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Autore: Paperback White    04/05/2015    4 recensioni
"Is there anybody going to listen to my story
All about the girl who came to stay?
She's the kind of girl you want so much it make you sorry
Still you don't regret a single day
Ah girl, girl"
Chi era questa misteriosa ragazza cantata da John, su un testo scritto insieme a Paul? E se fosse stata una presenza importante nella loro vita?
Questa è la storia del più grande gruppo rock degli anni sessanta, osservata attraverso gli occhi di una ragazza ai più sconosciuta, e di cui la cronaca non lascia alcun ricordo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon, Nuovo personaggio, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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11. GEORGE HARRISON
(I saw her standing there)

 
Well she was just seventeen
You know what I mean
And the way she looked
Was way beyond compare
So how could I dance with another,
Oh, when I saw her standing there
 
Mentre le lettere di John e Paul erano sempre più interessanti, le mie mancavano di novità o aneddoti carini da riportare: era un periodo piuttosto morto, occupato dalle lezioni e dai corsi extra scolastici. Nel poco tempo che mi restava riuscivo a vedermi con i miei amici e con Ben, la persona con cui passavo la maggior parte del mio tempo libero. Ormai la nostra storia si era consolidata, avevamo nostre abitudini e nostri ricordi, ed era davvero importante la sua presenza: sentivo di potermi affidare a lui, sicura che mi sarebbe sempre stato vicino. Per le vacanze di natale del 1957 Ben e la sua famiglia sarebbero andati a York, cogliendo l’occasione dell’ottantesimo compleanno della nonna per passare le feste insieme. Lo studio e i corsi mi tennero intrappolata a Londra, lontana dal mio ragazzo e contornata dai parenti di Mark, con cui non avevo un vero e proprio rapporto. Insomma, fu un natale davvero triste per me, illuminato solo dalla presenza di Josh e Claire e dalle lettere del mio ragazzo o dei miei amici di Liverpool.

L'anno iniziò con una bella notizia: nonostante il litigio avvenuto l’estate precedente, il signor Sytner concesse un'altra possibilità ai ragazzi, che poterono esibirsi nuovamente al Cavern (1). Fu una cosa inaspettata: mai avrei immaginato che quell’uomo sarebbe ritornato sui suoi passi, almeno non dopo il furioso litigio con il leader della band. E come se l’inizio dell’anno non mi avesse già sorpresa abbastanza, quel febbraio fu importante per un particolare. Un evento che di primo impatto aveva una sua rilevanza, seppur piccola, ma che rivisto ora assume una connotazione molto speciale. E’ per me una sensazione buffa e in un certo qual modo melanconica il dipanare quelli che sono i miei ricordi, confrontati con lettere e appunti scritti su un diario, rimembrando le sensazioni e quello che successe in quel momento.
Questo piccolo episodio è legato alla mia prima conoscenza, anche se per via "cartacea", con George Harrison (2).
George e Paul erano amici da molto tempo prima che lo conoscessi: si erano incontrati su un autobus ed avevano iniziato a parlare (3), stringendo amicizia in breve tempo. Ad unirli era stata la stessa identica divisa scolastica e due custodie scure, contenenti i loro strumenti. Fu su quello che Paul posò il suo sguardo, prima di ritornare sul suo proprietario, incuriosito dal conoscere quel bambino che sembrava avere la sua stessa passione. Avevo sentito solo due volte pronunciare il nome di George dalla bocca del mio amico e non si era mai soffermato a parlarne molto. Quindi per me era solo una parola su cui non mi ero mai fermata troppo a pensare. Forse fu anche per questo che rimasi piuttosto colpita dal ricevere la notizia del suo ingresso nella band (4). Leggevo continuamente novità sul gruppo, quindi in realtà sapevo quando qualcuno entrava o usciva, date di concerti e qualsiasi altro particolare. Il racconto che John e Paul mi avevano inviato via posta fu il mio primo vero contatto con George, quel imput che stuzzicò una certa curiosità nei suoi confronti.
Per prima, mi giunse la lettera di Paul:
 
Dopo qualche esibizione avevo già capito che Eric è sin troppo debole come chitarrista. Ci serviva qualcuno più bravo, alla nostra altezza. Io e John siamo sicuramente i più dotati e motivati del gruppo, e se vogliamo andare avanti dobbiamo trovare qualcuno con cui poter rafforzare la band.
Ed io conosco la persona giusta. Ti ricordi di George, quel mio amico che abita a Speke (5) e che frequenta la mia stessa scuola? Ecco si, lui è davvero bravo, ha un gran talento!
E' un tipo all'apparenza molto silenzioso e introverso (e io stesso ho fatto fatica a conoscerlo), ma è molto simpatico una volta che ci prendi confidenza. Certo è più piccolo di noi (ha un anno in meno di me) e già mi aspettavo qualche critica da parte di John, per cui mi preparai bene il discorso per introdurre l’argomento “George”.
"E' davvero bravo, così se pensate ad una chitarra è il vostro uomo".
Una frase ad effetto no? Almeno è bastata per incuriosire John a dargli una chance: voleva vederlo dopo il nostro concerto al Wilson Hall, per sentire se avevo ragione o meno. Se avessi visto la faccia di George mentre gli comunicavo la notizia: era davvero al settimo cielo!
Si allenò molto per fare bella figura, chiedendomi spesso di provare con lui per avere dei pareri sulle sue capacità. Mi piacque vederlo così entusiasta, mi ricordò me stesso la scorsa estate, quando Ivan mi aveva proposto di accompagnarlo al St. Peter per presentarmi dei suoi amici… Sembra passato un secolo da come ne parlo, eh?
Quindi, come concordato, tornammo a casa tutti e tre insieme, e fu là che gli presentai George. Ma John poteva degnarsi di avere comportamento civile ed educato?
Ha iniziato subito a lamentarsi appena lo ha visto, con frasi come "Ma chi mi hai portato Paul? E' un poppante!".
Io raccolsi tutta la mia pazienza per farlo ragionare, mentre George guardava John senza dire nulla. Sapevo bene quanto ci tenesse e cercai di fare di tutto di far cambiare idea a quel capoccione. George era mio amico e se gli avevo promesso che avrebbe avuto un provino, bè lui lo avrebbe avuto, a costo di legare John sul seggiolino del bus e costringerlo ad ascoltarlo suonare! Cominciai ad elencargli tutti i motivi per cui George doveva entrare nella band, ricordandogli che i musicisti che lui aveva scelto non era poi così fenomenali (come lui stesso aveva ammesso in passato), e che non poteva giudicarlo senza averlo nemmeno sentito. Insomma, quando voglio posso essere più testardo di lui. Così, col suo solito modo di fare arrogante, concesse questa possibilità a George. Lui non era tipo da farsi intimorire per un rifiuto, ma di certo l'atteggiamento di John non lo aveva messo a suo agio. Gli lanciai uno sguardo d’incoraggiamento, sperando potesse bastare per aiutarlo a non farsi demoralizzare dal comportamento di quel deficiente di John. Lui mi fissò solo un momento prima di imbracciare la chitarra ed eseguire per noi un perfetto assolo di "Rauchy" (6), lasciando John senza parole. Devo ammetterlo, è stato davvero divertente vedere John silenzioso, senza avere qualcosa da dire. Lui tentava di nasconderlo, ma mi sapevo che aveva intuito le potenzialità di George, e credo fosse combattuto solo per il fattore dell’età. Bè John ha diciassette anni, mentre George ne avrebbe compiuti quattordici venti giorni dopo… in effetti poteva essere difficile avere qualcuno di così piccolo nel gruppo.
Dopo aver fatto passare qualche secondo, ci diede il suo responso.
Risultato? George è nel gruppo!
 
