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Autore: Shiren    30/12/2008    1 recensioni
“Bastò un momento per capire che in tutta la mia vita mi ero sbagliata. Non so cosa me lo fece pensare, non so se furono i suoi occhi a farmelo capire, o semplicemente il modo in cui mi guardava; ma capii che non ero più sola. Che c’era davvero qualcuno – solo lui sulla faccia della terra, ne ero certa – che poteva comprendermi.” (Storia scritta grazie all’ispirazione di Twilight- Stephenie Meyer, lo specifico nel caso qualcuno trovasse similitudini. Tuttavia ho messo la storia in Originali perché personaggi, luoghi ecc., del libro non coincidono né compaiono.)
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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QUARTO CAPITOLO

FALLA NEL PIANO


La mattina il mio sonno fu disturbato come al solito dalla sveglia che imperterrita continuava a suonare, mentre io, altamente infastidita e parecchio assonnata, mi coprivo la testa e le orecchie con il cuscino azzurro nel tentativo di rifugiarmi da quel rumore orrendo.
L’esperimento però, non ebbe successo e fui costretta ad alzarmi malvolentieri dal letto caldo per andare in bagno a farmi una bella doccia. Ne uscii che ero un po’ più sveglia, per fortuna, e riuscii ad aprire gli occhi, come minimo per scegliermi i vestiti da indossare; mentre aprivo l’armadio per cercare un paio di comodi jeans – cercavo i miei preferiti, morbidi e con il risvolto in fondo – ripensai al sogno che avevo fatto quella notte. Non erano immagini nitide, ma solo colori: un intenso blu, quasi elettrico e un rosso violaceo non ben definito, tuttavia non riuscii ad associarle a nulla, quindi proseguii la mia ricerca non pensandoci più.
Una volta vestita e preparata velocemente la borsa raggiunsi la cucina dove mio padre e mia madre stavano facendo colazione seduti al tavolo.
-Papà andiamo?- chiesi un po’ spazientita per il fatto che fosse ancora seduto a mangiare.
Lui alzò lo sguardo, tenendo la brioche nella mano a metà strada tra il piattino e la sua bocca.
-Ma tesoro, non mangi niente?-
-No, papà, lo sai che la mattina così presto non riesco a mangiare nulla…- risposi, ora un po’ più irritata.
-Va bene, andiamo-
Tirai un sospiro di sollievo e dopo aver dato un bacio a mia mamma, uscii di casa e mi fiondai direttamente in macchina, dove poco dopo mi raggiunse papà.
Nel tragitto tra casa e scuola – non esattamente un lungo viaggio – riflettei un momento e quella giornata mi parve come il primo giorno di scuola a Salem; forse era un deja vu, ma era proprio l’impressione che avevo.
Una volta arrivata guardai l’ora sul mio piccolo orologio da polso e vidi che ero arrivata giusto in tempo, ancora qualche minuto e sarei potuta arrivare in ritardo.
-Ginevra!-
Mi voltai. Era Meredith.
-Ciao come va?- mi chiese una volta che mi ebbe raggiunta. Le sorrisi.
-Bene, grazie. Mi sai dire che lezione abbiamo adesso? Non ho avuto il tempo di controllare a casa…-
-Oh, certo. Abbiamo Arte-
Annuii e ci incamminammo chiacchierando del più e del meno verso quell’aula. Il professore aveva un’aria un po’ scorbutica, ma il suo aspetto era parecchio contrastante: capelli lunghi e biondi, quasi ingrigiti portati sciolti sulle spalle, camice bianco sporco di macchie di colore e l’abbigliamento sotto di esso risultava piuttosto stravagante.
L’ora passò tra una pennellata e l’altra; c’era chi si schizzava di colore e i ragazzi ridevano, mentre alcune ragazze strillavano indignate per le acconciature rovinate.
Sbuffai e al suono della campanella mi attardai per ritirare il materiale che avevo utilizzato, insieme a Monica, che mi sembrò precisa quanto me.
La conoscevo da poco, ma quella ragazza mi era simpatica. Non solo perché alcuni aspetti del suo carattere mi somigliavano, ma anche perché sapeva farsi i fatti suoi e non aveva la puzza sotto il naso come alcune ragazze, tipo Hanna.
Le ore successive le passai seduta accanto a lei, con la quale conversavo di nascosto e voce bassissima quando l’insegnante si girava o si rivolgeva a qualcuno in particolare della classe.
Quando suonò l’ennesima campanella che ci annunciava l’orario del pranzo, Monica si sporse verso di me e mi disse: -Devo andare un attimo da una mia amica, ci vediamo in mensa, sono al solito tavolo con gli altri!-
Poi scappò.
Sorridendo mi incamminai per i corridoi raggiungendo la mensa e mettendomi in fila come sempre. Quel giorno presi una brioche, uno yogurt e una mela. Non mi sentivo molto affamata.
Mi guardai in giro e trovai il tavolo dove mi sedevo ormai abitualmente e vidi Meredith che si sbracciava per farsi vedere. Così la raggiunsi e mi sedetti accanto a lei dando un’occhiata verso l’entrata in attesa di Monica.
-Ciao Ginevra- mi salutò una voce stridula e irritante. Abbassai lo sguardo, incrociandolo in quello di Hanna.
-Ciao Hanna- le risposi cercando di imitare il suo tono, se ne accorse e fece una smorfia.
‘Ma che vuoi?’ pensai. ‘Tu e la tua faccia idiota…è già tanto che mi siedo a questo tavolo con te…’ continuai poi lasciai perdere quando arrivò la mia nuova conoscenza, quella preferita.





