava morendo.

 

E poi era morta.

   
 
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