Qualche giorno dopo, fu il turno del racconto di John:
 
Ah, ma non sai la novità: qualche giorno fa ho deciso di far entrare un amico di Paul nel nostro gruppo. Si chiama George Harrison ed è un buon chitarrista.
Paul mi aveva accennato qualcosa di questo ragazzino e mi decisi a fargli un provino, visto che ci serviva qualche nuovo membro valido nel gruppo.
Eravamo sul bus, e Paul mi disse "Ecco, questo è il chitarrista che ti dicevo".
Io lo squadrai, incredulo che quel bimbetto rachitico potesse sostenere una chitarra, figuriamoci suonare qualche pezzo in maniera decente! Pensavo che Paul fosse impazzito cioè, uno così figuriamoci se poteva entrare nel mio gruppo!
Non aveva proprio l'aria del musicista, e soprattutto ci avrebbe fatto apparire come un complesso di ragazzini!
Perchè è un ragazzino: non ha ancora compiuto quattordici anni. Ti rendi conto???
Ok, anche Paul è un bimbetto, ma almeno ha quasi sedici anni, nonostante il viso paffuto non lo aiuti molto ad apparire più adulto. Cosa ci troverete voi ragazze in lui? bah.
E poi è di un petulante! Non la finiva più di chiacchierare e di spiegarmi i suoi "motivi". Tanti bla bla bla su quanto George fosse bravo. Peggio di una mammina premurosa che presenta sua figlia ad un facoltoso pretendente!
Per farlo zittire ho concesso a George di farmi sentire qualcosa, almeno l’avrebbe smessa con quello strazio!
E devo ammettere che Paul aveva ragione: ha fatto uno splendido assolo di Rauchy. E' sicuramente più bravo di Paul, conosce perfettamente gli accordi ed è in grado di eseguire un pezzo come Rauchy, che non ho mai visto fare a nessuno della nostra età. Poi sa come far funzionare tutti i fili elettrici, risparmiandoci esplosioni durante gli spettacoli (7). Insomma, tutte caratteristiche vincenti.
Quindi decisi di accantonare il problema età (tanto crescerà prima o poi!), e ho concesso a George di unirsi al gruppo. Devo ammetterlo, ora con lui e Paul penso che potremmo avere qualche buona chance di farci notare e magari di sfondare!
Ho proprio fiuto per gli affari! E sono certo che il tempo mi darà ragione su questa mia decisione (8).
 
Non ho mai avuto occasione di chiedere un commento di George su quella serata, ma sono sicura che sarebbe sorta una risposta tipo “Sono salito sul bus, John e Paul hanno iniziato a battibeccare e dopo un po’ mi hanno fatto finalmente suonare. Gli sono piaciuto e mi hanno preso nella band”.
 
***
 
Dopo il ritorno di Ben, le cose tra di noi iniziarono a cambiare. Lui era meno appiccicoso rispetto a prima, lasciava maggiormente i miei spazi e si concedeva maggiormente i suoi. In principio questa cosa mi aveva spaventava e iniziai a temere che fosse successo qualcosa, chiedendogli più volte spiegazioni. Lui cercava di tranquillizzarmi, dicendomi solo che aveva parlato con dei suoi cugini e aveva capito di aver spesso esagerato e che voleva smetterla di ossessionarmi con le sue paranoie.
Comunque le sue attenzioni non mancarono: da quel punto di vista tornò come ai primi tempi, riempiendomi di regali e di paroline dolci e quello fu un elemento che mi piacque moltissimo. Certo, spesso scompariva improvvisamente, era più occupato di prima e alcune volte notavo che sembrava preso da qualcos’altro. Chiesi più volte spiegazioni, ma lui adduceva scuse come lo studio e la squadra, oppure il tirocinio che stava facendo durante quel periodo: erano sempre cose già presenti anche prima, ma che ora aveva assunto un peso più grande, mangiando parte del suo tempo e della sua attenzione. Ma tutto questo fu accompagnato anche da un altro particolare: una maggiore pressione nell'approfondire il nostro rapporto. Io e Ben non avevamo fatto sesso sino a quel momento, nonostante molti ragazzi della nostra età si fossero già concessi quel piacere. In quei tempi ancora non esisteva la pillola anticoncezionale (9), e il solo preservativo non poteva darti una certa sicurezza nel non avere gravidanze indesiderate. Ed inoltre, la società di allora era tutta incentrata sull'idea che quelle gioie notturne si potessero consumare solo dopo aver avuto una fede al dito. Una ragazza madre era considerata male da tutti, e se capitavano situazioni simili era auspicabile un matrimonio riparatore per evitare una condizione penosa alla madre e al futuro nascituro. Quindi si insegnava alle ragazze a non lasciarsi conquistare da belle paroline e promesse: perchè siamo noi quelle che potrebbero portarne le conseguenze.
Ma se prima gli adolescenti cercavano di seguire i consigli dei loro genitori, cosa potevano fare ora che erano diventati adulti, trovandosi quella generazione ribelle davanti? Matrimoni riparatori, ragazze che abbandonavano i neonati, e qualche fortunata che scampava a tale rischio si diffusero rapidamente in ogni luogo, diventando una caratteristica nascosta agli occhi del perbenismo.
Io non mi ero realmente posta il problema del farlo o del non farlo. Era stato Ben a farmi pensare, a pormi una domanda che non mi ero mai fatta. Ed ogni qualvolta, gli chiedevo di rimandare.
La verità? avevo paura. Paura del dolore, paura di non essere abbastanza brava, e anche paura delle conseguenze che sarebbero potute esserci. Era qualcosa di sconosciuto, nessuno ti spiegava cosa dovevi fare per “farlo bene”, sapevi solo che era sbagliato e che potevi rovinare per sempre la tua vita.
Nonostante Ben fosse molto dolce, assunse un atteggiamento pressante su quell’argomento, come se non volesse più aspettare. Quel suo modo di fare mi diede da pensare: e se potesse lasciarmi per qualcun’altra? Mi amava, ma non sapevo quanto. E se dovevo esprimerlo su una scala numerica, il modo in cui Ben si era creato un proprio spazio senza di me, faceva scendere di molto l’intensita di quel sentimento.

