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Autore: Sara Saliman    05/05/2015    10 recensioni
Dopo un lungo silenzio, la fronte di Zeus si spianò.
-Sta bene, Ade. A me la Superficie, a Poseidone il Mare. A te, qualunque sia il motivo, il Sottosuolo.-
Così si ebbe la divisione del Mondo, come ancora lo conoscono gli umani.
E così ebbe inizio la mia storia, sebbene allora io non fossi ancora nata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Non avermene, lingua, se prendo in prestito parole patetiche,
e poi fatico per farle sembrare leggere.
                                                    
Wislawa Szymborska
 

Caddi nel Cocito di schiena, le braccia scostate dai fianchi.
Il gelo dell’acqua mi azzannò la carne e mi paralizzò il diaframma, togliendomi il respiro. La gonna dell’abito si gonfiò intorno a me come la corolla bianca di un fiore, mentre il fragore del tuffo mi assordava. L’ultima cosa che vidi fu il riflesso livido di Erebo diluirsi nel cielo, poi la superficie del lago si chiuse sopra i miei occhi, strappandomi ogni altra visione.
L’acqua del Cocito non era soltanto acqua, era anche tenebra: oscurità così fitta che, mentre sprofondavo, non riuscivo a distinguere il candore delle mie mani né il riflesso traslucido della superficie.
Non vedevo la voragine del Tartaro spalancarsi sotto di me, ma la sentivo: il buio che mi circondava non aveva fondo ed era più vasto del buio che mi sovrastava.  
C’erano presenze che mi spiavano dal basso: orbite nere prive di occhi e piene di denti; facce scavate; mani adunche, munite di artigli, che si protendevano verso di me.
Non le vidi: non fu nulla di così distinto. Ma le sentii, come se l’acqua stessa mi consegnasse l’immagine dei loro volti, mentre indugiava sulle mie palpebre (aperte? Chiuse? Non distinguevo la differenza), mentre la tenebra mi riempiva la bocca, la trachea e i polmoni.
I Titani.
Si erano strappati la lingua e gli occhi per la disperazione e l’impotenza.
Si erano artigliati la faccia, squarciati il ventre, azzannati ogni centimetro di carne, mutilandosi a morsi le braccia e le dita.
La loro rabbia e il loro dolore erano correnti gelide nell’acqua-tenebra che mi circondava.
Il loro odio splendeva di un verde malsano: era l’odio privo di cattiveria che un animale potrebbe nutrire per la frusta che lo colpisce o la gabbia che lo imprigiona.
Noi gli avevamo rubato il Mondo: lo avevamo trasformato in un luogo alieno, che obbediva alle leggi del Cosmo; un luogo che i Titani non comprendevano, in cui non avevano posto né diritto di esistere.
Non li avevamo uccisi, perché essi non potevano morire, ma avevamo fatto di peggio: li avevamo privati di un volto, svuotati di un nome; li avevamo sprofondati nella voragine della loro miseria e della loro disperazione. Infine, avevamo coperto la voragine sotto metri di ghiaccio e ne avevamo fatto una prigione.
A tutto questo avevamo dato il nome di “Ordine”.
E così i Titani ci odiavano, certo: dell’odio cieco e primitivo rivolto a qualcosa che annienta non il tuo corpo, ma la tua identità.
E allora, con un brivido, compresi:
Il Tartaro non è un luogo: è uno stato dell’anima.
Nel silenzio spettrale dei flutti, udii il ghiaccio sopra di me scricchiolare. Qualcosa turbò la superficie e affondò nell’acqua-tenebra, afferrandomi per un lembo del vestito.
Qualcuno mi tirò verso l’alto: mani forti mi afferrarono per le spalle, issandomi a forza sulla banchisa. Mi ritrovai piegata in due, inzuppata e tremante, mentre rigettavo l’acqua che avevo ingoiato.
Un braccio invisibile mi cinse le spalle. Le mie dita livide riconobbero al tatto il petto del mio soccorritore.
-Vattene!- tossii, respingendolo a tentoni con tutte le forze che avevo.
