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Autore: zorrorosso    04/05/2015    0 recensioni
Ritornando dalla Louisiana, Elwood crede di essersi perso, per poi invece arrivare ad un'altra lenta conclusione: qualcuno lo sta cercando.
***Specifica contenuti forti: linguaggio.
Genere: Commedia, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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Pt.3 Stazione Radio

 

L’auto guidò di fronte a loro con una lentezza esasperante.

Il motore e la marmitta di quell’aggeggio antiquato tremavano come se avessero avuto almeno duecento anni. Ed era brutta. Una delle più brutte auto che avessero mai visto.

Si soffermarono su quella vista, poco illuminata dalla luce dei lampioni, non ricordando quasi quale fosse l’argomento di cui stavano parlando.

“Chiamerò Bones più tardi... Lavora alla stazione radio"- si interruppe con indecisione -"Come pensate vi potrà procurare una serata? Facendovi cantare dal vivo negli studi?”- chiese Ira ai due.

“Perché no?! Ogni scusa è buona! Comunque avremmo bisogno di altri strumenti. Se vuoi puoi unirti a noi...”- rispose Kals, cercando conferme da Edou.

“State scherzando? Non credo ne sarei più capace! Non suono da almeno cinque anni!”- disse lei ridendo, in un tono vagamente nervoso.

“Non dire balle, abbiamo sentito il ronzio”- disse Edou risoluto.

“Cosa?”- chiese sorpresa.

“Quel dannato ronzio... Tutte le sere, in chiusura, intonavi un ronzio diverso. Che fine ha fatto il tuo strumento?”- spiegò Kals, come se stesse dicendo qualche cosa di scontato.

“Mh... Andrew. Ha tenuto la tromba in cambio del suo assegno schifoso”- spiegò lei sommessamente.

“Ma non l’hai rubato tu... Giusto?”- indugiò Kals.

“No”

“E allora perché è così convinto che sia stata tu?”- chiese Edou.

“Perché ero io che facevo il bucato...”- rispose Ira sottovoce, mostrando una sorta di imbarazzo in quella ammissione privata a due ex-colleghi di lavoro.

La risposta ed il suo tono, scatenarono immediatamente le risate degli altri due, ma furono presto interrotte quando lei chiese di nuovamente:

“E tra di voi, chi fa il bucato?”.

I due giovani si guardarono sorpresi da quella domanda apparentemente insensata ed alzarono le spalle con noncuranza.

“Ogniuno si fa il suo... Di bucato.”- disse Edou nella più totale indifferenza, ordinando un’altra birra. L'altro abbassó lo sguardo per un attimo e corrugó le sopracciglia sistemandosi la lunga frangia, riflettendo ancora sulle parole della giovane donna.

“Se ti serve lavatrice, si trova nel seminterrato...”- specificò con sospetto.

"Bucato... Che razza di domande fai?"- chiese Edou con un'espressione disgustata, come se le avesse chiesto qualche cosa di assurdo, imbarazzante ed inutile.

"Bucato..."- ripeté Kals piú lentamente, quasi sussurrando, con fare ingenuo.

Solo successivamente i due arrivarono contemporaneamente alla stessa conclusione.

"Oh! Chi cazzo ti ha messo in testa quest'idea?”- chiese Edou, sgranando gli occhi castani e dilatando di nuovo le narici per prendere altra aria, quasi come fosse un toro rivolto al suo torero durante una corrida.

“Quale idea?”- chiese lei sorpresa da quella reazione.

In un primo momento Kals non disse nulla. Appoggiò la mano sul braccio di Edou per calmarlo e poi, senza perdere la calma o balbettare, puntò gli occhi grigi sui quelli di Ira e disse a chiare lettere:

“Non-Stiamo-In-Sie-Me!”.

Il vociare che quella frase scaturì tra i due fu come se un soffitto di mattoni fosse appena piovuto sulle loro teste.

"Adesso capisco perché tutte le ragazze ci dicevano sempre di no!”- sbottò Edou ancora arrabbiato.

"Non che ci sia nulla da dire contro chi sta insieme davvero..."- spiegò cautamente Kals in contemporanea.