Così mi decisi. Pensai che fosse giusto, ormai avevo quasi 17 anni, stavamo da 2 anni insieme e mi aveva dimostrato più volte il suo affetto. Forse ce lo meritavamo entrambi, sarebbe stato quel passo in avanti per la nostra relazione, per evitare che si fossilizzasse e potesse venir schiacciata da qualsiasi fattore esterno. Fu questo sciocco pensiero che mi portò a dirgli di si.
Ben organizzò tutto magistralmente: aveva un cugino più grande che ormai viveva da solo, e che in alcuni week end lasciava Londra per andare a trovare la sua ragazza che viveva fuori città. L'idea era che io sarei andata a dormire da una nostra amica (Ginny, che si offrì volentieri di coprirmi), così che mia madre non avrebbe creato problemi.
Rivelai la decisione a Claire, che per prima cosa mi chiese se ne ero davvero sicura. In fondo non ne avevo mai parlato, e la cosa la lasciava stupita. Cercai di dimostrarmi il più convinta possibile, adducendo la paura come scusa plausibile al mio comportamento, che rivelava pensieri diversi. La vidi indecisa se credermi o meno, ma comunque non si sottrasse dallo starmi vicina, sapendo quanto fosse importante avere l’appoggio di qualcuno. Mi diede alcuni buoni consigli (ormai era diventata "esperta", visto che era già un anno che lei e Tom avevano quel tipo di rapporti), e mi chiese di fargli sapere come fosse andata. Claire fu molto paziente a rispondere a tutte le mie domande, moltissime anche idiote, e mi fece rilassare, almeno durante quella chiacchierata. Mi sentii davvero fortunata ad avere un'amica simile, che mi ascoltava e mi consigliava senza giudicare, sempre pronta a consolarmi se ci fosse stato qualche problema. Mi disse che era sempre disponibile a parlarne per qualsiasi dubbio mi fosse venuto, e concluse il discorso con delle parole che volevano essere incoraggianti “quello che conta di più è che sia una cosa che vuoi fare davvero, questo la renderà speciale”.
Rimasi con quella frase impressa nella mente, chiedendomi se potevo sentirmi partecipe di quelle parole. Tra questi pensieri giunse il fatidico giorno. Ben mi portò a cena fuori e io cercai di nascondere tutta la mia paura, mentre ridevo alle sue battute. Fu un pasto decisamente veloce, o forse io lo percepii in quel modo, perché ci trovavamo dentro quella camera da letto senza che me ne potessi davvero rendere conto. Guardai quel giaciglio che avrebbe presto accolto i nostri corpi nel culmine della passione. Deglutii, mentre il mio sguardo vagava tra quelle lenzuola azzurre e quel piumino scuro, colta da una voglia improvvisa di scappare. Due braccia mi avvolsero e impedirono la mia fuga.
-Ne sei convinta?- mi chiese la dolce voce del mio ragazzo.
-Si- mentii.
Dovevo smetterla di nascondermi e di avere paura dell'ignoto. Basta fare la ragazzina impaurita, io amavo Ben e lui amava me, saremo stati attenti e quel gesto ci avrebbe uniti ancora di più. Era il momento di farlo, di far evolvere il nostro rapporto, ed era arrivato per me il momento di crescere. Con quel gesto dicevo addio alla spensieratezza e l’innocenza di 17 anni di vita, ed entravo nel modo degli adulti, fatto di responsabilità e cose più grandi di me, cammino incerto verso cui sarei dovuta approdare comunque. Tanto valeva affrontare quella situazione con lui, che era la persona più importante della mia vita.
E così ci sdraiammo su quel materasso morbido, strusciandosi sotto le coperte, mentre il mio ragazzo vagava sul mio corpo; ed io, in un misto di emozioni che variavano tra il dolore e lo stupore, divenni finalmente una donna.
 
***
 
Ogni estate assaporavo con tutti i sensi l'anima di quella cittadina a me tanto familiare: l'odore del mare, l'aria fresca che carezzava piacevolmente la pelle, quell'accento così diverso, quelle strade e case così simili tra di loro erano passato e presente che si mischiavano nella mia mente e nei miei occhi, connotando in modo piacevole le mie vacanze. Ad attendermi, John e Paul, uniche due figure davvero importanti. Era buffo come fino ad un anno prima non conoscessimo Paul, e il modo in cui lui e John erano legati l’uno all’altro, come se si conoscessero da una vita, dava proprio l’idea di qualcosa di speciale.
Quel pomeriggio avevo appuntamento a casa di Paul, raggiungendo i miei amici che stavano esercitandosi con la chitarra insieme a George. Ero entusiasta di conoscere subito anche lui, visto che era diventato una presenza fissa nelle loro lettere. Mi ero fatta diverse idee su come potesse essere questo fantomatico ragazzino che mi era stato descritto come un tipetto silenzioso e tranquillo, ma che quando apriva bocca compensava pienamente tutti quegli attimi di silenzio.
Arrivai in fretta a Forthlin Road, ormai impaziente di rivederli. Ero già andata a casa di Paul in due occasioni in precedenza e trovai facilmente la strada, nonostante lui stesso si fosse offerto di venirmi a prendermi e accompagnarmi, per evitare che mi perdessi. Questa era la tipica galanteria che Paul aveva sin da bambino, uno di quegli aspetti così raro negli altri ragazzi, ma che mi piaceva moltissimo. Rifiutai il cortese invito, non volendo interrompere le loro prove, e mi feci trovare davanti all'ingresso alle 17.30 spaccate, come avevamo accordato. Passai per il vialetto che delimitava il piccolo giardino, con una siepe di lavanda che spuntava da un lato a dare il suo benvenuto agli ospiti, e mi trovai davanti alla porta bianca dallo stipite rosso e la piccola tettoia scura.
La villettina dei McCartney era una piccola costruzione a due piani, con grandi finestre dalle cornici bianche e un muro mattonato, sopra cui il tetto a spiovente dava l'idea di una tipica casa inglese, di quelle più residenziali anche se non allo stesso livello di Mendips.
Mi fermai davanti alla porta d’ingresso, molto simile a quella di casa di zia Maggie, tutta bianca con un vetro coperto da una tendina protettiva. Bussai forte per farmi sentire, sperando di sovrastare la musica proveniente dall'interno. Attesi alcuni secondi, aspettando di avere un qualche segnale che la mia presenza era stata notata; ma le note di una chitarra stonata mi fecero capire che i tre musicisti erano troppo concentrati per accorgersi di me. Stavo per bussare una seconda volta quando vidi comparire un'ombra da dietro la tenda.
La porta si aprii e mi trovai di fronte un ragazzino di circa quattordici anni, con una bocca grande e un nasino pronunciato.

-Ciao Mike!- salutai il fratellino del mio amico.
-Ciao Freddie, ben arrivata a Liverpool- mi disse, salutandomi con un bel sorriso.
Mi fece accomodare all'ingresso, e il mio sguardo puntò subito verso l'alto.
-Ho come la strana sensazione che i ragazzi si trovino di sopra...- scherzai.
-Che intuito!- rise -Paulie, George e John ti aspettano su-

Mi feci guidare dal tappetino a fantasia sulle varie sfumature del marrone e dell'arancio e salii quelle scale, poggiando la mano sul liscio corrimano bianco, fino ad arrivare davanti alla camera di Paul. Tutte le idee che mi ero fatta su quel George Harrison erano passate davanti ai miei occhi, in una successione che si alternava ad ogni gradino su cui poggiavo il piede. Ed ora ero là, per vedere quale immagine si avvicinasse anche lontanamente alla realtà.
Tentai di bussare ma i ragazzi continuavano a non sentirmi, chiacchierando a voce alta e suonando qualche accordo. Potevo tranquillamente sentire tutto quello che dicevano, come se quella porta fosse stata aperta: ma invece avevo ancora davanti a me il bianco legno, che mi divideva da loro. Capii che non mi avrebbero mai sentita, per cui mi decisi a spalancare la porta per poterli finalmente salutare.
La camera di Paul era molto simile a quella di John: dal semplice mobilio (composto da letto, comodino, due sedie e comò con specchio) e una porticina che conduceva all'armadio a muro. Molto delicata, con colori chiari e luminosi e una piccola tendina a fantasia a ravvivare l'ambiente. Posizionati in quel piccolo spazio vi erano i tre ragazzi: John e Paul seduti sul letto mentre a George era toccata una sedia, posizionata poco distante. Imbracciavano le chitarre a si scambiavano sguardi complici, mentre ridevano e accarezzavano le corde dei loro strumenti. Si girarono quasi subito verso di me, notando che la porta era stata aperta.