Un elmo cadde sulla banchisa e la figura in nero di Ade si materializzò nell’aria plumbea.
Il dio non badò alle mie resistenze: mi cinse le spalle in una presa di acciaio, mi sollevò in piedi di peso, schiacciandomi contro il suo petto.
-Alzati.- sussurrò con urgenza. -Andiamo via di qui!-
-NO! Lasciami in pace!-
Il ghiaccio sotto i nostri piedi scricchiolò minacciosamente; una crepa si allungò tra di noi, costringendo il dio a lasciare bruscamente la presa. Senza perderlo di vista nemmeno un istante, ne approfittai per arretrare verso il centro del Cocito.
Ade mosse un passo verso di me, ma un secondo scricchiolio lo fermò, costringendolo a restare dov’era.
-Persefone!- ringhiò. -Non da quella parte!-
Continuai a indietreggiare, curva, le labbra viola come gli occhi di Erebo. Il vento mi schiaffeggiava i capelli biondi e le lacrime mi si congelavano tra le ciglia. Non sentivo più la faccia, ma dal centro del lago percepivo il profumo disperatamente familiare dell’erba appena tagliata. Il passaggio per la Superficie era lì da qualche parte.
-Mi dispiace… Io voglio solo tornare a casa!-
-Non ha importanza adesso!- Ade mi tese una mano, il mantello nero sferzato dal vento, le labbra bianche piegate all’ingiù. la cautela con cui si muoveva creava uno spietato contrasto  con l’urgenza nella sua voce. –Muoviti lentamente… Torna verso di me!-
La crepa tra di noi si aprì con uno boato, una mano enorme eruppe dalla profondità del Tartaro, sollevando un’immane onda d’acqua. Mi ritrovai sollevata e scaraventata bocconi sul ghiaccio, parecchi metri più lontano.
L’enorme mano calò verso di me in un gesto convulso: mi resi conto che mi avrebbe schiacciata come un insetto e serrai gli occhi, chiedendomi se mi avrebbe raggiunto per primo il dolore del colpo o il fragore dello schianto.
Che non avvenne mai.
Le dita adunche si aprirono nell’aria, un attimo prima di serrarsi per il dolore.
Ade era in piedi sul dorso della mano, la spada piantata fino all’elsa nella carne del Titano. Facendo leva sulle gambe, il dio dell’Averno estrasse l’arma e la piantò poco più in basso, nella pelle coriacea del polso. Poi si lasciò scivolare lungo l’immenso avambraccio, squarciandolo. Un ruggito di dolore fece tremare le tenebre sotto di noi: il braccio schiaffeggiò l’aria, liberandosi di Ade come fosse una mosca.
Il dio dell’Averno fu scagliato in aria e atterrò malamente sul ghiaccio, la spada ancora nel pugno. Si rialzò subito, ma le gambe gli cedettero e crollò su un ginocchio. Sangue rosso vivo gli colava sul volto bianchissimo, sgorgando da una ferita alla tempia.
Una seconda, gigantesca mano eruppe dal ghiaccio a poche decine di metri da re dell’Averno.
-Alle spalle!- gridò una voce nel buio.
Thanatos si materializzò in volo, le ali dolorosamente contratte per cavalcare il vento assassino. Lo vidi sollevare una spada e gettarsi il picchiata sugli artigli che minacciavano il suo sovrano.
Tremai nel rendermi conto che neppure la Morte poteva molto, contro i Titani.
 L’Oscurità è giunta a proteggermi da un’oscurità più grande, pensai, ma non ne trassi alcun conforto.
Una voce polemica risuonò alle mie spalle, secca come una scudisciata.
-Ah, lo sapevo! Tocca sempre a me raccogliere i pezzi!-
All’improvviso le mie palpebre si appesantirono; Ade scrollò la testa e Thanatos sembrò vacillare in volo. Ma quel potere non era rivolto contro di noi. Lentamente, i Titani si ritrassero sotto il pelo di quelle acque, assopiti nel gelo del loro stesso rancore. Persino il vento crollò in una brezza leggera.