"O perché quando ti chiamavo Cleopatra tutti, proprio tutti, ridevano"- continuò Edou in un intreccio di discorsi che stava diventando incomprensibile.

"E si spiega anche perché...”- lo riprese Kals, ricordando alcuni fatti successi al Pub nei giorni precedenti.

"Non é neanche una battuta cosí divertente..."- pensò Edou a voce alta.

“Sentite, non mi interessa! A me non è mai importato se stavate insieme o meno! Quando siete stati assunti...”- esclamò Ira interrompendoli.

“Vuoi dire che è stato Andrew a spargere questa voce?”- gridarono i due all’unisono giurando segretamente vendetta contro le angherie del loro ex-capo.

 

I tre volsero per un attimo lo sguardo verso il Pub in fondo alla strada, dove avevano lavorato fino a poche ore prima. Era in via di chiusura e non sembrava mancare di clienti, anche se da quella distanza non potevano esserne del tutto certi.

Dopo tutto quel baccano, si azzittirono dal nervoso e continuarono a bere in silenzio.

 

Il loro sguardo cadde un’ultima volta sui fanalini di coda della Ford che rumoreggiava poco distante, quasi ferma sulla stessa strada, ma nella direzione opposta. Ira distolse lo sguardo dalla strana vista solo successivamente, quando Edou si alzò in piedi e, scostando finalmente le gambe dal tavolo, fece tintinnare le bottiglie vuote.

“Potresti evitare di mettere i piedi sul tavolo tutte le volte che ti siedi da qualche parte?”- chiese Kals. Edou abbassò lo sguardo verso di lui, ancora seduto, le ginocchia sui gomiti e i pugni sul mento, i capelli appoggiati ordinatamente sulle spalle come se fossero stati uno scialle, sembrava quasi arrotolato su se stesso.  Era difficile pensare a come, anche dopo aver pronunciato discorsi del genere, non facessero coppia fissa.

Edou scosse la testa con sufficienza e guardò un’ultima volta la vecchissima Ford allontanarsi, come colto da un pensiero sfuggente.

“Adesso che non lavoreremo più sotto casa, ci servirà forse una macchina?”- chiese Edou puntando il suo sguardo nel vuoto.

“Se vi può essere utile, Jeanette sta cercando di cambiare la sua...”- rispose Ira, pensando a voce alta.

 

***

 

La Bluesmobile tracció il segnale radio fino ad un palazzo molto alto, non troppo lontano dal centro della cittá sconosciuta. Le strade di quella zona erano abbastanza strette ed Elwood non trovava affatto piacevole non poter affondare l'acceleratore e far correre la sua Ford. Parcheggió cautamente nell'area dove il segnale sembrava piú forte, controlló con attenzione i nominativi sui campanelli e le cassette postali.

Finalmente, trovó un campanello che sembrava appartenere ad alcuni studi radiofonici e suonó. Nonostante l'ora abbastanza tarda, il portone si aprí ed Elwood e Buster salirono.

 

"Bones! Che ci fai qui?”- irruppe Elwood a braccia aperte verso l’uomo dall’altra parte del vetro.

"Scusi, ci siamo mai incontrati?”- chiese lui aprendo, in buona fede, una porta laterale e facendoli accomodare nello studio senza finestre. Li aveva già visti avvicinarsi dall’esterno ed anche se erano sconosciuti, per qualche strana ragione non sembravano malintenzionati.

“Che razza di posto é questo? É una cittá?”- chiese Buster guardando la prima pagina incorniciata di un giornale locale con la sua faccia e quella di Murph.

Interpellato, Tom rispose con un nome incomprensibile e difficile da ripetere.

In un primo momento i due ignorarono la sua risposta.

"Ti trovo benissimo! Che fine ha fatto il resto della Banda?”- chiese Elwood.

Avvicinandosi, si accorse che portava una specie di trucco da scena, proprio come quando lavorava per i Magic Tones.

"Non eri allergico al fondotinta?”- chiese quasi sorpreso.

"Non lo sono mai stato...”- rispose lui con sospetto.