-Ciao Freddie!- mi salutarono in coro Paul e John, abbandonando le chitarre sul letto ed abbracciandomi forte. Io li strinsi con altrettanta forza, godendo del delicato tepore della loro pelle a contatto con la mia, che aveva l'effetto di scaldarmi ancora di più. Ero davvero felice di rivederli e mi sentivo davvero bene, come se fossi tornata al mio posto, il luogo in cui dovevo stare.
Iniziammo subito a chiacchierare senza sosta, come se dovessimo aggiornarci su un mucchio di cose. Mi ricordai dopo poco della presenza di George, e gli lanciai alcune occhiate furtive. Era magrolino e piccino come mi avevano descritto i miei amici, ma completamente diverso dal tipo che avevo sempre immaginato. Ero convinta fosse come Mike, un ragazzino ben educato e timido, dai vestiti composti e i capelli in ordine. Ma in quel momento avevo davanti a me un mini Teddy boy, con un onda di capelli neri modellata verso l'alto, grandi orecchie, viso allungato e bocca larga. Folte sopracciglia coprivano gli occhi dal taglio leggermente affusolato, scuri quasi quanto i capelli. Aveva un bello sguardo deciso, che sembrava leggerti dentro, ed era anche così... onesto. Mi rendo conto che sembra un aggettivo nappropiato, ma è la prima cosa che mi viene in mente quando penso agli occhi di George. Può sembrare una frase scontata, ma spesso è proprio dagli occhi che si può leggere davvero il carattere di un persona; John aveva uno sguardo malizioso e dispettoso, mentre quello di Paul era sempre gentile e attento, ma avevano una cosa in comune: cercavano di nascondere tutta la loro insicurezza. Gli occhi di George no. Lui ti studiava, cercava di capirti e poi iniziava a parlare. Qualsiasi fosse stato il responso di quell’attenta osservazione di una cosa eri sicuro: te l’avrebbe detto senza troppi giri di parole. Ha sempre odiato l’ipocrisia e i grandi paroloni, preferiva le cose semplici e non gli interessava nascondersi: la sua lunga e spinosa lingua non riusciva a trattenersi dal non dire qualsiasi cosa, anche la più sconveniente. E il tutto con una assoluta calma, come se non ci fosse nulla di male nell’esternare quello che stava pensando in quel momento. Questa è una delle caratteristiche di George che mi piace di più in assoluto: una totale e innocente sincerità.

Ma in quel momento non lo conoscevo e mi sentii fortemente a disagio ad essere analizzata da quei piccoli occhietti scuri, che non si preoccupavano minimamente di essere stati notati nella loro osservazione. Paul si rese conto di essersi dimenticato del suo amico, e interruppe il discorso di John per fare subito le presentazioni.
-Scusatemi, voi due ancora non avete avuto modo di conoscervi! George questa è la nostra amica Freddie-
George si alzò dalla sedia, per potermi stringere la mano.
-Piacere, Federica- gli dissi, allungando la mano e dedicandogli un bel sorriso.
-George- disse, senza mostrare alcuna emozione.
Pensai subito che non dovevo avergli dato una gran bella impressione, vista la sua reazione.
-Che stavate facendo di bello?- chiesi senza pensarci troppo, cercando un argomento per poter rendere partecipe anche George nel nostro discorso.
-Niente di che, giocavamo a calcio... La tipica attività da fare in casa con tre chitarre a disposizione- rispose acidamente John, guardandomi in modo antipatico.
-Vedo che sei rimasto sempre il solito acido, ed io che mi aspettavo miglioramenti da te!- gli risposi.
-Ma tesoro, non pretenderai mica di migliorare la perfezione?- scosse la testa, con aria convinta.
Mi voltai verso gli altri due ragazzi, bisbigliandogli -Oh no, è addirittura peggiorato!-
Paul rise e anche George fece un mezzo sorriso, a volermi far capire che aveva gradito la battuta. Ma ero ancora in dubbio se gli avessi fatto una buona impressione, vista la serietà con riprese subito dopo a fissarmi.
-Tra esseri mediocri ci si trova bene, a quanto noto- ci rispose John, volendo avere l'ultima parola a tutti i costi.
-John…- Paul lo guardò con disappunto facendo cadere qualsiasi risposta, tornando poi a rivolgersi verso di me  -Abbiamo quasi finito in realtà, George ci stava mostrando un accordo complicato. Ti andrebbe di aspettare un pochino? spero che per te non sia troppo noioso-
-Figurati, anzi sono curiosa di vedervi suonare!- gli confidai.
-Ma che carini che siete, moglie e marito che vanno d'amore e d'accordo- ci fece il verso John.
-Non sei costretto a parlare se non hai nulla di sensato da dire... non ci offendiamo mica- replicai io.
-Quanto ti diverti con le tue idiozie?- gli rispose Paul.
John rise soddisfatto, vedendo quanto aveva infastidito entrambi con quella sua allusione.
-Lasciamo perdere- sbuffai -E piuttosto, se non vi dò alcun fastidio a me farebbe piacere assistere alle prove dei tre bravissimi chitarristi dei Quarry Men- dissi, sapendo che avrei inorgoglito i ragazzi e zittito John. Cosa che avvenne: potei leggere sui volti di John e Paul una certa soddisfazione da quel complimento.
-Non ho alcun problema a dimostrarti il mio naturale talento- rispose subito lui.
-Per me non ci sono problemi- mi guardò sorridente Paul.
-E per lei maestro?- mi rivolsi a George, che non aveva ancora espresso giudizio.
-Va bene - mi concesse lui.