-Ipno?- sussurrai, battendo i denti.
Il Sonno aprì le ali piumate e si rese visibile, atterrando con grazia sul ghiaccio.
-Poche smancerie, ragazzina: abbiamo un conto in sospeso, tu ed io!-
Si chinò a raccogliere l’elmo di Ade e me lo spinse senza garbo contro lo sterno. Istintivamente afferrai il copricapo, stringendolo tra i seni per non farlo cadere.
Ade premette sul ghiaccio una mano bianchissima. L’acqua sotto di noi ribollì dolcemente, colmando le crepe di nuova tenebra, che si trasformò rapidamente in nuovo ghiaccio.
Thanatos era già planato accanto al suo re, e si stava chinando su di lui.
Il Sonno li raggiunse con passo felino, allargando le braccia come a raccogliere il plauso di un invisibile pubblico.
-Cosa fareste senza di me? Eh?-
Esitai: l’imboccatura della Superficie doveva essere vicina, vicinissima: adesso che l’aria era immobile riuscivo a sentire l’odore fragrante della terra smossa, il tenue frinire dei grilli.
È la mia ultima occasione, pensai. La mia unica occasione.
Ade passò un braccio attorno alle spalle di Thanatos, il sangue gli aveva inzuppato la manica fino alle dita.
Lui starà bene: non ha bisogno di me.
La Morte lo sollevò tra le braccia e si levò in volo.
Il Sonno li guardò scomparire nel buio, poi mi lanciò un’occhiata obliqua, tagliente come una lama.
-Che cosa decidi di fare?-
Lui starà bene?
Razionalmente conoscevo la risposta, ma fu il mio cuore a scegliere.
Esalando un lungo, doloroso respiro, volsi le spalle al frinire delle cicale. Strinsi fra le mani l’elmo di Ade e camminai zoppicando verso Ipno.
 
§§§§
 
Quando giungemmo al Castello, Ade era già nei suoi alloggi e Minta e altre ninfe infernali entravano e uscivano dalle sue stanze. Ipno mi trascinò di fronte alla porta dell’anticamera e mi piantò una mano fra le scapole, spingendomi all’interno.
-Forza, vai a dare un’occhiata!-
-Da sola?! Non vieni con me?-
-Scherzi? Se tra i divini regnanti del Sottosuolo volano piatti, non voglio trovarmi sulla traiettoria!- Abbassò lo sguardo sulla kuinè, che stringevo ancora tra le mani. –Saggia idea portarsi l’elmo: in queste occasioni può sempre servire!-
Gli lanciai un’occhiataccia, che non lo intimorì né tantomeno lo fece spostare dalla soglia. Raccogliendo tutto il mio coraggio e la mia dignità, attraversai l’anticamera fino alla stanza di Ade.
Il dio era seduto nel letto, le spalle appoggiate ai cuscini.
Le ninfe gli avevano sfilato la casacca e adesso gli tergevano il sangue di dosso con stracci imbevuti dell’acqua dello Stige. Mi rannicchiai su una poltrona, le ginocchia raccolte contro il petto, cercando di non essere d’intralcio all’andirivieni di geni e divinità minori che portavano via catini di acqua sporca e pezze sporche di rosso, per sostituirli con brocche di acqua limpida e garze pulite. La fronte del dio fu fasciata con bende bianchissime; le escoriazioni sulle mani vennero medicate con cura. Qualcuno lo aiutò a indossare una maglia pulita di mussola azzurra.
Ade tollerò quelle cure senza quasi dire nulla, poi congedò tutti. Aveva il volto tirato e sembrava non ne potesse più di avere gente intorno. Per un istante pensai di seguire le ninfe, di uscire anch’io dalla stanza. Invece all’ultimo momento ci ripensai.
Scivolai giù dalla poltrona e chiusi la porta dietro le spalle di Minta. Appoggiai la schiena al battente con tutto il mio peso. Nella penombra del letto a baldacchino, il volto di Ade era una maschera bianca.
