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Autore: La Mutaforma    03/05/2015    1 recensioni
C'è un mondo oltre la barricata. Dove suonano musica, dove versano il vino, dove regna l'entusiasmo. Il sole irradia i suoi abitanti, il vento trasporta le loro canzoni.
C'è, ma lui non riesce a vederlo. Oltre la barricata vede solo la morte sulle baionette dei soldati.
La fine di ogni cosa.
[In sintesi, au su cosa sarebbe successo se Grantaire e Enjolras fossero sopravvissuti alla barricata. Ovviamente E/R]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L'autrice consiglia di sentire questo. Buona lettura. 
 



IV

 

È tutto così strano ora.

Grantaire dorme ancora, il capo ripiegato su un lato, i riccioli scomposti come rovi scuri, aggrovigliati. Enjolras non ne ha paura; sono spine che non possono pungere le sue dita, come candidi uccelli che costruiscono il loro nido nei rovi, il posto più sicuro dove rifugiarsi.

Il biondo amante della libertà è rimasto tutto il tempo tra le sue braccia, appoggiato alla sua spalla, gli occhi rivolti verso Grantaire. Con timore gli sfiora la guancia ruvida, i capelli neri, delicatamente, con la punta delle dita, per non svegliarlo, e tutto è così assurdo. Sente un calore mai provato nel petto, lo stomaco leggero. È così che ci si sente? Non sa nemmeno cosa pensare e si sente prima stupido, poi al sicuro, e infine felice. Non ha mai provato niente del genere, non ha mai neanche solo pensato a niente del genere. Deve ammettere che si sente spaventato, e allo stesso tempo sereno.

Quali cose sconosciute, quali misteri, quali enigmi la vita ci pone davanti!

Come sono sciocco. Che mi prende adesso? Succede davvero così in fretta? Oh, a quali sciocchezze sto pensando? Cielo, sto sbagliando tutto. Quando sono diventato così stupido?

È un sentimento che non lascia sicurezze, e ha il terrore di starsi illudendo. Eppure, Enjolras sorride. Riflette a lungo, resta accoccolato tra quelle braccia grosse e senza grazia in cerca di riparo dal freddo umido e per proteggere lui stesso quell'uomo che era stato ad un passo dalla morte, solo per lui. Muto nei suoi pensieri, i suoi occhi vagano sul suo viso, dove la luce della lampada crea contrasti di ombre nere e piccoli bagliori.

Si sente quasi in colpa per non averlo mai capito. Mentre lui è così imbarazzato, così ansioso, Grantaire sembra più naturale in quell'abbraccio, lo stringe al petto a costo di ferirsi la spalla, come se non avesse mai desiderato altro dalla vita.

Non gli chiederà perdono, ma è felice di aver capito, anche se tardi. È felice di aver capito quello di cui parlavano tutti.

Mentre lui naviga e si lascia trasportare come dalle onde da questi pensieri, Grantaire riapre gli occhi che brillano, blu come il mare che lo stava cullando, non appena lo rivede. Enjolras, colto come un ladro sul furto, si allontana di scatto, sgusciando via dalle sue braccia. Resta seduto sulle ginocchia, davanti a Grantaire, col capo basso, gli occhi serrati, aspettando che lui cominci a parlare di nuovo, a sproposito, senza mai interrompersi, come sempre.

Probabilmente non smetterà di prendersi gioco di lui per quello che è successo, per un gesto impulsivo, per una mancanza di lucidità, per un istante in cui la disperazione e il desiderio di supporto (perché ha così tanta paura di pensare quella parola?) si erano fatti più forti.

Passano minuti interi e Grantaire non ha ancora detto nulla.

Quando Enjolras alza gli occhi, gli sta porgendo un sorriso e un pezzo di pane.

 

“Hai mai avuto dei sogni? Delle aspirazioni?”

Di qualcosa bisogna pur parlare. Curioso che nessuno abbia portato una scacchiera in quella cantina, avrebbe reso quel vuoto più sopportabile.

Poiché nessuno ha ancora inventato una scacchiera in questo limbo, torniamo alle vecchie abitudine e comunichiamo.

Grantaire si gratta la testa pigramente. “Forse. Mi avranno tradito, i piccoli bastardi.”

“E li hai abbandonati tutti?”

“Ho capito che non sarei andato da nessuna parte in ogni caso. Perché impegnarsi tanto? La vita è già abbastanza breve, tanto vale godersi quel poco che abbiamo a disposizione, senza sprecarlo, senza conservare niente, senza aspettarsi niente.”

Enjolras sospira e piega la testa all'indietro. “Sei senza speranze”

“Pensavo fossi soddisfatto quando ti ho detto che credo ciecamente in te. Sei più testardo di un predicatore!”