Elwood sbottó. Si ricordava benissimo di quando Murph lo doveva sostituire per via di quella terribile allergia ai cosmetici. Per lo meno aveva evitato di mettersi quella parrucca orribile nella speranza di passare latino... E poi per cosa? Alla radio non lo vedeva mica nessuno e non faceva più quel lavoro ora che faceva parte della banda... Senza dire nulla, aprí la sua immancabile valigetta e gli passó un fazzoletto, nella speranza che si struccasse prima di soffocare in uno shock anafilattico.

"Dove siamo? Quando si riparte?"- chiese Buster con impazienza.

"Non ho idea di cosa state parlando... Noto con piacere che siete appassionati di Hooker?”- chiese lui, dando l’impressione di non avere affatto idea di chi avesse di fronte. La sua serata era ormai arrivata a conclusione e si sarebbe dovuto struccare comunque, quindi approfittò del gesto dell’uomo per pulirsi e riconsegnargli il fazzoletto sporco.

"Tom!”- lo spronò Elwood un’altra volta, cercando di rievocare memorie del tutto assenti.

"Non l'ho mai vista prima d'ora signore”- rispose lui freddamente.

 

"Senta: ha bisogno di aiuto? Le chiamo un carro attrezzi? Un' ambulanza? Quello é suo figlio?"

Elwood si voltó lentamente verso Buster e poi ritornó meccanicamente su Tom.

"Eravamo in Louisiana, io ho preso la macchina per primo con Buster, voi dovevate andare avanti con la serata e poi ci avreste seguito, ma quando si é fatta l'alba...”

“Louisiana? Cos’è? Uno stato o la Terra Santa?”- scherzò lui, senza aver mai sentito il nome di quello stato prima d’ora.

“Tom? Sono Elwood J. Blues... I Blues Brothers!”- sbottò Elwood alterandosi.

“Mai sentiti. Fate parte di una setta?”- ancora una volta, Tom sembrava non sapere di cosa lui gli stava dicendo.

 

Elwood tiró fuori l'assegno della Clarion Records e glie lo mostró nella speranza che almeno quello lo potesse far reagire.

Tom prese in mano il foglio e lesse faticosamente il nome di Elwood, come se fosse stato scritto con caratteri incomprensibili. Guardó lui e l'assegno piú volte, in un confronto veloce, sembrava non voler credere ai propri occhi.

“Perché mi sta mostrando questo assegno? Ed é sicuro che sia intestato a lei?”

“Non so. Volevo chiedertelo visto che è l’anticipo del contratto che abbiamo stipulato ben diciotto anni fa, ma purtroppo...”

"Quale contratto? Non ho mai stipulato contratti di registrazione con questa casa discografica e tantomeno con voi!"

Elwood tirò fuori la sua patente falsa e la mostrò a Tom, per fargli vedere che non stava mentendo e quello era veramente il suo nome.

Lui la guardò più volte, non dubitò delle sue sincere intenzioni, notando la foto ed il nominativo identici.

"D'accordo: le voglio credere signor... Elwood... Non posso fidarmi del tutto, ma sembra sincero quando dice di conoscermi ed io non mi ricordo affatto di lei. C'é un hotel non troppo lontano da qui, prendete una stanza, dormiteci sopra e presentatevi qui domani alla stessa ora"

I due annuirono meccanicamente e lo salutarono, concludendo la sua lunga giornata con una nota davvero strana.

 

Arrivati all’albergo, Elwood prenotò due camere separate e fece scivolare le banconote ripiegate sulla cassa del bureau, con sicurezza.

“Tenga il resto!”- disse abbozzando un sorriso e defilandosi il più velocemente possibile.

L’uomo l’aprì subito con un sorriso di stupore e fissò la faccia del cliente in occhiali da sole di fronte a lui ed il ragazzino che lo accompagnava.

“Grazie! Molto gentile!”- rispose in tono sincero.

Gli occhi di Elwood si sgranarono al suono di quelle parole: aggrottò le sopracciglia e si voltò di nuovo verso di lui, per notare il volto disteso del commesso, soddisfatto di quel pagamento, fargli una specie di reverenza con il capo.

Buster tafugò una delle banconote restanti dalla tasca della giacca e la mise controluce, notando la filigrana perfetta di una banconota vera.

In corrispondenza dell’apice della Casa Bianca, il motto era scritto diversamente:

In Blues we trust.