La sua collera era una sfumatura che saturava le ombre dentro la stanza, una sensazione di oppressione che mi stringeva la gola e il petto, costringendomi a deglutire a vuoto.
-Mi dispiace.- esordii con voce flebile.
-Ti dispiace.- ripeté il dio in tono incolore. -È tutto quello che hai da dire?-
Non risposi.
-Ti dispiace per cosa? Per avere imprigionato Ipno, per essere fuggita sul Cocito, per avere quasi liberato i Titani… ? Per  cosa ti dispiace, esattamente?-
L’oscurità sgretolava gli angoli della stanza; le ombre si allungavano dai soffitti, pendendo come corpi sventrati.
-Non volevo fare del male a nessuno, volevo solo tornare a casa. Tu sai quanto lo volessi!-
-Non hai pensato alle conseguenze?-
La tenebra grondava da ogni parte in densi rivoli scuri. L’oscurità franò dai muri, colò sul pavimento lambendomi le caviglie.
-Io… io non conosco l’Averno… io non credevo…-
-Naturalmente,- la voce di Ade era di una dolcezza terrificante.- Tu non credevi!-
All’improvviso arrossii per la collera.
-Non puoi rimproverarmi di aver tentato di fuggire! Non mi hai lasciato scelta!-
-Chi ti ha detto del passaggio sul Cocito?-
-Ne avevo sentito parlare in Superficie.-
-Sei una pessima bugiarda.- tagliò corto Ade. -E una sciocca, anche. Cosa sarebbe accaduto se fossi finita nel Tartaro? Chi ti avrebbe tirato fuori di lì?-
Cercai di non pensare alle entità sfortunate che avevo percepito là sotto.
-Che differenza avrebbe fatto per te? Ti sarebbe bastato rapire un’altra figlia di Zeus!-
-Ti avevo detto di tornare indietro, e tu mi hai disobbedito…-
-Io non ti devo obbedienza!- mossi un passo avanti, i pugni stretti per la collera. Le ombre si ritrassero ai miei piedi, come intimidite dalla mia rabbia. Mi accorsi di aver gridato e trassi un profondo respiro. -Non sono una dei tuoi sudditi! Non sono nemmeno tua moglie!-
-Non lo sei, Persefone?- gli occhi di Ade si ridussero a due schegge di ossidiana. -Cosa dovrei fare per convincerti del contrario? Avrei dovuto comportarmi come un dio della Superficie, e stuprarti prima che passassimo l’Acheronte? -
-Per quel che ne so, avresti potuto farlo!-
Ade si abbandonò contro i cuscini.
-No, ti sbagli. Non avrei potuto.-
Sentii il mio cuore accelerare.
-Mi punirai?- chiesi.
-È questo che credi che io faccia? Punire?-
-Perché non mi lasci andare? Se tutto questo è una vendetta contro mio padre…-
-Una vendetta…?-
-Per averti costretto a prendere il Sottosuolo…-
-Costretto? In che modo, di grazia, Zeus potrebbe avermi costretto?-
-Con l'inganno.- azzardai con voce flebile.
Ade mi fissò a lungo: uno sguardo perfettamente impenetrabile.
–È questo che si racconta di me?-
-Gli umani talvolta lo raccontano, sì.- Mi umettai le labbra. –Ma non ho mai udito gli dei parlare di quei giorni.-
-Se avesse potuto, Zeus mi avrebbe pregato di prendere il Sottosuolo. Quasi non credette alle proprie orecchie, quando lo rivendicai come mio. La gratitudine e il sollievo erano tali, che mi promise in cambio qualunque cosa volessi.- fece un pausa, sollevando le sopracciglia. -O chiunque volessi.-
Tu mi appartieni.
-Menti.- sussurrai, con la gola secca.
-Non è nel mio stile. E poi, la verità è sempre più interessante.-
-Menti!- insistetti. - Mio padre non sa che mi hai rapito. Se lo sapesse, sarebbe già qui!-
-Davvero? Rifletti: io ti ho prelevata in riva al lago Pergusa. Credi possa accadere qualcosa di così grave in Superficie, senza che Zeus lo sappia? Senza che Zeus lo approvi? Purché lo sollevassi del peso dell’Averno, tuo padre mi promise in cambio qualunque cosa, e io chiesi la mano di una delle sue figlie. Il patto fu stipulato proprio sull'Olimpo, dove la sua parola è Legge.-
-Guarda tu il caso.- dissi in tono incolore.