“Ero curioso se fossi mai stato un idealista, o meno cinico.”

Grantaire non saprebbe dirlo. Ogni cosa l'ha annegata nel vino.

“E tu, Enjolras? Sei mai stato meno idealista? Cosa c'era prima della rivoluzione? Eri figlio di pasciuti borghesi, mantenuto dai genitori? Facevi la bella vita? Cosa ti ha spinto a guardare verso i comuni mortali?”

Enjolras sospira con stanchezza e solleva il capo per guardare il vuoto davanti ai suoi occhi. Un buio che li inghiottisce, che non ha pietà. Il suo sguardo si addolcisce, ma è pieno di amarezza. In un momento, Grantaire vede quello che ha visto Enjolras.

L'illusione.

“Forse non è il momento adatto per parlarne.”

“Non c'è molto altro da fare se hai notato. Abbiamo quasi finito il pane e hai sprecato il vino che era rimasto.”

“Non lo considererei spreco, ti ho disinfettato la ferita.”

È vero, durante tutto quel tempo gli ha controllato periodicamente la ferita, con la cura di un medico esperto. Una volta, Grantaire l'aveva sorpreso ad accarezzargli la cicatrice con la punta della dita, una fugace carezza che lo aveva commosso, ma aveva tenuto quel sorriso per sé e non aveva detto nulla.

“Beh, lo hai fatto troppe volte.”

“Preferivi rischiare?”

Grantaire sorride beffardo. “Ho la gola secca, per non dire che adesso moriremo di fame e di sete. Questo non lo chiami rischiare?”

Enjolras aggrotta le sopracciglia. “Molto bene, allora andrò a cercare altre provviste.”

“Non provarci nemmeno, vengo con te”

“Sei ferito!”

“Mi hanno sparato ad una spalla ma questo non mi impedisce tutte le altre mansioni fisiche. Posso ancora parlare, pensare, camminare e, meraviglia delle meraviglie, anche tutte e tre le cose insieme! Non è da tutti, sai?” Tuttavia si solleva con fatica, le gambe intorpidite dalla mancanza di movimento; è costretto ad appoggiarsi alla parete dietro di lui per non cadere. “Andiamocene da qui, Enjolras. Non possiamo restare, è troppo rischioso. Non voglio essere sopravvissuto alla barricata per morire di fame qui sotto e fare la vita del ratto.” La vita che aveva sempre fatto. “Diamo un senso a questa cosa. Andiamocene.”

Enjolras si morde il labbro e assume un'espressione pensierosa. “Hai ragione. Non possiamo restare. Dobbiamo... lasciare Parigi.” Non è stato facile dirlo. Ha sacrificato tutto per Parigi, è impensabile abbandonarla ora.

Ma morire adesso sarebbe inutile.

L'altro annuisce. “Non essere in pena per me, ce la faccio a camminare. Se dovessi stancarmi troppo te lo dirò e ci fermeremo. Non voglio morire.”

Il cuore gli batte forte. Non vuole morire adesso. Non può.

Enjolras gli fa un cenno del capo e si alza con scioltezza, sale le scale di pietra come un gatto. Calcola ogni movimento, ogni rumore. È molto prudente; deve esserlo per entrambi. Grantaire non può dirsi così leggiadro: barcolla come un ubriaco e la spalla sinistra striscia pesantemente contro la parete di pietra.

Enjolras spinge la porta della botola e tende il braccio a Grantaire per aiutarlo ad uscire. L'altro si aggrappa a lui con un gemito sfuggito dalle labbra serrate, il respiro irregolare e rumoroso.

Fuori è notte. Il Musain è devastato, la luce livida della luna illumina le travi martoriate, i segni della battaglia. Contro una parete sono rimaste poche sedie rotte, l'angolo dove si svolgevano i loro incontri. Su una di quelle sedie Grantaire passava tutte le sere a indirizzare i suoi sospiri ad Apollo, poi crollava con la testa sul tavolo, addormentato, ubriaco, inebriato. E nei suoi sogni intossicati dal vino ogni cosa pareva deforme, tranne il viso perfetto e severo di quell'uomo che suscitava in lui meraviglia e devozione.

Non è rimasto niente, hanno portato via tutti i corpi, probabilmente mentre si erano addormentati (stremati dalla disperazione, stretti l'uno all'altro, dentro la stessa lacera coperta) ed erano troppo stanchi per sentire le loro rigide membra strisciare sulle travi sopra le loro teste.