Istintivamente, Elwood emise un lieve fischio dallo stupore.

 

“Qualche cosa non va?”- chiese l’uomo al bureau, notando i due comportarsi in modo strano.

Lui mostrò la banconota al cassiere come se quella che gli avesse appena dato fosse stata diversa.

“Oh, non avete mai visto queste banconote? Siete stranieri? Errm... È il motto degli Stati Uniti”- scandì l’uomo con estrema lentezza.

“Cosa?”- chiese Buster, non aveva visto tanti pezzi da cento, ma di sicuro non potevano avere quel motto.

“Vuol-Dire-Che-Ab-Bia-mo-Fede-In-Dio...”- scandì nuovamente l’uomo, poi pensò un po’ a quello che aveva appena detto -”Ovviamente se credete in qualcos’altro, la vostra opinione verrà comunque rispettata... È soltanto un motto!”- si corresse velocemente scuotendo la testa.

“Non capisco, é il motto della band!"- sussurrò Elwood verso il ragazzino.

“Non c’è niente da capire! È soltanto un motto! C’è il Blues, il Soul... Holy Louis, avete presente? Ci sono tanti Santi e tanti Generi a questo mondo... Se proprio avete dei dubbi, fate un salto in Chiesa domani, qualcuno sarà disposto a spiegarvi meglio, non sono un prete... Buona notte!"- l'uomo, stranito da quella conversazione assurda, chiuse subito la cassa e la serranda del bureau come se avesse appena parlato a due fanatici.

 

***

 

Holy Louis sorrise serenamente.

Era anziano, lo era sempre stato. Produsse un suono che lei prima di allora riteneva umanamente irraggiungibile, abbassandolo con la sordina e poi continuó il pezzo improvvisando magnificamente. Improvvisando.

Ira non era mai stata una persona eccessivamente religiosa.

Conosceva le scritture antiche, per qualche ragione, le aveva trovate assurde e interessanti in passato. Il fatto di poter suonare ad orecchio, il fatto di poter ripetere un riff senza che si potesse sentire neppure una giuntura e all'infinito... Non trovava fosse possibile. Eppure l'impossibile scaturiva dalla tromba di Holy Louis come se fosse stato di fronte a lei, allo stesso modo di duecento anni prima. Forse l'anziano signore non stava improvvisando, forse aveva memorizzato tutte quelle note a memoria.

Impossibile.

Almeno prima di allora.

La musica era fatta di brani e di note da leggere e imparare su uno spartito, non di semplici rumori. Certo, il suono era importante, ma il jazz era illogico, come poteva gente credere cosí ciecamente alle scritture? Come potevano anche i musicisti piú allenati semplicemente arrangiare?

Credeva che Holy Louis o Holy Fred del Delta fossero soltanto curiose leggende di un passato ormai remoto e dimenticato. Non credeva nel messia. Non di certo in un messia dalla pelle chiara e che intercedesse per Louis in persona.

L'anziano signore la guardó.

"Non mi piace disturbare le persone nel sonno, non mi piace disturbare la gente in generale, ma questa volta..."- disse ripulendo una delle valvole di condensa del suo strumento.

Ira non credeva alle proprie orecchie.

"Chi siete?"- disse quasi sottovoce.

"Non sono nessuno, in particolare. Tu come mi chiameresti?”

"Holy Louis?”- rispose Ira, ricordando le frequenti immagini che per una ragione o per un’altra avevano tappezzato la sua infanzia.

L'uomo gracchió una risata stanca e gli mostró con confidenza la sua tromba di ottone, cesellata in motivi floreali fin dentro la campana. Era uno dei migliori esemplari che avesse visto di recente.

"Strano sentire il mio nome dalla tua voce. Non ti ho mai sentito pregare...”

"Non credo, Holy... Ehm, Louis”

"Non ti biasimo. Avere fede non é facile. Ci sono persone che credono senza credere, e invece altre... La fede dá speranza. Tuttavia la speranza puó scaturire da qualsiasi cosa, non solo dalla fede... Posso sapere cosa ti porta a non avere fede?”

"Tutti lo sanno. Non si puó improvvisare”- rispose lei immediatamente.

