[8]
Ade
Era
stato Hermes, come al solito, ad informarlo
del rapido capovolgimento degli eventi. In realtà non aveva
fatto altro che
confermargli qualcosa che lui sapeva già, ma fu piacevole
udire la sentenza del
re degli dei. Nessuno, adesso, avrebbe osato opporsi al suo matrimonio
con
Persefone.
Salvo,
forse, Persefone stessa.
I mesi
che la dea aveva trascorso sull’Olimpo
erano stati, e Ade rise amaramente all’immagine che tale
pensiero gli evocava,
un inferno. Terribilmente lunghi e innaturalmente lenti, gli avevano
per la
prima volta fatto tastare il gusto dell’eternità,
e non era un sapore che il
dio aveva apprezzato in modo particolare se condito con
l’amaro assaggio della
solitudine. Immerso com’era nell’autocommiserazione
e crogiolandosi nella
consapevolezza del suo fallimento, Ade non si era reso conto di quanto
la
presenza seppur effimera della giovane sposa avesse modificato la sua
concezione
stessa del tempo e dello spazio, confortandolo con l’idea
ch’ella abitasse nei
suoi domini, respirasse la sua stessa aria, volgesse gli occhi verso il
medesimo cielo soffuso che avvolgeva gli Inferi. Il saperla entro il
regno
dell’Oltretomba gli aveva fatto scordare come fosse la sua
esistenza prima del
suo arrivo, e solo dopo la sua partenza il dio aveva per la prima volta
sofferto le pene dell’abbandono.
Ogni
momento libero dai suoi doveri lo aveva
passato nelle stanze di Persefone, inebriandosi dell’odore di
vita e primavera
e lacrime che la dea aveva suo malgrado lasciato indietro, e non aveva
chiuso
occhio – non che ne avesse realmente bisogno –
preferendo perdersi in lunghe
riflessioni e rimembranze che non gli avevano offerto alcun conforto,
ma solo
aggravato la sua frustrazione.
Non era
così che sarebbe dovuta andare – in
quei mesi aveva maledetto il nome di Afrodite almeno tante volte quante
aveva
sussurrato con desiderio e rimorso quello della sua sposa.
E se mai
gli capitava di cedere alle lusinghe
di Morfeo, vinto infine dalla stanchezza e dall’angoscia, il
suo sonno era
invaso da lei, dalla sua voce, dal ricordo di meravigliose risate che
mai
avevano risuonato nei saloni del suo palazzo, dai suoi occhi e dalle
sue labbra
che invitavano baci mai dati né presi…
Ade non
credeva che un figlio di Crono potesse
essere così debole da impazzire d’amore, ma ogni
mese che trascorreva senza che
avesse notizie della sua sposa confermava che una simile follia era
infatti
possibile, e che per sua sfortuna non ne aveva alcun controllo.
La sua
unica consolazione, in quei mesi, fu
immaginare che Persefone fosse felice tra le braccia della madre, e che
il
lungo periodo di lontananza – Ade osò almeno
sperare – finisse per invocare in
lei un briciolo di nostalgia per il suo sposo.
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