Enjolras stringe i pugni ma non c'è nulla che possa fare. Gli occhi vagano su un mucchio di stracci abbandonati in un angolo, coccarde e bandiere. Il rosso è il sangue dei loro uomini, i figli della barricata, gli eroi della Repubblica.

Non verranno dimenticati. Forse la città ha troppo paura di parlarne, ha troppa paura di ricordarli, ma non lui. Lui non li dimenticherà mai.

Ruba un po' di tempo per salutare quel luogo di entusiasmo e di ideali, il dissacrato tempio del loro ardore, consacrato alla libertà, al vino, all'amore, poi infila quello che è rimasto del pane e la bottiglia d'acqua in una borsa, le loro uniche provviste per il viaggio.

Grantaire, invece, sta rovistando nel mucchio di stracci nell'angolo.

“Cosa fai?! Non essere irrispettoso!”

Non lo ascolta nemmeno e tira dal mucchio una giacca blu, quella meno malconcia, e un berretto scuro. Si avvicina ad Enjolras e gli copre i riccioli con il cappello, senza troppa grazia. “Se ti vedessero potrebbero riconoscerti. Un bel viso come il tuo è difficile da dimenticare. E poi sei in camicia, morirai di freddo prima di riuscire a lasciare Parigi.”

Enjolras fissa la giacca tra le sue mani. “Apparteneva ad un compagno”

“Un eroe della barricata, gli daremo onore nella nostra memoria. Ma comunque, la giacca non gli serve più.” risponde il cinico. Il portavoce del popolo si arrende, forse per una folata improvvisa di vento, e si infila la giacca. È larga di spalle e consumata sui gomiti, ma non può chiedere di meglio.

“Andiamo, cercheremo qualcos'altro da mangiare lungo la strada.”

 

Usciti dal Musain, riscoprono le stelle nel cielo, uniche spie della loro fuga. Anche dai loro occhi Enjolras e Grantaire devono scappare. È una fortuna che le stelle siano vedette silenziose; non hanno voce per richiamare le guardie.

Il cinico cammina rasente al muro, respirando forte ogni volta che il dolore alla spalla pulsa più dolorosamente. È lui a guidare Enjolras lungo strade secondarie, vicoli illuminati dalle bettole in festa, ma solo in apparenza. In ogni risata fragorosa si nasconde il principio di una rissa.

Se Enjolras può considerarsi un grande esperto della gloriosa storia francese e della sfavillante Parigi, nessuno meglio di Grantaire conosce la vita notturna della città, i suoi lati più oscuri e spaventosi, la Parigi di quando cala il tramonto.

È difficile da ammettere, ma senza di lui, senza questo zoppicante ubriacone, sarebbe perso, oltre che morto.

Gli cammina dietro, pronto a soccorrerlo se dovesse cadere per il troppo dolore alla spalla e per un momento si sente in colpa per non aver mai capito le sue provocazioni e il suo buffo atteggiamento istrionico, i sorrisi larghi come una maschera comica che cela un attore con sentimenti veri, umani, vivi.

Due uomini sostano sul ciglio dell'osteria, cantando un motivo stonato, sollevando i boccali vuoti.

“Grantaire!”

Grantaire continua a camminare.

“Ma quello è proprio Grantaire!”

“Sì è lui! Finge di non conoscerci!”

Sono ubriachi. Enjolras ha paura che attirino attenzioni indesiderate. Abbassa la testa e nasconde il viso tra il cappello e il colletto della giacca. Sente la rabbia bruciargli il viso. Lui, che voleva portare la libertà alla Patria, che voleva che ogni uomo fosse uguale a tutti gli altri, proprio lui scappa e si nasconde come un ladro. Proprio lui trema davanti agli ubriaconi di Parigi, col timore che qualcuno possa riconoscere i suoi occhi fieri, mai sconfitti.

Grantaire, con una calma che non gli appartiene, solleva la testa e ride. “Come posso scordarmi una faccia così brutta!”

“Nemmeno tu sei troppo bello”

“Vi ringrazio signori”

“Perché non ti fermi a bere qualcosa con noi? Poi ci facciamo una partita a carte! Come un tempo, ricordi? Il tuo amico può unirsi a noi! Non sembra parlare molto” altre risate “Meglio, tu da solo parli per tre!”

Grantaire sgrana gli occhi quando li sente parlare di Enjolras e continua a camminare. “Mi dispiace amici, ma sarà per la prossima volta. Ho già bevuto stasera!”

“Infatti già barcolli come una spugna! Grantaire sa come godersi la vita!”

Le risate sguaiate li seguono strisciando nelle ombre lungo i vicoli; più si allontanano e più l'eco si confonde con un grido disperato, straziante, che sale dagli inferi e percorre la loro stessa strada.