Ero già a conoscenza che, tra i tre, George fosse il più bravo, quello che aveva una maggiore conoscenza delle note e degli accordi (10). Lui e Paul insegnavano a turno a John le cose basilari, che era quello con la base musicale più scarsa. John conosceva solo gli accordi insegnategli da sua madre, quelli del banjo, che eseguiva con la sesta corda allentata, e quindi erano diversi rispetto a quelli della chitarra (11).
Si rimisero ognuno al proprio posto, e io mi accomodai sull'altra sedia presente in stanza, collocandomi in modo da poter vedere bene George che, con la chitarra al grembo, prendeva posizione.
-Allora, questo è l'accordo di C major 7 (12), che è formato dalle note C, E, G e Bb (13)- ci istruì George, mentre poggiava la mano sinistra sul manico per mostrare anche visivamente quello che stava spiegando.
Mentre parlava notai che aveva un accento più marcato rispetto a John e Paul. Era forse quello “l'accento popolare" di Liverpool?
Poco tempo dopo, John mi raccontò una storia legata a quel particolare accento del minore: George era passato a Mendips, qualche settimana dopo che si erano conosciuti. John e Paul erano in camera a suonare e fu quindi Mimi ad aprire la porta, trovandosi davanti quel ragazzino con lo sguardo duro e quell'abbigliamento "poco consono". Oltraggiata dalla sua presenza, corse subito dal nipote dicendogli che "c'era una bestiolina che voleva vederlo" (14). Ovviamente non si limitò a fare commenti solo in presenza di John, ma cercò di mostrare il suo disappunto a George, creando grande imbarazzo al mio amico (15).
Successivamente a quel nostro primo incontro, Paul mi confidò che avevo fatto una buona impressione a George (e non riuscivo a capire come, visto che continuava a guardarmi in modo strano). Proseguì incoraggiandomi a non farmi condizionare da quel suo modo di fare, convinto che ora si sarebbe sciolto e avrei potuto vedere cosa si celava dietro a quella camicia colorata e quell'enorme quantità di gel. Sperò che il comportamento un pò rude e diretto di George non mi infastidisse, perchè gli sarebbe piaciuto che facessi amicizia con lui visto che era un suo buon amico.
-Dopo aver per anni sopportato quell'impiccione, diabolico e pesantemente sarcastico di John, nulla mi spaventa- dissi con una certa fierezza nella voce, che fece sorridere Paul.
-Allora diventerete migliori amici voi due!- mi rispose.
Non diventammo davvero migliori amici, ma sicuramente ci legammo molto. Considero ancora oggi George una delle mie amicizie più sincere e fidate, un ragazzo sempre pronto ad aiutarti e a dirti la verità. Una di quelle persone rare, che non nascondono nulla e fanno della semplicità il loro più alto pregio. Se il 1957 era stata "l'estate di Paul", il 1958 fu sicuramente l'inizio della mia amicizia con George, che nonostante la differenza di età si dimostrò in breve tempo molto più maturo dei suoi quindici anni.
 
***
 
Il 12 luglio mi ritrovai con i ragazzi a Kensington, un quartiere di Liverpool dal nome tanto familiare nella mia vita londinese, davanti al Phillips' Sound Recording Services (16). Prendemmo l'autobus per arrivarci e io aiutai a portare chitarre e amplificatori fino a quel negozio. La bottega del signor Phillips vendeva per lo più materiale elettrico, e aveva creato uno studio di registrazione nel magazzino per chiunque volesse cimentarsi nella creazione di un singolo a buon prezzo, un commercio piccolo ma molto diffuso in quel periodo.

E quel giorno toccò ai Quarry Men.

Eravamo in sei, io, John, George e Paul, insieme agli altri due membri dei Quarry Men di quel periodo, John "Duff" Lowe (17) e il solito Colin (18).
Il negozio era il classico con una vetrata sporgente, piccolo arco d'ingresso e una grande insegna in alto, Phillips' battery charging depot. est 25 years. Un uomo alto e dai capelli impomatati ci fece accomodare facendoci passare per il negozio fino a raggiungere il retrobottega, un piccolo ingresso dalle mura verdi con un pavimento dalle mattonelle bianche e nere, qualche poltroncina per sederci e, in fondo, la porta che conduceva allo studio di registrazione.

-Aspettate qui, sta finendo l'altro gruppo- Ci avvertì, prima di sparire.
Ero stata invitata da Paul, che mi aveva chiesto di venire per dargli sostegno e allentare la tensione. Mi aveva detto chiaramente che voleva il mio supporto, con una frase dolcissima: "Devo confessarti che ho paura di farmi prendere dall’emozione e di non riuscire a produrre nulla di buono, sono davvero agitato! Ti andrebbe di accompagnarci? Ti prego, mi farebbe tanto piacere e sono sicuro che con te riusciremmo a non impazzire o commettere qualche cavolata!”.
Mi sentivo felice e onorata per quella confessione di Paul: aveva davvero bisogno di me e non potei rifiutare la sua richiesta, accettando con entusiasmo di andare con loro. Chiesi a John cosa ne pensasse, forse volendo capire se anche per lui la mia presenza fosse necessaria: la sua risposta fu più una cosa come un mezzo grugnito e uno strascicato "se non hai di meglio da fare". Ma lo sguardo smarrito che John mi lanciò appena il signor Phillips ci fece accomodare mi confermò che anche lui necessitava del mio aiuto. Gli sorrisi per incoraggiarlo, contenta di essere importante anche per lui. In un modo o nell’altro loro erano sempre stati presenti per me, anche quando non avevamo modo di vederci: aiutarli in quel momento mi sembrava davvero il minimo.
Così eravamo seduti su quelle poltroncine, aspettando il nostro turno. John e Paul ripassavano le parole della canzone mentre gli altri provavano le loro parti (in realtà solo George, visto che gli altri due strumenti erano già dentro la sala), tutti cercando di concentrarsi per non scordare nulla. Io rimasi in silenzio, lanciando occhiate verso ognuno di loro, non avendo il coraggio di parlare per non disturbarli. Ero attenta alle reazioni che avevano, e appena avessi colto una qualche titubanza o preoccupazione ero pronta a tirarli sù di morale. Ma la band che si trovava all'interno ci stava mettendo più del previsto, e l'aumentare dei minuti fu inversamente proporzionato alla pazienza che dimostravano i miei amici durante l’attesa. John e Paul fumavano in continuazione, Colin e Duff si stavano agitando, camminando avanti e indietro per il corridoio, mentre George si faceva i fatti suoi suonando la chitarra, non mostrando in maniera evidente la sua frustrazione. Io tentai qualche parola, provai a distarli, a scherzare con loro, ma le mie frasi avevano purtroppo un effetto provvisorio e sembravano servire a poco. Ci volle quasi un'intero pacchetto di sigarette consumato da John e da un Paul ai primi tempi della sua dipendenza, prima che l'attesa fosse finalmente finita. Sentimmo la porta spalancarsi e le voci entusiaste di giovani ragazzi che preannunciavano il loro arrivo. Vidi i volti dei miei amici illuminarsi ed essere presi da una frenesia contagiosa. Se poteva esserci stato un momento di titubanza, era passato una volta che il padrone del posto aveva pronunciato queste esatte parole "Quarry Men, tocca a voi!"

-Forza ragazzi!- gli dissi solamente, avendo un groppo alla gola che fermava qualsiasi altra parola. Il cuore mi batteva all'impazzata, quasi fossi io a dovermi far registrare.
-Assisti al nostro successo!- mi disse John, sorridendomi felice.
Paul e George mi guardarono con entusiasmo, entrando dopo di John, seguiti da Colin e Duff; il signor Phillips reggeva la porta dello studio per farli accomodare all’interno, subito pronto a riscuotere in anticipo il suo pagamento (19).
Vedendo che ero rimasta solo io ad aspettare, fu così cortese da farmi entrare nella piccola saletta accanto a quella dove si trovavano i musicisti, per assistere dal vivo alla registrazione. Mi chiese soltanto di mantenere il silenzio, per non disturbare il loro lavoro. Apprezzai moltissimo il suo gesto e lo ringraziai più volte. Mi sedetti dietro di lui, che si era posizionato davanti alla console, aiutato dal figlio nella parte più tecnica del lavoro.
Osservai i ragazzi nella saletta accanto: Colin e Duff si piazzarono ai loro posti mentre John, Paul e George e le loro chitarre si stabilirono al centro, dove si trovava un bel microfono pronto ad accogliere la loro esibizione. Il posto era decisamente piccino, e dovettero sistemarsi bene per non sbattere l'uno addosso all'altro, sopratutto i tre chitarristi.
Come primo pezzo suonarono That'll be the day (20) di Buddy Holly, cantato da John come prima voce.
 