Louis sorrise. I denti bianchi spiccarono di nuovo tra le labbra d'ebano. Le illustrazioni sacre lo volevano la sua pelle dai riflessi bluastri, ma in realtá il suo bruno era quello di qualsiasi uomo, alla sua etá.

"Non importa che tu voglia credere o no. Il Jazz é qui per chi lo vuole ascoltare. Scritture, leggende, voci sono tutti artefatti. La musica c'é sempre stata, non l'ho certo inventata io! Ci sono persone che hanno bisogno di vedere le loro cose scritte nero su bianco, altre che hanno fede e credono che il suono della tromba Jazz sia improvvisato. Tuttavia credi nella musica: é questo quello che conta...”

 

L'anziano signore ripose il prezioso strumento nella sua custodia, distogliendo lo sguardo dalla donna, ma lo rialzó poco dopo, non sembrava affatto deluso dalle sue parole.

"Certo che credo nella musica! Ma non ho mai sentito nessuno improvvisare prima d'ora...  Il Jazz è una cosa antiquata, molti stili di musica si sono differenziati nel corso degli anni, sono diventati stili a se stanti, il Blues, il Soul, il Rhythm and Blues... Alcuni teologi ci metterebbero dentro anche il Rock’n Roll... I generi sono innumerevoli e tutti hanno uno spartito”- stabilì lei razionalmente.

"Secondo te stavo improvvisando, poco fa?”- chiese l’anziano signore.

"Potreste aver memorizzato quello che stavate suonando, signore. Dunque no”.

L'uomo strinse il labbro inferiore, aggrottó le sopracciglia con intensitá ed annuí piú volte.

"Non ti sto chiedendo di credere. La fede risiede in te. Se sei disposta a credere nella musica, il suono della tromba jazz non é nient'altro che altra musica..."- pronunciando quelle parole, scosse la testa come deluso, abbandonó presto l'argomento, mostrando indifferenza alla sua reazione confusa e si avvió da solo verso la porta di quella stanza con un andamento leggermente malandato.

"Quasi dimenticavo perché sono qui! C'é qualcuno che ti vuole parlare. Devi partecipare alla jam-session"- disse con un tono secco.

“Quale jam-session?”- chiese lei, spaesata da quell’ordine. L’uomo non rispose, spinse il bastone in avanti e le puntó addosso la valigetta che custodiva la tromba, fino a farla cadere per terra.

 

Ira si sveglió poco dopo su un pavimento sconosciuto ad una prima occhiata. Si era addormentata sul divano ed era caduta girandosi. Con lentezza, ricordò che si era sommariamente trasferita e si stava trovando nella sua stanza... E contemporaneamente nel soggiorno.

Kals si avvicinò con un solo passo e la osservó rialzarsi in silenzio.

"Tutto bene?"

"Eh... Credo di... Credo di si"- disse in modo sommesso, lo sguardo di Ira era spaesato e la sua schiena indolenzita.

"Oh”- disse Kals - "Hai fatto un brutto sogno?”- continuó curvandosi in avanti e cercando di aiutarla a sedersi, come se stesse parlando con una persona molto più anziana di lui e non una sua coetanea.

 

"Credo mi sia rimasto qualche cosa sullo stomaco da ieri sera... Quella birra faceva schifo!”- disse lei strofinandosi gli occhi ancora intorpiditi dal sonno.

Kals si riallontanò ancora, notando qualche cosa, una valigetta nera, vicino alla porta d’entrata.

"Che cos'é? L'ha portata qualcuno?"- chiese Ira indicando con un cenno del capo l'oggetto della sua attenzione. Kals accorse alla porta, cercó di aprirla, ma Edou l'aveva chiusa prima di uscire. Porse la valigetta ad Ira che l'aprí cautamente. Dentro c'era la stessa tromba del suo sogno.

“È tua?”- chiese Kals sospettoso.

“No”- rispose lei in una smorfia, facendo finta di stirarsi ed avere una vaga idea sulla sua provenienza.

 

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Breve nota disclaimer per questo ed il prossimo capitolo:

Non so se risulta chiaro o meno tra gli avvertimenti, ma la religione praticata da alcuni personaggi in questo universo alternativo è completamente inventata e non vuole essere d’insulto a nessuna delle religioni reali.

  
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