Grantaire si aggrappa alla mano di Enjolras.

“Sei stanco?”

“Non fermarti. Camminiamo più velocemente. Conosco la strada.”

 

Camminano tutta la notte, con la luna come faro e testimone. Grantaire è instancabile. Col respiro spezzato, instabile sulle gambe, non si arrende e continua a camminare. Enjolras gli tiene prima una mano, poi lo sorregge per le spalle, poi lo supplica di fermarsi; invece proseguono, come gli eroi nei poemi epici.

La campagna intorno alla città si apre davanti ai loro occhi quando il cielo è ancora scuro, in quella fase della notte che precede l'alba, quando le stelle cominciano a sbiadire come candele nella nebbia. È qui che Grantaire si siede nell'erba fresca, con le ginocchia piegate, la mano che si prende la spalla. Enjolras si siede accanto a lui, gli occhi azzurri si perdono nel cielo scuro e sembrano affogare.

“C'era un tempo...” mormora, quasi a se stesso “C'era un tempo in cui le cose erano diverse. I miei occhi erano diversi. C'era tutto un mondo davanti a me che sembrava una canzone che parlava di libertà. Ed era bellissimo. Ero infervorato da magnifici sogni, da ideali di gloria e di onore, pensavo che fosse questo il mio dovere di cittadino.” parla con un tono animato dall'entusiasmo e spezzato dalla delusione, la forza nella sua voce non è tanto il coraggio quanto l'amarezza, la rabbia. Il suo sorriso è un triste veleno. “Ogni cosa era una poesia, ogni grido era libertà. Ogni uomo era un re e chinava il capo solo davanti alla Patria.”

Cade il silenzio. Enjolras stringe le labbra, trattenendo il dolore nelle labbra tese. “Ma più non sento cantare quella canzone; la musica è sparita e quel mondo non c'è più. E forse non è mai esistito davvero. Non so se considerarmi folle ad aver pensato che qualcosa del genere esistesse realmente e che io potessi contribuire a concretizzare quei sogni, quegli ideali... che sciocco dovevo sembrare ai tuoi occhi. Ubriaco tra gli ubriachi. Eppure... non è stato vano. Non permetto a me stesso di pensare che sia stato sangue sprecato. Io credo in quello che ho detto, a quello che gridavo nelle piazze e nelle strade!” sospira “Ho forse creduto nelle cose sbagliate?”

Grantaire lo ha ascoltato con le nere sopracciglia aggrottate come avvoltoi; la sua reazione è un semplice sorriso. Non buffo, non bislacco. Solo un sorriso. Sincero, colmo d'affetto. Con tenerezza gli mette le mani sulle spalle, come per sorreggerlo, per dividere con lui quel peso insostenibile. “Non abbatterti, Enjolras. Sono stato accecato dal vino così a lungo che pensavo non avrei più nulla al di là della bottiglia. Non conosco quel mondo, ma ho sentito quella canzone anche io. E c'è ancora, Enjolras, guarda meglio, non lasciare che la disperazione ti annebbi la vista. Non perdere mai la speranza. Non smettere di credere.”

Enjolras gli circonda la vita con un braccio, gli accarezza debolmente la schiena e si abbandona sulla sua spalla, pensieroso. Nel silenzio, Grantaire poggia le labbra sulla sua fronte calda e sorride, intonando sottovoce un canto.

Do you hear the people sing?

Singing a song of angry men?

It is the music of a people

Who will not be slave again!

When the beating of your heart

Echoes the beathing of the drums

There is a life about to start

When tomorrow comes!”

 

Sul viso commosso e fiducioso di Enjolras fa breccia un sorriso, la sua mano si stringe in quella di Grantaire. Una luce accende il cielo all'alba, all'orizzonte, e loro sono lì a vederla.

Mai era capitato che un cieco guidasse un uomo verso la luce.

“Lo vedo, Grantaire. Andiamoci insieme.”

 

 

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

Un grazie, anche se minimo, è doveroso.

Ringrazio tutte le persone che hanno letto questa breve storia senza pretese, soprattutto quelle che hanno supportato l'idea prima che venisse messa su carta. I vostri commenti mi hanno dato fiducia nella caratterizzazione dei personaggi. Grazie di cuore, avete indirettamente contribuito a questo piccolo lavoro.

Grazie a Sere, cui è dedicata la storia e ha offerto il suo contributo costringendomi a scrivere. È tutta colpa sua.

La storia finisce qui, il prossimo capitolo sarà solo un finale alternativo collegato al primo capitolo che mi ha ispirato Sere (sempre colpa sua). Lei dice che è triste. 

   
 
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