Well, that'll be the day when you say goodbye
Yeah, yes, that'll be the day when you make me cry
You say you're gonna leave me, you know it's a lie
'Cause that'll be the day when I die
 
Io sedevo a guardarli estasiata, mentre le voci di John e Paul si soprapponevano, le chitarre formavano un loro unico timbro e loro sorridevano felici. Era emozionante vederli in quel momento, felici e spensierati, ma al tempo stesso concentratissimi a non sbagliare le parole della canzone. Ci furono due false partenze e una stonatura da parte di John a metà canzone, ma per il resto fu registrata in pochissimo tempo: nemmeno cinque prove era già pronta.
Il signor Phillips e il figlio si misero subito ad ascoltare la prima registrazione, per capire se il suono fosse pulito e se non si dovessero rifare da capo. Io guardavo i ragazzi attraverso il vetro, che commentavano e ridacchiavano a bassa voce, tutti quanti molto emozionati. Paul si voltò verso di me e mi sorrise felice, sussurrando con le labbra "Ti è piaciuta?"
E io gli risposi, sempre con il labiale "Si, siete stati bravissimi!"
-Bene, perfetta. Possiamo passare al secondo pezzo ragazzi!-
Sentii le loro voci fare un "si" in coro, e subito dopo Paul mi sorrise e mi strizzò l'occhio, pronto ad esibirsi nuovamente. Arrossii leggermente a quel gesto, sorridendo dalla vergogna. Mi divertiva quel modo di fare leggermente civettuolo di Paul, che sfoggiava in momenti in cui non mi sarei mai aspettata. Ma quella piccola emozione durò ben poco, perchè fui subito proiettata in quella che era LA canzone. Non un pezzo qualsiasi, non una cover, ma la sua canzone. Scritta da Paul, con un piccolo aiuto di George.

Nonostante tutti i pericoli, farò qualsiasi cosa per te.

Quanto amore e romanticismo poteva contenere il primo pezzo di Paul, l'amata canzone che scrisse dopo la morte della madre? Paul non me lo disse mai a parole, ma mi è sempre piaciuto pensare che In spite of all the danger (21) fosse dedicato a lei.
Conobbi questa canzone attraverso una lettera: mi fu presentata da Paul in quell’occasione, in cui mi chiedeva un parere sul testo. E io ne fui entusiasta, era così semplice e al tempo stesso profonda in quelle poche parole che mi colpii. Ma mai quanto il sentirla finalmente eseguire. Ed eccomi la ad assistere a quella registrazione: prima l'intro della chitarra di George, e poi John che iniziava dolcemente a cantare.
In spite of all the danger,
In spite of all that may be
I'll do anything for you,
Anything you want me to,
If you'll be true to me.
 
Paul alla seconda voce, prima di unirsi al coro di John, George che eseguiva il suo pezzo alla chitarra: eccoli là i futuri Beatles, riuniti per la prima volta davanti ai miei occhi, a cantare e suonare insieme. Quella canzone era di Paul, ma la voce che la cantava era quella di John, che la stava interpretando a suo modo, facendo vibrare la mia anima. Osservavo rapita John, sentendo la sua voce penetrare dentro il mio corpo e lasciare una sensazione tra il dolce e l’amaro. Mi piaceva vedere il modo in cui cantava, come i muscoli del suo volto cambiavano in continuazione seguendo le parole che aveva imparato a memoria. Poi vedevo Paul allungarsi verso il microfono, mostrandomi il suo bel profilo, mentre il piccolo George creava la melodia per loro, concentratissimo nei suoi movimenti.
I'll look after you
Like I've never done before.
I'll keep all the others
from knocking at your door.
 
Trattenni il fiato tutto il tempo, mentre quelle parole divenivano parte dei miei pensari, ormai impotente a quello che accadeva dentro di me. Con la mente contai una per una tutte quelle persone senza di cui la mia esistenza non sarebbe stata la stessa: Ben, Claire, Josh, mia madre, Mark, Chris, zia Maggie... e ovviamente quei tre ragazzi che suonavano davanti a me. I miei migliori amici.

Mio padre... no.
Lui purtroppo non poteva farne parte. Lui non ci stava, lui non c'era mai stato, nel momento in cui presi coscienza di me stessa. Ma senza di lui, io non sarei stata davvero lì, a sentire quelle parole.
Strinsi con forza il pugno, portandomelo al petto, come a voler rinchiudere il mio cuore che soffriva terribilmente a quell'idea. Lui mi aveva dato la vita in due modi, facendomi nascere e morendo per farmi crescere. Deglutii a fatica e dentro di me dedicai solo a lui quel pensiero, quelle parole, che non gli potevo comunicare.

A dispetto di tutto ciò che può essere, farò qualsiasi cosa per te.

E lo avrei fatto, una volta giunta davanti alla sua tomba, glielo avrei ricordato. Avrei capito chi era, avrei cercato le mie origini ed omaggiato tutto quello che era lui, la sua vita e il suo mondo. L’unica cosa che potevo fare era capire chi fosse davvero.
In spite of all the heartache
That you may cause me,
I'll do anything for you,
Anything you want me to,
If you'll be true to me.
I'll do anything for you,
Anything you want me to,
If you'll be true to me
 
Teneramente come era iniziata, quella poesia finii. Le voci entusiaste dei due uomini davanti a me mi scossero dai miei pensieri, lasciando una vaga sensazione di malinconia e una voglia di venir stretta tra le braccia di qualcuno, di venir rassicurata su tutti i miei pensieri.
John e gli altri entrarono nella stanzetta, gridando tutti entusiasti per quello che avevano appena eseguito.