-Diciamo che ho posto una certa cura a questo dettaglio. Ormai Zeus avrà capito che la figlia che ho reclamato sei tu, ma non può comunque rimangiarsi la parola. Se venissimo meno alle leggi che ci siamo imposti, il Caos inghiottirebbe prima noi e poi il Mondo. Persino mio fratello ne è consapevole.-
Desideravo che Ade tacesse, desideravo che smettesse.
Mio padre, l’eroe del mito, il mio eroe, mi aveva ceduta all’Averno ancor prima che esistessi!
Avevo la sensazione che una lama mi scavasse in petto.
–Mi stai facendo male.- dissi. –Nessuno mi aveva mai fatto così male, prima.-
Ade non mi rispose: si ritirò nel proprio riserbo senza scusarsi, ma  anche senza infierire.
-Perché hai preso me, tra tutte le figlie di Zeus?-
-Davvero non lo comprendi?- All’improvviso il dio sospirò e mi sembrò improvvisamente stanco, la sua maschera ridotta a un guscio malconcio e incrinato. -Sei così... giovane. Che cosa si prova a essere innocente? Io non riesco a ricordarlo.-
-È  per questo che mi hai scelta? Perché sono innocente? Volevi per sposa una Kore timida e inerme, che ti facesse più grande e potente di quel che già sei?-
Ade inclinò il capo di lato.
-Hai una lingua tagliente,- constatò in tono serico. -Mi chiedo da chi l'hai ereditata. In verità, io non ho mai conosciuto questa Kore di cui tutti parlate. In quella radura, quel giorno, c’era solo Persefone.-
 
§§§§
 
Mi attardai nella stanza di Ade anche dopo che si fu addormentato.
La verità è che non mi sentivo in grado di affrontare il mondo fuori dalla porta. Non conoscevo nessuno al Castello, non avevo più fiori da stringere al seno né illusioni a proteggermi, e in qualche modo sentivo che non era più nemmeno il tempo di piangere.
L’unica persona che capiva cosa provassi –sebbene non per questo si lasciasse distogliere dai propri propositi- era questo dio incomprensibile, che mi aveva strappato al mio mondo e mi rivendicava come sposa, come fossi sua di diritto. E a quanto pare lo ero davvero: con tanto di consenso di mio padre.
Mi resi conto che credevo alle parole di Ade: ci credevo non perché mi fidassi di lui, ma perché sentivo che erano vere. I tasselli che mi aveva disposto dinanzi si incastravano in modo tanto perfetto che mi pareva di sentire un click in sottofondo, che non potevo più ignorare.
E poi, nessuna menzogna farebbe così male.
Mi nascosi il viso fra le mani ed esalai un lungo sospiro.
Fu allora che mi raggiunse.
Un ululato tremante, cui si accostò immediatamente un confuso abbaiare e guaire di cani.
Uscii dalla stanza per sapere da dove provenisse: una dea era in piedi nell’anticamera, accanto alla vetrata, e si voltò nella mia direzione.
-Eccoti!-
Mi scostai i capelli biondi dal viso e mi lisciai in fretta gli abiti, cercando di ricompormi.
La dea indossava una veste color croco, leggera, che si increspò come schiuma di mare quando lei si staccò dalla vetrata e si voltò nella mia direzione. I suoi capelli erano una nube di ricci scurissimi e incontenibili,  che le ricadevano sciolti sulle sue spalle nude e sulle punte perdevano consistenza, come fossero fatti di fumo.
Due fuochi fatui dall’aspetto familiare fluttuavano accanto al viso della donna, illuminando il suo incarnato alabastrino di riflessi spettrali.