Adam



Eccola. Chi sta cercando?
Bene, i suoi amici. Sospiro di sollievo e i miei fratelli se ne accorgono.
-Che hai Adam?- domanda Adam.
-Nulla-
-Sei preoccupato?- stavolta è William a parlare.
-Perché dovrei esserlo? Ha sempre funzionato più che bene, non c’è mai stato alcun problema-
Sorride sarcastico.
-Allora non dovresti essere preoccupato-
Lo guardo di nuovo, stavolta con uno sguardo furente, lo odio quando fa così, solo perché è più anziano di noi e mi ha salvato dalla morte, crede di poterci prendere in giro in questo modo. Sempre che ‘salvare’ sia la parola giusta.
-Piantatela. Siete odiosi- interviene Arthur –Parlando seriamente: Adam non ha mai fallito. Il suo potere funziona perfettamente sugli umani, hanno una mente troppo fragile e troppo malleabile. Dimenticano le cose già senza che li aiutiamo noi…Non c’è davvero da preoccuparsi di nulla-
Non rispondo, sono pienamente d’accordo. Secondariamente, non sono preoccupato…semplicemente sento qualcosa nell’aria che non mi piace…
Io non posso fallire.
Non è mai successo e a meno che lei non sia umana, è impossibile che ricordi qualcosa dell’accaduto. Non succederà mai più un episodio del genere. Quel maledetto cancello verrà chiuso d’ora in poi senza eccezioni.
Guardò verso il suo tavolo e li vedo alzarsi tutti. Poi lei guardandosi intorno osserva nella nostra direzione ed io, trattengo il respiro.
Ci fissa con curiosità, poi, passando vicino ad un ragazzo del suo tavolo, gli tocca un braccio.
Mi concentro per sentire cosa dice, alzando una mano per far tacere i miei fratelli.
-David…chi sono quei quattro ragazzi seduti là in fondo?-
-Come, Meredith non te ne ha parlato? Sono i fratelli Chadwick-
E in quel momento la vedo fissarmi con gli occhi spalancati lasciando cadere il braccio lungo il fianco.
Il ragazzo prosegue e lei rimane lì, immobile, con lo sguardo fisso su di me.
No!
È impossibile. Non può aver ricordato. Eppure la sua espressione è inconfondibile. Ha ricordato tutto.
-Adam?- mi chiama William, ora allarmato.
Mugugno qualcosa, senza distogliere lo sguardo, per fargli capire che l’ho sentito.
-Cosa è successo?-
-Lei ricorda tutto, Wil. E non ho la minima idea di come sia possibile-.
  
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