-Siamo stati grandi!- gridava Paul tutto contento, con un braccio sulle spalle di John, che ricambiava con uno sguardo entusiasta.
-L’ho sempre detto io!-  gli disse lui.
-E ce l'abbiamo fatta in poco tempo!- fece notare a tutti Duff, con accanto un George e un Colin davvero euforici.
Io tirai un bel sospiro, e mi andai a congratulare con i miei amici.
-Ragazzi sono così emozionata per voi! Ma ci pensate? Avete appena inciso il vostro primo singolo!-
-Primo?- rise Paul a quella mia frase.
-Si, il primo di una lunga serie!- dissi con maggiore convinzione.
George mi guardò un momento, e con un sorriso che si allargava sul volto aggiunse -Bel modo di pensare-
-Piace anche a me vederla in questo modo- continuò Colin.
-Hai proprio ragione Freddie!- si congratulò con me Paul.
-La ragazza ha occhio. Dopotutto è un mia fan- disse John, avvicinandosi a me e mettendomi un braccio intorno alle spalle.
-Io non sono tua fan. Al massimo VOSTRA fan- precisai, svincolandomi alla sua presa. Quell’inaspettato contatto con lui mi creava una sorta di imbarazzo, probabilmente provocato dal groviglio di emozioni che avevo provato mentre stavano registrando.
-Ok ho capito. Non vuoi far ingelosire la tua mogliettina...- mi strizzò l'occhio.
-Mogliettina?- mi voltai subito verso di Paul, capendo dove voleva andare a parare.
-John, sent- - Paul stava per rispondergli quando fu interrotto dal signor Phillips, che si congratulò con loro.
-Bellissima incisione ragazzi, venuta al primo colpo!- loro gli strinsero le mani, veramente felici.
-Per la versione sul vinile sono altri 2 scellini e 3 pence- aggiunse lui, subito dopo.
-Cosa?!- John sgranò gli occhi -Ma aveva detto che erano 15 scellini!-
-Per la versione su nastro acetato (22), ma per il vinile ci vogliono altri 2 scellini e 3 pence. Sennò vi dò il nastro così-
-Non può farci questo!- gli urlò Paul, con la pazienza che ormai si stava esaurendo.
-Questa è una truffa bella e buona!- gli disse George, senza mezzi termini.
-Come ti permetti, ragazzino?!- il padrone stava iniziando ad infuriarsi, e io cercai di fare qualcosa.
-No aspettate!- dissi, ponendomi tra i due -Signor Phillips, posso parlare un momento con lei?-
Lui mi guardò da oltre gli occhiali da vista, con aria sospettosa -Va bene-
Facemmo uscire tutti quanti a fatica e io rimasi sola con lui.
-La prego di non arrabbiarsi con i ragazzi, molto probabilmente non vi siete capiti- mi scusai, sapendo che non avevano torto. Ma che potevamo fare? Lui aveva i soldi e la registrazione, e non potevo permettere che fosse tutto rovinato -Ci penserò io a pagare-
Frugai nella borsa, e riuscii a trovare i soldi mancanti.
-Per fortuna che c’eri anche tu con loro, con quei ragazzi non si può ragionare!- mi disse infine, ancora scocciato dalla piccola discussione avuta precedentemente.
-Li scusi e grazie ancora!- (23)
Uscii fuori con in mano il loro disco. Un bellissimo vinile lucido dall'etichetta gialla, con sopra i loro nomi.
-Con un po’ di diplomazia si ottiene tutto- conclusi, soddisfatta del mio lavoro.
-Come l'hai ottenuto?- mi chiese Colin.
-Ve lo dirò appena saremo usciti- gli risposi, leggermente a disagio per la domanda. Sapevo che reazione avrebbero avuto e volevo evitare nuove discussioni. Mi affrettai ad allontanarmi da quel luogo, per fare in modo che le urla dei ragazzi non fossero sentite dal signor Phillips.

Come prima reazione si infuriarono con me e con quell’uomo, e volevano andare a farsi ridare i soldi che avevo speso per loro. Riuscii a fatica a convincerli a lasciar stare per il bene del vinile; quindi passarono all’idea “dobbiamo ridarti i soldi”, ma anche quella fu scartata. Ero inamovibile: non li avrei mai accettati, a costo di litigare con tutti loro. Le emozioni che mi avevano dato valevano più di 2 scellini e 6 pence. Fu con questa frase che li convinsi a smetterla con quelle idee, e tornammo a festeggiare per quell’importante avvenimento.
E il disco? Ovviamente, iniziò a ruotare tra di noi (ormai ero entrata anche io nel gruppetto, avendo dato la mia quota): per la prima settimana lo tenni io, visto che ci tenevano a premiarmi in qualche modo, poi fu il turno di John, di Paul, di George, di Colin e di Duff, che in realtà lo tenne per ben 23 anni, prima che Paul lo ricomprasse per una cifra davvero alta (24).
La sera del 12 luglio misi quel vinile non so quante volte, senza mai stancarmi di sentirlo.
In quella settimana lo ascoltai assiduamente per i primi tre giorni, per poi passarlo con leggero ritardo dalla tabella di marcia al suo cantante. Ma fu per un motivo ben preciso.

Nonostante tutti i pericoli, farò qualsiasi cosa per te.
 
NOTE
(1)= Il 24 gennaio, probabilmente sempre di sera.

(2)= George Harrison, nato il 25 febbraio 1943.

(3)= Prendeva l'86 alla fermata di Speke Boulevard, dove incontrò Paul. Aveva all'incirca tredici anni quando lo vide salire sull'autobus e notò subito quel ragazzino con la divisa della sua stessa scuola, che trasportava una custodia contenente la sua tromba. Anche Paul notò George, che insieme alla sua chitarra sedevano sul fondo del mezzo, e si mise a parlare con lui, attaccando il discorso con qualche commento sulla loro scuola e poi parlando di musica.

(4)= Era il 6 febbraio, dopo una serata dei Quarry Men al Wilson Hall.

(5)= Quartiere dove abitava Paul prima di trasferirsi ad Allerton, e dove abiteranno gli Harrison fino alla fine degli anni '50.

(6)= Raunchy è un brano strumentale scritto da Bill Justis Jr. e Sid Manker, lanciato da Bill Justis and His Orchestra e pubblicato nel novembre 1957 come singolo su etichetta Phillips: negli Stati Uniti ottenne un successo di proporzioni straordinarie, primo nelle classifiche rhythm 'n' blues e 2° in quelle pop. Inciso a Memphis, vedeva Justis al sax e Manker alla chitarra solista. Nato William E. Justis Jr. nel 1926, Justis fu direttore musicale dell'etichetta Sun Records negli anni '50; Justis morì nel 1982.

(7)= George aveva fatto un tirocinio da Blackler, un elettricista, e faceva in modo che gli amplificatori sovraccarichi con i fili scoperti fossero meno letali e inclini a saltare a metà canzone.

(8)= Questo diciamo è la sintesi di quello che successe quella sera. John e Paul hanno ammesso di aver voluto George nella band perchè era più bravo di loro (avendo seguito delle lezioni di chitarra), e poteva aiutarli sul piano elettrico. L'unico dubbio di John era per via dell'età, ma decise di tralasciare quel particolare per il bene del suo gruppo.

(9)= La pillola anticoncezionale sarà sperimentata e poi venduta in America dal 1960.

(10)= George si era interessato in maniera profonda alla chitarra: aveva comprato un manuale per suonare la chitarra, che faceva vedere come posizionare le dita per alcuni accordi. Lo mostrò anche a Paul, che aveva ancora la tromba in quel periodo. Quando lavorava alla marina mercantile, il signor Harrison suonava la chitarra, ma poi l'aveva venduta. Qualche anno dopo mise George in contatto con un suo vecchio amico, Len Houghton, che gli insegnò gli accordi tutti i giovedì sera, imparandogli a suonare alcune canzoni degli anni ‘20 e ‘30.

(11)= Furono Paul e George a mostrare a John i veri accordi della chitarra.

(12)= Gli accordi di settima sono sostanzialmente quadriadi: contengono 4 note. Praticamente si formano come una triade più la 7a, ovvero se ad una triade (che è già una sovrapposizione di terze), si aggiunge un'altra terza, si ha una tetrade. Si tratta di 4 intervalli di terze e si chiamano di settima perché tra la fondamentale e l'ultima nota, intercorre un intervallo di 7 note.
Gli accordi di settima dominante vengono chiamati anche più semplicemente di settima. Un'annotazione: in un accordo di settima si dà per scontato che se non viene indicato altro la settima sia minore.
L'accordo C major 7 fa parte degli accordi aperti di settima.
La posizione è:
-l'indice sulla seconda corda al 1° tasto
-il medio sulla quarta corda al 2° tasto
-l'anulare sulla quinta corda al 3° tasto
-infine il mignolo sulla terza corda al 3° tasto.

(13)= Che sarebbero le note Do (C), Mi (E), Sol (G) e Sib o Si bemolle (Bb).