-Avevo chiesto di essere mandata a chiamare non appena ti fossi svegliata, ma vedo che arrivo in leggero ritardo.- La donna si fermò davanti a me, alta e bellissima. Lanciò uno sguardo alla porta alle mie spalle. –Mio fratello sta bene?-
-Credo di sì.- dissi.-Ha solo bisogno di riposo.- E poi, esitante: -Chi sei tu, comunque?-
-Hai sssentito che insssolenza?- squittì una voce familiare,  proveniente da uno dei due fuochi.
-Parlare così alla signora delle soglie!- fece il secondo fuoco fatuo, con voce dolce come miele di timo.
La donna li fulminò entrambi con uno sguardo: aveva occhi d'oro, bellissimi e spaventosi.
-Mormo, Lamia, smettetela! Non avete già fatto abbastanza? Abbiate la decenza di mostrarvi!-
In verità, quando le due creature svelarono le sembianze che già conoscevo, preferii che fossero rimaste in forma di fiamma. Tuttavia non sembravano più così ostili. Si inginocchiarono a terra, sfiorando il pavimento con la fronte.
-Ti chiediamo perdono.- dissero all’unisono.
-Tutto qui?- incanzò la dea.
-Ti chiediamo perdono umilmente, divina Persefone.-
-Accoglieremo con gratitudine qualunque punizione vorrai infliggerci.-
Arrossi, spiazzata dalle loro parole.
-Io… accetto le vostre scuse.-
La dea vestita di viola schiaffeggiò l’aria in un gesto spazientito.
-Ritenetevi fortunate, piccole sciocche! E adesso andate via, prima che mi arrabbi sul serio!-
Le bimbe si incendiarono, riprendendo le fattezze di due fuochi azzurrini. Le lingue di fiamma divennero sempre più piccole e dalla forma sempre meno definita; infine si spensero, come se l'aria stessa le avesse inghiottite.
La dea bruna unì in grembo le bellissime mani.
-Ti chiedo anche io di perdonarle: non ti avrebbero fatto del male. Volevano solo giocare.-
In verità non ero affatto sicura che le due Empuse conoscessero la differenza, ma lo tenni per me.
Le fattezze raccapriccianti delle due ragazzine mal si accordavano con la bellezza marmorea di quella dea.
-Sono le tue figlie?- domandai.
-Ormai è come se lo fossero. Non temere: più tardi le punirò per essere state così irrispettose.-
-Oh,- protestai. -Non occorre…-
-Dovrò farlo, o ci penserà Ade, esiliandole. E dove mai potrebbero andare due creaturine così disgraziate? In Superficie, la luce di Helios le distruggerebbe.-
Guardai la dea, affascinata.
-Hanno detto che sei la signora delle soglie.- Lei mi rivolse un sorriso indecifrabile, in cui scorsi un potere terribile e meraviglioso: la sacralità di tutti i bivi e i confini, di tutti i luoghi e i momenti di passaggio.
-Ecate Trivia.- la salutai. Il suo nome era intriso di potere. -Io non credevo che nell’Averno vivessero tanti dei!-
–L’Averno è pieno di divinità minori come le Empuse che hai appena conosciuto: sono nate in questo luogo e non saprebbero dove altro andare. Vi sono poi divinità maggiori e più antiche, che hanno visto la lotta tra gli Olimpi e i Titani e si sono trasferite nell'Averno dopo la Tripartizione: per loro, vivere qui è stata una scelta.-
-Chi mai potrebbe scegliere di vivere nel Sottosuolo, quando potrebbe vivere sulla Superficie?-
Un lampo di divertimento guizzò negli occhi d’oro di Ecate.
-Io l’ho fatto. Non provo stima per tuo padre Zeus né per gli altri cosiddetti déi dell’Ordine. Sono molto più antica di tutti loro: perché mai dovrei accettare come sovrano un dio la cui attività principale è slacciarsi i calzoni? O come regina una dea la cui attività principale è punire le donne di fronte alle quali il marito se li è slacciati?-
Arrossii, sconcertata da tanta franchezza.
-Anche Ade è un dio dell’Ordine.- feci notare.
Ecate ebbe un sorriso ferino.
-Senza dubbio lo è, ma, a differenza degli altri, non ha dimenticato che discendiamo tutti da Caos.-
La voce incolore di Ade risuonò per un istante nella mia testa. Cosa aveva detto esattamente?
Forse sono davvero l’unico a ricordare.
Ecate si accostò al tavolo, sulla superficie del quale era incisa la mappa dell’Averno.
-Quando si ebbe la Tripartizione, gli Olimpi presero possesso della Superficie e i turbolenti dèi delle acque si riversarono nel Mare. Tutti gli altri, tutti noi che non ci eravamo schierati né con i Titani né contro, e che non avevamo dimenticato di essere discendenti di Caos, non sapevamo dove andare.- Ecate sorrise senza allegria. –Zeus e Poseidone avevano paura di noi: la nostra stessa esistenza minacciava l’Ordine appena subentrato. Poseidone propose che venissimo rinchiusi tutti nel Tartaro, a marcire insieme ai Titani. Ade ascoltò entrambi i fratelli senza dire nulla, poi si ritirò nel suo palazzo. Dopo tre giorni e tre notti, senza dare spiegazioni, spalancò per noi le porte del suo Regno e ci rese tutti abitanti dell’Averno.-
-Molto generoso, da parte sua.- concessi con un punta di acredine. -Vi diede una casa.-
-Una casa?- Gli occhi dorati di Ecate scintillarono di malizia. –Anche Zeus e Poseidone la pensavano così. Impiegarono secoli a capire! Ade non ci diede una casa: ci diede un posto nel Cosmo. Ci rese parte strutturale dell’Ordine dal quale Zeus e Poseidone avrebbero voluto bandirci!-
Ripensai alla frase sibillina di Ade: Il Cosmo non si contrappone al Caos: piuttosto lo contiene.
Ero senza parole.
Rividi Ade sulla riva dell’Acheronte, che accettava gli onori dei suoi sudditi come se accettarli fosse uno dei suoi numerosi doveri. Rividi la devozione negli occhi d’argento delle anime: dove sarebbero andate a finire, le Ombre, se Ade non avesse trovato un posto nel Sottosuolo anche per loro? Sarebbero rimaste in eterno a girare nel Vortice? O si sarebbero tutte riversate in Superficie, sfogando sui vivi la frustrazione di non avere un luogo in cui andare?
-Io… io non immaginavo che Ade avesse fatto tutto questo...-
Ecate annuì.
-Per questo Nyx, Erebo, io e tutti gli altri lo accettiamo come sovrano. Per questo gli accordo l’onore di chiamarlo Fratello.- La dea mi fissò con quegli occhi dorati, e la sua luce mi parve immensa. -Lasciami dire una cosa, bambina: per quanto tu sia stata trascinata qui a forza e costretta a un matrimonio combinato, per quanto l’Averno possa apparirti sgradevole e spaventoso, esso è parte del Mondo. Non puoi capire davvero la Superficie, se non conosci il Sottosuolo.-
 
§§§§
 
Note dell’autrice (delle quali come sempre non si sente il bisogno!):

L’amena pratica a cui Ade si riferisce nel suo discorso a Persefone è quella del matrimonio per rapimento, tutt’ora realmente esistente in alcuni Paesi: se un pretendente rapisce una donna e la stupra, ne diviene il marito legittimo. Secondo alcune versioni del mito, il matrimonio tra Ade e Persefone fu esattamente una cosa del genere.
La mia idea a riguardo è troppo articolata per spiegarla in questa sede: semplifico dicendo che anche se non propendo per questa versione, le riconosco comunque un certo valore e ho voluto lasciarne una traccia in questo scritto.

Per il resto: CONGRATULAZIONI! avete finalmente toccato con mano la mia TOTALE incapacità di scrivere scene d’azione! xD
Come se non bastasse, questo capitolo era lunghissimo e denso: spero ne sia uscito qualcosa di decente e non vi abbia causato sepsi e dissenteria.

Un saluto,
Saliman
   
 
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