(14)= Citazione di Mimi ripresa dal film “In his life: John Lennon Story”.

(15)= Mimi incontrò George e subito non ebbe molta simpatia per lui. Lei lo “odiava" a causa del suo accento tipico dei borghi di Liverpool e per i suoi vestiti da Teddy Boy. George stesso racconta:
"Ricordo una volta d'essere andato a casa di John, subito dopo esserci incontrati. Frequentavo ancora l'Institute e sembravo un po' giovane; cercavamo di avere un aspetto da Teddy boy e io dovevo esserci riuscito bene perché non piacqui per nulla alla zia Mimi. Rimase sconvolta e disse: "Guardalo! Perché hai portato a casa mia un tipo simile? È orribile, sembra un Teddy boy". E lui: "Stai zitta, Mary, stai zitta"."

(16)= Phillips 'Sound Recording Services è stato uno studio nella casa di Percy Francis Phillips (1896-1984) e la sua famiglia a 38 Kensington, Kensington, Liverpool, in Inghilterra. Tra gli anni 1955 e il 1969, Phillips ha registrato nastri e dischi di acetato per persone e aziende in una piccola stanza dietro il negozio che la sua famiglia possedeva. Nel 1955, alcuni clienti hanno chiesto se Phillips potressee fare dischi demo, così si è comprato un registratore a nastro da 1/4 di pollice (sostituito nel 1963 con un portatile Vortexion), un MSS (Marguerite Sound Studios) macchina di taglio a disco, un amplificatore, un mixer a 4 tracce, tre microfoni (uno Reslo, un nastro microfono HMV, e un AKG), e tre paia di cuffie per 400 sterline, durante un viaggio a Londra per visitare suo figlio Frank , che era lì per una registrazione corso alla EMI Electronics. Phillips ha montato l'apparecchiatura dietro il suo negozio nel (12 metri quadrati), con un pianoforte e un bagno di stagno rovesciato in cantina come una camera di riverbero, un altoparlante e microfono collegato allo studio di cui sopra.

(17)= John Duff Lowe (nato 13 aprile 1942), noto per i suoi amici come "Duff", Lowe era in Quarrymen per due anni, ed era lì quando la band ha registrato un paio di canzoni per un disco allo studio di Percy Phillips a Liverpool. Lowe ha mantenuto il possesso delle tracce e, nel 1981, ha venduto le registrazioni a Paul McCartney. Il loro valore stimato è di circa 12.000 sterline.

(18)= Membri dal Marzo al Luglio del 1958.

(19)= Che fu di 3 scellini e 6 pence a persona.

(20)= That'll Be the Day è una canzone dei Crickets di Buddy Holly che ufficialmente il cantante compose assieme a Jerry Allison e Norman Petty. Holly ed Allison andarono assieme a vedere il western The Searchers di John Ford; una battuta, ripetuta frequentemente nel corso della pellicola, era "That'll Be the Day" ("Quello sarà il giorno"). Qualche tempo dopo, mentre i due passeggiavano nei dintorni della casa di Allison, Holly disse all'amico che sarebbe stato bello scrivere una hit; Jerry rispose "That'll Be the Day", che divenne il titolo della composizione Il 25 febbraio 1957 Buddy Holly, registrò la prima versione pubblicata del pezzo a Clovis, Nuovo Messico, sotto la produzione di Norman Petty, che per questo venne accreditato come co-autore. Pubblicata il 27 maggio 1957 su un singolo dalla Brunswick Records, arrivò alla prima posizione negli USA su The Billboard Hot 100 e nel Regno Unito, dove rimase per tre settimane al vertice e quindici settimane in totale nelle classifiche.

(21)= In Spite of All the Danger è un brano dei Quarrymen; unico brano originale di questa band pre-Beatles, venne accreditato a Paul McCartney e George Harrison. Venendo incisa su di un 78 giri assieme alla cover di That'll Be the Day di Buddy Holly nel 1958, rappresenta la prima registrazione del gruppo. Il brano venne composto dal solo Paul McCartney, all'età di 14 anni, ma sul 78 giri, venne indicato come co-autore George Harrison. Il suo unico autore ha ricordato che all'epoca non sapevano niente dei diritti d'autore, per cui non si interessarono molto circa i compositori ufficiali; comunque, ha affermato che gli addetti alla registrazione l'hanno inserito nei crediti perché lui suona l'assolo di chitarra. Ugualmente, è l'unico brano della formazione a essere accreditato a "McCartney-Harrison". Il pezzo venne ispirato dal sound di Elvis Presley.
(Curiosità: Prima di incidere In Spite of All the Danger, ci furono svariate prove a casa McCartney a Forthlin Road, dove vennero indicate esattamente le parti da suonare per ogni componente del gruppo)

(22)= Il primo nastro inventato per le registrazioni sonore era a base di carta ma fu presto sostituito da uno in poliestere e acetato a causa della caduta di polvere e del sibilo prodotto. L'acetato era più fragile del poliestere e si spezzava facilmente. Questa tecnologia, alla base di quasi tutte le registrazioni commerciali dal 1950 al 1980, fu inventata dai tecnici del suono tedeschi nel 1930, che scoprirono anche la tecnica della polarizzazione AC, che migliorò notevolmente la risposta in frequenza delle registrazioni su nastro.

(23)= In realtà, John e gli altri non avevano i soldi per pagarlo, così il signor Phillips lo tenne alcuni giorni, finchè non raccimolarono la cifra e poterono riscattare il loro singolo.

(24)= Lowe nel 1981 fece valutare il vinile da Sotheby's. Contattato da McCartney, il pianista lo vendette alla star. I due non si incontrarono: il vinile venne depositato in una ventiquattrore in un locale di Worcester e da lì venne preso da Paul. Non si conosce esattamente la cifra pagata, si sa solo che Lowe rifiutò la prima offerta di Paul di 5.000 sterline.

ANGOLO DELL'AUTRICE: Si, lo ammetto, questo capitolo non mi soddisfa molto. Avrei voluto fare qualcosa di più bello, visto che ho introdotto George (finalmente, piccino lui <3) e ho parlato di In spite of all the danger... ma è stata una settimana abbastanza no, quindi mi accontento del risultato. Una piccola coincidenza simpatica che volevo dirvi è che la prima stesura di questo capitolo l'ho scritta il 6 febbraio, esattamente l'anniversario del provino di George (si, sto circa 6 cap avanti rispetto alla pubblicazione, giusto perché così posso controllare al meglio la storia). Mi sembrava una coincidenza carina da dirvi <3
Il sottotitolo... beh, direi che la prima frase cantata dal Macca si adatti bene per descrivere la vita di una ragazzina di 17 anni, con la sua prima volta e tutto il resto (si, non ho potuto resistere dall'usarla proprio in coincidenza con quella età).
Eccoci ai ringraziamenti: alla zia Anya di ritorno dall'Irlanda, che mi ha betato il cap prima di partire (ti adoro <3), a Cagiu_Dida, Jude e Penny  che mi hanno resa felicissima e tolto i mille dubbi che mi ero fatta su di Paul <3 Grazie ragazze!
Vi lascio con il prossimo capitolo: sono costretta a spostare la data a
mercoledì 13 maggio perché ho un'esame tra due giorni e una vita abbastanza incasinata... non odiatemi pls ><
Grazie ancora a tutte per il vostro sostegno <3
Baci
White
  
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